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Atra Hora: molta atmosfera, poco black Atra Hora: molta atmosfera, poco black Hot

Atra Hora: molta atmosfera, poco black

recensioni

gruppo
titolo
Via Combusta
etichetta
Darknagar Records
Anno

 

Line-up:

Alextos 'Domination' Georgiadi - bass, lead vocals
Yanis 'Shaxu' Georgiadi - guitars, backing and clean vocals
Nicolaos 'Ijhi' Stryukov – guitars

Alexander Ermakov – keyboards

Genrih - drums & percussion

 

 

Track-List:

01.  Transmigration

02.  Escape

03.  Hronos

04.  Styx

05.  Neo Aeon

06.  Stagones Tou Ematos Mou

07.  Phobos

08.  Enthropia

opinioni autore

 
Atra Hora: molta atmosfera, poco black 2013-02-12 16:33:47 Marco Tripodi
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Marco Tripodi    12 Febbraio, 2013
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Nel Black Metal vive una vena di collezionismo più fervida ed attiva (talvolta quasi maniacale) di quanto non sia per la maggior parte degli altri sottogeneri, e la ricerca di nuove band effettuata dallo zoccolo duro dei fan scavando nei più profondi meandri dell’underground porta spesso ad emergere delle promesse. Non so dire se sia questo il caso degli Atra Hora, band russa formatasi nel 2006 con un black metal melodico e dallo stile variegato, ma certo è una band abbastanza interessante da meritare attenzione.
Purtroppo mi tocca aprire questa recensione con una nota dolente a proposito della copertina ed il lavoro di artwork con cui si presenta: è un lavoro ben curato, si vede dai tanti particolari che si possono notare sfogliando il booklet di questo loro “Via Combusta”, ma la somiglianza con “Something Wild” dei Children Of Bodom è a dir poco imbarazzante…
Ma lasciamo stare la grafica e pensiamo alla musica: quello che ci viene presentato è un black metal del più sperimentale e “laborioso”, che ben poco ha a che spartire con i grandi nomi della più seminale tradizione norvegese (e ci si può sbizzarrire a tirar fuori quanti più nomi della scuola di Mayhem & Co.), orientandosi invece su un sound che mi ricorda molto -specie per i toni vocali e per le atmosfere evocate- agli illustri colleghi Rotting Christ.
Le chitarre lavorano insieme elaborando strutture fantasiose eppur tirate (grazie anche ad un ottimo lavoro dietro le pelli), che favoriscono anche l’ampio uso delle tastiere per creare atmosfere suggestive e avvolgenti in cui addentrarci: questo stile si manifesta apertamente, e dopo l’iniziale “Transmigration” è la seconda canzone “Escape” ad avere il compito di dimostrarlo pienamente. In questa canzone si nota subito una qualità che ritroveremo più avanti: la capacità delle voci di adattarsi ai cambiamenti stilistici operati soprattutto dalle tastiere, infatti il growl che incede pesantemente su tutti gli ampi tappeti d’archi sa cedere adeguatamente il passo al pulito quando dalle tastiere subentra un tono “classico”.
Ho citato i Rotting Christ all’inizio, e forse il brano “Hronos” è il più opportuno per riferirmi di nuovo a questa influenza: come la grande band greca anche gli Atra Hora qui rievocano atmosfere e sonorità mediorientali, o quantomeno delle zone più esotiche del nostro Mediterraneo, che ben poco hanno a che vedere con le fredde lande russe dalle quale vengono questi ragazzi, ma il risultato è decisamente buono. Questa ricerca d’“orientale” non si ferma a questo pezzo per gli Atra Hora che, quasi a voler concludere un discorso iniziato e sospeso per loro troppo presto, sfruttano la traccia successiva (“Styx”) come un seguito di “Hronos”. Insomma, la lezione dei maestri greci è stata ben appresa.
Da “Neo Aeon” il disco ha una piacevole svolta stilistica, che vede la band riabbracciare un filone più tipicamente black/death del più atmosferico e coinvolgente dal punto di vista emotivo: incisivi accenti ritmici da parte delle chitarre in dialogo tra loro sono accompagnati da parti di tastiera che riportano alla mente quelle degli Emperor o dei primissimi Dimmu Borgir (ma vorrei citare in proposito anche i meno noti e importanti Sothis).
Il pezzo che però più di tutti in questo disco tende a creare un buon connubio tra le parti più tese al growl ed alle schitarrate e la ricerca di atmosfere intimiste e contemplative (di gusto decisamente più dark che propriamente black) è “Stagones Tou Ematos Mou”. Credo che questo fosse almeno in parte l’intento anche della seguente (e lunga) “Phobos”, ma ahimè questa volta i cambi sono decisamente troppi, a volte troppo netti, a volte tendenti a sfere tanto lontane da risultare forzati, così da stancare l’ascoltatore (complice anche l’eccessiva lunghezza) e far scadere un pezzo che altrimenti mostrerebbe notevoli capacità tecniche.
Siamo alla fine, e così come si è aperto il disco si conclude con un altro brano che procedendo lento e pacato (potremmo dire sottovoce, dal momento che anche il testo è pronunciato in un growl che è quasi sospirato) riassume in maniera un po’ ripetitiva le atmosfere suscitate in tutto il disco; ma visto che si ritrovano traccia dopo traccia ce n’era davvero bisogno?
Riassumendo, chi vuole cercare negli Atra Hora selvagge cavalcate di doppio pedale e sinistri riff di chitarre le cui ritmiche non scendono sotto i sedicesimi resterà deluso da questo disco, che potrà invece soddisfare gli amanti di elaborati sottofondi melodici e della loro singolare combinazione esotica.

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