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Opinione inserita da Virgilio    08 Marzo, 2021
Ultimo aggiornamento: 08 Marzo, 2021
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Ci sono band che per la natura stessa del loro stile, sfuggono a qualsiasi catalogazione. Potremmo dire semplicisticamente che i Cyrax, giunti con "Experiences" al loro terzo full-length, suonino progressive metal: tuttavia, questo potrebbe significare tutto e niente, perchè questa potrebbe essere una definizione corretta ma al tempo stesso fuorviante per descrivere la loro musica. Ciò perchè la band effettivamente propone brani dai temi cangianti e con tempi dalla complessa periodicità, destrutturando la classica forma-canzone, ma va anche detto che si muove tra generi totalmente diversi, mischiando con assoluta semplicità metal, jazz, country, cori gotici e chi più ne ha più ne metta. I loro brani sono assolutamente geniali ed imprevedibili, frutto di una "follia" (in senso buono) creativa che sfugge a qualsiasi schema o convenzione. Basti ascoltare quanto siano totalmente spiazzanti in un brano come "Dorian Gray", che parte da un piano jazz per poi passare ad un'autentica commistione tra jazz, death metal e power metal. Oppure "Truemetal", con il suo titolo forse un po' provocatorio, perchè presenta un testo magari davvero tipico di band che si professano "true", ma che invece va a mettere dentro blues, sonorità elettroniche, country, parti in growl, cori metal e un finale molto cinematografico. Ancora, si passa dal mathcore di "Wozzeck" al jazz rock di "Odysseia" o al metal aggressivo e sincopato di "Global Warming".
Questo è reso possibile anche dal fatto che la band, un quartetto composto da voce, due chitarre e batteria, in realtà si avvale di un numero molto ampio di musicisti e cantanti, immaginiamo in alcuni casi anche di estrazione alquanto distante dal metal, creando così un insieme molto variegato, aperto alle più svariate soluzioni.
Un album davvero sorprendente dall'inizio alla fine, probabilmente non adatto a chi preferisce la semplicità e la linearità o a chi non è aperto alla commistione tra generi diversi, ma a nostro parere si tratta di un disco davvero geniale ed originale, sia a livello compositivo che per gli arrangiamenti, che non esitiamo a considerare come un piccolo capolavoro, assolutamente meritevole di attenzione.

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Opinione inserita da Virgilio    17 Febbraio, 2021
Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 2021
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I Marble avevano pubblicato un album nel lontano 2008, seguito da un EP del 2010. Abbiamo dovuto attendere quindi ben undici anni per poter ascoltare un loro nuovo disco: il lavoro in questione è un full-length, intitolato "S.A.V.E.". I brani sono tutti focalizzati sui sette peccati capitali e sulle tre virtù teologali, per cui ciascuna traccia affronta, in ordine sparso, uno di questi temi, più l'ultima, conclusiva, che è una strumentale intitolata "Sins And Virtues End". Naturalmente, oltre che a livello di testi, anche sotto il profilo musicale la band cerca di trasmettere determinati sentimenti o sensazioni che possano richiamare un determinato vizio o virtù, anche se poi lo fa in modo per nulla scontato: può succedere, infatti, che "30 Silver Coins", brano dedicato alla speranza, sia poi uno dei più aggressivi, (tra l'altro con l'apporto delle growl vocals di Maurizio Caverzan degli In-Sight), mentre per contro "A Darker Shade Of Me", dedicato all'ira, è una delle tracce più soft, interpretata con chitarre acustiche e archi. A livello di line-up, ci sono due novità rispetto al passato, ovvero Norman Ceriotti alla batteria e Eleonora Travaglino dietro ai microfoni. Quest'ultima, si rende autentica protagonista dei brani, con la sua voce alquanto versatile, tra passaggi dolci e suadenti e altri carichi di grinta e vigorosi. Lo stile è un metal melodico dalle venature prog, caratterizzato da un buon mix tra potenza e melodia, con una sezione ritmica solida e tecnica, un ottimo lavoro chitarristico ad opera del duo composto da Paul Beretta e Omar Gornati, nonché con le tastiere di Jacopo Marchesi, che conferiscono alla band un sound più pieno e corposo, senza tirarsi indietro quando si tratta di lanciarsi in dirompenti assoli. L'album si rivela in generale ben strutturato e arrangiato; da segnalare, altresì, come il lavoro di produzione sia stato curato da Giulio Capone (Moonlight Haze, ex Temperance, Bejelit), ad eccezione della canzone "Mine", in quanto, avendo vinto la band un contest, questa è stata affidata a Marko Tervonen (The Crown), il quale si è occupato anche del mixaggio e del mastering. Per questo ritorno, i Marble, dunque, non puntano su effetti speciali o su chissà quali innovazioni: al contrario, si focalizzano su un metal melodico abbastanza classico, offrendo però un prodotto con diverse belle canzoni e realizzato con la massima serietà e professionalità possibili. "S.A.V.E" si rivela dunque un piacevole ascolto, per cui non possiamo che auspicare che la band riesca a stabilizzare la line-up, confermandosi come una presenza più costante della scena metal nazionale, almeno più di quanto non sia avvenuto finora.

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Opinione inserita da Virgilio    09 Febbraio, 2021
Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 2021
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I Perduratum si formano in Messico nel 2019 con musicisti che hanno una notevole esperienza in ambito underground, ma qualcuno anche in band con una discografia alle spalle di tutto rispetto (in particolare, il batterista Aruh milita anche nei thrashers Tulkas). Questo primo EP, intitolato "Exile's Anthology", è composto da quattro tracce, per una durata complessiva di circa venti minuti. A parte l'opener "Anachrony", una breve intro strumentale, la parte più interessante del disco è composta dai successivi tre brani, con i quali la band mette in mostra un prog metal molto tecnico, ispirato ai principali act del genere. "Assumption" è tendenzialmente più diretta e lineare rispetto alle altre due, nelle quali invece la band sfodera una struttura un po' più articolata, con cambi tematici e ampie digressioni strumentali. La sezione ritmica è molto solida e tecnica, mentre il chitarrista James Ponce e il tastierista Edgar Butanda danno dimostrazione di virtuosismo con fraseggi complessi e intricati e splendidi assoli. Buona anche la prova del cantante Diego Cholula, dotato di una voce molto alta, influenzato da singer prog metal come Michael Eriksen dei Circus Maximus e Nils K.Rue dei Pagan's Mind, ma anche da cantanti di generi differenti quali Einar Solberg dei Leprous o Matt Bellamy dei Muse. Davvero un buon biglietto da visita per questa band, che dopo questo assaggio ci aspettiamo di ascoltare presto anche con un vero e proprio album.

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Opinione inserita da Virgilio    04 Febbraio, 2021
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Proprio un anno fa gli Elegy Of Madness avevano pubblicato l'album "Invisible World", un disco con cui hanno riscosso buoni consensi e con il quale hanno partecipato ad un contest e ricevuto un premio nella loro città di origine, Taranto. Ne è conseguita la possibilità di riprendere il video di uno show speciale registrato con l'accompagnamento della Giovane Orchestra Jonica, diretta dal Maestro Fabio Orlando. Per un concerto speciale, serviva anche una location speciale, per la quale è stato scelto il Teatro Fusco di Taranto. Lo show ha avuto luogo lo scorso 7 ottobre e ne è stato ricavato un DVD, con il quale gli Elegy Of Madness si confermano ancora una volta una band davvero di talento e di valore, che propone un metal sinfonico che certamente strizza l'occhio ad act come Nightwish o Epica, ma che allo stesso tempo ha saputo trovare la propria dimensione espressiva, riuscendo a proporre canzoni affascinanti ed in grado di emozionare, arricchite da squisiti arrangiamenti, come dimostra più che mai con questo video. Il gruppo pugliese presenta una bella scaletta, concentrata quasi esclusivamente sugli ultimi due album, "New Era" del 2017 e, appunto, il nuovo "Invisible World", eseguito nel corso della serata praticamente per intero. Uniche eccezioni rispetto a brani estratti da questi due dischi sono due strumentali, una che funge da intro e un'altra traccia intitolata "To Esperia", nella quale viene data maggiore evidenza all'orchestra: in particolare, peraltro, la prima consente alla cantante un ingresso solenne percorrendo tutto il teatro con un abito dotato di un lunghissimo strascico e persino due valletti, che la accompagnano fino al palco, aiutandola poi, al termine della prima canzone, ad assestarsi con un abbigliamento almeno un po' più agevole da indossare. Proprio la singer Stefania "Anja" Irullo è una grande protagonista con la sua bellissima voce, davvero in gran forma e, in qualche occasione, come di consueto, affiancata anche dal growl del chitarrista e fondatore del gruppo, Tony Tomasicchio. In generale, però, la performance della band è davvero eccellente e i brani acquistano maggiore profondità e ricchezza espressiva con l'apporto di una vera orchestra, tanto che anche qualche traccia che non ci aveva entusiasmato particolarmente nella versione in studio dell'album, qui appare decisamente più convincente. Con riguardo al dvd, evidenziamo come il palco magari non fosse particolarmente grande rispetto al numero dei musicisti, ma il gruppo pugliese ha saputo offrire un bello show anche per quanto riguarda la presenza scenica, le luci, nonchè per una considerevole presenza di telecamere, che ha consentito di ottenere diverse inquadrature da tante angolazioni, conferendo anche maggiore vivacità alla parte video; a ciò si aggiunge tutto il calore del pubblico tarantino, che con grande partecipazione ha presenziato all'evento, tanto che il Teatro Fusco era davvero gremito. Insomma, un prodotto realizzato davvero come si deve, da parte di una band che magari non dispone normalmente di un budget paragonabile a quello di tanti altri gruppi di punta europei, ma che in quest'occasione ha dimostrato di saper fare le cose per bene, valorizzando ulteriormente la propria già bella musica.

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Opinione inserita da Virgilio    23 Gennaio, 2021
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TDW altro non è che l'acronimo di Tom de Wit, cantante, polistrumentista e produttore, che alterna la propria produzione discografica con questo moniker e con quello dei Dreamwalkers Inc. Questo nuovo lavoro, intitolato "The Days The Clock Stopped" è un concept album ispirato a reali esperienze vissute da de Wit: infatti, all'età di diciannove anni, il musicista olandese ha avuto diagnosticata una grave malattia all'intestino, che lo ha portato a subire una serie di vicissitudini e persino a rischiare la vita in più di un'occasione. Già questo può fare intuire come si tratti di un lavoro dunque molto sentito dall'autore a livello personale, perchè finora si era servito nel corso della sua carriera magari di personaggi inventati per descrivere anche propri stati d'animo, ma che qui ha deciso di mettersi in gioco proprio di prima persona. La musica appare dunque sin da subito incentrata molto sull'aspetto emotivo, nello sforzo di trasmettere realmente delle sensazioni e delle situazioni vissute in maniera diretta. L'album, per la verità, stenta un po' a partire nella fase iniziale, tra passaggi lenti e voci soffuse, ma soprattutto dalla terza traccia in poi comincia a svelarsi in tutta la propria forza espressiva, con brani davvero molto articolati, con trame intricate, arrangiamenti meravigliosi e un utilizzo imponente sia di strumenti, con tanto di archi e orchestrazioni, sia di voci, che si trovano a duettare, concertare o ad intrecciarsi, grazie ad un autentico coro che riesce ad arricchire non poco le composizioni. Un prog metal di pregevole fattura, che a tratti tradisce influenze dei Pain Of Salvation dell'epoca d'oro e che tocca il culmine nella suite "No Can Do", una traccia di oltre diciotto minuti. Peraltro, va anche detto che de Wit si avvale dell'apporto di una line-up di tutto rispetto, nella quale spiccano Rich Gray (Aeon Zen, Annihilator) al basso e Fabio Alessandrini (Annihilator) alla batteria, oltre ad una serie di chitarristi solisti di notevole spessore: non li citiamo tutti perchè sono tanti ma, giusto per rendere l'idea, ci limitiamo a menzionare Marco Sfogli, Daniel Magdič (Prehistoric Animals, Ex-Pain of Salvation), Koen Romeijn (Detonation, Heidevolk), Chris Zoupa (Teramaze) e Luca Di Gennaro (Soul Secret). Insomma, pur conoscendo Tom de Wit, siamo rimasti sinceramente stupiti da questo lavoro, davvero ricco per contenuti e per qualità musicale, che va apprezzato con calma e senza fretta.

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Opinione inserita da Virgilio    15 Gennaio, 2021
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Vedendo questa nuova uscita degli Edenbridge, ci viene da pensare davvero quanto il tempo passi in fretta! Sono trascorsi infatti ben quattordici anni da quando la band austriaca pubblicava "The Chronicles Of Eden", una raccolta antologica che comprendeva il meglio dei propri primi cinque album. Peraltro, a ben riflettere, si sono mediamente allungati i tempi di pubblicazione della band, se consideriamo che la prima compilation uscì ad appena sette anni dal debutto "Sunrise In Eden", mentre ne sono passati un po' di più perchè si giungesse ad altri cinque album. Ad ogni modo, questa seconda parte raccoglie canzoni tratte da "MyEarthDream" del 2008, fino a "Dynamind" del 2019: per l'occasione, sono stati coinvolti i fan, in modo da scegliere quattro tracce per ogni album. Per completare la tracklist, sono stati inseriti anche alcuni brani strumentali, inizialmente pubblicati solo come bonus track: in particolare, si tratta di "MyEarthDream Suite (For Guitar and Orchestra)" e di due tracce tratte dalle sessioni di "Solitaire", ovvero "Inward Passage" e "Eternity" (due brevi strumentali non particolarmente degne di nota). Di propriamente inedito non c'è molto, a parte qualche versione alternativa: in particolare, vengono riproposte in doppia versione (cioè sia l'originale sia una nuova inedita acustica) le hits "Higher" e "Paramount"; inoltre, c'è una nuova versione solo per voce e piano di "Dynamind" (della quale, invece, non è stata inclusa l'originale). Insomma, non c'è tantissimo per ingolosire i fan che conoscano già la discografia della band, però bisogna riconoscere come in questo doppio album, contenente ben ventisei tracce, la scelta sia stata davvero molto varia e assortita, cosicchè, accanto ovviamente a brani magari più catchy e diretti, ritroviamo anche tracce monumentali e di lunga durata come "The Greatest Gift of All", "The Bonding" e "MyEarthDream". Un buon campionario, dunque, di quello che la band austriaca ha saputo realizzare, con il suo metal melodico dalle tinte sinfoniche, che l'autore e polistrumentista Lanvall ha costruito attorno alla voce di Sabine Edelsbacher: una discografia di tutto rispetto, che ha permesso alla band austriaca di conseguire un buon successo e una solida base di fan in tutto il mondo; a tal proposito, anzi, non escludiamo che, magari, proprio questa compilation, potrà essere utile anche a conquistarne di nuovi.

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Opinione inserita da Virgilio    12 Gennaio, 2021
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Dei Return To Void avevamo davvero apprezzato particolarmente il secondo album, "Memory Shift The Day After", nel quale segnavano una decisa svolta verso il progressive metal. Con questo nuovo lavoro, intitolato "Infinite Silence", la band finlandese mischia nuovamente le carte in tavola, tornando ad un sound meno complesso, con un certo flavour settantiano (già presente nel loro omonimo debut album) che ogni tanto fa capolino, enfatizzato dall'utilizzo dell'hammond. Non vengono tuttavia totalmente eliminati gli elementi prog, per quanto comunque i pezzi siano certamente meno complessi e puntino maggiormente su una struttura più tipica della forma canzone, con strofe e bridge, un refrain melodico e qualche divagazione strumentale, con assoli a cura del chitarrista Saku Hakuli e del tastierista Antti Huopainen. Dobbiamo dire che comunque tutti i musicisti dimostrano buona personalità e riescono a dare il proprio significativo contributo: una menzione a parte merita però il cantante Markku Pihlaja, che ogni tanto tradisce i proprio trascorsi da "coverista" di Bruce Dickinson, ma che in generale riesce ad emanciparsi dalle proprie influenze per offrire delle performance che si coniugano alla perfezione con lo stile della band. In generale, in tutta sincerità, preferivamo i Return To Void ascoltati nell'album precedente: va anche riconosciuto, tuttavia, come il combo finlandese si sia impegnato per ottenere un sound corposo e rotondo, che riesce ad essere convincente. Per contro, qualche traccia in quest'ottica risulta forse eccessivamente dilatata, come anche in qualche brano non ci hanno convinto i suoni delle chitarre, quando invece i riff sono un elemento fondamentale nella loro musica. Ad ogni modo, nell'insieme, "Infinite Silence" riesce ad essere alquanto coerente ed omogeneo, con alcune tracce davvero niente male, quali ad esempio l'opener "Aliveness", "Full Circle", "Mosaic Of Light And Shadow" o "Departed And Arrived". Un disco, dunque, con il quale va dato atto di come i Return To Void stiano conducendo, album dopo album, un autentico percorso artistico, che vale la pena senz'altro di seguire e di conoscere, ascoltando anche questo nuovo tassello della loro discografia.

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Opinione inserita da Virgilio    28 Dicembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 2020
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"Leap Of Faith" è il titolo del primo full-length dei greci Peculiar Three, che segue il loro debutto con l'EP "P3culiar" del 2014. Al di là di una qualità del suono non particolarmente soddisfacente, benché siano trascorsi un po' di anni dalla loro prima fatica discografica, si riscontrano ancora alcune acerbità: ad esempio, la voce manifesta in alcuni casi evidenti limiti, come anche a livello stilistico c'è una certa disomogeneità tra un brano e l'altro. Diciamo che, a nostro avviso, la band presenta le intuizioni migliori quando si cimenta in un sound grezzo e costruito su riff decisi, dal forte sapore ottantiano, come avviene ad esempio nel caso della title track o di "Knaves o' Knives". In un paio di brani (in particolare in quelli iniziali), sono stati inseriti anche assoli alquanto particolari, magari però non bene amalgamati nel contesto delle tracce, ma va anche detto che ci convincono decisamente meno alcuni episodi dove la band cerca di puntare su un lato atmosferico del proprio sound, come nel caso di "Innermost" o "Marginal". Dalle influenze maideniane di "Inkblot", si passa poi a incursioni nel metal sinfonico con "Caliban's End": insomma, c'è tanta carne al fuoco, ma la sensazione è che la band debba ancora trovare la chiave e i giusti equilibri per sfruttare al meglio tutte le proprie potenzialità. "Leap Of Faith" è un importante passo avanti in tal senso, ma c'è ancora da lavorare.

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Opinione inserita da Virgilio    16 Dicembre, 2020
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I Ritual sono una prog band svedese formatasi nei primi anni '90, con quattro studio album e un live all'attivo, l'ultimo dei quali pubblicato ben tredici anni fa. A detta del gruppo scandinavo, le cause di una così lunga pausa sarebbero diverse: già la band non è di per sè particolarmente veloce (mediamente sono passati quattro anni tra un album e l'altro) e a ciò si è aggiunto, tra le altre cose, il fatto che il cantante/leader Patrik Lundström, oltre a essersi dovuto trasferire (per cui non abita più vicino agli altri tre membri), si è interessato anche ad altri progetti. Tuttavia, l'amore per questa band non è stato dimenticato e così questi ha continuato a scrivere, realizzando dapprima un concept e lavorando poi alla relativa musica. La situazione è diventata tuttavia così complessa che ne verrà fuori un doppio album, il quale richiederà tempistiche piuttosto lunghe. Per non far passare troppo tempo, ecco il motivo della pubblicazione di quest'ep, che anticipa tre brani che saranno inclusi nella prima parte, più un quarto che farà parte invece del secondo disco. La band privilegia perlopiù sonorità acustiche, utilizzando strumenti particolari come mandolino, bouzouki, flauti, armonica e così via. I brani si muovono dunque proprio in questa direzione, con arrangiamenti raffinati e un approccio vocale molto teatrale e talvolta volutamente retrò. Particolare l'ultima traccia, "The Mice", lunga oltre nove minuti e caratterizzata da un lungo intermezzo strumentale. Diciamo che quest'ep rappresenta un piccolissimo assaggio di quello che sarà l'opera completa e probabilmente sarà anche insufficiente per farsi un'idea precisa: in realtà, peraltro, ci saremmo aspettati una vena leggermente più tendente al folk, che comunque è presente. La funzione di quest'ep è dunque quella fondamentalmente di riscaldare l'audience in attesa di un ritorno in grande stile. In tutta sincerità, queste prime anticipazioni non ci hanno particolarmente entusiasmati, ma da una band come i Ritual è lecito aspettarsi di tutto, quindi attendiamo con curiosità quanto arriverà prossimamente da parte loro.

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Opinione inserita da Virgilio    09 Dicembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 2020
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Gli Alter Bridge avevano pubblicato l'anno scorso l'album "Walk The Sky", al quale era seguito un tour negli Stati Uniti d'America. In realtà erano programmate altre date, poi cancellate a causa della pandemia da Covid-19, per cui ecco che arriva questo EP, intitolato semplicemente "Walk The Sky 2.0": un titolo, per la verità, che certo non brilla per fantasia, ma che allude al fatto che in pratica si tratta di brani tratti dall'ultimo album ed eseguiti dal vivo, ai quali è stato aggiunto un inedito, intitolato "Last Rites". Ci si potrebbe chiedere, in effetti, quale sia il motivo di un'uscita di questo genere: avrebbe potuto essere pubblicato a questo punto un cd live completo, ma probabilmente la band non ha voluto tornare su questo formato, avendo già rilasciato di recente il "Live at the Royal Albert Hall" nel 2018 e il "Live at the O2 Arena" l'anno prima. Nel nuovo EP ritroviamo invece dal vivo alcuni tra i brani più rappresentativi tra quelli inclusi nell'album, come "Wouldn't Rather", "Pay No Mind" e la coinvolgente "Godspeed", accanto ad altri che, per la verità, non sembrano rendere particolarmente come "Native Son" e "Dying Light". Insomma, nulla di imprescindibile, semplicemente una testimonianza di queste canzoni dal vivo e un assaggio di questo tour per chi ha potuto partecipare e per chi, per contro, non ha potuto presenziare per l'annullamento delle date. Per rendere un minimo più appetibile la release, è stata inclusa, come dicevamo, anche una nuova canzone, "Last Rites", scritta proprio durante il lockdown, caratterizzata da riff potenti, con un bridge e un ritornello che in effetti funzionano molto bene. Ad ogni modo, possiamo considerare questo "Walk The Sky 2.0" un'uscita rivolta essenzialmente agli autentici die-hard fans, mentre gli altri possono tranquillamente astenersi.

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