1. Reminisce
2. Despair
3. Angelmaker
4. Into the Eternal Pits of Nothingness
5. Drawn by Nightmares
6. There Was a Man
7. Four Hundred Years
8. Transition
9. Evening Star
1. Reminisce
2. Despair
3. Angelmaker
4. Into the Eternal Pits of Nothingness
5. Drawn by Nightmares
6. There Was a Man
7. Four Hundred Years
8. Transition
9. Evening Star
Dopo un bel po’ di pausa su questo sito e sul mio blog personale per motivi personali, eccomi di ritorno con un disco che mi aspettava da diversi mesi. Quindi, facendo mea culpa, mi accingo a rimediare all’assenza parlandovi dei Legacy of Emptiness e del loro “Over the Past”, secondo full-length della band norvegese, dedita al Symphonic Black Metal.
Apriamo subito le danze con “Reminisce”. Sospiri eterei e una tastiera che sembra rubata agli Evol di “Dreamquest”, per poi esplodere in una corsa in blast beat controllato e dalla velocità contenuta. Mi aspettavo a dire la verità, un’atmosfera più cupa e oscura, invece mi trovo davanti un sound che odora di epic-power metal, seppur con un convincente growl ed una produzione ottima e praticamente perfetta. Una pausa al centro del pezzo, lascia la mente viaggiare e creare mondi decadenti, dove i campionamenti del gracchiare di corvi, colora ed arricchisce un disperato fantasma dell’opera che urla con il suo organo, sulle rovine di antiche ville dimenticate. Devo dire che questo primo pezzo convince e appaga l’ascoltatore, anche se devo ammettere che non si tratta del Black maligno, marcio e oscuro che cercavo, ma sembra più qualcosa che leghi insieme Black melodico, Emperor, Kameloth e Nightwish, con spruzzate ora di black più estremo e ora di death metal. “Despair” è molto più veloce e violento del pezzo precedente, con intrecci di voci in scream e growl che si accavallano e sovrappongono, anche con l’ausilio di distorsori vocali che rendono il tutto molto più malsano. Apprezzo particolarmente il martellamento continuo e meccanico dietro le pelli, che poi lascia spazio a voci epiche che recitano su un assolo forse un po’ troppo spento. Torniamo a cavalcare a tutta velocità immediatamente dopo, come ultima corsa verso un finale senza speranze. Curiosa l’intro saltellante sui tasti del piano per “Angelmaker”, subito rincorsa e accompagnata da terzine in palm muting ed in questa fase è impossibile non sentire i Kameloth in sottofondo, con una voce in scream e growl. Notevole è la fase melodica che dura fino alla fine, dove tutto scorre come un fiume in piena e si raggiunge la perfezione del puro Gothic Metal, che richiama addirittura Type 0 Negative, Sentenced e Poisonblack: davvero sublime. Il tutto viene però immediatamente spazzato via dalla furia black metal di “Into the Eternal Pits of Nothingness”, un pezzo velocissimo e rabbioso, con urla disperate che si innalzano al cielo e la guerra vera e propria le accompagna. Tutta la delicatezza e la sublime bellezza del brano precedente, viene stravolta e decostruita, per creare un’opera che nasce dalle sue ceneri, come macabra fenice. Una scultura di carne e sangue, nata dal cadavere di una splendida fanciulla! Arrivo quindi a metà di “Over the past”, con “Drawn by Nightmares”. Voce calda e sensuale, che si limita a recitare senza l’accenno di canto, fino all’ingresso della batteria, a quel punto le vocals accennano ad un lirico canto. Un brano che è a metà tra una ballad e il ritorno del Gothic metal più contaminato e di cui conserva solo piccoli accenni. Devo dire che per quanto si tratti un brano che calza molto bene all’interno del disco, non mi trovo ad apprezzarlo più di tanto, forse per le troppe e troppo distanti contaminazioni di generi messe in pentola. L’unica cosa che mi fa drizzare le orecchie, sono i cori sinfonici nell’ultima parte, che trovo azzeccati e davvero meritevoli. Numero sei per “There Was a Man”, con violini in apertura e poi esplosione di furia totale, che fa da ponte, evidentemente, al suono di “Into the Eternal Pits of Nothingness”; a quanto pare la band ha deciso di alternare i brani più violenti a quelli più maestosi e mi trovo ad essere d’accordo con questa scelta nella tracklist, che rende il disco più vario e mai monotono. E’ tuttavia un brano molto valido, che racchiude in se, tutta la varietà sonora che troviamo in tutto il disco. Tastiere che sprigionano note maestose, per “Four Hundred Years”, che subito si vanno ad amalgamare alla perfezione con il resto degli strumenti, per un brano molto meno furioso di “There Was a Man”, ma con la stessa grinta e cavalcata in doppia cassa. Brano anche questo molto vario e pieno di varietà compositiva, pur mantenendo immediatamente lo stile della band, che devo dire mi sta conquistando man mano che “Over the Past” prosegue. “Transition”, è una sorta di intermezzo strumentale dove il pianoforte la fa da padrone, accompagnato dagli altri strumenti per dargli man forte, di circa tre minuti. Una composizione molto evocativa che torna a parlarci di ville abbandonate e cimiteri perduti nel tempo, dove ora solo i corvi tengono compagnia alle anime che non trovano pace, dove l’unico calore è il fuoco fatuo e gelido dei loro simili… Ultima prova per “Evening Star”, dove le atmosfere di inizio album tornano prepotenti, si arricchiscono e si caricano della violenza delle canzoni successive, che qui raggiungono forse la perfezione, dove tutti gli ingredienti sono mescolati sapientemente, per creare un piatto in cui i sapori sono distinti e perfettamente distinguibili. Grandioso!
Per finire, posso dire che si tratta di un album che sceglie di mescolare gli elementi che sono più congeniali alla band, per tirare fuori qualcosa che, di primo acchitto, può far storcere il naso, ma che poi riesce a farsi amare, nota dopo nota. Non mancano i momenti più calmi e quelli più rabbiosi, evocativi, strumentali, il tutto sorretto da una magnifica abilità nella composizione ed una produzione perfetta. Assolutamente consigliato a chiunque!