1. Sinnerman
2. Road Back To Ruin
3. Bluebird
4. Landslide
5. Aurora Skies
6. Pioneer
7. Blind Spot
8. The Sober
9. Cause and Effect
10. Your Song
11. Dead End
Quando un singolo fa ben sperare...ma così non è per il nuovo disco dei Pristine! Hot
recensioni
opinioni autore
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Ahhhhhhh c’era il trucco. Questa è stata la reazione del sottoscritto ascoltando il nuovo album del quartetto norvegese Pristine. Attivi da quasi un decennio i quattro musicisti, capitanati dalla splendida Heidi Solheim (comunque dotata vocalmente), si ripresentano sotto i riflettori con il qui presente Road Back To Ruin. Per chi non lo sapesse lo stile musicale proposto è un classic rock/blues con qualche concessione heavy rock che va tanto di moda in questi anni.
Chi scrive restò folgorato dal singolone “Bluebird” che trasudava un’energia fiammante grazie a vocals soul su una base alla Black Sabbath con innesti heavy rock (con una sei corde tostissima). I cori del ritornello erano trascinanti ed epici con venature blues/soul ed un richiamo anche alle sonorità hard rock degli anni 70’. Nonostante la traccia fosse ruffiana funzionava alla grande. Ma la tragedia è dietro l’angolo ed il disco si presenta con una piattezza disarmante, una banalità preoccupante e spiace ripeterlo ruffiano oltre ogni limite di decenza. “Cause & Effect” pare una canzone da colonna sonora cinematografica che stona a mille presentandosi come una traccia soul/pop con orchestrazioni che non pare minimamente nelle loro corde. I pezzi più rock’n’roll come “Sinnerman” (molto hard con giri di hammond alla Deep Purple), l’insipida “Dead End”, “The Sober” (blues oriented) o la terrificante “Landslide” che plagia i Rolling Stones in tutto sia nei riff/assolo che nelle melodie, sono brani mediocri che paiono usciti da una band di esordienti non certo da qualcuno di navigato come i Pristine. Le ballad sono un altro colpo al cuore prima con “Aurora Skies” (dal videoclip pompatissimo) troppo lunga seppure raffinata con un’anima pop/soul ed un folk rustico nel finale; il secondo colpo che manda al tappeto è la tremenda “Your Song”, talmente melensa e zuccherosa (si ascoltino i coretti e le fastidiose tastiere) da mandare in overdose di dolcezza. Ed ovviamente, dato che l’heavy rock di derivazione sabbathiana è praticamente ovunque, compare in brani come “Blind Spot” che ci inserisce anche un certo folk dark ma nulla emerge con convinzione facendo crollare tutto e pure la titletrack “Road Back to Ruin” non convince presentandosi prevedibile con una chitarra oscura, sezione ritmica schiaccia sassi e classicissima accelerata nel finale. Tutto sa di già sentito e quando si cerca di uscire dal recinto non si hanno le idee chiare e nemmeno le capacità per metterle in atto.
Una delusione pesante come un macigno. Un consiglio spassionato è quello di lasciare perdere questo disco. Non bastano una voce tosta per rendere grande un disco perché qui mancano troppe cose. Peccato!!!