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I fratelli Houseman con i loro Akhenaten ci portano per mano nell'antico Medioriente I fratelli Houseman con i loro Akhenaten ci portano per mano nell'antico Medioriente Hot

I fratelli Houseman con i loro Akhenaten ci portano per mano nell'antico Medioriente

recensioni

gruppo
titolo
Golden Serpent God
etichetta
Cimmerian Shade Recordings
Anno

GENERE: Black/Death Metal con influenze Folk Mediorientale 

FFO: AlNamrood, Nile, Melechesh 

LINE UP: 
Wyatt Houseman - vocals
Jerred Houseman - all instruments 

TRACKLIST: 
1. Amulets of Folk and Fore [03:42] 
2. Dragon of the Primordial Sea [03:22] 
3. Throne of Shamash [02:50] 
4. Through the Stargate [02:35] 
5. Erishkigal: Kingdom of Death [04:03] 
6. Pazuzu: Harbringer of Darkness [04:09] 
7. Akashic Field: Enter Arcana Catacombs [07:05] 
8. God of Creation (feat. Brian Palmer) [03:22] 
9. Sweat of Sun [05:59] 
10. Apophis: The Serpent Rebirth [05:49] 
11. Golden Seprent Gold [02:44] 

Running time: 45:40 

opinioni autore

 
I fratelli Houseman con i loro Akhenaten ci portano per mano nell'antico Medioriente 2018-08-18 12:03:16 Daniele Ogre
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Daniele Ogre    18 Agosto, 2018
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Fondati nel 2012 e portati avanti sino ad oggi dai fratelli Wyatt e Jerred Houseman, gli americani Akhenaten arrivano a tagliare il traguardo del terzo album con questo "Golden Serpent God", disco in cui, consuetudine dei fratelli di Manitou Springs (Colorado), influenze derivanti dalla tradizione araba incontrano un potentissimo quanto tecnico Black/Death Metal.

Se conoscete almeno un po' la storia dell'Antico Egitto, saprete che quello di Akhenaten (Akhenaton, qui in Italia) è un nome decisamente famoso e non solo per essere il padre di Tuthankamon, ma soprattutto per essere stato considerato il Faraone Eretico, colui che bandì il celeberrimo culto politeista egizio per venerare il solo Disco Solare, il dio Aton-Ra, tanto da mutare il proprio nome in Akhenaten/Akhenaton e spostare la capitale in una città da lui costruita e dedicata unicamente al culto dell'unico dio, Akhetaton, considerata poi in seguito una città infame e maledetta... e forse data la mia passione per l'Antico Egitto mi sto dilungando troppo, scusate. Mettendo da parte la piccola lezione storica, tutto questo preambolo è per dire che non sorprende ritrovare tematiche antiche (egizie, mesopotamiche), nel lavoro degli Akhenaten, che quindi tematicamente, ma anche per quel che concerne parte del sound, non possono non portare alla mente i più grandi specialisti del genere, i Nile, senza però dimenticare i tedeschi Maat. I fragelli Houseman inseriscono però moltissimi elementi appartenenti alla cultura musicale araba - esempio lampante la bellissima doppietta iniziale formata da "Amulets of Smoke and Fire" e "Dragon of the Primordial Sea" -, che sposta le sonorità di questo progetto più vicine a quello degli arabi AlNamrood e degli israeliani Melechesh.
"Golden Serpent God" è, comunque, un album che funziona: gli Akhenaten riescono ad unire perfettamente un Black/Death duro come le millenarie pietre di calcare usate per costruire le piramidi ad atmosfere arabeggianti che danno una certa ariosità alle composizioni. Basta prendere "Pazuzu: Harbringer of Darkness", le cui orchestrazioni dal sapore mediorientale unito ad soluzioni chitarristiche simili si aprono su un Death Metal che sarebbe altrimenti estremamente cupo e claustrofobico. Capolavoro di scrittura ed arrangiamento è però la traccia seguente, la lunga "Akashic Field: Enter Arcana Catacombs", strumentale che arriva a sorpresa dopo tanta violenza capace di traslarci nello spazio e nel tempo, portandoci nelle regioni egizie tra faraoni, piramidi, templi, una cultura che aveva un rapporto col divino unica nella storia (per quanto Akhenaton...): sul Tubo la trovate, datele un ascolto.

In conclusione, "Golden Serpent God" è un album che personalmente è piaciuto molto, vuoi perché è andato a toccare una delle mie più grandi passioni - e penso ve ne siate accorti -, vuoi perché questi due fratelli del Colorado sono riusciti a creare un album del tutto personale, senza scopiazzare gente come Nile ed AlNamrood, cosa che si sarebbe potuta molto facilmente accadere. I fan dei suddetti gruppi (a proposito: se non conoscete gli AlNamrood, shame on you!) troveranno decisamente pane per i loro denti: non aspettatevi però un lavoro estremamente pesante e cupo come i Nile, il cui sound sa di piramidi chiuse da millenni e lezzo di mummie, ma qualcosa che, come detto, unisce un Black/Death violento ma ragionato unito ad ariose aperture arabe. Sorprendente, a dir poco.

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