Opinione scritta da Daniele Ogre
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#1 recensione -
Da una delle nazioni più fertili per quanto riguarda il Metal estremo, la Grecia, arriva il debut album dei Serement, quartetto Blackened Death ateniese che per Dolorem Records (con formato cassetta licenziato da Iron, Blood and Death Corporation) pubblica "Abhorrent Invocations". Nove sono i brani che compongo quest'opera prima dei nostri, con coordinate stilistiche facilmente intuibili sin dalle primissime note dell'opener "Stench of Torment" - uno dei singoli apripista insieme a "Forging Darkness" -; stilisticamente i Serement si rifanno in tutto e per tutto alla scuola Blackened Death centroeuropea: il trittico polacco Behemoth/Hate/Azarath, God Dethroned, Belphegor... quelle sonorità insomma dalle atmosfere empie e sacrali e dall'incedere epico, fatto di brutali sfuriati e sapienti rallentamenti in cui ritroviamo all'istante quelle arie tipiche delle sonorità odierne di Nergal e soci. A questo si uniscono poi sovente patterns che rimandano alla scuola Death Metal sudamericana, e più nella fattispecie quella 'classica' brasiliana di Krisiun, Abhorrence e Rebaelliun, specie in certe tipiche sfuriate che ricordano i suddetti, come nella parte conclusiva di "Sworn". Siamo di fronte ad un debutto - almeno su lunga distanza, visto che la band ellenica ha già pubblicato nel 2022 l'EP "Deviation from God" -, quindi qualche piccola pecca è anche perdonabile; e per pecca, se la vogliamo vedere così ovviamente, intendiamo le influenze al momento forse ancora troppo marcate: da una lato i chiari riferimenti permettono di trovare all'istante un target di pubblico ben specifico - e non sono pochi i fans di Behemoth e Belphegor -, ma dall'altro i Serement mancano di quel pizzico di personalità in più che li faccia emergere dal novero dei tanti gruppi che rifanni ai succitati colossi. Certo è che il biglietto da visita rappresentato da "Abhorrent Invocation" è di quelli che si fanno notare: i due buonissimi singoli, la solenne "Frozen Dawn of Death" e la tellurica "Honor of the Leech" sono la dimostrazione di come i Nostri partano con basi già solide, vuoi anche perché i musicisti coinvolti non sono propriamente dei novellini (3/4 arrivano dai Blessed by Perversion, mentre il batterista Vagelis Vasilopoulos suona anche nei Sickening Horror, n.d.r.). C'è insomma ancora qualcosina da fare per emerger del tutto dalla massa, ma con un inizio come questo "Abhorrent Invocations" possiamo essere quasi certi che in futuro sentiremo ancora parlare dei Serement.
Gli statunitensi Cardiac Arrest - da Chicago, Illinois - sono uno di quei gruppi che si muovono nell'underground Death Metal a stelle e strisce sin dalla fine degli anni '90 rimanendo sempre fedeli alle proprie radici e sonorità; un carriera dunque che dura ormai da quasi trent'anni e costellata, oltre che da alcune uscite minori tra EP, demo e split, da ben otto studio album, l'ultimo dei quali è l'appena pubblicato da Hells Headbangers Records "The Stench of Eternity". Musicalmente siamo negli stessi identici territori cui i Cardiac Arrest ci hanno abituato sin dal debut album "Morgue Mutilations" del 2006: niente accenni melodici, niente orpelli ad abbellire la proposta, solo ed esclusivamente un Death Metal quanto mai diretto ed "ignorante", in cui le influenze di 'gentaglia' come Autopsy, Cianide e Master - questi ultimi nei passaggi più Thrash-ish - sono riscontrabili all'istante. Ed a proposito di Thrash, i Nostri omaggiano gli Slayer trasportando nella parte centrale del singolo "Victims of Blasphemy" l'incipit di "Hell Awaits". Detto di questa curiosità, tutto "The Stench of Eternity" è un lavoro senza fronzoli in cui i Cardiac Arrest prediligono spingere sull'acceleratore andando spesso a toccare le corde di quel Death/Punk à la Abscess ("Beg, Plead, Crawl", "Born to Be Buried"). Se non siete dei neofiti del genere saprete già esattamente dove andrà a parare il quartetto di Chicago: i Nostri non si muovono dai loro spazi sicuri e affondano le unghie ed i denti sin dall'attacco di "Maggotbrain" regalandoci la loro ennesima dose di Death Metal old school nudo e crudo; poi se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo, la lunga traccia conclusiva "From Civilized to Sadistic" è probabilmente l'unico punto un po' più debole dell'opera, proprio perché i Cardiac Arrest danno il loro meglio quando possono attaccare a testa bassa, ed un pezzo di oltre 11 minuti li porta a perdere di mordente con il passare del minutaggio. Ma insomma, se siete fans di quel Death diretto senza alcuna particolare infiorettatura con qualche sfuriata punkeggiante ed un'attitudine slayeriana, "The Stench of Eternity" saprà saziare la vostra fame di questa musica e darvi del sanissimo ed ignorantissimo intrattenimento.
#1 recensione -
Cinque anni sono passati da "Paradox" ed ecco ritornare i veterani Nocturnus AD con quello che paradossalmente è solo il loro secondo album (non andiamo ovviamente a contare i tre rilasciati con il nome Nocturnus): "Unicursal", appena licenziato da Profound Lore Records. Il loro sound resta fortemente ancorato a quel Death tecnico di fine anni '80/inizi '90, cosa tra l'altro più che normale dato che la loro genesi è avvenuta in contemporanea con gruppi come Atheist e Pestilence - tanto per fare un paio di nomi -, con in più un massiccio uso di tastiere che danno alle composizioni dei Nostri quelle atmosfere spaziali che si sposano alla perfezione con le loro tematiche sci-fi. Possiamo comunque notare come il tempo sia passato: rispetto alle produzioni più vecchie i Nocturnus AD prediligono ritmiche meno rapide, anche se sicuramente ancora belle arcigne - vedasi l'opener "The Ascension Throne of Osiris" o il singolo "Yesod, the Darkside of the Moon" -; non è però scemato il livello tecnico della band di Tampa, che anzi ancora dà il meglio in quei passaggi più progressivi e nei cambi di tempo repentini quanto chirurgicamente precisi, guidati dal sempre abile batterista/cantante Mike Browning (anche se va detto che sul piano metrico delle linee vocali denotiamo una certa ripetitività), mentre le chitarre tra assoli ben congegnati e bei riff tritacarne si aprono anche a buone melodie che s'intersecano con quello che è un po' il marchio di fabbrica dei Nocturnus AD, ossia le tastiere di Josh Holdren. Nel complesso, nonostante la durata complessiva importante del platter - sfioriamo l'ora -, "Unicursal" è un lavoro che si lascia ascoltare e che saprà fare leva soprattutto sui die hard fans delle sonorità Death/Thrash tecniche di fine 80's ed inizi 90's. Come da titolo insomma, nel segno della tradizione.
Fummo particolarmente colpiti due anni fa quando gli Tzompantli di Brian Ortiz (Xibalba) fecero il loro debutto su lunga distanza su 20 Buck Spin con "Tlazcaltiliztli" ed il loro Death/Doom dalle atmosfere mesoamericane; proprio dopo l'uscita del debut album le cose cominciarono a cambiare per gli Tzompantli, non tanto musicalmente - anche se qualche novità oggi la troviamo -, ma quanto più per la formazione, divenuta oggi un collettivo di undici musicisti tra strumenti tradizionali del Metal, strumenti tradizionali del folklore mesoamericano e percussioni. Questo fa sì che il lavoro di composizione di questo nuovo "Beating the Drums of Ancestral Force" sia stato decisamente accurato e con un grandioso lavoro di arrangiamenti. Le atmosfere mesoamericane hanno un'importanza ancor maggiore rispetto al già ottimo debutto, mentre sul piano prettamente Death/Doom i Nostri continuano a muoversi in quei tetri e mortiferi territori di gente come Disembowelment, Rippikoulu e Spectral Voice... ma non solo. Uno dei punti forti in fase di arrangiamento dei pezzi in questo nuovo disco degli Tzompantli è dato dal grandioso lavoro fatto in 'sede atmosferica': prendete il singolo "Tlayohualli", che con il suo incedere pachidermico e le tastiere in crescendo ricorda molto da vicino certe composizioni di Evoken ed Ahab; subito dopo troviamo poi uno degli highlight del disco con "Tlaloc Icuic", che dà tutta l'impressione di essere un rito sciamanico in chiave Death/Doom. "Beating the Drums of Ancestral Force" è un disco che affascina sempre di più di ascolto in ascolto, grazie alla capacità quasi innata degli Tzompantli di unire un pachidermico incedere Death/Doom con le più sinistre e truci atmosfere delle popolazioni mesoamericane; in questo modo i musicisti del collettivo si riuniscono alla spiritualità delle proprie radici, riuscendo nel contempo a non sminuire la potenza delle fondamenta Death/Doom su cui poggia l'intera opera. Atmosfere alla Evoken torneranno anche nelle più lunghe "Tetzaviztli" ed "Icnocuicatl", ma è innegabile come l'intero album ci abbia fatti restare incollati dal primo all'ultimo secondo, riuscendo nel non facilissimo intento non solo di confermare le buone impressioni suscitate dal debut album, ma persino a superarle con un disco profondo tanto a livello strumentale quanto culturale e spirituale. Da prendere ad occhi chiusi e da ascoltare con estrema attenzione.
#1 recensione -
Insomma... non crediamo sia del tutto un caso che l'esordio dei Gatecreeper sotto la potente ala di Nuclear Blast Records con questo nuovo "Dark Superstition" - terzo studio album per la band dell'Arizona - coincida con un cambio stilistico e/o un'evoluzione (che dir si voglia) per i Nostri. Chi ha infatti apprezzato il Death Metal roccioso tra Dismember e Bolt Thrower "sporcato" da una forte componente hardcoreggiante dei primi due lavori dei Chase Mason e soci, potrà infatti rimanere spiazzato al primo ascolto di questa nuova fatica del quintetto, che si apre maggiormente a melodie di marchio scandinavo che riportano al Melodic Death dei primordi. Bastano le prime due tracce "Dead Star" ed "Oblivion" per riscontrare immediatamente come le influenze di Dismember e Bolt Thrower siano ora relegate ad un'eco di sottofondo, mentre predominante divengono soluzioni stilistiche che richiamano all'istante certi lavori dei Dark Tranquillity degli esordi o gli At the Gates. Anche sul piano strutturale, le composizioni dei Gatecreeper sembrano perdere un po' in muscolarità e groove per divenire più ariose, andando persino ad incontrare sonorità tremendamente vicine ai Paradise Lost ("The Black Curtain" ne è l'esempio più lampante). "Dark Superstition" non è affatto un brutto album, sia chiaro, solo che suona parecchio diverso rispetto a quanto ci avevano abituato i Nostri praticamente fino all'estate scorsa - quando il sottoscritto se li è goduti al Frantic Fest -; i Gatecreeper mostrano in questa nuova opera di avere un buonissimo gusto per le melodie e si capisce come questa nuova direzione sia stata ben ponderata, studiata e poi messa in atto: sotto questo punto di vista non hanno sbagliato nulla ed anzi dimostrano di saperci fare, anche se poi alla fine il brano da noi preferito è "Masterpiece of Chaos" che più s'avvicina a tratti al loro vecchio sound. Insomma, probabilmente qualche avvisaglia dovevamo intuirla ascoltando dal vivo "Caught in the Threads", pezzo inedito negli scorsi tour dei Gatecreeper che i Nostri hanno cominciato da subito già a proporre dal vivo, ma probabilmente l'avvisaglia di cui sopra è andata persa nel mare di groove e mazzate che propinavano dal palco. I Gatecreeper si aprono dunque ad un pubblico ben più ampio rispetto alla già comunque nutrita schiera di fans che si sono fatti nella prima parte della loro carriera. Il rischio che qualche fan se lo perdano per strada ora c'è, ma è altresì vero che con molta probabilità ne acquisiranno di nuovi. Nel complesso, "Dark Superstition" è per quanto ci riguarda un lavoro ampiamente sufficiente; ora non resta che vedere dove porterà questo nuovo percorso.
#1 recensione -
I Mortuary Slab sono una band canadese di recente formazione che si sta facendo pian piano la propria gavetta. Dopo un demo rilasciato l'anno scorso ed un singolo - messo poi in apertura di questo lavoro -, sono giunti alla pubblicazione tramite CDN Records dell'EP qui in esame a titolo "Necrorealism". Tutto sommato non c'è tantissimo da dire: "Necrorealism" è un breve lavoro (poco meno d'un quarto d'ora) di Death Metal che farà la felicità di chi è sempre alla ricerca di una sana ignoranza in questo genere. Unendo all'interno delle proprie sonorità il loro amore per le scuole newyorchese, floridiana e danese (Undergang, Funebrarum, Disma), i Nostri ci regalano cinque pezzi diretti in cui a farla da padrone sono essenzialmente dei riff corposi che guidano un colossale groove sospinti da una tellurica sezione ritmica; un groove spacca collo che è onnipresente nell'operato dell'act canadese e che rimanda per certi versi a gente che del Death Metal ignorante s'è fatto primario fautore (Sanguisugabogg, 200 Stab Wounds e becera compagnia), che trova il proprio culmine nella pesantissima "Circular Saw" (per quanto la title-track non sia da meno). Con buona sostanza, "Necrorealism" è consigliato agli amanti di queste particolari sonorità, soprattutto se incalliti collezionisti dato che per la brevissima durata del disco lo possiamo benissimo vedere come un'uscita minore per cominciare a prendere confidenza con i Mortuary Slab - che tra parentesi condividono un paio di membri con i Last Retch - in attesa di qualcosa su più lunga distanza.
#1 recensione -
Devo ammettere che avevo totalmente rimosso dalla memoria gli svedesi Putrified, progetto solista di A. Death (già negli Infuneral); l'act scandinavo era in effetti silente dal 2016, quando uscì l'EP "The Flesh. The Scythe. The Tomb.", quello che a tutti gli effetti fu un esperimento per i Putrified: l'unico lavoro con una line up vera e propria. Oggi da quella formazione rimangono Grave e Crypt, all'epoca chitarrista e batterista ed oggi solo addizionali, con A. Death che in questo primo full-length torna ad occuparsi delle voci e di tutti gli strumenti. Licenziato da Godz ov War Productions, "Death Darkness Decay" è composto da dieci tracce, ma come potete vedere nelle informazioni riportate qui sopra, alcuni pezzi sono uniti in un'unica traccia portando la tracklist a sei. Musicalmente A. Death resta fortemente legato alla vecchia scuola, con sempre presenti sonorità a cavallo tra il Death/Thrash dei primissimi lavori di Death e Merciless, il marciume sonoro degli Autopsy ed il Death/Grindcore dalle forti attinenze Punk/Hardcore dei Repulsion, anche se possiamo sentire in quest'opera partiture che approdano in lidi Black Metal (Pest, Craft, Urgheal...), che assumono valenza sempre più importante con lo scorrere dell'album. Possiamo dunque dire che il sound dei Putrified si sia ulteriormente estremizzato rispetto alle uscite precedenti, che tra l'altro già di per sé funzionavano; ma quello che possiamo ascoltare in "Death Darkness Decay" sembra essere a tutti gli effetti la "forma definitiva" di questo progetto: A. Death sembra muoversi particolarmente a proprio agio in queste rasoiate Black/Death. Un lavoro brutale in cui i Putrified sono votati all'assalto frontale senza soluzione di continuità, concedendosi qualche divagazione melodicamente luciferina - anche questo mutuato dalla scuola Black Metal svedese - e passaggi atmosfericamente profani che richiamano un po' i nostri Mortuary Drape. "Death Darkness Decay" è, dal nostro punto di vista, un lavoro ampiamente sufficiente che ha bisogno magari di qualche ascolto in più per poter essere apprezzato in tutto e per tutto. Insomma, fossimo in voi una chance al ritorno di A. Death e dei suoi Putrified lo concederemmo!
#1 recensione -
Togliamo subito ogni dubbio: "Moribundis Grim" non è un nuovo album dei Necrophagia; è un'uscita postuma, una raccolta di demo di alcuni pezzi rimasti incompiuti per la morte del mastermind Killjoy ripresi dall'ultima line up della band Death Metal americana a cui si sono aggiunti alcuni ospiti tra ex membri degli stessi Necrophagia - Titta Tani (Claudio Simonetti's Goblin) e Mirai Kawashima (Sigh) - e non - John McEntee (Incantation) e Dee Commisso -. Nella mezz'ora di questo disco uscito per la romana Time to Kill Records c'è un po' l'essenza dei Necrophagia; a partire dall'amore per i B-Movie e la filmografia horror, come testimoniano le cover di Walter Rizzuti (il tema di Quella Villa Accanto al Cimitero) e Samhain ("Halloween 3") o le strumentali "Scarecrows" e "Sundown", in cui ruolo da protagonista lo hanno delle tastiere dal sapore orrorifico. Ci sono poi tre inediti rimasti nel cassetto sino ad ora: la title-track, le cui parti vocali sono state completate da John McEntee, "Bleeding Torment" e "Mental Decay", tutti pezzi che stilisticamente seguono la scia di "WhiteWorm Cathedral", l'ultimo effettivo album di Killjoy e soci, con gli ultimi due che a livello di produzione hanno suoni effettivamente da demo. Chiude poi la tracklist una versione live registrata nel 2017 del singolo "The Wicked". Un'operazione, quella di Necrophagia e Time to Kill Records, atta a svuotare i cassetti dal materiale di Killjoy rimasto inascoltato, un piccolo e doveroso omaggio per un'artista da sempre visto come una delle figure principali dell'underground Death Metal mondiale. Insomma, per quanto ci riguarda una buona operazione. A patto però che sia l'ultima.
#1 recensione -
L'EP d'esordio omonimo dei britannici Vaticinal Rites - uscito tramite Caligari Records e Redefinign Darkness Records - fu favorevolmente accolto su queste pagine; a tre anni di distanza il quartetto londinese si accasa con la nostrana Everlasting Spew Records per il rilascio lo scorso fine settimana di "Cascading Memories of Immortality", primo full-length per la band inglese che è nel frattempo divenuta un quintetto con l'ingresso ufficiale in formazione del bassista Stephen Pickles. Diciamolo subito: questa prima prova su lunga distanza dei Vaticinal Rites non brillerà affatto per originalità, anzi... Il loro è un Death Metal fortemente legato alla più classica tradizione floridiana: Morbid Angel, Monstrosity e Deicide sono influenze facilmente riscontrabili nell'operato dei Nostri, così come una certa venatura à la Vital Remains in quei passaggi tecnicamente più complessi ed un'accurata ricercatezza di sinistre melodie che riescono a dare una sensazione di varietà ed un più ampio respiro alle composizioni. Nel complesso, comunque, questo debut album funziona: i pezzi appaiono solidi e grazie anche ad una durata complessiva abbastanza contenuta possiamo vedere come i Vaticinal Rites badino all'essenziale; hanno dalla loro un buonissimo livello tecnico (basta sentire anche la sola "Bowels of Gargantua"), ma non una singola volta li ritroveremo a strafare. Va da sé, buona parte della buona riuscita di "Cascading Memories of Immortality" va senza dubbio ascritto all'ottimo lavoro delle chitarre di Chris Cleovoulou e Andreas Yiasoumi, che tra riffoni corposi, sprazzi melodici ed assoli al fulmicotone non concedono requie ottimamente supportati dal chirurgico drumming di Max Southall (Vacuous, Hellripper). Tutti i brani qui presenti sono di buona fattura, ma oltre alla già citata "Bowels of Gargantua" si fanno segnalare "Siphoning Plasma from the Gods" - la migliore del lotto con "Bowels..." - ed il tellurico singolo "Corporeal Affliction". "Cascading Memories of Immortality" è insomma una buonissima aggiunta al già nutrito catalogo di Everlasting Spew Records; un lavoro che saprà appassionare dal primo ascolto i die hard fans del Death Metal di stampo floridiano, oltre che di certo Death europeo (Sinister et similia). Un esordio su lunga distanza soddisfacente per l'act londinese: se accettate un consiglio, dategli un ascolto.
#1 recensione -
Ed eccoci qua, quattro anni dopo, a parlare di nuovo dei Six Feet Under, freschi di uscita con il loro diciottesimo album - se contiamo anche i vari "Graveyard Classics" - "Killing for Revenge", la cui distribuzione è affidata nuovamente a Metal Blade Records. Ora, non so voi ma il sottoscritto ha ancora impresso nella memoria quell'obbrobrio di "Nightmares of the Decomposed", che a distanza di - per l'appunto - quattro anni ritengo ancora essere il peggior disco che abbia mai ascoltato in vita mia per qualità generale della musica e per produzione. Capirete dunque che ho letteralmente sudato freddo approcciandomi a questa nuova opera di Chris Barnes e soci... ma fortunatamente peggio di "Nightmares of the Decomposed" è umanamente e scientificamente impossibile e difatti i Six Feet Under tornano con un lavoro che sì, complessivamente è mediocre, ma che per lo meno si staglia ben al di sopra del proprio predecessore. In primis la produzione è più pompata e già con questo arriva un mezzo sospiro di sollievo; ci sono poi i musicisti che si ricordano di ciò che hanno fatto anche in passato, e ci ritroviamo così con pezzi in cui vengono messe da parte quelle schifezze di velleità Groove per un approccio più diretto, brutale e maggiormente improntato su di un accettabile Death'n'Roll. Jack Owen e soci si ricordano insomma che nel Death Metal si possono anche aumentare i giri del motore e procedere spediti e per quanto si cada spesso nella ripetizione fine a sé stessa ("Ascension"), passaggi fin troppo semplicistici ed altri invero bruttini (in "Accomplice to Evil Deeds" c'è un momento che mi ha ricordato la sigla di un cartone animato, anche se non riesco a focalizzare di quale si tratti), c'è anche qualcosa che - incredibile a dirsi! - possiamo anche salvare, come l'opener "Know-Nothing Ingrate"! Il riffingwork sarà anche fin troppo essenziale, ma almeno non è spompo come quell'incubo di quattro anni fa, in più troviamo un Marco Pitruzzella che pesta a dovere dietro le pelli. Arrivati a questo punto vi starete certamente chiedendo: "Sì, ma Chris Barnes?"; ragazzi miei, Chris Barnes ha superato da un bel po' il tempo in cui doveva probabilmente pensare alla pensione. Il suo growl appare sempre più stanco e scialbo, senza verve, monocolore... Sembra sinceramente che svolga il proprio compito senza manco la voglia di sforzarsi. Insomma, non siamo ai livelli di "Nightmares of the Decomposed" - e meno male, perché quell'album è stato un disastro sotto ogni punto di vista -, ma "Killing for Revenge" è in ogni caso un lavoro al massimo mediocre, affossato ulteriormente da un cantante/leader che non ha più nulla da dare da anni. Alla luce anche di quello che ancora ci regalano altri veterani come Cannibal Corpse e Dying Fetus, non trovo un motivo che sia uno per perdere tempo ad ascoltare ancora i Six Feet Under. Spiace essere così categorico, ma è la verità dei fatti.
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