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Torna Stu Marshall con i suoi Empires of Eden, ma senza esaltare Torna Stu Marshall con i suoi Empires of Eden, ma senza esaltare

Torna Stu Marshall con i suoi Empires of Eden, ma senza esaltare

recensioni

titolo
“Guardians of time”
etichetta
Massacre Records
Anno

TRACKLIST:

1. The dawn march

2. Guardians of time = LYRIC VIDEO = 

3. When will it end = LYRIC VIDEO = 

4. Mortal rites = LYRIC VIDEO

5. The inner me

6. When the beast comes out

7. Arabian nights

8. Stand united

9. August runs red

10. Baptise this hell

11. The devil's only friend

12. Baptise this hell (Alternate version) [Bonus-track]

 

 

LINE-UP:

Stu Marshall – Chitarra, basso (tranne tracce 2, 3 e 11), batteria (tranne tracce 3 e 11)

 

OSPITI:

Voci

- Rob Rock (traccia 2)

- Darren Smith (traccia 3)

- Jonas Heidgert (traccia 4)

- David Readman (traccia 5)

- Sean Peck (traccia 6)

- Tony Webster (traccia 8)

- Louie Gorgievski (tracce 9, 10 e 12)

- Jeff Martin (traccia 11)

- Danny Cecati (traccia 12)

- John "Gio" Cavaliere (traccia 12)

- Genevieve Rodda (traccia 12)

 

Basso:

- John Gallagher (traccia 2)

- Mike LePond (tracce 3 e 11)

 

Chitarra

- Tony Truglio (assolo sulla traccia 4)

- Anthony Fox (solista sulla traccia 12)

- Aaron Adie (solista sulla traccia 12)

 

Batteria

- Clay T. (tracce 3 e 11)

opinioni autore

 
Torna Stu Marshall con i suoi Empires of Eden, ma senza esaltare 2024-11-17 10:09:18 Ninni Cangiano
voto 
 
2.5
Opinione inserita da Ninni Cangiano    17 Novembre, 2024
Top 10 opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

Avevo conosciuto il progetto Empires of Eden del chitarrista australiano Stu Marshall nel 2012, all’epoca del terzo album “Channeling the infinite”; ne avevo perso le tracce in questi 12 anni, scoprendo solo ora che è stato registrato anche un quarto full-length (“Architect of hope” nel 2015), prima di questo “Guardians of time”, uscito in questi giorni niente meno che per la Massacre Records. Come in passato, anche questa volta Marshall ha reclutato tanti artisti in giro per il mondo (ma principalmente nella sua Australia) facendoli cantare o suonare nelle sue canzoni, in cui naturalmente lo strumento protagonista è la sua chitarra; tra questi artisti i più famosi sono Rob Rock degli Impellitteri e John Gallagher dei Raven (entrambi nella title-track), John Cavaliere dei Black Majesty (sulla bonus-track) ed il mitico Mike LePond dei Symphony X (sulle tracce 3 e 11). Come per il passato il sound è basato su un power metal molto melodico, alquanto easy-listening; sarà però per il fatto che ogni canzone ha un cantante diverso e si perde in compattezza, sarà perché forse Marshall si trova meglio a comporre brani veloci e riempie l’album di canzoni più lente, sarà per chissà quale altro motivo, fatto sta che ogni volta, al termine dei vari ascolti, non ne rimanevo particolarmente impressionato e la voglia di premere ancora il tasto “play” non era così forte… come per il precedente disco da me recensito, infatti, anche questa volta non ho trovato alcun brano che mi conquistasse del tutto e che potesse valere da solo l’acquisto del cd. Sia chiaro, dal punto di vista tecnico, non c’è assolutamente nulla da dire; Stu Marshall è un mostro con gli strumenti, ma pare quasi che tante volte le canzoni siano solo un modo per dare sfogo alla sua tecnica, una via per esibire le sue capacità, perdendo di vista la struttura dei vari componimenti e la loro efficacia (emblematica in tal senso la strumentale “Arabian nights” che di arabo non mi pare abbia niente). Va meglio quando ci sono canzoni più veloci (“Mortal rites” su tutte, ma anche “The inner me” e “Baptise this hell” in entrambe le sue versioni), mentre quando il ritmo rallenta non sono rimasto particolarmente impressionato, quasi come se il songwriting sia in difficoltà e tenda ad essere ripetitivo, rischiando di diventare noioso in alcuni casi (come, ad esempio, in “August runs red”, forse il punto più basso a livello qualitativo del disco). L’album ha un piacevole artwork realizzato dall’artista Alex Yarborough ed è composto da 10 canzoni, cui si aggiunge la solita inutilissima intro ed una seconda versione come bonus-track della già citata “Baptise this hell”, per una durata totale di circa 52 minuti. Tirando le somme, Stu Marshall con il suo progetto Empires of Eden ha sfornato un altro album non proprio entusiasmante, con pezzi che funzionano meglio di altri, ma comunque non particolarmente esaltanti; mi dispiace, ma questo “Guardians of time” non è in grado di strappare la sufficienza, dato che c’è obiettivamente di meglio in giro.

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