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Vreid - Lifehunger Vreid - Lifehunger Hot

Vreid - Lifehunger

recensioni

gruppo
titolo
Lifehunger
etichetta
Season Of Mist
Anno

Line up:
Sture - vocals, guitars 
Strom - guitars 
Hváll - bass, keyboards 
Steingrim - drums

Tracklist:
1. Flowers & Blood
2. One Hundred Years
3. Lifehunger
4. The Dead White
5. Hello Darkness
6. Black Rites in the Black Nights
7. Sokrates Must Die
8. Heimatt

opinioni autore

 
Vreid - Lifehunger 2019-08-04 19:13:12 Anthony Weird
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Anthony Weird    04 Agosto, 2019
Ultimo aggiornamento: 04 Agosto, 2019
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Vreid, una band sottovalutata dai più solo perché nata da ciò che restava dei disciolti Windir e, quindi, considerati un po’ il fratellino sfigato, ma che poi porta a casa una ragazza molto più figa della tua senza neanche avere la macchina decappottabile. Perché è così che finisce sempre, in questo percorso fatto di altri sette album completi in studio ("Lifehunger" è l’ottavo), i Vreid ne hanno fatta di strada, crescendo a pane ed Enslaved ad esempio, ma anche Bathory, Kampfar e tutto il grande filone di Black Metal più atmosferico e progressivo, che va a braccetto con il Folk ed il Viking Metal, hanno sicuramente lasciato il segno nella formazione e nell’evoluzione dei norvegesi.
“Flowers & Blood” è un'intro acustica molto atmosferica che dura il necessario per cullare lo spettatore facendolo sprofondare in un abisso gelido, prima di sfociare nella rabbia dei brani successivi con le loro chitarre appuntite ed affilate, una punta metallica che sfregia una roccia; il sound che incontriamo immediatamente in brani come “One Hundred Years” e “Lifehunger” è stridente, veloce, dove - a parte qualche passaggio rapido in doppia cassa - di Black Metal resta poco, se non forse solo uno scream cattivo ma fin troppo secco, che tuttavia migliora man mano nei brani successivi. Bellissimo è l’insegnamento anche degli arpeggi distorti di Demonaz, nei paesaggi ghiacciati di “Blashyrk”. Storco non poco il naso, con “Hello Darkness”, una sorta di “Dope Hat” di Marilyn Manson con tanto di Hoompa Loompa sotto LSD. Un pezzo malato e distorto, dove l’unico appiglio sicuro è il costante colpo di cassa sotto una voce 'ballerina', che si muove fuori posto, ed in cui troviamo un ospite speciale veramente molto gradito, cioè Aðalbjörn "Addi" Tryggvason dei mitici Sólstafir, altra pietra miliare del metal legato alle gelide lande desolate del Nord Europa. Uno dei brani che mi trovo maggiormente ad apprezzare, è sicuramente “Black Rites in the Black Nights”, con la sua dinamicità, i cambi di tempo e di ritmo. Terzine e mid-tempo si alternano a parti più melodiche, lo scream diventa coinvolgente e non mancano fasi più strettamente Black Metal con il classico riffing vorticoso, per quello che è, a mio avviso, il brano migliore del disco. “Sokrates Must Die” e “Heimatt” sfiorano l’Hard Rock, pur mantenendo il tocco Black Metal che contraddistingue la band, tuttavia l’unica cosa veramente degna di nota, sono i virtuosismi delle chitarre e dei loro “obbligati” swipe e le scale dissonate con quel tocco di NWOBHM che tutti amiamo e che ci sta sempre come la ciliegina sulla torta.
Tirando le somme, "Lifehunger" non è un lavoro che mi ha fatto impazzire; si tratta di album fondamentalmente legato al Black Metal, ma che si discosta comunque moltissimo da esso, aggiungendo non solo componenti atmosferiche, ma anche influenze di generi più accessibili come l’Hard Rock e (addirittura) l’AOR, pur non presenti in quantità predominante, ma, come il prezzemolo, ne basta una fogliolina per dare odore. Più visibile è invece anche l’influenza dei Darkthrone - di sicuro non quelli di “Transilvanian Hunger” -, ma sappiamo benissimo quanto Fenriz e Nocturno Culto abbiano talvolta snaturato il proprio sound, così tanto da far fatica a credere che si trattasse della stessa band ascoltata nell’album precedente ("Dark Thrones and Black Flags" giusto per fare un nome).
Quindi questo “Lifehunger” dei Vreid è consigliato se amate il genere e non vi disturba il Black Metal pesantemente contaminato. Tenendo presente che non si tratta di un capolavoro, può essere comunque un ascolto piacevole.

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