- Onward To Blackness
- Two Steps In The Shadows
- Last Before The End
- My Private Nightmare
- Blessed Are The Heretics
- Eleven
- Broken Trails
- Shattered Souls
- Lysander
- Show Me What You Got
Una volta tanto non vi annoierò con il solito “pippone alieno” (cit. Paolo Bonolis) sulla carriera dei Game Over. Vi esorto piuttosto a leggere il live report esclusivo della data di presentazione del C.D. “Claiming Supremacy” ( http://www.allaroundmetal.com/live-concerts/item/11473-11-11-2017-game-over-release-party-caseificio-%E2%80%9Cla-rosa%E2%80%9D-poviglio-re ). In “Claiming Supremacy” sono presenti tutti i contrassegni salienti della musica dei quattro alfieri del Thrash ferraresi ovvero velocità, stacchi, titoli “rafforzati” dai cori, ma non solo. In questa uscita più che nelle precedenti è chiara la voglia di smarcarsi da certe ritmiche ripetitive che, a lungo andare, renderebbero la proposta eccessivamente piatta. Non preoccupatevi: quando c’è da pestare sodo e inserire il turbo la band resta fedele ai canoni del “tupa tupa” ma in parecchi frangenti è palese la ricerca di sonorità più lente e varie. Proprio questa ricerca andava a mio avviso resa più accurata in quanto si sente che, tanto per fare un paragone, è come se cercaste di mettere le redini ad un puledro selvaggio. Il risultato sarebbe quello di avere un cavallo imbizzarrito e scoordinato nei movimenti. La voglia di rallentare la corsa è rappresentata in primo luogo dai due brani strumentali “Onward To Blackness” e “Shattered Souls”. L’aria di parziale cambiamento che si respirava tra le pieghe dell’E.P. “Blessed Are The Heretics” con il pezzo omonimo, pezzo riproposto in “Claiming Supremacy” e che rimane tra i migliori del lotto, viene rigettata fuori in “My Private Nightmare”. Ritmo elaborato, batteria che si fa sentire in modo massiccio e che è ancora più incisiva, chitarre che viaggiano a tutta forza; questi sono gli ingredienti di un vero e proprio masterpiece. Probabilmente non è un caso se a seguire questi due pezzi troviamo “Eleven”. Proprio in “Eleven” è possibile constatare ciò che ho detto in precedenza riguardo alla cura maggiore di certi aspetti ma, nonostante tutto, il pezzo si rivela interessante e va a completare una fase centrale del C.D. che dimostra efficacia e che lo fa risultare vincente. I rimanenti brani non aggiungono molto a ciò che già conosciamo. Reno e soci hanno saputo sfornare un lavoro all’altezza delle aspettative anche se continuo a domandarmi per quanto tempo riusciranno, soprattutto in sede live, a tenere ritmi tanto forsennati e tempi indiavolati (sento la band fare “sgrat sgrat”). Godiamoci questa realtà italiana e mettiamola al pari di gruppi come i tedeschi Risk o, se vogliamo fare gli “sboroni”, Kreator e Slayer.