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Habemus Behemoth! Habemus Behemoth! Nuovo

Habemus Behemoth!

recensioni

gruppo
titolo
The Shit ov God
etichetta
Nuclear Blast
Anno

Formazione:

Adam "Nergal" Darski, voce, chitarra

Zbigniew "Inferno" Prominski, batteria, percussioni

Thomas "Orion" Wròblesnski, basso, voce

Patryck "Seth" Sztyber, chitarra, voce

 

Tracklist: 

1) The shadow elite (Official video)

2) Sowing salt (Official video)

3) The shit ov God (Official video)

4) Luciferaeon (Official video)

5) To drown the sun in wine

6) Nomen barbarum

7) O Venus, come!

8) Augur (the dread vulture)

opinioni autore

 
Habemus Behemoth! 2025-05-10 11:36:37 Il Prof
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Il Prof    10 Mag, 2025
Ultimo aggiornamento: 10 Mag, 2025
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Proprio il giorno successivo all’elezione del nuovo papa esce il disco della band il cui carismatico leader indossa per le sue celebrazioni dal vivo un copricapo che ne richiama gli aspetti liturgici, ma dai contenuti diametralmente opposti. Chissà se Adam “Nergal” Darski si sarebbe immaginato di questa coincidenza quando ha deciso, insieme alla Nuclear Blast, di far uscire la tredicesima fatica dei suoi Behemoth proprio allo scoccare della mezzanotte nel giorno stesso della proclamazione di papa Leone. La band polacca ormai è diventata una delle maggiori esponenti del metal più estremo, con i suoi numerosi tour in giro per il mondo, con la qualità indiscutibile della sua musica e con i suoi fan devoti. Ma anche, diciamolo chiaramente, possessori di un brand tipicamente commerciale e dagli aspetti discutibili ma non deprecabili nelle sue finalità, viste quali sono le condizioni di sopravvivenza nel music business.
Diciamo subito che questo disco si differenzia dagli ultimi due, in cui la produzione dava maggiore risalto alla voce, che era a tratti predominante sugli strumenti e trasfigurava in modo originale i canoni musicali del black metal della fase di inizio carriera con elementi sinfonici e oscuri, per un risultato originale e magniloquente ma altrettanto dispersivo e per nulla “commerciale” e orecchiabile, se vogliamo dirla proprio tutta (soprattutto in “ILYAYD”): come per dire che, arrivati a questo punto della carriera, “possiamo permetterci tutto”.
In quest’ultima fatica tornano predominanti alcuni elementi riconducibili a sonorità tipiche di opere come “The Satanist” ed “Evangelion”, album nettamente più death oriented e che possedevano sia refrain più diretti ma anche partiture più complicate.
Già con l’iniziale “The Shadow Elite” le chitarre sono più possenti, tessono trame potenti ma anche intricate, a metà tra la durezza del death metal e il suono tagliente del black metal mentre il refrain è breve e cantato in modo tale da coinvolgere il pubblico in sede live: questa caratteristica infatti è presente per tutto l’album senza particolari variazioni sul tema, soprattutto nella prima parte. La seconda canzone, “Sowing Salt”, ha rallentamenti e partenze a razzo continue che sono veri e propri assalti sonori senza respiro seppur brevi nella loro durata. La title-track è la canzone simbolo del disco in cui possiamo decifrare le metafore contenute nei testi dell’intero album: non siamo altro che "the shit of God", ripetuto in maniera secca e continua, studiato apposta per i concerti e coinvolgere il pubblico. La prima metà del disco si chiude con “Lvciferaeon”, un brindisi vero e proprio al signore degli inferi, un chiaro-scuro musicale con strofe veloci e refrain cadenzato. Nella seconda parte si nota un maggior orientamento a diversicare le strutture più dirette della prima parte. Infatti “To drown the Svn in Wine” è quasi completamente veloce con un gran lavoro dietro le pelli di Inferno, sempre molto vario e preciso per tutta la durata del disco. “Nomen Barbarvm”, con l’incipit delle chitarre tipicamente black e un bel riff di supporto, spacca di brutto e con i suoi 5 minuti di durata si aggiunge un’altra canzone molto variegata a cui si dà meno spazio al refrain. La successiva “O Venvs, come!”, di quasi 6 minuti, non è facilmente memorizzabile e per stile si avvicina ai due album precedenti, anch'essa molto varia e raffinata per la presenza di alcuni tecnicismi e a quanto pare priva di un refrain vero e proprio da essere cantato dal vivo, che si conclude con un coro di voci pulite. L’album si congeda con “Avgvr (the Dread Vvlture)”, una canzone ancora più ostica, caratterizzata dalla presenza di una voce femminile evocativa, il cui scopo è quello di creare angoscia e attesa.
Gli assoli di chitarra sono sì presenti e anche ben eseguiti, ma non sono lunghi e predominanti, relegandosi uno spazio piuttosto breve all’interno delle composizioni. L’impressione finale da parte del sottoscritto è questa: mentre le prime quattro canzoni hanno un taglio decisamente più melodico e più di presa diretta, le ultime quattro canzoni non disdegnano passaggi più complicati e per nulla di facile ascolto, dimostrato anche dalla durata media delle canzoni di circa 5 minuti. Tutto sommato è un altro grande ritorno quello dei Behemoth e anche se siamo in presenza di un album che sulla carta dovrebbe essere più diretto, la variatio compositiva, la tecnica e soprattutto la coerenza al proprio credo artistico la fanno sempre da padrone nella carriera del gruppo polacco.

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