01. Múspell
02. Niflheimur
03. Niðavellir
04. Miðgarður
05. Útgarður
06. Álfheimur
07. Ásgarður
08. Helheimur
09. Vanaheimur
01. Múspell
02. Niflheimur
03. Niðavellir
04. Miðgarður
05. Útgarður
06. Álfheimur
07. Ásgarður
08. Helheimur
09. Vanaheimur
Sinceramente quel “Born Loka” di qualche anno fa, non mi fece impazzire di gioia, ed ancora lo considero un dischetto mal riuscito. Non che gli Skálmöld siano dei particolari geni musicali, ma hanno dimostrato di saper fare meglio, sia con il loro debutto, sia con “Með Vættum”, pur con i loro alti e bassi.
Il nuovo concept della band è ispirato ai reami legati all’albero della vita Yggdrasill, nove canzoni per nove mondi.
La ricetta della band non ha subito chissà quali evoluzioni in questi anni, possiamo dire che il combo islandese si sia mostrato più coinciso del solito questa volta, lo dimostra il minutaggio dei singoli brani che non supera quasi mai i 5 – 6 minuti, tranne che per l’ultima traccia.
Per il resto i nostri propongono il loro granitico viking metal, pieno di cavalcate, con qualche esternazione ritmica più estrema, growling cavernoso con bordate di screaming qui e li, ed aperture a solenni cori epici di chiaro stampo nordico, o di melodie più goderecce e popolari, stesso stampo, ma con più allegria.
Su “Vögguvísur Yggdrasils”, gli Skalmold sono stati molto attenti nel rappresentare al meglio i diversi mondi attraverso la musica, ma senza stravolgere il proprio songwriting, riprendendone invece le peculiarità ed adattandole di volta di volta ad ogni brano rappresentante. Un buon lavoro quindi, perché sono riusciti in questo modo anche a valorizzare quelli che considero un po’ i punti più deboli della loro proposta musicale, tipo quando si fossilizzano su un andazzo monocorde che il più delle volte tende ad annoiarti non poco.
Si comincia quindi con la nera “Mùspell”, nella quale sembra di sentire il crepitio infernale del “mondo del fuoco”, così come nella cadenzata e fredda “Niflheimur” sembra quasi di toccare con mano il gelo del “Mondo del ghiaccio”, mentre i lenti e cadenzati passi che riecheggiano nel “mondo dei giganti” sembrano materializzarsi perfettamente in “Útgarður”.
Dal punto di vista strettamente musicale gli episodi più immediati sono naturalmente quelli più folk oriented, dedicati al “mondo dei nani” (Niðavellir) ed a quello degli umani (Miðgarður), soprattutto i gioiosi ritmi da taverna della prima, sanno rapire immediatamente l'ascoltatore.
Se per "Helheimur" la band sceglie di appoggiarsi ad una ritmica che sa molto di metal classico e crea una godibile variante del platter, sono gli Skálmöld più dinamici che riescono invece a costruire il vero brano principe del disco: "Vanaheimur", i cui 9 minuti passano così celermente che neanche ce ne accorgiamo, grazie ad un buonissimo utilizzo delle melodie ed arrangiamenti ad hoc, dediti a dare la giusta epicità al "mondo delle divinità Vanir"-.
Gli Skálmöld non saranno in prima fila insieme a TYR o Amon Amarth o ad altri nomi ben noti della combriccola del viking metal nelle sue varie sfaccettature, ma hanno saputo tenere botta con questo nuovo disco, forse grazie ad un modo più consapevole sul come gestire al meglio il proprio potenziale ed i propri limiti.