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Apolokia: molto della vecchia scuola, ben poco del resto Apolokia: molto della vecchia scuola, ben poco del resto Hot

Apolokia: molto della vecchia scuola, ben poco del resto

recensioni

gruppo
titolo
Kathaarian Vortex
etichetta
My Kingdom Music
Anno

Tracklist:

1. Consolamentum

2. Post Kristus Daemonolatry

3. In Figuram Baphometis

4. Order of the Nine

5. Malignant Asphyxiation

6. Kathaarian Vortex

7. Signum Satani

8. Coil of Nihilism

9. Pure Imperial Darkness MMXII

opinioni autore

 
Apolokia: molto della vecchia scuola, ben poco del resto 2013-05-15 15:35:35 Marco Tripodi
voto 
 
2.0
Opinione inserita da Marco Tripodi    15 Mag, 2013
Ultimo aggiornamento: 15 Mag, 2013
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Più volte in passato ho potuto accennare alla scena black metal italiana: ricca, controversa, troppe volte bistrattata. Oggi ho la possibilità di affrontarla parlando di un gruppo italiano che, fondatosi nel ’94, si esprime nella lingua originaria con cui il black metal si è fatto conoscere nell’era d’oro dei primi anni ’90: sono gli Apolakia, e questo è il loro ultimo lavoro, “Kathaarian Vortex”.
Dopo una breve introduzione iniziale dal disco piove una sfuriata tritante e ossessiva con “Post Kristus Damonolatry” che si presenta come il biglietto da visita di questo disco: distorsione altissima e stridente, batteria martellante e incessante, che per più di cinque minuti (questa in media la durata delle canzoni) manifesta a chiare lettere quali siano i riferimenti per questa band, Mayhem e primi Darkthrone su tutti, e nella loro forma più oscura e compulsiva!
Anche la registrazione sembra imitare quelle storiche registrazioni da cantina con cui si sono formati gli amanti del black metal duro e puro, dando alla complessità del disco un condimento aspro e confuso di fruscii e ritmiche spesso poco nitide.
Queste caratteristiche rimarranno una costante per tutto l’album, ma a voler cercare anche elementi che, almeno in parte, si distacchino dalla ripetitività delle canzoni, si può parlare dell’inserimento di parti anche cantilenate dalla voce, chiaramente con lo scopo di suggerire all’ascoltatore –seguendo la migliore scuola dei Celtic Frost- l’idea di un’oscura liturgia nera, nelle canzoni “In Figuram Baphometis” e, in particolare, in “Order of the Nine”, ma ben inteso: parliamo solo di sfumature, non di chiare differenze dagli altri pezzi!
Senza distaccarsi da questo suono pastoso e confuso “Malignant Asphyxion”, dopo l’ormai consueta sfuriata velocississima in cui la voce si distingue a stento dalla distorsione delle chitarre, presenta finalmente un decisivo cambio di tempo (il primo del disco dopo cinque tracce!) in favore di una marcia marcata e puntuale.
Quanto ho scritto finora, descrivendo le sonorità grezze e dalla sensazione “casalinga”, vorrei fosse preso come premessa per dimostrare e chiarire che il sottoscritto non è certo solito a storcere il naso di fronte a suoni esplicitamente “old school” (tutt’altro!), e che le critiche mi trovo costretto a muovere a questo disco non sono da attribuire ad orecchie inesperte… Che la band intenda rifarsi ad un’era del black metal tramontata quanto vagheggiata e ammirata è chiarissimo, ma la qualità del suono è in ogni caso pessima (al confronto le registrazioni degli HellHammer potrebbero sembrare fin troppo raffinate!). Spesso ci si accorge dell’entrata della voce solo a metà strofa, tanto sono confusi ed impastati i suoni di chitarre e batteria… Anche le ritmiche non offrono molto: una certa ripetitività e monotonia –bisogna ammetterlo- è spesso una componente tipica di questo genere di black, ma in questo caso sono molto rare le parti che offrono una qualche variazione in tutto il disco: le si notano di più nella title-track e nella successiva “Signum Satani” (uno dei punti più alti della composizione), in cui i cambi di tempo si fanno sentire questa volta in maniera marcata e coinvolgente. È da questo punto in poi che il disco, finora incessante nelle sue velocità esasperate e violente, assume una svolta dal respiro più ampio, concedendo più spazio ad interventi ritmici d’ostinato e di marcia (pur rimanendo ancorati sullo stile sporco e primordiale): lo mostra bene “Coil of Nihilism”.
Un elemento che poi penalizza incredibilmente il disco sono le chiusure (davvero incomprensibili): quasi tutte le canzoni si concludono con un rapido quanto fastidioso fade-out, una dissolvenza veloce che spiazza l’ascoltatore; le uniche due canzoni che non si concludono con questa dissolvenza poi hanno un risultato ancor peggiore (spero nell’improbabile possibilità che mi siano arrivati dei file danneggiati), terminando con un taglio netto e decisivo, come se la canzone fosse stata stoppata erroneamente in un punto casuale.
Non saprei che altro aggiungere: guardare al passato è sempre lodevole, ma un conto è apprendere dai maestri della storia, un altro scimmiottarli in un vortice di forsennata e rudimentale brutalità. Non è importante essere tecnici a tutti i costi, ma almeno offrire una ragione per essere ascoltati quello sì, mentre questo “Kathaarian Vortex” sembra voler far godere gli Apolokia della propria misantropia, chiudendosi senza la minima apertura per un pubblico.

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