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Arch Enemy: Il solito disco di mezzo Arch Enemy: Il solito disco di mezzo Hot

Arch Enemy: Il solito disco di mezzo

recensioni

titolo
Will To Power
etichetta
Century Media
Anno

Line Up: 
Alissa White-Gluz - vocals 
Jeff Loomis - guitars 
Michael Amott - guitars 
Sharlee D'Angelo - bass 
Daniel Erlandsson - drums

Tracklist: 
01. Set Flame To The Night
02. The Race
03. Blood In The Water
04. The World Is Yours
05. The Eagles Flies Alone
06. Reason To Believe
07. Murder Scene
08. First Day In Hell
09. Saturnine
10. Dreams Of Retribution
11. My Shadow And I
12. A Fight I Must Win

opinioni autore

 
Arch Enemy: Il solito disco di mezzo 2017-09-22 21:03:41 Gianni Izzo
voto 
 
2.5
Opinione inserita da Gianni Izzo    22 Settembre, 2017
Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 2017
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A sentire i primi due singoli, “The World Is Yours” e “The Eagles…”, ho pensato che questa volta gli Arch Enemy avessero deciso di averne abbastanza del fondo del barile, e si fossero spinti ancora più in basso.
Ma non è così, per quanto “The World Is Yours” si apra ad una melodia che farebbe vergognare Miley Cyrus, per quanto “The Eagles…”, nonostante la sua sospetta somiglianza con la bella “The Downfall Of Eden” dei conterranei Eclipse, si dimentichi di assorbirne la vivacità, ed a noi rimanga solo una intro scopiazzata che regge un brano abbastanza asettico, “Will To Power” si presenta come il disco che gli Arch Enemy ci propinano da un quindicennio a questa parte, cioè un lavoro con qualche brano buono ed un sacco di sbandamenti e punti morti.

Insomma, se non siete diventati fan degli Arch Enemy solo perché Alissa è tra le cantanti più bonazze dell’emisfero metallico e non, nel sentire la nuova fatica della band, vi ritroverete a rimpiangere, come da programma, i fasti dei loro primi tre, (quasi) quattro dischi. E se siete anche degli appassionati dei testi, sappiate che rimpiangerete anche tutto il periodo di Angela Gossow, la vera penna combattente del gruppo, altro che i toni melensi e adolescenziali di “Will to power”.

Speravamo che l’innesto dell’ex Nevermore, Jeff Loomis, desse nuova linfa vitale all'ispirazione claudicante di Amott e dei suoi, invece niente, non c’è un brano scritto da, o insieme a, lui, e soprattutto non viene usato a dovere, ma tanto negli Arch Enemy si usano tutti da anni al di sotto delle loro capacità, quindi torneremo per l’ennesima volta a parlare di un mezzo disco.

Il peggio di “Will To Power” è già stato espresso dai due singoli, a cui aggiungo anche “Blood In The Water”, che stoicamente riprende la piattezza di “The Eagle…” e le sfiancanti melodie alla “The World Is Yours”, che danno più o meno fastidio come qualsiasi nota suonata da qualcuno dei Sonic Syndicate.

Per il resto abbiamo:

- “The Race”: l’unico brano davvero degno del marchio Arch Enemy, niente a che fare con una “The Immortal”, ma ci sappiamo accontentare;
- “Reason To Believe”: il pezzo che non ti aspetti. Nel senso che, quando hai sentito che sul nuovo lavoro di Michael Amott, ci sarebbe stata anche una power ballad con le clean vocals, ti si è accapponata la pelle. Invece poi scopri che Alissa riesce ad interpretare degnamente la drammaticità della canzone, che poteva diventare davvero la caporetto del disco, invece si presenta come un esperimento riuscito.
- “Dreams Of Retribution”, “My Shadow And I” e “A Fight I Must Win”: la prima con qualche inserto neoclassico, per probabile gentile concessione del buon Christopher Amott. Le altre due sono abbastanza oscure, martellanti ed epiche, tanto da farsi piacere anche dagli over 18.
- “Murder Scene” e “First Day In Hell”: sono i classici compitini a casa. Ok, a sentire “The World Is Yours” uno chiederebbe ad Amott di farne di più di compiti come “Murder” e “First Day…”. Fatto sta che alla fine sono pezzi si decenti, ma che ogni melodic death metal band che si rispetti potrebbe scrivere nel giro di poco tempo, probabilmente dopo qualche ascolto compiaciuto, finiranno ad impolverarsi in qualche angolo del nostro inconscio, e di loro non ne sapremo più niente.

Tutto qui! A voi decidere se possa essere abbastanza o è lecito pretendere qualcosa di più da un nome altisonante come quello della band svedese.

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