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Sull'influenza che i Ne Obliviscaris hanno avuto nel metal estremo, negli ultimi anni, c'è ben poco da dire. Con Portal of I e Citadel la band australiana è riuscita a creare un unicum nel panorama mondiale, dovuto anche al successo della loro campagna di crowdfounding. Per questo ho colto l'occasione al volo per intervistare Tim Charles, membro fondatore della band, che in veste di manager e di addetto merchandise mi ha parlato della sua filosofia riguardo la musica che scrive e ama. Buona lettura!

D: Ciao Tim e benvenuto su Allaroundmetal, grazie per il tempo che ci hai concesso. Volevo cominciare parlando proprio del metodo di composizione dei Ne Obliviscaris, visto che è qualche anno che una delle vostre canzoni viene addirittura insegnata in conservatorio. Come iniziano i lavori? Avete uno strumento attorno al quale ruotate?
R: Ciao e grazie a voi per l'intervista! La composizione dipende da canzone a canzone: il più delle volte partiamo dai riff di chitarra, cerchiamo di costruirci qualcosa intorno tutti insieme e poi lavoriamo sulla batteria, fissandola con i riff. Poi diventa tutto un provare e riprovare a vedere cosa funzioni con le prime due cose che abbiamo scritto. A volte succede anche che siano altri strumenti a ispirare una sezione, ma il più delle volte sono sempre chitarra e basso a fare da padroni. Certo, come tutte le band tante belle cose sono nate da delle jam session improvvisate!

D: Mi fa piacere sentire una cosa del genere: vuol dire che per fare grande musica si può partire da cose semplici! Per le canzoni invece dove prendete l'ispirazione?
R: Tutti i testi di solito li scrive Xenoyr, e noi non facciamo altro che approvarli. È una persona molto creativa e interessata in moltissimi campi artistici: natura, fotografia... Quindi i nostri testi sono delle riflessioni che prendono ispirazione da tutto ciò che ci circonda.

D: Come la vostra musica insomma, è come se ascoltassimo un film surrealista!
R: Esattamente! Siamo molto jazz da questo punto di vista.

D: Comunque possiamo parlare di vere e proprie influenze classiche nella musica dei NeO?
R: Certo, penso che le maggiori influenze vengano proprio dalla musica classica. Sicuramente io conto molto in questo, visto che sono diplomato in composizione e violino, anche se spesso mi lascio prendere da altri generi come il jazz o persino chitarristi metal famosi, quindi c'è un po' di tutto anche qui! Sicuramente c'entra il fatto che, studiando per vent'anni, non posso non mettere delle influenze nella musica dei NeO, considerando anche che ho una precisa idea logica di come debba svolgersi un pezzo, cosa che per molti gruppi è invece un continuo divenire. Alla fine ogni nostra canzone, però, si fa influenzare dal mix del gusto di tutti i membri, quindi non me la sento di darmi troppo merito!

D: Quale dei due album pensi sia stato il più difficile da scrivere?
R: Portal of I e Citadel sono diversissimi secondo me, perché c'è un lasso di tempo fondamentale tra i due. Pensa che il primo avevamo finito di scriverlo nel 2005, ma non siamo mai riusciti a registrarlo prima del 2009! In cinque anni la tua musica si evolve, così come la nuova line-up. Per scrivere Citadel ci sono voluti tre anni, motivo per cui penso sia un disco che scorre più facilmente rispetto al primo, considerata anche la stabilità che siamo riusciti a raggiungere. Quindi ti direi che Portal of I è stato il più complesso da scrivere: dovevamo trovare un nostro sound ed esplorarlo, prima di essere convinti della direzione che stavamo prendendo. È stata una sfida, ma siamo riusciti a vincerla, e sarà una sfida ad ogni nuovo album che sono sicuro sarà meglio del precedente, sia in termini di songwriting che in termini della nostra prestazione artistica.

D: Tramite la campagna di crowdfounding avete rilasciato due EP che contengono diverse canzoni con un sound ancora differente. Ce ne vuoi parlare?
R: I due ep contengono vecchie canzoni dei NeO risuonate e riarrangiate per l'occasione, per questo il sound è così differente. Non penso ci capiterà mai nemmeno di suonarle dal vivo... Chissà, magari faremo un concerto speciale per i membri della campagna. Sul crowdfunding, per il resto, posso dirti che anche oggi ci siamo messi in gioco suonando un nuovo pezzo durante il soundcheck! Ci piace provare queste pazzie quando siamo in tour, mentre altre band fanno le cose in modo standardizzato...

D: A proposito delle sfide: con la campagna di crowdfounding penso ci sia stato un cambiamento anche mentale nel vostro modo di approcciare la musica. Come ti senti, messo di fronte a questa affermazione? Credi che sia la via ideale per rivoluzionare il mercato musicale moderno?
R: Penso che il cambiamento, più che a noi, sia imputabile a come è cambiato il modo di fruire la musica negli ultimi 20 anni. Le persone che pagano per i dischi sono sempre meno, per cui solo le grandi band riescono ad andare in tour, oppure per chi ha degli ascolti stellari su Spotify o altri servizi di streaming a pagamento. La sfida per noi è stata semplicemente quella di venire incontro ai nostri fan: quelli che ci chiedevano grandi tour europei o sudamericani. Penso tu sappia che abbiamo passato un brutto momento: dopo il tour con i Cradle of Filth abbiamo perso un sacco di soldi e siamo stati pagati pochissimo. Quindi quello che abbiamo fatto, anziché correre dalla gente pregandola di comprare i cd, è stato quello di dare la possibilità di diventare parte vera e propria della filosofia dei Ne Obliviscaris: tramite i social e la campagna siamo riusciti a fare una cosa che nessuna band prima di noi era stata capace di fare. Si tratta più di un semplice fan club: ora come ora prendiamo quasi ottomila euro dalla nostra membership platform. Un bel risultato, se consideriamo che fino a 10 anni fa non abbiamo mai visto il becco di un quattrino! Riguardo alla prima domanda quindi ti direi di si: sapere che la tua musica può diventare un part-time cambia il modo in cui ti approcci ad essa. Siamo rilassati e felici al pensiero di poterlo fare ricevendo un piccolo stipendio al mese, e anche se non è tanto è un grosso impatto comunque sul nostro morale, cosa che ci portiamo anche nel songwriting e nei concerti.

D: In cambio offrite ai fan che vi supportano dei contenuti speciali, come i due EP di cui parlavamo prima.
R: Esattamente, abbiamo anche registrato la canzone provata prima in soundcheck e la manderemo ai nostri fan della fascia gold. Saranno i primi ad ascoltarla! Così come saranno i primi a vedere il documentario sul tour con gli Enslaved.

D: Domani sarò qui a vedere Inquisition e Rotting Christ: cosa ne pensi di questa rinascita del black e comunque del metal estremo influenzato da altre correnti? Negli ultimi anni abbiamo visto parecchie bands sulle luci della ribalta, anche gente come i Batushka o i Mgla.
R: Penso che sia fantastico confrontarsi con band che riescono a pescare da diversi generi facendoli rientrare in una corrente quasi avversa. La cosa veramente importante, però, è che la musica non suoni costruita, ma genuina e reale. Non avrebbe senso copiare, anche se si parla di progressive! Quindi ciò che penso è che una band, come mai prima di adesso, debba assolutamente riuscire a trovare la propria corrente naturale.

D: Un'ultima domanda prima di salutarci...
*dal nulla sbuca Grutle Kjellson degli Enslaved*
Grutle: Non raccontargli cosa abbiamo combinato ieri!
*risate*
D: Ahahahah! Vi state divertendo con gli Enslaved?
R: Ahahah si! Sono un loro grande fan da vent'anni e mi sembra quasi una follia dividere il tour bus con loro. Sai, dopo i concerti ce ne stiamo in bus e beviamo una birra insieme, chiacchieriamo e cazzeggiamo... Va alla grande!

D: Okay, ultima domanda... Una domanda un po' critica se vogliamo! Non siete stressati all'idea di dover mantenere sempre una qualità musicale altissima, confrontandovi con quello che avete fatto fin'ora? Specialmente con il rischio che i fan possano abbandonare la campagna di crowdfunding.
R: Bella domanda. In realtà non particolarmente, perché io ho assoluta fiducia nel nostro lavoro e in come suoniamo. Come dicevo prima: il nostro obiettivo è trovare il nostro sound, e se andiamo avanti è per questo: i fan diventano parte della vita della band e della nostra visione della musica, ma devono avere bene in mente che noi scriviamo musica solo per noi stessi. Quello che dico è: ti fanno schifo i nostri prossimi album? Hai tutto il diritto di levarti dalla campagna di crowdfunding, ed è quello che in realtà succede anche con altre band: prendiamo il caso degli Opeth. Molte persone hanno apprezzato la svolta prog, molte altre no... E va bene così: se tu sei determinato a seguire una direzione hai tutto il diritto di farlo. Le ragioni sono tante: una naturale evoluzione stilistica o semplicemente lo stufarsi nel doversi conformare a canoni ben precisi. Agli Opeth va bene così: continuano a scrivere e suonare la musica che gli piace, senza pensare troppo ai fan, ed è quello che vogliamo fare anche noi. Concentrandoti sulla qualità sei sicuro di non sbagliare: potrai perdere dei fan, ma ne guadagnerai sicuramente di nuovi. Non ci sentiamo stressati proprio per questo, e anche perché per i Ne Obliviscaris la carriera è appena iniziata e non avrebbe senso fermarsi a farci delle domande proprio ora che siamo sicuri di avere delle belle idee per la testa ogni giorno.

D: Ti ringrazio Tim, mi vedrai sotto al palco a fare headbanging!
R: Ci conto, grazie a voi!

Pubblicato in Interviste

Che il Circolo Colony sia uno dei nodi fondamentali del metal italiano è ormai un dato di fatto, soprattutto dopo il week-end appena trascorso, dove si è tenuta una tripletta al quale il sottoscritto è riuscito a partecipare ad almeno due appuntamenti.

Dell'importanza mondiale che ormai gli Enslaved e i Ne Obliviscaris hanno assunto penso possiamo essere tutti d'accordo, e chi segue i miei articoli sa benissimo quanto io ami entrambe le band. È per questo che, grazie agli amici della Season of Mist, venerdì sera ho avuto la possibilità di assistere a un tour unico nel suo genere, che ha portato al piccolo circolo di Brescia tre esperienze da tre paesi diversi come il Texas, l'Australia e la Norvegia.

Arrivato sul posto mi trovo con Tim Charles, leader degli australiani, per una breve intervista che potrete leggere tra poco. Il Colony è pronto a una serata di buona affluenza, con tanto di Enslaved che cazzeggiano alla grande in giro per il locale.

Ad aprire la serata ci sono i texani Oceans of Slumber, dediti a un progressive metal dalle tinte blackeggianti. Devo dire che non conoscevo la band in questione, ma sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle atmosfere avantgarde/blues del quintetto texano, che, capitanato dalla bravissima Cammie Gilbert, ci immerge in atmosfere che spaziano dalla cattiveria del black più duro al prog rock dei Moody Blues, dai quali i nostri ricavano una cover dell'immortale Nights in White Satin. Un gruppo che sicuramente meriterà di essere recuperato dopo questa bella serata.

Appena si spengono le luci per i Ne Obliviscaris io sono già in visibilio. La band australiana, completamente autogestita grazie alla campagnia di crowdfunding, porta sul palco del Colony una scaletta ovviamente corta per ovvie ragioni di tempo (per chi non lo sapesse i loro pezzi durano dagli 8 ai 13 minuti), che comincia con Devour Me, Colossus (part. I) Black holes. Avevo molta paura di come potessero rendere dal vivo i pezzi del combo australiano, ma non sono rimasto per nulla deluso: al di là che scenicamente avere due mancini nella band fa una porca figura, le atmosfere di Citadel ci sono tutte, così come quelle di Portal of I, dal quale ci vengono proposte Of Petrichor Weaves Black Noise e la finale And Plague Flowers The Kaleidoscope. La mia hype da fanboy esaltato per gli Enslaved non mi ha impedito di godermi questa bellissima esibizione: contando la giovane età dei membri dei NeO spero di potermene godere ancora molte.

Setlist:

  1. Devour Me, Colossus (part. I) Black holes
  2. Of Petrichor Weaves Black Noise
  3. Painters of the tempest (part. I) Wyrmholes
  4. Painters of the tempest (part. II) Triptych Lux
  5. Pyrrhic
  6. And plague flowers the Caleidoscope

Che gli Enslaved possano non piacere sono assolutamente d'accordo, ci mancherebbe, ma sostenere che la loro importanza non sia ormai di portata mondiale è impossibile. Il colosso guidato da Ivar Bjørnson è veramente uno di quei gruppi che non ne ha mai sbagliata una, sin dagli inizi black/viking fino ai nuovi lidi prog/black. Il motivo per cui sono qui è chiarissimo: voglio sentire i pezzi di Riitiir e In Times dal vivo. Vengo subito accontentato con la opener affidata a Roots of the Mountain, per la quale comincio già a svitarmi il cranio. Gli Enslaved sono veramente un unicum, anche dal vivo, vista l'attitudine al cazzeggio nonostante la serietà della musica suonata. Epico il momento in cui, dopo aver suonato Ruun, Grutle Kjellson chiede al pubblico "Are you having a good time? Of course, it's a stupid question after only two songs", per non parlare di quando presenta gli altri membri della band in un idiotissimo italiano maccheronico. Finalmente riesco a godermi dal vivo pezzi come Building with fire, The Crossing e One Thousand Years of Rain: nonostante il tizio di fronte a me abbia delle fastidiosissime treccine che ad ogni headbanging mi piovono in faccia stile mazza chiodata riesco pure a prendermi la prima fila sugli encores. Dieci pezzi per un'ora e mezza di pura epicità, che conferma gli Enslaved come una delle più importanti realtà del panorama metal moderno.

Setlist:

  1. Roots of the Mountain
  2. Ruun
  3. The Watcher
  4. Building with Fire
  5. Ethica Odini
  6. Fenris
  7. The Crossing
  8. Ground

Encores:

  1. One Thousand years of Rain
  2. Allfadr Odinn
Pubblicato in Live Report

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