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Opinione scritta da Cristian Lasorsa

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    05 Settembre, 2013
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Mettiamo in chiaro le cose: quando parliamo di My Dying Bride, parliamo sempre di certezza. Si, perchè questa band attiva ormai da circa 23 anni sforna album interessanti ogni volta e, in questo caso, mi trovo a recensire un ottimo Ep, che segue il tanto valido “A Map of All Our Failures”. “The Manuscript” contiene quattro tracce, per un totale di 27 minuti di puro decadimento, atmosfere malinconiche e il classico gothic doom che contradistingue la band inglese.
Ad aprire l'Ep troviamo la titletrack, “The Manuscript”, nella quale possiamo notare l'ottimo sound delle chitarre melodiche di Craighan e Glencross, sempre precisi, capaci di condurti in un vortice oscuro, dal quale uscire non è proprio facile. Anche il violino di Shaun MacGowan riesce non solo a ritagliarsi dello spazio, ma ad arricchire un brano capolavoro. Dopo la calma di “The Manuscript”, ecco arrivare la voce in growl di Stainhorpe, che completa l'operato della band, in tempi più veloci, ma che nei 9 minuti del brano, riesce a rallentare in pieno stile My Dying Bride. Il songwriting di “Vår Gud Över Er” è accattivante, mai stancante. I 9 minuti scivolano via fino ad approdare nel miglior brano dell'Ep: “A Pale Shroud of Longing”: una traccia dal ritmo lentissimo, dove chitarre e violino accompagnano egregiamente Stainhorpe, che canta divinamente. A chiudere questo elegante Ep, una “marcia funebre” come “Only Tears To Replace Her With”, che vede Aaron recitare il testo e che lascerà l'ascoltatore senza fiato.
Si dice che, di solito, negli Ep finiscono gli scarti di alcuni album; sinceramente non mi sento di etichettarli così, anzi: sono opere che meriterebbero il giusto ascolto e che tutti i fan e non dovrebbero apprezzare di buon grado.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    02 Luglio, 2013
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Terzo disco per i Mena Brinno, band dedita a un sound gothic metal molto classico, proveniente dalla Florida. La band - nata nel 2006 per volere di Katy Decker, singer della band, e Marius Kozlowski (chitarrista) - ritorna con “Princess of the Night” dopo “Icy Muse” del 2007 e “Wicked Polly” del 2009. C'è subito da dire che nonostante siano quasi sconosciuti in Italia questo disco ha spunti niente male, molto interessanti soprattutto l'amalgamarsi della voce di Katy e le parti musicali. Ma andiamo con ordine.
Il disco si apre con la title track, la quale mi ha ricordato un po' i Lacrimosa dei bei tempi, così come la prima parte del cantato mi ha riportato alla mente Anne Nurmi; se dopo il primo minuto ecco la voce di Katy, pulita e limpida, crescere maggiormente, accompagnata dalla perfetta chitarra di Marius e da un ritmo incalzante del batterista Sean Currie. “Blackmail” è un po' la ballad di questo disco, dove lati malinconici uniti a un'insaziabile dose di romanticismo ci portano a continuare a sognare anche in “Sonorous Dream”. In questo brano ancora si concretizza l'ottima prova di Katy Decker, che con il suo cantato lirico spezza decisamente il cuore dell'ascoltatore nostalgico del gothic metal che fu; peccato per la chiusura del brano un po' mozzato. In “ Serpentine Lullaby” da notare l'intro del flauto dolce che “cede” spazio a un riff infuocato di chitarra. Bene l'uso dei cori e sinceramente posso dire che è uno dei brani convincenti di questo nuovo full lenght. Il momento più “lento” di questo disco arriva con “Captive Soul”, dal sound decisamente melodico 80's e con i “classici” stoppati del gothic metal. Tralasciando “Sacrifice”, che , nonostante abbia ascoltato la traccia più volte, non ho capito cosa volesse rappresentare e cosa volesse trasmettere, ci troviamo ad ascoltare “Drown Within” ( calma totale) e “Cross the bear”, la quale chiude il disco con un ritornello sottile e dolciastro, ma vede i riff di basso potenti curati da Doug Sellers e l'ottimo lavoro dietro le pelli di Sean.
In conclusione ci troviamo dinanzi un buonissimo disco, dove l'unica pecca sono gli scarsi 35' (magari alcuni brani meriterebbero un songwriting più ricco), ma che lascia ben sperare. Ricordiamo anche che la band è al terzo album, ma che sinceramente non ha nulla da invidiare a band molto più famose. C'è ancora molto da migliorare, ma questa band è cresciuta rispetto ai due dischi precedenti e ha in Katy un'otttima carta da poter sfruttare a pieno titolo.
Cari fan di Nightwish, Within Temptation, Elis, fatevi avanti, perchè questo è il vostro disco.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    09 Giugno, 2013
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Quando eravamo ancora Powermetal.it, mi arrivò il secondo disco della band tedesca, “Quecksilber”. Il lavoro ci era anche piaciuto e ci eravamo augurati che gli Stahlmann potessero proseguire senza farsi influenzare da “i maestri” tedeschi Rammstein.
Bene, come non detto! A distanza di un anno ecco il nuovo lavoro “Adamant”, dove la band si discosta leggermente dagli Unheilig e si avvicina tantissimo ai Rammstein o ai Megaherz.
Il disco si apre con “Die Welt Verbrennt” il quale subito fa pensare “Cavolo, ma questo è Till”. No, niente paura: è la voce di Mart. Il chiaro riferimento ai Rammstein è anche nelle chitarre e nella struttura del brano, il che potrebbe far presagire un “copia e incolla” di cose già sentite.
“Suchtig” e “ Wenn Der Regen Kommt” mostrano come la dose compositiva della band sia andata un po' scemando in questo disco, facendolo risultare un po' noioso e, dopo pochi minuti per traccia, sopraggiunge la voglia di cambiare pezzo. “Schwarz” vede la collaborazione di Teufel dei Tanzwut, in uno dei due brani ben strutturati di questo disco, che lascia spazio alla stupenda “ballad” “Leuchtfeuer”, dove i bpm sono calati e la struttura del brano è molto più melodica. Tralasciando “Adrenalin” (potrebbe arrivarne un remix), in “Der Schmied” vedo l'intro dalle chitarre influenzate da Marilyn Manson (si veda “The Beautiful People”). “Paradises” , “Nackt” (ottimi qui i ragazzi di Gottigen) e "Temple Der Lust" lasciano spazio per l'ultima traccia, ovvero “Damonin”, a mio avviso una delle migliori song di questo disco, che serve ad alzare il voto dell'ultimo lavoro.
Nel complesso, il disco è a metà strada fra un “copia e incolla” di cose già sentite e un leggero passo indietro rispetto al precedente disco. Forse c'è troppa voglia di crescere, ma questi ragazzi devono fare un passo alla volta, senza bruciare le tappe.
Rimandati.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    29 Mag, 2013
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John Rox è un progetto nato a Milano per volere di John Rox (Chitarra), Fabien (voce) e Nicolas IX (Electronic Beats). Diciamo subito che questa band ha le idee chiarissime, ovvero unire l'Industrial con l'Alternative Rock, un connubio non facilissimo, ma i nostri ci sono riusciti.
Ad aprire il disco troviamo “2012 World Decadence” a metà strada fra Marilyn Manson e Rob Zombie in versione un po' più “catchy”, mentre il cambio è repentino su “Love Essenza” ,divisa in due atti, quasi a voler rappresentare due stili diversi di amore, il primo più cupo, il secondo più aggressivo. Aggressività e chitarre massicce sono la forza di “Monster 003”, in cui il cantato e i back vocal si amalgamano benissimo, mentre “Kill Myself” (chiarissimi i riferimenti a Manson) miscela i toni malinconici con un cantato “sporco”. “The Intermission of the Game” (la mia preferita del disco) è una specie di marcia lugubre e nichilista che lascerà l'ascoltatore immobile e sedotto per tutta la durata del brano, cosa che non accadrà in “7”, ballad strepitosa, dove comunque la linea vocale rimane sempre intensa e accattivante. Quello che non ti aspetti arriva nella traccia successiva, ovvero una cover. Certo, tutte le band fanno delle cover, ma non degli Ice Mc (progetto dance famosissimo negli anni '90). I John Rox riprendono così “It's A Rainy Day” e la stravolgono, lasciandone solo l'impatto per il dancefloor. “Demorphine” è forse la song più introspettiva , dove ancora una volta padroneggia un velo di tristezza accompagnato da basi ben strutturate e voce mai noiosa. Il finale è affidato alla title track “Human Radioactivity “(ritornello che rimane impresso) e a “The Man & the Machine”(brano strumentale non male). Nel disco, inoltre, troverete due “extra”, un remix (mal riuscito) di “2012 World Decadence” e la versione strumentale di “7”.

Nel complesso il lavoro di questo progetto è ottimo, è una piacevolissima sorpresa in un panorama musicale ormai scialbo, soprattutto per quello che ne concede la “scena” ebm italiana. Questi ragazzi sono giovanissimi, ma il tempo potrà premiarli e soprattutto i live. Teneteli d'occhio perché sono una bellissima sorpresa.
Complimenti!

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    02 Aprile, 2013
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Il termine "gothic rock" spesso viene associato in maniera sbagliata a molti gruppi, ma in questo caso non corriamo nessun rischio. Gli Yabanci sono una band italo-svizzera formatasi nel 2011 e che vede come leader il chitarrista Valerio Lovecchio, alla batteria Dimitri, al basso Marcello e alla voce Laura LadyGhost già voce dei Ghost Effect. "Birth" vede la ri-nascita della band dopo la separazione con il precedente singer Krystal e vede la crescita dopo i precedenti demo. L'E.P contiene sette tracce di ottimo gothic rock, ma con una particolarità: la voce di Laura. Si, non posso nascondere che, oltre alle ottime parti musicali, c'è da fare i complimenti a LadyGhost. Vi sembrerà di sentire Siouxsie che incontra i Fields of the Nephilim o Voices of Masada. Ma andiamo con ordine.
L'E.p. si apre con "Birth", un brano strumentale dove basso, batteria e chitarra suonano in maniera perfetta e solenne come fosse un vero rituale. "Ars Nova" racchiude, nei suoi tre minuti, l'energia pura del vero gothic rock d'altri tempi, soprattutto nei tocchi precisi della batteria e negli ottimi giri di basso. "The Covenant", terza traccia di questo lavoro, ha un qualcosa che ricorda i Fields nelle chitarre, ma non è un male, anzi: con la voce di Laura il tutto sembra trovare una preziosissima alchimia e rende questo uno dei migliori brani del lotto. Senza ombra di dubbio, la miglior traccia è "The Bless": la parte ritmica è incalzante, la chitarra di Valerio è ricca di suoni e la voce di LadyGhost è incantevole. Provate a chiudere gli occhi e lasciate spazio alla vostra mente e all'immaginazione e vedrete che farete un salto nel passato. Magia della musica e di un brano che dovrebbe diventare una hit. "Fear" si apre con una linea di basso possente seguita da una sessione di batteria in stile post punk, che dimostra come il lavoro degli Yabanci sia stato ben fatto. "The Absolute" è forse la traccia più "complessa" ed emozionante (bellissimo il finale) che lascia spazio a "Last Page", pezzo registrato dal vivo.
Un buonissimo Ep che, a mio avviso, potrebbe essere uno dei migliori di questo 2013, dove magari andrebbe migliorata leggermente una produzione già buona.
Gli Yabanci ci mettono anima e cuore in questo disco e tirano fuori un prodotto ottimo, di purissimo gothic rock e che potrebbe portarli a solcare palchi prestigiosi.
In bocca al lupo e attendiamo il primo disco.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    02 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Ritornano dopo 4 anni di assenza, e con immenso piacere li accogliamo, i finlandesi Eternal Tears of Sorrow, con un disco di gran lunga più interessante rispetto al precedente "Children of the Dark Waters". Il Symphonic Death Metal proposto dai nostri (è questo il loro "vero" genere) in questo disco è molto "easy" e pulito, tanto da sembrare fin troppo commerciale, ma risulterà la vera arma vincente, visto che non mancheranno ritmi incalzanti e potenti.
"Saivon Lapsi" si apre con un intro strumentale ("Saivo"), ma è "Dark Alliance" (con la partecipazione di Miriam Renvag) a far capire che la band in questi anni sarà stata pure in silenzio, ma non ha dimenticato come si fa buona musica. "Legion of Beast" ne è ancora la conferma; il brano suona poderoso, potente e non ha mai un momento di calo, anzi: l'eco femminile e lo scream perfetto lo rendono uno dei migliori d questo disco. "Kuura" è il momento di "calma" strumentale che cede il passo alla top track del disco, ovvero la stupenda "Dance of December". Una vera e pura poesia nordica, che vi farà dimenticare tutto il disco e vi farà sostare per molto tempo su questo brano. Elegante e preciso è l'intreccio fra le tastiere e le chitarre; ottimo, invece, l'alternarsi fra lo scream e il cantato pulito. Gli Eternal Tears of Sorrow non sbagliano un colpo su questo disco e la dimostrazione avviene con "The Day", un brano a tratti malinconico e con un ritornello coinvolgente, che mi ha fatto venire in mente band come Dark Tranquillity e Amorphis. "Sound of Silence" è la ballad che serve a rallentare il ritmo del disco, ma non certo il valore creativo. La ballata è struggente al punto giusto e vede duettare in maniera divina, e con estrema dolcezza, Jarmo e Miriam. Potremmo dire che dopo la quiete arrivi la tempesta, ma è relativa; infatti "Beneath the Frozen Leaves" ci riporta nei gelidi territori finlandesi e lascia ancora una volta l'ascoltatore immobile di fronte al mood che i Nostri propongono. L'eleganza della band si nota anche in "Swan Saivo", dall'intro calmo, il clean vocal perfetto che segue l'ottimo lavoro del drummer Juho Raappana e i riff precisi dei chitarristi Mika Lammassaari e Jarmo Puolakanaho. E le tastiere? Beh, Janne Tolsa ha molto lavoro da fare in "Blood Stained Sea", dove sfoggia un'assolo che mi ha ricordato i connazionali Sonata Artica, in un brano dall'impatto un po' più power. L'album si conclude con "Angelheart, Ravenheart" (opera da ascoltare più volte), il terzo atto di questa "saga", che si era aperta nel quinto album "Before the Bleeding Sun".
Il settimo sigillo dei finlandesi è un disco da acquistare, da non farsi mancare assolutamente nella collezione; un album malinconico, cupo, freddo, raffinato, ma anche violento e tagliente. Un disco che si allontana dal solito "filone" nordico e che catturerà anche coloro che, a questo genere, non sono proprio avvezzi.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    22 Febbraio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Esordio discografico per XCIII , band formata da Guillaume Berlinger nel 2009 (voce e chitarra) e che vede la presenza di Jonathan alla chitarra e Mathieu al piano. La band francese ci propone un Avantgarde/Atmospheric Metal decisamente positivo, che porterà alla mente l'oscurità dei primi My Dying Bride e la poesia degli Anathema, senza tralasciare gli Elend, i Porcupine Tree, le atmosfere dei Katatonia. L'artwork, caratterizzato da colori scuri e cupi e che vede un paesaggio con una donna in primo piano, evoca quello "spleen" tanto caro alla cultura maledetta francese (e non).
Il primo brano del disco è "Rêverie Nocturne", suonata interamente da un pianoforte con tinte oscure e malinconiche, che ci introduce nel cammino atmosferico di questo album. Il rintocco delle campane e il suono di una chitarra acustica ci introducono in "Bal Macabre" , un mix perfetto fra doom e gothic oscuro, dove il cantato di Guillaume è ora dolce e ora ruvido, così come i tocchi di batteria sempre precisi e oscuri. "Hibernal Sadness", introdotta da un soffio di vento gelido, ci fa continuare il cammino in questo viaggio plumbeo, dove ci accoglieranno note di violino eteree, riff di chitarra possenti e quella sofferenza (dolce) che il brano racchiude in sé. Il cambio di atmosfera avviene in "Feathers", brano di chiara matrice black metal, dove si passa da momenti più melodici a momenti più serrati e dove il cantato ricorda molto quello degli Alcest. Inquietante il finale con il suono di un orologio a cucu e un lamento. Questo disco suona come se foste in un castello dove il susseguirsi delle situazioni vengono rappresentate da ogni singolo brano. Bene, dopo la tempesta, si incontra "il paradiso": fuori splende il sole, un giardino ben curato, dame settencentesche e il cinguettio degli uccelli. Questa è "Autumns Call", con chiari riferimenti al periodo Romantico, brano accompagnato dalla sola chitarra acustica e con un cantato che mi ha ricordato David Tibet misto agli Agalloch. Tre minuti di pura calma (apparente) , che continuano con lo scrosciare dell'acqua contenuto in "Perpetual Place" e che vede l'arrivo di un avvenimento tragico: la musica incalza, la batteria è prorompente, il cielo sembra tornare a incupirsi e tutti si rifugiano nel castello chiamato XCIII. Le battute finali arrivano con "Bal Macabre - Epilogue", dalle atmosfere limpide e dal cantato leggiadro, con le chitarre che sembrano suonare in maniera gioiosa. L'ultima traccia è affidata a "Like A Fiend In A Cloud", una traccia buia, con un finale scontato.
E' un disco dal difficile impatto, all'ascolto del quale l'ascoltatore non può rimanere passivo, inerme, dinanzi a tanta bellezza. Per questo disco bisogna avere un orecchio molto allenato, immergersi anima e corpo per affrontare questo tipo di "viaggio". Un disco che lascerà senza fiato i fan di Agalloch, Anathema e non solo.
Si, questo disco deve essere vostro. Il progetto XCIII ha fatto centro.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    20 Febbraio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Prima di analizzare questo disco partiamo dalla copertina: la foto di una bambina con occhi spalancati, sguardo intenso e una macchia nera su una parte del viso. Questo è solo l'inizio. Infatti, "Occult You", edito dalla Church Independent, sembra un viaggio fra i maestri del gothic metal come Paradise Lost e Katatonia, senza tralasciare però la voce cupa di Andrew Eldritch e le indie band famose come Interpol o Editors. Un copia e incolla? No, una vera e pura alchimia.
"Sleeping Tears", primo brano del lotto, è un chiaro mix perfetto fra le atmosfere nordiche dei Katatonia e l'indie più moderno degli Interpol. Di diverso impatto è la stupenda "Under Black Ice", che penetra come un viaggio mistico, dalle atmosfere doom e avanza lentamente nelle ossa dell'ascoltatore. Le atmosfere create da questi ragazzi in questo disco variano da brano a brano e la voce di Nuri Lupi è pura poesia.
Una volta ritornati dal viaggio intenso di "Under Black Ice", è pronta ad accoglierci "Ghosts", nella quale personalmente mi ha conquistato il bellissimo giro di basso e la struttura malinconica completata dalla potenza vocale di Nuri, mentre la parte di chitarra strizza un po' gli occhi ai contemporanei Editors. "Ruins", fra dolcezza e suoni "alla NIN", fa da apripista all'incantevole "Pagan Hearts" , dove un romanticismo decadente sbatte notevolmente contro riff di chitarra taglienti. "Sun" (dalle radici più metal), "Time's New Romance" (brano molto vario) e "Limbo"(intermezzo shoegaze) ci portano a un cambio di rotta. Infatti "Occult You" parte con un synth malinconico da era new romantic e potrebbe far parte di una famosa serie come "Twin Peaks".
La produzione di questo disco è ottima, le atmosfere hanno il sapore internazionale, la band ha moltissime qualità, anche se dovrebbe cercare di personalizzare il proprio songwriting; certo però siamo a un buonissimo punto di partenza.
Complimenti ragazzi!

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    19 Febbraio, 2013
Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Post punk, gothic rock, deathrock, punk: questo (e non solo) emerge in questo notevole full-lenght dei bolognesi Horror Vacui, band nata nel 2010 da membri di Kontatto, Campus Sterminii e Sumo. Per farvi capire il sound di questa band dovrete miscelare il miglior gothic rock di Sisters of Mercy, Wake e Fields of the Nephilim, con il deathrock dei Christian Death, periodo "Deathwish", al post punk dei Dance Society. Difficile? Bene, loro ci sono riusciti e la dimostrazione la si nota nel primo brano (dopo il cupo "intro") "Black Rivers", dove la ritmica ossessiva di basso e batteria di Black Bird e Henry, i fraseggi di chitarra acidi di Mrs.Vacui e Andrew e la voce cavernosa di The Sheriff, ci portano dentro questa litania adrenalinica da far invidia a band ben più titolate.
"I Like It When A Soldier Dies" parte come un cazzotto in pieno volto, per poi immergersi nel cantato/narrato sofferto di The Sheriff (voce perfetta), in un brano di vera denuncia sociale (provate a leggere il testo). "Corvus Corax", brano da colonna sonora per un film di Bava o Fulci, e "Everytime" lasciano spazio a "In Darkness You Will Feel Alright", un Capolavoro con la "C" maiuscola, che ha nel refrain luciferino e in quelle ritmiche oscure mozzafiato, il vero punto di forza.
Il disco non ha mai un momento di calo e "Yersinia" è l'ennesimo macigno musicale arricchito da riff di chitarra davvero poderosi, che completano, ancora una volta, l'ottima prova di The Sheriff alla voce. "Arabian Spring" (altro brano di denuncia) lascia spazio a quello che reputo il brano più bello di questo disco e che potrebbe racchiudere l'essenza degli Horror Vacui, ovvero "Leave me Alone". Si, perché questo brano è affascinante, catalizza l'attenzione senza mai stancare, proprio come succede con la band stessa.
"L'outro" chiude questo disco, che continua con le versioni "demo" di quasi tutti i brani del disco, eccezione fatta per "A Destructive Game" e "Insanity", dove emerge il sound grezzo della band, nato in seno al punk/hardcore, con quelle chitarre così sporche.
Non c'è molto da aggiungere su questo disco; è un lavoro ben fatto che va acquistato e consumata nel proprio stereo. E' un viaggio intimo in se stessi e una volta "ritornati" si riemerge sicuramente purificati. Se poi si aggiunge il fatto che questo album sia di una band italiana (visto che di solito ci si lamenta per gli scarsi prodotti), beh.. allora vale effettivamente la pena acquistarlo.

A loro vanno i complimenti per il bel lavoro fatto; a voi consiglio soprattutto di vederli live: non vi deluderanno.

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Opinione inserita da Cristian Lasorsa    07 Febbraio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

L'uscita di questo disco non è imminente, la sua data di uscita risale al dicembre 2011.
Gli Xp8 sono una band italiana formata da Marco "Azrael" Visconti (synth e voce) e Marko Resureccion (voce), che ci propongono un "Industrial Techno Trance" e sono presenti sul panorama ebm da 10 anni ormai.
"X-A Decade of Decadence", non è un vero e proprio album, ma un Ep con 7 nuove tracce e 3 remix curati da Aesthetic Perfection, Autodafeh e Vanity Police.
Il disco parte in maniera decisa con "Bullet Hole" e "Burning Down", due brani che fanno capire in primis quanto il duo sia cresciuto nel songwriting rispetto agli esordi, ma anche come parti melodiche e ritmi aggressivi si amalgamino perfettamente. "Burning Down", dal tiro micidiale e dal refrain molto coinvolgente, è un brano che una volta ascoltato vi rimarrà in testa e non toglierete più dallo stereo. "Fragility" è una song di rara bellezza, dove il cantato profondo di Marko e le battute poderose regalano uno dei momenti preziosi di questo Ep. "Wake Up" è un ritorno al passato, infatti ricorderà parecchio "The Art of Revenge" del 2008, ma questo non rovina l'atmosfera e il sound creato in questo "X-A Decade of Decadence". Il disco non è mai noioso, neanche quando si entrà in "Trip" (nome del brano, ma anche un dato di fatto), che potrebbe creare qualche "disagio mentale". "Decadence"(meravigliosa), dal netto sapore futurepop e dalle ritmiche oscure, mi ha fatto ricordare i vecchi Icon of Coil di Andy La Plegua e soci. "The Wound That Won't Heal" chiude la serie dei brani inediti, prima di lasciare il posto a tre ottimi remix.
Il primo remix è curato da Aesthetic Perfection che riprende fra le mani " Muv Your Dolly" e ne fa una versione dal beat sostenuto, regalando una veste decisamente migliore dell'originale. Agli Autodafeh tocca il difficile compito di remixare "The Art of Revenge" e sinceramente ne viene fuori un piccolo capolavoro. A chiudere la serie dei remix, ci pensa Vanity Police che stravolge "Cuttin'n'Drinkin".
Un buonissimo Ep, questo degli Xp8, che dimostrano la loro crescita e vanno avanti per la loro strada.
Decisamente disco da non farsi mancare.

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