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L'ultimo album degli Obscura colpisce L'ultimo album degli Obscura colpisce Hot

L'ultimo album degli Obscura colpisce

recensioni

gruppo
titolo
"A sonication"
etichetta
Nuclear Blast Records
Anno

 

TRACKLIST:

1.        Silver linings (Official video) 

2.        Evenfall (Official video) 

3.        In solitude (Official video) 

4.        The prolonging

5.        Beyond the seventh sun

6.        Stardust

7.        The sun eater

8.        A sonication

 

Formazione:

- Steffen Kummerer - Voce & chitarra

- Kevin Olasz - Chitarra

- Robin Zielhorst - Basso

- James Stewart - Batteria

 

 

opinioni autore

 
L'ultimo album degli Obscura colpisce 2025-04-26 08:49:29 Il Prof
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Il Prof    26 Aprile, 2025
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Tra le uscite più attese di quest’anno in ambito technical death metal non poteva mancare la band capitanata dal factotum Steffen Kummerer, giunti al settimo sigillo di una carriera vissuta agli apici di questo genere considerato di nicchia ma che ormai ha proseliti in ogni parte del mondo. Gli Obscura, forti di capolavori come “Cosmogenesis” e “Omnivium”, usciti ormai da una quindicina di anni, hanno una schiera di fan devoti e fedeli in tutto il globo. Dopo i successivi e ottimi “Akroasis” e “Omnivium”, dalle atmosfere e dai suoni più ricercati, e l’altalenante ma pur sempre buono “A Valediction”, non all’altezza dei precedenti, soprattutto per il cambiamento nell’impostazione delle vocals di Kummerer, palesato da un growl più urlato e poco propenso alla variatio con cui ci aveva abituato in precedenza, ci si aspettava un ritorno ai fasti del passato. Con “A Sonication”, invece, con l’ennesimo cambio di tre quarti della formazione (e anche nel tour a supporto dell’album i membri non sono più gli stessi…), si rimane spiazzati in quanto vengono provate soluzioni melodiche già in parte presenti nel precedente “A Valediction” ma che qui la fanno da padrone, ovvero un avvicinamento ad un songwriting più semplice e vicino al melodic death metal di scuola scandinava piuttosto che al technical death di scuola canadese e americana (che in precedenza ha avuto maggiore influenza nel gruppo, in primis i Death, i Cynic, gli Atheist, o i Gorguts e i Crypropsy), ma anche europea, come Necrophagist e Spawn of Possession, tanto per citarne alcuni. Con quest’ultimo album (il secondo della trilogia) le canzoni tralasciano, anche se non del tutto, le influenze jazz e progressive degli album succitati per avvicinarsi di più, come già accennato, a composizioni che hanno una loro struttura ben definita e più semplice, con riffs portanti, bridge e chorus ben riconoscibili all’interno delle canzoni, che diventano oltremodo ben diversificate e riconoscibili tra loro. Naturalmente si rimane sempre in ambito technical death metal: le chitarre soliste sono quasi sempre presenti, seppur le trame non sono complicatissime ma più melodiche e orecchiabili, e il basso fretless, qui assegnato a Robin Zielhorst, è presente e pulsante come di tradizione del gruppo.

Si parte con “Silver Linings”, uscita come primo singolo, veloce e con un ritornello evocativo e coinvolgente, entrata nell’occhio del ciclone in quanto gli ex membri Muenzner e il bassista Alex Weber, quest’ultimo solo sessionist della band, hanno minacciato il chitarrista tedesco di azioni legali in quanto avrebbe pubblicato i materiali creati da loro e presenti proprio nei due singoli, accusandolo di plagio, con tanto di minutaggio dei pezzi in questione corredati da video e gettati in pasto sui social, causando così commenti poco felici da parte degli utenti. Certamente è un problema, anche se la stessa “Evenfall”, il secondo singolo tratto dall’album, non è che sia un granché, lenta nell’incedere e con un inizio di fretless bass che apparterebbe proprio al bassista americano. Con “In Solitude” si ritorna a viaggiare su binari veloci, la voce varia dallo scream al growl con naturalezza, i riff sono ben delineati e riconoscibili, con il chorus evocativo e coinvolgente, impreziosita dagli assoli di Kummerer e dell’ottimo Kevin Olasz, che lo ha affiancato già nel tour precedente di supporto di “A Valediction” in sostituzione di Muenzner. Ancor più veloce è “The Prolonging”, della durata di nemmeno tre minuti, anch’essa alla fine caratterizzata da riff melodici seppur velocissimi nell’esecuzione e inframmezzata da assoli altrettanto veloci e melodici: balza all’orecchio, in questa prima metà dell’album, la prova vocale di Kummerer, questa volta ben bilanciata e più varia rispetto alla parziale monotonia del precedente album.

La seconda parte si apre con la strumentale “Beyond the Seventh Sun”, più tradizionalmente legata alle vecchie composizioni, con un ottimo lavoro dietro le pelli del nuovo arrivato James Stewart, molto vario e preciso nel seguire le linee di basso e le scale melodiche dei due axeman. “Stardust” inizia con un arpeggio malinconico che poi sfocia subito in un riff veloce e tecnico quanto basta, con un chorus dai ritmi più lenti ed espressivi. Con “The Sun Eater “ i ritmi diventano più vari, quasi sincopati, con un inizio lento ma che diventa veloce nella strofa per poi rallentare pesantemente nel refrain; ottima l’alternanza scream/growl del cantato, ma lascia un po’ l’amaro in bocca per la mancanza di elementi più tecnici (assoli compresi) che avrebbero sicuramente impreziosito la canzone. Con l’ultima “A Sonication”, invece, l’elemento tecnico ritorna ma sempre al servizio della canzone stessa, che presenta il suo riff portante e il suo refrain ben riconoscibile e soprattutto godibile e quasi “cantabile”. Ci sono anche sprazzi dell’uso del vocoder, sempre apprezzato da Kummerer (i Cynic sono il suo gruppo mentore oltre ai Death) e che ritorna a tratti in quest’album, con un lungo assolo conclusivo condiviso con il chitarrista dei Kreator Sami Yli-Sirmio, presente come ospite.

In conclusione un album che sicuramente dividerà i fan del gruppo e darà ancora più carne al fuoco per i detrattori. Un disco più melodico e breve dei predecessori ma non per questo ruffiano o facilissimo da ascoltare. Nelle sue recenti interviste, Steffen Kummerer ha lasciato intendere che l’ha voluto in questo modo, diverso, magari più melodico ma non per questo meno impegnativo rispetto agli altri. Ricordo di averlo ascoltato per tutto un lungo viaggio in treno di 5 ore, sei volte di seguito, per carpirne tutte le sfumature presenti. Per averlo ascoltato in modalità loop, direi che ha fatto centro.

E cosa c’è di meglio per una band il fatto di non ripetere gli stessi dischi? Sicuramente non un capolavoro, sicuramente qualcosa di riciclato si sente soprattutto dai vecchi album e anche da altre bands, soprattutto scandinave, certamente manca il guizzo che tutti si aspetterebbero da una band così e che forse non sarà un album che verrà ricordato per aver rinnovato il genere, ma è un ottimo disco lo stesso, che si ascolta, si scopre e si gusta con piacere, come un ottimo whisky d’annata.

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