Della musica e della filosofia dei Belphegor: intervista a Helmuth [ITA/ENG]
Martedì, 05 Settembre 2017 20:56 Pubblicato in Interviste[English version below]
Venticinque anni di carriera, un undicesimo album, "Totenritual", in uscita tra dieci giorni: i Belphegor sono tra i nomi di spicco della scena estrema mondiale. In vista dell'uscita del nuovo album (qui la recensione), abbiamo intervista il fondatore e cantante/chitarrista Helmuth. E, come sempre, non ha avuto peli sulla lingua
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Salve Helmuth e grazie per il tuo tempo. “Totenritual” è il vostro undicesimo album: quali sono le vostre sensazioni su questo disco?
Tutto alla grande qui al momento, stiamo facendo tanto lavoro di pre-promozione per il nuovo album e distruggendo festival estivi.
Non vediamo l'ora che questo undicesimo lavoro dei Belphegor sia rilasciato. Ci sono stati molti sacrifici personali mentre scrivevamo e registravamo quest'album in particolare. Possiamo dire che abbiamo raggiunto un nuovo livello di estremismo e sviluppato il nostro sound feroce. Io sono assolutamente soddisfatto del risultato di tutto riguardo questo progetto.
Quest’anno raggiungerete il traguardo dei 25 anni di carriera: come si sono evoluti i Belphegor dagli esordi ad oggi? E quanto diversa è la scena ora rispetto al passato?
Sì, sembra ancora non reale e lo considero un onore, sai sono orgoglioso d’essere sopravvissuto per decenni ed ancora suoniamo Metal e siamo forti come mai prima. Odio l'immobilità, quindi tutto va alla grande ora che ci siamo portati ad un nuovo livello come musicisti e come band.
Sai, sono ancora "on fire" a pronto per nuove sfide ed esperimenti col sound, provare nuove cose. Non m'importa tanto cosa fanno altri artisti o l'opinione degli altro. Supporto quello che mi piace ed ignoro il resto. Vivo il mio mondo con le mie regole. Tutto ciò al di fuori di questo veramente non m'importa più di tanto. Adoro il silenzio e la solitudine... nel mio mondo misantropico con le mie regole.
Hai definito “Totenritual” come il disco più brutale che avete mai inciso. Cosa dovremo aspettarci quindi da quest’album?
E' assolutamente così. Aspettatevi un album intenso e violento con un eccezione muro di suono, opera di Jason Suecof e masterizzato da Mark Lewis agli Audiohammer Studios in Florida, USA. Abbiamo ottenuto la creazione del nostro album più brutale finora con un tono maligno e oscuro e vibrazioni rituali, esattamente come si eravamo preposti. Mi ispiro a tutto ciò che vedo e vivo. Abbiamo incontrato molte persone diverse in giro per il mondo. Le persone che sono matte sono sempre le più interessanti. Sono affascinanti anche quelli che vivono in maniera differente dal tipo comune di persone. Tutto quello che è oscuro, anti e non-conformista ottiene la mia attenzione. Ho avuto molte opportunità durante la mia vita d'imparare che la vita reale è spesso più strana di qualsiasi finzione. Ed è questo che mi ha ispirato a cominciare a scrivere quest'album speciale, intitolato "Totenritual". La morte è ovunque, i demoni volteggiano su di noi, semplicemente aspettano...
La vostra peculiarità è un sound a cavallo tra il Death ed il Black, ma sempre contraddistinto da una certa “oscurità”. “Totenritual” non è un’eccezione, giusto?
Cambia sempre quando comincio un nuovo progetto con la truppa. Bloodhammer, il nostro nuovo batterista, suona con uno stile molto tecnico, quindi con lui nell'ovile siamo stati in grado di migliorarci come band e musicisti, provare nuove cose e renderle più fresche simultaneamente. Anche mr. Serpenth ha tracciato la miglior performance al absso da quanto è nella band.
Non abbiamo mai avuto così tanti breaks e fills e piccoli dettagli aggiunti alle nostre canzoni che le han migliorate. Questo è il nostro album più tecnico finora. E' grande, tutto spinge ai limiti di quanto abbiamo fatto prima e ancora e ancora pisciamo sul mainstream con il nostro retaggio e l'attitudine
E’ solo una mia impressione, o il primo singolo, “Baphomet” è più Death-oriented?
Questa volta abbiamo accordato le chitarre molto più in basso di prima, in modo da trovare un diverso tono più basso. E' stata una grande decisione e ha aperto un nuovo mondo nel mio modo di suonare e nel processo di songwriting, è un altro stato di estremismo sonoro. Detesto restrizioni o ristagnamenti. Cerchiamo sempre di sfidare noi stessi, sai. Lo facciamo per cambiare il processo di scrittura, gli studios, produttore etc. Lavoriamo con una varietà di persone differenti nel team di registrazione per ogni album. Questo ci dà automaticamente un suono distinto per ogni release.
Con "Embracing Star" abbiamo sperimentato cercando nuove cose negli arrangiamenti, aggiungendo cori di monaci, parti parlate, grunts e growls, anche chitarre acustiche. "Swinefever" è probabilmente la traccia più brutale e blasfema nel nuovo album, mentre l'inno dalle influenze classiche "The Devil's Son" è la canzone più veloce che abbiamo mai registrato.
Le vostre tematiche sono sempre estreme, ma avete sempre specificato che è un errore definirvi una band “Satanic Black Metal” come spesso accade: cosa puoi dirci?
Siamo ancora nemici della croce, non c'inginocchiamo, strisciamo né preghiamo alcun dio.
Da decenni usiamo molti poemi originali, da vecchi libri etc. Consiste in incantesimi, poemi, canti e così via, la maggior parte nella lingua originale in modo da non rovinare o distogliere l'attenzione dal significato inteso... Ecco perché i nostri contenuti lirci sono scritti in inglese, latino e tedesco.
I versi in tedesco suonano molto duri nella pronuncia e forniscono una sensazione brutale ed atmosferica, come puoi sentire in "Apophis - Black Dragon". E' anche una specie di trademark unico che usiamo tre lingue e lo facciamo dal 1994.
Nei nostri testi ho sempre usato la filosofia che vede Satana/Lucifero - il Portatore di Luce come un'orgogliosa, esaltata, maestosa figura che ha resistito contro ogni altra influenza. Quest'archetipo è il solo a prendere le sue decisioni da solo, camminare il suo sentiero da ribelle, che si fa beffe delle masse. Mi descrivo come un ateo con tendenze verso il nichilismo. Voglio dire, c'è molto d'oscurità e possesione nei Belphegor e sempre c'è stato.
"The Devil's Son" parla della storia della vita del violinista italiano Niccolò Paganini, scritta dal suo punto di vista. Aveva una pelle pallida e vestiva sempre di nero. La sua virtuosa tecnica violinistica, la velocità inumana con cui suonava e la (demonica) precisione tecnica, il suo aspetto con lunghi arti, dita e giunture agili, hanno portato le persone all'idea che fosse posseduto ed avesse fatto un patto con il diavolo. Molto interessante, davvero... La canzone è esplosiva con chitarre ultra veloci ed arrangiamenti influenzati dalla Classica. Non voglio rivelare di più qui, quindi dovrete aspettare, ascoltare e capire.
"Apophis - Black Dragon", il signore dell'oscurità e del caos, il drago nero, indistruttibile, se guardi nei suoi occhi per troppo tempo muori. E' anche summenzionato per essere il più antico nemico del dio del sole Ra nella mitologia egizia, ha molti versi in tedesco.
"Swinefever - Regent of Pigs", credo non debba dire molto al riguardo - il titolo dice tutto. Pura blasfemia contro l'ipocrita istituzione chiamata chiesa.
"Baphomet" è il creatore di tutto. L'arrangiamento parla della dualità della vita: uomo-donna, fuoco-acqua, umano-demone, amore-odio etc. Parla anche del volere, di disciplina, libertà ed il desiderio di camminare la propria strada "da soli", senza che qualcun altro decida cose relative alla tua vita - per svilupparsi come umano, magia sessuale e creazione di sé stessi.
Quest’autunno ci sarà l’”European Totenritual Crusade”, che vi vedrà in tour per l’Europa insieme a Deströyer666, Enthroned, Nervochaos e Nordjevel. Cosa puoi dirci a riguardo? Avete in mente qualcosa di speciale? E soprattutto: passerete anche in Italia? (mezz’ora dopo l’invio delle domande sono uscite le date del tour europeo, n.d.Ogre)
Stiamo programmando di girare il mondo come sempre, passando per posti dove siamo già stati ed anche territori nuovi. Per esempio, nell'ultimo paio d'anni siamo stati in Indonesia, Filippine, Cina, India, Bolivia, Sudafrica... La lista è infinita, amico.
Sì, come sempre faremo un Rituale italiano anche. E' sempre grandioso nella vostra nazione, quindi noi non faremo mai e poi mai un tour semza fermarci anche in Italia. Mi getto letteralmente sul cibo italiano e quand'ero giovane sono venuto spesso in vacanza nella vostra bellissima nazione.
19.10.2017 - IT - Brescia - Circolo Colony
Comunque sia, un concerto dei Belphegor oggi è un rituale. Nel momento in cui sento il sangue sulla mia pelle, sento l'intro, l'odore d'incenso, la mia mente passa ad un'altra zone della realtà e discendo in un altro regno. Adoro lasciare il mio corpo per più di un'ora durante una performance live dei Belphegor, lasciando che i demoni prendano il controllo ed entrino in possesso della musica, è un piacere. Quasi vengo se la cerimonia è perfetta ed il pubblico impazzisce e diventa selvaggia, mentre glorifica. Spesso c'è Magia tra la band e la gente, quelle sono le cerimonie più intense, se senti il sudore, l'oscurità, il sangue... allora siamo capaci di dar fuoco alle nostre tracce con la massima e feroce intensità nell'orda.
Ti ringrazio ancora per il tempo e l’intervista concessaci e lascio a te le ultime parole. Cosa vuoi dire ai vostri fans italiani?
Grazie per lo spazio. Vorrei anche menzione che la versione digipack dell'album avrà due bonus tracks dal vivo, registrate questo in aprile di quest'anno all'Inferno Festival di Oslo, Norvegia, "Gasmask Terror" presa dall'album "Conjuring the Dead", e "Stigma Diabolicum" presa dall'album "Bondage Goat Zombie". Ave Italia, ci vediamo in ottobre! An honor – this horror!
Hi Helmuth and thanks for your time. "Totenritual" is your 11th Full-length: what are your impressions about it?
All great here at the moment, we have been doing a lot of press pre-promotional work for the new LP and shredding Summer Festivals.
We cannot wait to release this eleventh BELPHEGOR offering. There have been many personal sacrifices on the way while writing and recording this particular album. We can say we reached the next level of extremity and developed our savage sound. I am absoltely satisfied with the outcome of everything regarding this project.
Next year you’ll reach the 25th year of your career: how evolved Belphegor since the beginnings? And how different is the Metal scene compared at that time?
Yes, it still feels unreal and I consider it an honor, you know I'm proud that I managed to survive decades and still play the Metal of Death and we are stronger than ever before. I hate stagnation, so everything is great at the moment as we have managed to bring ourselves up to the next level as musicians and as a band.
You know, I am still on fire and ready for new challenges and experiments with sound, to try new things. I don't care that much what other artists do or the opinions of others. I support what I like and ignore the rest. I live in my own world with my own rules. Anything on the outside of that doesn't really matter that much to me. I adore silence and solitude,...in my own misanthropic world with my own rules.
You told that "Totenritual" is the most brutal album you ever made. What we should expect from it?
It definitely is. Expect an intense and vicious album with a brilliant soundwall, forged by Jason Suecof and mastered by Mark Lewis in the Audiohammer studios in Florida, USA. We achieved the creation of our most brutal album to date with an evil and obscure tone and a Ritual vibe, exactly as we set out to accomplish. I'm inspired by everything I see and experience. We meet a lot of different people on the road worldwide. People who are insane are always the most interesting. Fascinating are also those who live different than the average types of people. Everything that is dark, anti and non-conformist grabs my attention. I had many chances during my life to learn and get to know that real life is often way stranger than any fiction. And that is what inspired me to start writing this special album, entitled TOTENRITUAL. Death is everywere, the demons hovering above us all, they just wait..
Your peculiarity is a harsh sound between Death and Black Metal, but it's always marked by a certain "obscurity". I suppose "Totenritual" is not an exception, am I right?
It's always challenging when I start a new project with the troop. Bloodhammer, our new drummer plays a very technical style so with him in the fold, we were able to improve as band and as musicians and try new things and keep it all fresh simultaneously. Also Mr. Serpenth tracked the best bass performance since he has been in the band.
We never have had so many breaks and fills, and small details added to our songs that serve to enhance. This is our most technical album so far. It's great, everything pushes the limits of anything we have done before and still pissing in the mainstream with our legacy and attitude.
It's just my impression, or the first single, "Baphomet", is more Death-oriented?
This time we tuned our guitars even more down than before, so we reached a different low-end tone. It was a great decision and it opened a new world in my guitar playing and for the songwritting process, it is another state of extremities soundwise. I despise restriction or stagnation. We always try to challenge ourselves you know. We do this by changing up the writing process, the studios, producer etc. We work with a variety of different people on the recording team for each album. This automatically gives each release a distinct sound.
With EMBRACING A STAR we experimented with trying new things with the arrangements, added monk choirs, spoken words, grunts and growls, also acoustic guitars. SWINEFEVER is probably the most brutal – blasphemic track on the new LP, while the classical influenced hymn THE DEVIL´S SON is the fastest song we ever recorded.
Your lyrical themes are always extreme, but you specified that is a mistake define you as a "Satanic Black Metal" band: what can you say about?
We are still enemies to the cross, we dont kneel down, crawl nor pray to any god.
We have been using a lot of original poems for decades, from old books etc. These consist of spells, poems, chants and so on, mostly in the original language in order to not deface or detract from the intended meaning… that's why our lyrical content is written and sung in English, Latin and the German language as well.
German verses also sound very harsh in pronunciation and lend a brutal feeling and atmosphere as you can hear in „APOPHIS – BLACK DRAGON“. It's also a kind of unique trademark that we use three languages and we've been doing that since 1994.
I’ve always used the philosophy about Sathan/ Lucifer - the Light-bearer in our lyrical content as a proud, exalted, majestic figure who resisted against all outer influences. This archetype is one to make his own decisions, walk his own path as a rebel, as a mocker of the masses. I describe myself as an atheist with tendencies towards nihilism. I mean, there is a lot of obscurity and possession in BELPHEGOR, and there always was.
“THE DEVIL´S SON” deals with the life story of the Italian violinist Niccolo Paganini, written from his point of view. He had very pale skin and always dressed in black His virtuoso violin technic, inhumanly fast playing and (demonic) technique of precision and his appearance with his long limbs, nimble fingers, and joints led people to the idea that he must have been possessed and had a pact with the devil. Very interesting indeed… The song is blasting with ultra fast shredding guitars and a classical influenced arrangement. I don’t want to reveal more here so you will have to wait, listen and understand.
„APOHPIS – BLACK DRAGON“ the ruler of darkness and chaos, the black dragon, undestroyable, if you look into his eyes for too long then you die. He is also mentioned to be the oldest enemy of the sungod Ra in Egyptian mythology, comes with a lot German verses.
„SWINEFEVER – REGENT OF PIGS“, I guess I dont have to say a lot about it - the title says it all. Pure blasphemy against the hypocritical institution called church.
„BAPHOMET“ is the creator of everything. The arrangement deals with the duality of life. Man-Woman. Fire-Water. Human-Demon, Love - Hate etc. It’s also about will, discipline, freedom and the will to walk your own way „alone“ without letting someone else decide things relating to your life – to develop as human, sex magick and self creation.
This next autumn there will be the "Totenritual European Crusade", in which you'll tour across Europe with Deströyer666, Enthroned, Nervochaos and Nordjevel. What could you say, will you have something special for this next tour? Abd above all: will you came in Italy, too? (Half an hour after I sent this interview, they announced the European tour gigs, n.d.Ogre)
We plan to keep playing and touring the world as always, experiencing places we have already been before and also march into new territories. For instance, last couple years we marched into Indonesia, Philippines, China, India, Bolivia, South Africa… The list is endless man.
Yes as always we will do an Italy Ritual as well. It's always great in your country, so we never ever would play a tour without stopping in Italy. I dig the Italian food as well, as when I was younger I often went on vacation in your beautiful country.
19.10.2017 – IT – Brescia - Circolo Colony
Anyways, a BELPHEGOR concert nowadays is a Ritual. As soon as I feel the blood on my skin, I hear the intro, smell the incense, my mind switches to another zone of reality and I descend into another realm. I adore leaving my body for more than one hour during a BELPHEGOR stage performance, letting the demons take over and get into total possession with the music, it's a pleasure. I almost cum if the ceremony is great and the audience get crazy and wild, while glorifying. Often it is Magick between the band and the people, those are the most intense ceremonies, if you feel the sweat the obscurity – the blood… than we are able and can fire our tracks with the uttermost ferocious intensity into the horde.
I thank you again for your time and this interview. I leave to you the last words: would you say something to your Italian fans?
Thank you for the space. I also wanna mention that the digipak version of the album comes with two bonus live tracks, recorded in April this year at Inferno festival in Oslo/ Norway with the titles „GASMASK TERROR“ taken from CONJURING THE DEAD LP and „STIGMA DIABOLICUM“ taken from BONDAGE GOAT ZOMBIE LP. Ave Italy see all you in October. An honor – this horror!
L'Orco intervista gli Orchi: quattro chiacchiere coi Blodiga Skald
Sabato, 12 Agosto 2017 12:38 Pubblicato in IntervisteAnche il Centro-Sud italiano ha, finalmente, il proprio alfiere in ambito Folk Metal. Provengono da Roma e hanno rilasciato da poco l'interessantissimo debut album "Ruhn"(qui la recensione): a voi i Blodiga Skald.
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Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Allaroundmetal.
Grazie a te e grazie per lo spazio che ci concedete!
Inizierei chiedendovi una piccola presentazione, in favore dei nostri lettori che vi stanno conoscendo.
(Vargan) Siamo una Folk Metal band romana nata nel 2014 ma stabile a livello di formazione solo da fine 2015. Musicalmente tentiamo di associare riff tipicamente Folk ad un Melodeath di stampo moderno. Ad ora abbiamo un EP ("Tefaccioseccomerda") e un Full length ("Ruhn")
In che modo siete arrivati al sound che avete oggi? È stato un percorso del tutto naturale?
(Ghâsh) E' stato abbastanza naturale si, a parte i primi pezzi composti che sono stati ovviamente scartati, il resto che è uscito ci è piaciuto subito, soprattutto con l’ingresso nella band del violino, che ci ha aperto nuove soluzioni compositive!
Il vostro sound è comunque particolare… mi spiego. Nonostante siate italiani, ho sentito una forte influenza di sonorità est-europee: come mai questa scelta? E a proposito: come mai la scelta di parti cantate anche in russo?
(Axuruk) Si ci piace quella musica, quel sound! Io sono nato in Moldavia e sono cose che sento da sempre, ci piacciono davvero tanto! Il russo perché ci sembrava più orchesco, proprio al livello di come suona la lingua!
In fase di recensione vi ho paragonati, con le dovute proporzioni, certo, a quei pazzoidi dei Trollfest. Pensate sia un paragone azzardato? Ci sono bands che avete preso come riferimento?
(Tuyla) Penso che la parte che ci accomuni di più ai Trollfest sia il cazzeggio e il non prenderci troppo sul serio, a livello musicale ci sentiamo più vicini a gruppi come Arkona, Alestorm, Ensiferum e qualcosa dei Children of Bodom.
Avente un concept alla base delle vostre tematiche?
(Axuruk) Certo, abbiamo creato un mondo intero, con mappe, città, storia, razze! Il concept ovviamente prende ispirazione dal mondo fantasy visto però dalla parte degli orchi, cosa che di solito non viene fatta!
Passiamo al vostro debut album, “Ruhn”. Qual è stata la genesi del disco?
(Ghâsh) A livello compositivo preferiamo lavorare singolarmente, mi spiego: di solito io compongo il pezzo e mi avvalgo dell’aiuto di Ludovica (Tuyla, tastiera), lo mando agli altri e in saletta lo riarrangiamo e modifichiamo finché non piace a tutti. I testi invece sono affidati interamente ad Anton (Vargan, voce e flauti). Su “Ruhn” abbiamo presentato il mondo fantasy che ci siamo inventati (che si chiama appunto Ruhn) e abbiamo descritto parte della storia che riguarda gli orchi su questo mondo.
Come sono stati i riscontri, sia di critica che di pubblico, sino ad oggi?
(Rükreb) ad oggi assolutamente positivi, molto di più di quello che speravamo, siamo davvero davvero contenti!
Qualche differenza tra Italia ed estero?
(Maerkys) Sembrerebbe che il disco vada molto bene in Est Europa (Russia su tutte), in Italia sta andando comunque bene, siamo soddisfatti!
A luglio avete suonato in Romania e Bulgaria, a settembre ritornerete in Romania per il Folk & Metal Fest, di spalla agli Arkona. Com’è stata la risposta del pubblico lì?
(Vargan) FENOMENALE, non ci saremo mai e poi mai aspettati una risposta tale da un pubblico che bene o male non ci conosceva. Sia sotto al palco che poi al merch ci hanno fatto sentire veramente importanti!
Descrivereste com’è un vostro show?
(Maerkys) Tanta scena, tanta tanta! Dobbiamo far ridere e intrattenere un pubblico, quindi non è la mera esecuzione dei pezzi, ma anche interagire con il pubblico sia a livello verbale che fisico (Anton scende a pogare con il pubblico quasi sempre). In più abbiamo vere e proprie scenette che prevedono l’uso di costumi di scena, insomma i live sono importantissimi per noi!
Festival a Bucarest a parte, altri piani per il futuro prossimo?
(Tuyla) Allora, abbiamo vinto il contest per suonare al Sinistro fest, quindi ci vediamo il 9 settembre a Lago i Salici, venite perché ci sono band fortissime e Piero Giotti (organizzatore del festival) è una persona d’oro! I primi di ottobre (probabilmente il 6 Ottobre) suoneremo al Traffic per il nostro release party; sarà una festa con stand e spettacoli, non un semplice concerto, e ci sarà una grande band italiana a chiudere la serata! Dopodiché, da metà novembre, dovremmo iniziare il tour europeo, dove toccheremo anche 2 città del nord Italia!
Siamo arrivati alla conclusione. Lascio a voi il saluto finale.
Grazie ancora per lo spazio che ci hai concesso, un saluto alla redazione di Allaroundmetal e STAY ORC!
Emozioni in musica: intervista ai Dark Lunacy
Giovedì, 25 Maggio 2017 14:30 Pubblicato in IntervisteDopo 20 anni di carriera, al sesto album, i Dark Lunacy hanno deciso di rinverdire le sonorità degli esordi dandone però un'impronta più attuale. Il risultato è il disco "The Rain After the Snow", un vero e proprio capolavoro che si attesta come probabilmente la miglior produzione della Symphonic Melodic Death metal band parmense. All Around Metal ha incontrato Mike Lunacy e Jacopo Rossi, rispettivamente vocalist e bassista della band.
Ciao Mike, ciao Jacopo e benvenuti sulle pagine di All Around Metal. A due anni dal magnifico “The Day of Victory” siete tornati con un altrettanto splendido “The Rain After the Snow”, con due nuovi innesti in line up: cosa è successo in questi due anni e come siete arrivati a scegliere Davide Rinaldi e Marco Binda?
MIKE: La costruzione di un album dei Dark Lunacy attraversa diverse fasi operative. Si parte da un’idea di fondo che successivamente assumerà l’identità di concept. Come è sempre accaduto nella storia della band il concept è la base, le solide fondamenta sulle quali si inizia a lavorare. Deciso quindi il tema portante, il filo conduttore del messaggio finale, si inizia a costruire le melodie che daranno forma al disco. Questo passaggio è determinante perché viene richiesto ai musicisti di andare oltre al fatto di saper suonare. Si chiede loro essere in grado di calarsi nella parte come autentici personaggi appartenenti ad una storia… e non sempre accade che tali richieste trovino il totale appoggio da parte di tutti. A quel punto, si deve scegliere tra il compromesso e la coerenza. Inevitabile quindi per chi ti sta parlando, optare per la seconda. Davide e Marco sono quindi la diretta conseguenza di ciò che ti ho appena descritto. Entrambi i ragazzi hanno saputo cogliere l’essenza primordiale del progetto, farla propria e trasmetterla con estrema attitudine attraverso i loro strumenti. Di conseguenza, nel momento in cui all’interno della band si percepisce la sinergia ideale, anche i rapporti umani fioriscono e si radicano indelebilmente tra tutte le persone che lavorano al disco. Ritengo quindi Davide e Marco, una delle cose più importanti che i Lunacy potessero incontrare.
Qual è stata la genesi di quest’ultimo lavoro e come si è sviluppato?
JACOPO: Tutto è cominciato con la volontà di Mike di recuperare il sound originario della band, quello che aveva reso celebri i Dark Lunacy. Quando mi ha incaricato di comporre interamente il nuovo materiale ero entusiasta e mi sono dato da fare, lavorando quotidianamente come un ossesso, per un anno intero. Dopo aver scritto i brani li ho passati a Marco e Davide e li abbiamo provati assiduamente in saletta prima della registrazione, così da poter dare il massimo in fase di incisione. Per quanto riguarda i ragazzi del coro hanno provato anche loro le parti per mesi: man mano che finivo un arrangiamento lo consegnavo al direttore del coro, Leonardo Morini, il quale lo faceva provare a ragazzi. Il quartetto d’archi, invece, ha eseguito tutto direttamente in studio di registrazione.
Vorreste parlarci più nello specifico delle tematiche di “The Rain After the Snow”?
MIKE: The Rain After the Snow è sostenuto da due colonne portanti. La prima è quella delle sonorità. La seconda è quella della personalità. Riguardo alle sonorità, abbiamo voluto recuperare le atmosfere degli esordi, atteggiandole però ad un passo più attuale. Quelle sonorità che hanno dato unicità alla band. Il disco è stato realizzato riportando sulla scena la componente classica composta da un quartetto d'archi, un pianoforte a coda e una corale polifonica di quaranta elementi. Melodie di grande impatto emotivo, enfatizzate, oserei dire, esaltate dai tipici riff metal “Lunacyani”. La seconda colonna è ovviamente la parte emozionale, la guida spirituale che governa le maree dell’animo turbato e al contempo speranzoso, nel quale Mike trova se stesso e la condivisione emotiva con i proprio fan. The Rain After the Snow è un viaggio introspettivo, intimo e sincero, che descrive malinconie e speranze di un anima nel momento della sua personale resa dei conti.
Nelle info che hanno accompagnato il promo recensito, parlate di rendere attuale le sonorità degli esordi. È a tutti gli effetti un ritorno alle origini?
JACOPO: Riteniamo di sì, ma in veste attuale, appunto. I Dark Lunacy degli esordi erano una band che univa parti e temi di matrice classica ad una componente death metal di stampo scandinavo, e The Rain After The Snow mantiene lo stesso binomio, traslato solo all’anno corrente per quanto riguarda la componente metal e di arrangiamento; ho in sostanza immaginato i Dark Lunacy come se non avessero mai perso la loro strada negli ultimi 20 anni. Se nei primi 2000 i riff alla At The Gates e co. spopolavano in un genere all’epoca nato da non molti anni, adesso, a distanza di un ventennio, quegli stessi riff risultano mostruosamente depersonalizzanti, così come certe armonizzazioni chitarristiche, e quindi non aveva senso riproporre quella componente con gli stessi stilemi. Probabilmente qualcuno della “vecchia guardia” avrebbe apprezzato, ma la musica deve andare avanti. Comunque, a scanso di equivoci, non ho fatto nulla di avanguardistico, l’ho solo un po’ svecchiato.
Immagino sia ovvio voi siate entusiasti del risultato finale, ma com’è stato accolto l’album da critica e pubblico?
JACOPO: Sì, siamo decisamente soddisfatti! L’album sta ricevendo consensi entusiastici praticamente ovunque, soprattutto sui fan, che è la cosa più importante. Mike mi ha più volte detto che non li sentiva così presi dai tempi di The Diarist! Sul fronte recensioni The Rain After The Snow è andato molto bene anche lì. Ovviamente qualche voce fuori dal coro c’è stata, come è inevitabile che sia, ma davvero poche.
Andando un attimo a parlare dei due singoli, come si sono sviluppate le riprese dei due video, “Gold, Rubies and Diamonds” e “Howl”? Riguardo quest’ultimo so che avete avuto qualche piccolo problema… termico.
MIKE: Entrambi i video sono stati realizzati dalla Lucerna Films con la quale ci siamo trovati assolutamente a nostro agio, quindi anche i momenti più duri siano stati superati con grande naturalezza. Farei comunque una distinzione tra i due video. “Gold, Rubies and Diamonds” è stato, per chi ti parla, un momento magico perché ho potuto lavorare fianco a fianco con mio figlio Pietro e la consapevolezza di aver suggellato questo momento in un filmato, che proseguirà degli anni a venire, mi rende orgoglioso a prescindere. Essendo poi un video che ha richiesto una sola location devo dire che il tutto si è svolto in modo molto tranquillo, naturale e, di conseguenza, piacevole. Discorso diverso invece è stato per Howl, ma semplicemente perché rimanere in mezzo a ghiaccio e neve per 5 ore consecutive, ad una temperatura di 8 gradi sotto zero ed il vento che soffiava imperterrito ed inesauribile, avrebbe messo alla prova anche un supereroe. C’è però una cosa che si deve tenere in considerazione sia in questo frangente che in tanti altri. Quando si lavora con professionalità, quando ti muovi in base ad una sequenza di fattori che hai precedentemente studiato, analizzato e condiviso, nessun sacrificio è tale da scoraggiarti nell’impresa. Portare quindi a casa un risultato pieno, è una logica conseguenza.
Tra le tracce presenti nell’album, quella che più mi ha colpito è stata la title-track, una canzone estremamente emozionale a mio avviso. È un azzardo dire che è, probabilmente, quella che meglio rappresenta il sound riacquisito?
JACOPO: La title-track è forse il mio brano preferito; ha un pathos fortissimo, per me, e contiene pure una discreta dose di azzardo, che non fa mai male. La sfida stava nel presentarsi con un brano in cui il coro viene pensato e utilizzato come un “cantante solista”, in quanto canta l’intero testo (prima strofa esclusa) e la l’intera melodia del brano, con la differenza che, invece di essere un cantante, sono 40 persone che cantano armonizzate a 4 voci. E’ una cosa che non era mai stata fatta prima dai Dark Lunacy e, così su due piedi, non mi viene in mente nemmeno un’altra band metal che abbia fatto un brano esattamente con questi termini. Da un certo punto di vista quindi non è in linea col passato della band, però, dall’altro, è quello che riprende perfettamente il pathos dei primi lavori in una nuova veste.
Ho notato poi che il vostro legame con la Russia è rimasto inalterato: dopo un’intera opera dedicata, “The Day of Victory” per l’appunto, in quest’ultimo album c’è un verso in russo nella canzone “Tide of my Heart”. Da dove nasce questo inscindibile legame?
MIKE: Ovviamente tra i due dischi vivono nello stesso mondo Lunacy ma parlano lingue diverse. The Day Of Victory è un album marziale nel quale l’incedere degli eventi marcia al passo della crudezza con la quale è stata scritta una delle pagine più cruente del nostro tempo (mi riferisco all’epopea Russa durante la seconda guerra mondiale). In The Rain After The Snow, lo scenario cambia totalmente e in questa intervista ne stiamo approfondendo l’essenza. Il richiamo alla Russia, in questo determinato momento storico della band si evince appunto in Tide of my Heart, ma la scelta di parlare marginalmente della mia passione per questo immenso, unico ed affascinante paese che è la Russia, è stata dettata appunto dalla diversa personalità dell’album.
Io vi seguo e apprezzo già dai tempi di “Devoid”, arrivando anche, nel 2003, a fare una traversata con treno nottturno Napoli-Milano per la presentazione di “Forget.Me.Not”. Quanto e cosa è cambiato nei Dark Lunacy da quella band che stupì tutti col singolo “Dolls” a quella che è oggi?
MIKE: Grazie per aver ricordato quella sera. Fu un grande evento dai sapori che solo il mondo musicale di allora sapeva offrirti. Un mondo che tuttavia si apprestava a cambiare inesorabile, repentino e che oggi ci presenta scenari totalmente diversi. Mi riferisco in particolare alle sensazioni con la quale la musica veniva percepita e alla fedeltà verso un “regno” che il fan faceva proprio, disposto a seguire e coltivare attraverso gesti come – ad esempio – quello che hai appena raccontato nella tua domanda. Oggi è tutto diverso, forse meglio…ma non posso dirlo con certezza, così come non posso cavalcare le mie personali sensazioni figlie di emozioni provate in un passato dai colori differenti e che solo chi c’era allora può capire di cosa stiamo parlando. Quello che è certo è che il cambiamento ha spinto le band di allora ad affrontare la propria metamorfosi. Alcuni sono riusciti meglio di altri, altri hanno preferito uscire di scena ed altre band come ad esempio i Lunacy, hanno scelto il loro modo personale di traghettare la propria anima nel presente senza mai rinnegare il proprio passato e tutti quei piccoli, grandi momenti che ci hanno permesso di essere considerati nel nostro piccolo una band unica nel suo genere.
E quanto e cosa è cambiato in Mike Lunacy, durante questi quasi 20 anni? Sempre che qualcosa sia cambiato.
MIKE: Vent’anni di carriera, uniti ad un altro bel pezzo di vita che si aggiunge ad essa, avrebbero bisogno di un libro per essere raccontati in modo esaustivo. Riassumendo in poche righe e rimanendo all’interno dell’ambito musicale, credo che il semplice fatto di aver preso parte ad una storia importante, di averlo fatto attraverso sei dischi ed essere sempre rimasto al mio posto mentre intorno tutti lasciavano la nave, sia l’esempio che meglio rappresenta il carattere di Mike Lunacy. Chiaramente, nel corso della vita, ripercorrendo a ritroso la tua strada e analizzando le tue scelte con il senno del poi, capirai che tante cose potevano essere fatte diversamente e meglio. D'altronde è a questo che serve la memoria: ad imparare dai propri errori cercando appunto che l’inevitabile cambiamento dettato dagli anni che passano, diventi un valore aggiunto e non un semplice sopravvivere agli eventi. Ciononostante è nel presente che si trova la vera sfida. È nel presente che puoi scegliere se assumerti la responsabilità di perseguire un’idea accettandone onori ed oneri, vittorie e sconfitte, oppure scegliere la via più breve, come ad esempio la resa. Io ho scelto ovviamente la strada più lunga, non me ne pento e per quanto mi riguarda, quando la storia scriverà il verdetto finale di questa lunga avventura, accetterò il suo giudizio nella consapevolezza di me stesso e non certo nell’impaccio di un rimpianto.
Abbastanza recentemente avete fatto qualche data con i Fleshgod Apocalypse, poi alcune date in supporto alla nuova uscita. Piani futuri per i nuovi live? Oltre recuperare le due purtroppo saltate… Anzi, Mike, colgo l’occasione per dirti che spero che tu abbia recuperato.
MIKE: Riguardo al mio recupero ti ringrazio per il tua domanda e rispondo dicendoti che tutto sta andando nel migliore dei modi. Quando la vita ci mette alla prova non siamo mai pronti. Ma dopo la caduta abbiamo solo un’alternativa alla fine. Quella di rialzarsi e riprendere il timone del proprio destino. Per l’estate abbiamo un paio di date in programma che ci prepareranno ad un autunno molto intenso, sia per recuperare le date che per causa mia abbiamo dovuto posticipare e disdire a priori, sia perché le nostre tre roccaforti, ovvero Russia, Messico e Giappone, ci stanno reclamando e gran voce e sarà nostra premura rispettare questi impegni nel migliore dei modi.
Siamo arrivati alla conclusione: lascio a voi le ultime parole ai nostri lettori. Io non posso che ringraziarvi per l’opportunità di quest’intervista. A presto… e sapete dove
MIKE: È stata un intervista intensa e coinvolgente. Grazie di cuore per l’attenzione che ci ha dedicato e che hai dedicato a The Rain After The Snow. Concludo salutando i vostri lettori con un abbraccio fraterno che li prenda tutti, invitandoli ad entrare nel nostro mondo.
Ciardo ci fa da cicerone tra i sentieri dolomitici: intervista ai Delirium X Tremens
Lunedì, 16 Gennaio 2017 10:33 Pubblicato in IntervisteI Delirium X Tremens sono, ad oggi, una delle più interessanti realtà del panorama Death Metal nazionale, vuoi anche per le tematiche, quel che riguarda le loro terre d'origine, che li rende una band praticamente unica. Dopo la recensione all'ottimo "Troi", abbiamo incontrato Ciardo, cantante e fondatore dei DXT.
Salve ragazzi e benvenuti sulle pagine di AllAroundMetal! Comincerei dalla vostra ultima, incredibile fatica: “Troi”. Durante la recensione ho spiegato per sommi capi il concept che lo forma, vorreste parlarcene voi in maniera più specifica?
Ciao Daniele e grazie per l’ospitalità, è un piacere per noi! “Troi” non è altro che un cammino, il cammino di un bimbo attraverso i sentieri delle Dolomiti (Troi appunto significa sentiero in dialetto Bellunese). Questo bambino verrà guidato da un gufo, magica creatura dei boschi, nel quale si reincarna lo spirito di un Alpino morto durante la prima guerra mondiale nelle trincee Dolomitiche. Il compito di questa creatura è di guidare il bambino attraverso i boschi delle Anguane, le valli della Càzha Selvàrega, tra le trincee della grande guerra, tra i dolorosi lamenti della valle del Vajont, fino a fargli ritrovare la vecchia dimora ormai diroccata dell’Alpino. Lì ci sarà un antico album di fotografie ad aspettare il bimbo, il “bocia” diremmo noi, dal quale scaturiranno leggende e ricordi, storie e metafore montane dall'atmosfera polverosa e nostalgica, che noi abbiamo ascoltato e cercato di mettere in musica. La morale di tutto questo è che purtroppo stiamo pian piano perdendo le nostre tradizioni, le nostre origini, le nostre storie, le storie che ci raccontavano i nostri nonni… e questo è un vero peccato, perché il passato è la radice dell’albero del presente dove noi ora viviamo.
Con “Troi” avete proseguito il discorso intrapreso con “Belo Dunum (Echoes from the Past)”, ossia quello di dare spazio, nelle vostre tematiche, a quella che è la vostra terra d’origine: Belluno e le Dolomiti. Cosa vi ha portato a questa scelta, ormai 5 anni or sono?
A quel tempo, eravamo ad un bivio, dovevamo scegliere se proseguire con le nostre “vecchie” tematiche riguardanti l’annichilimento causato dal dilagante abuso della tecnologia e delle comodità dei giorni moderni, che a sua volta comporta una massificazione e una standardizzazione di pensieri davvero allarmante, oppure cambiare rotta. Per questo motivo ci siamo avvicinati alla nostra terra e alle nostre tradizioni inserendo il tutto nel concept della nostra musica, tradizioni di un tempo dove ogni cosa aveva il proprio vero colore, e non il colore filtrato da un monitor, una TV, o da un telefonino. Dunque possiamo dire che la svolta tematica avvenuta in “Belo Dunum, Echoes from the Past”, e di conseguenza in “Troi”, ha un fortissimo ed intimo legame con i nostri primi due lavori. Abbiamo cambiato il concept, ma l’obbiettivo è lo stesso.
Immagino che sia anche per questo che è stato scelto di inserire anche il cantato in italiano e nel vostro dialetto (a proposito: scusate ancora per la spoilerata nella recensione!)
Ahahah , il termine spoilerare l’ho letto spesso ultimamente, ma a dirti la verità non so cosa voglia dire… ma presumo tu intenda il fatto che hai detto nella recensione che le parti in dialetto non si capiscono eheheh! (Più che altro d'aver parlato delle parti in dialetto contenute nella Ghost Track, n.d.Ogre) Il cantato in italiano lo abbiamo inserito nella canzone “Spettri nella Steppa”, la tragica storia degli Alpini (e non solo) nella drammatica ritirata di Russia. L’italiano era d’obbligo, il termine Alpino non ha traduzione in nessuna lingua direi, l’Alpino è Alpino, punto. E le parti in dialetto, danno ancor di più quel sapore montano e “nostrano”, dannatamente Dolomitico, di cui avevamo bisogno.
Io vi conosco e vi seguo dai tempi del debutto assoluto, da quel “Cyberhuman” uscito nel 2003 e ho potuto seguire passo passo tutta la vostra evoluzione. Quel che colpisce ora è che avete conservato l’impareggiabile tecnica e la compattezza dei primi lavori, unendo delle atmosfere che rimandando a sensazioni ben precise, soprattutto, riguardo “Troi”, un senso di quieta malinconia. Questa vostra trasformazione è avvenuta in maniera del tutto spontanea, seguendo quello che potremmo definire il vostro “nuovo corso”?
In questi anni abbiamo cercato di mantenere comunque il nostro stile di base che è il Death Metal, ma sempre ricercando nuove soluzioni e arrangiamenti. Questa ricerca si è sviluppata in modo molto naturale, aggiustandola in relazione al concept che abbiamo sviluppato negli ultimi due album. In “Troi” la direzione era quella di creare un album, musicalmente parlando, che mantenesse la solida base Death Metal ma rendendolo ancora più emozionante e intenso. Per questo certi arrangiamenti li abbiamo provati e modificati, finché non hanno preso la forma ideale per l’atmosfera da creare.
È un azzardo dire che ormai il vostro sound è del tutto personale? Personalmente, non riuscirei a trovare una band di rimando che possa in qualche modo influenzare il vostro lavoro. Ed è anche per questo che ritengo siate una delle più interessanti realtà del panorama Death Metal made in Italy.
Grazie Daniele, quello che dici mi\ci lusinga! E’ un piacere sentirtelo dire perché una cosa a cui teniamo molto infatti è proprio quella di personalizzare il più possibile il nostro sound. In effetti non saprei neppure io dirti una band di riferimento per fare un paragone. Io credo che in qualche maniera ci siamo riusciti, o almeno ci siamo avvicinati all'obbiettivo, fermo restando che c’è sempre da migliorare e imparare… e cercheremo di farlo!!
Com’è visto all’estero questo vostro approccio così tradizionalista, così prettamente italiano?
Nei posti dove siamo stati a suonare (Romania, Bulgaria, Slovenia, Croazia) la gente ha risposto in maniera molto entusiastica ed hanno apprezzato il nostro concept Dolomitico, e con parecchi di loro siamo ancora in contatto! Alcune persone Rumene mi hanno scritto per avere informazioni sul disastro del Vajont e si sono informati su questa tragica storia che ha segnato indelebilmente la memoria delle nostre valli. Questo ci ha fatto un piacere enorme!! Una cosa che ci ha stupito, quando abbiamo suonato al November to Dismember festival del 2014 a Bucarest, c’era un gruppo di ragazzi austriaci che continuava ad urlare “Dolomitiiiiiiiii” mentre suonavamo! Fantastico!
Sia “Belo Dunum” che “Troi” hanno come ambientazione di sfondo la I Guerra Mondiale, ed il riferimento si fa chiarissimo, ad esempio, in “The Voice of the Holy River” in cui possiamo riconoscere anche passaggi della celeberrima “La Canzone del Piave”. Quanto lavoro c’è dietro la stesura dei vostri concept e dei testi?
Diciamo che buona parte ha come sfondo appunto il primo conflitto mondiale, ma un'altra buona parte ha come idea altre nostre storie e leggende, dalla leggenda del Teveròn, il gigante trasformato in montagna da un orda di streghe, la storia di Girolamo Segato (in “The Dead of Stone”), scienziato Bellunese che scoprì la formula per la pietrificazione dei tessuti organici e che tutt'ora è avvolta nel mistero, la storia del Piave appunto in “The Voice of the Holy River” dove è proprio lui, il Piave, a parlare e raccontare della sua importanza per la nostra terra nel corso degli anni. Di lavoro ce n’è tanto, sia per una attenta scelta delle storie da mettere in musica, sia anche per le ricerche, storiche e non, relative ai vari temi. Infatti tra “Belo Dunum” e “Troi” sono passati 5 anni.
Ed allacciandomi bene o male alla domanda precedente: ogni band ha il suo modo di lavorare, c’è chi parte dal testo costruendoci attorno tutta la struttura strumentale e chi, soprattutto, partendo da uno o più riff scrive le proprie canzoni. Nel vostro caso, come nascono i pezzi dei DXT?
Diciamo che ogni volta è una procedura a se stante, alle volte compongo la struttura ritmica completa della canzone, magari già con qualche armonizzazione, e poi adattiamo la tematica da trattare, con le successive modifiche del caso. Alle volte invece partiamo dal tema da mettere in musica e pensiamo la soluzione e il mood migliore da trasmettere, quindi creiamo la song avendo già l’idea del racconto da sviluppare. Dunque non abbiamo propriamente un iter compositivo fisso, ogni volta è a se.
Cosa può aspettarsi il pubblico dai DXT in sede live?
Sul palco porteremo la nostra musica nella sua completezza, arrangiamenti, cori, fisarmoniche, suoni del bosco etc… e cercheremo di ricreare l’immaginario delle nostre canzoni, salendo sul palco vestiti da vecchi montanari. Per noi è molto importante che le persone che assistono ad un nostro concerto siano avvolti si dalla musica, ma anche dall'immagine visiva, perché questo è quello che rende completo il messaggio e il concept che vogliamo trasmettere.
Quali sono le maggiori soddisfazioni che siete riusciti a togliervi in questi anni?
Ce ne sono tante. In primis naturalmente i responsi positivi del pubblico, le persone che ci hanno seguito finora credendo in noi, le persone che ci hanno scritto in questi anni per avere informazioni sull'uscita di “Troi”, le stupende recensioni che abbiamo ricevuto durante il nostro cammino. Le persone che non si sono soffermate solo al nostro aspetto musicale ma che hanno capito soprattutto il nostro concept e hanno ascoltato tutto l’insieme delle nostre composizioni immergendosi nelle nostre leggende montane. Tutto questo è impagabile per noi, non credo ci sia soddisfazione più grande e per questo ci sentiamo di dire un sentito ed enorme GRAZIE A VOI!! E poi ovviamente anche il fatto di aver condiviso il palco con band molto importanti come Asphyx, Unleashed, Tankard, Esoteric, Napalm Death, Necrodeath, e molti altri... una soddisfazione enorme!!!
E qualcosa che ancora vorreste realizzare, un sogno o desiderio che vorreste raggiungere? (E che vi auguro sinceramente, perché lo meritereste eccome)
Grazie Daniele , mi imbarazzi! Probabilmente ognuno di noi ti risponderebbe in maniera diversa. Personalmente sono già contento dei risultati che abbiamo ottenuto, non ho molte pretese, non pretendo che diventiamo una band culto o chissà cos'altro… ecco magari mi piacerebbe essere considerati una band che ha aiutato a mettere una pietra in più nel panorama metal italiano insieme alle altre.
Prima di chiudere, una domanda quasi d’obbligo: quali sono i piani per il futuro prossimo dei DXT?
Sicuramente suonare ovunque ce ne sia la possibilità, per portare sul palco le storie delle nostre montagne. Ora stiamo valutando un po’ di proposte infatti, vedremo cosa salterà fuori. Nel frattempo inizieremo a pensare alle nuove composizioni, qualcosa c’è già ma è ancora prematuro dire in che direzione ci muoveremo. Lasciamo che il tempo faccia il suo corso e che le Dolomiti ci suggeriscano nuove idee sulle quali lavorare. Noi siamo pronti ad ascoltarle.
Vi ringrazio per la disponibilità e rinnovo i complimenti per il vostro splendido album. Lascio a voi l’ultima parola per salutare i nostri lettori
Siamo noi a ringraziare te Daniele e All Around Metal per lo spazio che ci avete dedicato! E’ un piacere per noi! Invitiamo tutti i lettori a dare un ascolto al nostro album “Troi”… oppure ad ascoltare il vento che spira dalle nostre montagne, troverete qualche melodia di “Troi” anche lì, basta saper ascoltare attentamente!!