01. Sunrise
02. Zeitgeist
03. Death Drive
04. Salt Of The Earth
05. The Alignment
06. Veil Of Maya
07. Abadonment
08. End Of Hope
09. Disconnected
10. Fade In // Fade Out
11. Outsider (feat. Mirko Antoniazzi)
12. Sunset
Musica di qualità dalla Puglia: debutto per i Divergent! Hot
recensioni
opinioni autore
Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 2018
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Nati nel 2015 i Divergent, band pugliese di cui i membri arrivano da diversi progetti musicali, nel giro di pochi anni pubblicano un ep ed arrivano al vero e proprio debutto discografico. Il qui presente "The Great Solitude" esce nel dicembre del 2017 e vede il quintetto nostrano prodigarsi in un metal moderno dal taglio djent o neo prog metal se si preferisce, nonostante la band si autodefinisca alternative metal.
Chi magari conosce il sottoscritto sa quanto sia allergico alle nuove pieghe che ha preso il metal, ma bisogna sempre lasciare fuori i gusti personali quando si fa una recensione. Prima cosa che salta all’orecchio è la produzione più che buona che fa risaltare in maniera ottimale ogni sfumatura del disco. Andando poi nello specifico dell’album, dopo l’intro narrata “Sunrise” (sembra che ci sia un concept dietro), si entra nel vivo con una sequela di tracce che seguono una linea compositiva decisamente omogenea. Le parti ritmiche sono serrate e tecniche con il classico binomio assalto frontale/elaborato con un lavoro chitarristico molto debitore del metalcore, ma visto in un’ottica più raffinata. Non possono mancare quelle melodie così pulite ed atmosferiche che il genere in parte esige, epiche in taluni casi (“Death Drive”), ben evidenziate da certi vocalizzi evocativi come nelle cesellature sonore di “Salt of the Earth”. Le vocals purtroppo non sempre sono efficaci, presentandosi spesso insipide e senza una vera e propria personalità e stessa cosa si può dire della scrittura, non tanto che sia senza anima, ma che tende a seguire uno schema da copia incolla. Le canzoni scorrono fluide, grazie ad una tecnica strumentale efficace, ma tendono ad assomigliarsi troppo l’una con l’altra ed a fine ascolto si ha la sensazione di aver ascoltato la stessa traccia in loop. Pezzi come “Veil of Maya” o “End of Hope” sono perfette nella forma, ma è la sostanza a mancare come spesso affermo nel genere musicale proposto dai Divergent e da mille altre bands. Tutto deve essere perfetto, senza la minima sbavatura, ma bisognerebbe anche andare oltre il proprio sguardo o si rischia di auto-plagiarsi con il tempo che passa inesorabile. Di positivo comunque l’album non annoia e non punta troppo su parti strumentali cerebrali e troppo plasticose.
Il disco in definitiva è bello, fatto bene e farà la gioia degli appassionati del genere ma, per quel che mi riguarda, rimarrà chiuso nella cerchia dei cultori, senza riuscire ad attirare chi dalla musica pretende qualcosa in più. In ogni caso un esordio che mette in mostra una band di cui andare fieri!