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Sacred Oath, gli incorruttibili Sacred Oath, gli incorruttibili Hot

Sacred Oath, gli incorruttibili

recensioni

titolo
Twelve Bells
etichetta
Angel Thorne Music
Anno

LINE UP:
Rob Thorne – voce, chitarra 
Bill Smith – chitarra
Brendan Kelleher – basso 
Kenny Evans – batteria

TRACK LIST:
1.New Religion
2.Twelve Bells
3.Fighter’s Heart
4.Bionic
5.Never and Forever
6.Demon Ize
7.Well of Souls
8.Eat the Young
9.No Man’s Land
10.The Last Word

opinioni autore

 
Sacred Oath, gli incorruttibili 2018-03-15 13:19:26 MASSIMO GIANGREGORIO
voto 
 
3.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    15 Marzo, 2018
Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 2018
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I Sacred Oath sono in circolazione fin dal lontano giugno del 1985 a Bethel (Connecticut - U.S.A.) ma – della line up originaria - è rimasto il solo cantante e chitarrista Rob Volpintesta (che in seguito cambiò il cognome in Thorne). La loro proposta è sempre stata improntata al power metal puro ed incontaminato, senza “se” e senza “ma”!
Questa settima fatica in studio è un mausoleo dinamico inneggiante alla migliore tradizione del power di estrazione maideniana, sia pure intriso di quegli spunti thrash che si rifanno al sound della bay-area degli anni ’80. La conferma viene già dai primi solchi della opening track ("New Religion") che sfoggia un sound sempre attuale nella sua indiscutibile classicità, con un riff potente ma “catchy”, una inframezzatura a distacco niente affatto male ed assolo saettante. La title track mi ricorda i migliori Annihilator (quelli di "Alice in Hell", tanto per intenderci) e si prosegue sulla medesima falsa riga, senza però mai annoiare, grazie a degli stacchi semi-sperimentali/vagamente fusion ed alla vena del solista d’ascia Bill Smith. Il tappeto ritmico steso da Brendan Kelleher alle quattro corde e da Kenny Evans alle pelli è di tutto rispetto e sempre altamente energetico. "Never and Forever" è la immancabile ballatona elettrica un po’ strappalacrimuccia, ma comunque efficace e convincente anche grazie anche ad un imperioso assolo. La vitaminica "Demon Ize" ci riporta sul sentiero metallico solcato dai nostri quattro ceffi, che non concedono sconti alle nostre orecchie ed alla nostra capoccia in sbattimento. "Well of Souls" fa un po’ il verso agli Anthrax, ma le aperture melodiche opportunamente alternate al sostrato “thrashy” (vedi la lenta parentesi centrale del pezzo) garantiscono comunque un risultato godibile e mai stucchevole. "Eat the Young" è la track più oscura, da questo punto di vista con il suo cantato che rievoca un po’ lo Hetfield-style con quella puntina di growl che non guasta mai. Linee e stili vocali che ritroviamo nella successiva "No Man’s Land", davvero metallicheggiante. A chiudere, "The Last Word" ossia il pezzo più lungo ed elaborato, magari di minor presa, ma che costituisce una giusta summa di tutto quanto sciorinato dai nostri nell’arco dell’intera release.
Una release che deve confortarci, se non altro nel senso che consente di mantenere vivo uno dei punti fermi per gli estimatori del power metal meno transigente.

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