1. Blow Your Trumpets Gabriel
2. Furor Divinus
3. Messe Noire
4. Ora Pro Nobis Lucifer
5. Amen
6. The Satanist
7. Ben Sahar
8. In the Absence ov Light
9. O Father O Satan O Sun
1. Blow Your Trumpets Gabriel
2. Furor Divinus
3. Messe Noire
4. Ora Pro Nobis Lucifer
5. Amen
6. The Satanist
7. Ben Sahar
8. In the Absence ov Light
9. O Father O Satan O Sun
Il nuovo anno si è aperto con suoni di fanfare e odore di zolfo: i Behemoth sono tornati dopo cinque anni dal loro ultimo album “Evangelion” con “The Satanist”, il loro decimo lavoro in una carriera ormai più che ventennale che li ha visti passare dal Black iniziale ad una sempre maggiore influenza Death Metal.
Molto si è parlato in questi anni del gruppo, ma soprattutto del front man Adam Darski detto Nergal e della sua lotta e sconfitta della leucemia che lo stava quasi uccidendo, nonché della sua assunzione a vera e propria rockstar in Polonia con tanto di partecipazione come giudice alla versione locale di “The Voice” e fidanzamento e successiva rottura con tale Doda, popstar locale, il tutto condito con continue interviste, frasi altisonanti e dichiarazioni tipiche di Nergal, mai stato una persona timida nell’esporre le proprie idee o imporsi con fermezza e aperta spavalderia.
E chiaro quindi come la nuova opera sia stata accolta da più parti come l’ennesimo evento legato all’esistenza del nostro, e la maggior parte delle reazioni, per lo più positive e alcune anche negative, si siano sempre concentrate su di lui e abbiano voluto vedere, a buona ragione, sin dal titolo un manifesto della filosofia di vita ed intellettuale di Nergal legata a pulsioni superomistiche, misticismo crowleriano, religioni orientali, gnosticismo e quanto fa brodo per la sua idea di netto contrasto alla “religione degli schiavi” e continuo miglioramento psico-fisico in una costante ricerca di elevazione.
Effettivamente “The Satanist” è un album importante tanto per i Behemoth, quanto per il loro cantante, per svariate ragioni,
dopo il deciso spostamento dalle coordinate “Blackened Death Metal” di inizio millennio verso un suono legato al Death più tecnico dominato dall’uso dei blast beats e degli assoli “shredder”, suono che incominciava a mostrare qualche segno di stanchezza, il gruppo sembra aver riscoperto la sua anima più nera e aver colto a piene mani dal Black Metal, dando maggior risalto alla creazione di brani giocati sulle atmosfere e gli elementi epici, rallentando i tempi e dimostrandosi più “pacati”.
Non si tratta però di un semplice ritorno al passato: The Satanist è vicino nei passaggi Black a quello moderno dei Deathspell Omega con atmosfere giocate e costruite anche sulla cacofonia controllata delle chitarre dissonanti, dimostrando che si sanno anche guardare intorno e cogliere, forse anche furbescamente, l’aria che si respira nel Metal estremo da qualche tempo, il tutto coniugato con una forte componente Death debitrice come sempre, soprattutto nelle melodie di chitarra, della lezione dei Morbid Angel del primo periodo e della vecchia scuola in generale.
Nulla è lasciato al caso: ne la disposizione dei brani collocati in modo da creare un continuo crescendo sonoro e “passaggi di scena”, ne la produzione cristallina che mette in risalto ogni strumento senza mai essere di plastica, ne l’uso di orchestrazioni, parti parlate e voci pulite nei momenti topici di certi brani che contribuiscono a creare un senso teatrale e scenico dell’opera, così come il magnifico artwork ad opera di Denis Forkas, che pare aver usato nel colore parti del sangue di Nergal per legarlo ad esso, che fa da complemento e sigillo al lavoro.
Il singolo “Blow Your Trumpets Gabriel” è l’introduzione all’album con la sua coda iniziale di chitarre serpeggianti, che presto si apre in una cavalcata più serrata che trasporta ad un finale epico dominato dal basso e dal drummingpestato, il tutto supportato da sinistri passaggi sinfonici, mentre il successivo “Furor Divinus” tiene fede al nome con le sue chitarre schiacciasassi e i tempi più veloci legati all’anima Death del gruppo; “Messe Noire” è un malsano pastiche Black Metal che chiama in causa le influenze prima citate con dissonanze e passaggi melodici che scolpiscono paesaggi sonori anche grazie all’uso oculato di un riff dal sapore quasi Rock che inizia a mostrare quegli elementi melodici che compaiono con l’ascolto dell’album.
“Ora Pro Nobis Lucifer” macina da subito l’ascoltatore con le sue chitarre a sega elettrica e si ricollega al Death classico senza però raggiungere mai velocità eccessive, mentre “Amen” è proprio un cacofonico canto di distruzione più vicino allo stile degli ultimi lavori della band con un drumming velocissimo e riff di chitarra tecnici e chirurgici come spesso usati in passato dai Behemoth; la title track mostra di nuovo l’anima più nera anche se in questo caso possiamo quasi parlare di un “Blackened Rock ‘n’ Roll” strutturato su tetre melodie di chitarra e assoli che rinunciano all’assalto estremo ai sensi e optando piuttosto ad ammaliare anche grazie ai tappeti sinfonici in sottofondo.
Si ritorna prontamente su coordinate più metalliche con la marcia “Ben Sahar” che presenta alcune delle atmosfere “medio-orientali” con la quale la band aveva già più di una volta giocato in passato e che li aveva accumunati ai Nile, confermandosi uno dei brani dell’album dalla struttura e stile più legati ai precedenti lavori del gruppo offrendo quindi poche sorprese, ma non deludendo nella qualità sonora; è invece araldo dei nuovi Behemoth “In The Absence Ov Light” con l’uso interessantissimo di esperimenti quali campionamenti in polacco e del saxofono a spezzare la furia delle chitarre, nonché da notare la coda finale dal sapore quasi industriale che crea una forte atmosfera.
La chiusura è in grande stile con “O Father O Satan O Sun” il brano più epico ed avvincente di tutto l’album dal drumming dirompente e le atmosfere melodrammatiche che creano un effetto in crescendo che esplode in sfuriate di chitarra dai ritmi serrati, per poi evolvere in parti quasi Dark Ambient dove troviamo l’uso della voce pulita a sostituire il solito growl in una sorta di litania dove Nergal espone le sue visioni oscure, forse il pezzo migliore di tutto il disco e suo perfetto finale sonoro e concettuale.
In definitiva “The Satanist” è proprio come il suo ideatore, ovvero pomposo, drammatico, altisonante, protagonista, ragionato ante litteram nel dettaglio e curato fino al particolare, arrogante, convinto di se, ma proprio come lui ha una caratteristica che spesso pochi di coloro che hanno queste peculiarità posseggono, ovvero gli argomenti oggettivi e le capacità per giustificare tale visione di se stessi, e proprio come lui può suscitare antipatia o non piacere, ma rimangono innegabili la maestria, il lavoro e la costanza messe in questo lavoro e in generale nella carriera del gruppo da parte dei suoi componenti.
Per chi scrive un ottimo album di Metal estremo “commerciale” pur non un capolavoro, e un importantissimo punto di svolta per il gruppo, manifesto programmatico dell’evoluzione continua sonora e concettuale che li impegna ormai da anni; di sicuro hanno perso in estremità rispetto al passato recente e questo farà storcere il naso ai puristi che si erano abituati alla loro costante furia, ma ciò è avvenuto a favore di un ritorno ad una maggiore atmosfera, un songwriting più vario, ed una maggiore enfasi sugli elementi epici, e non tutte le novità (per loro) usate sono poi così nuove nel panorama musicale odierno, ma anche il sapere cogliere da altri senza plagiare fa parte della crescita sonora di un gruppo e i Behemoth dimostrano di saperlo fare pur mantenendo uno stile proprio riconoscibile da subito.