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Opinione scritta da Daniele Ogre

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Opinione inserita da Daniele Ogre    25 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

Farsi un nome nella scena Funeral Doom finlandese è impresa alquanto ardua, anche perché nella Terra dei Mille Laghi questo genere ci è nato; ma è questa una sfida che i Convocation hanno preso di petto, ed arrivati oggi sulla soglia del terzo studio album dimostrano di non avere alcun timore reverenziale ed imponendosi come una delle realtà più interessanti del genere non solo sul suolo patrio. E questo anche perché i Convocation non sono una band Funeral Doom in senso stretto, avendo loro col tempo ampliato il loro bagaglio compositivo con diversi strati che rendono la loro proposta - per quanto plumbea e soffocante - quanto più varia possibile. In questa loro terza fatica su lunga distanza dal titolo "No Dawn for the Caliginous Night" - licenziata da Everlasting Spew Records -, al loro incedere funereo appesantito da un substrato Death/Doom, i Nostri hanno aggiunto questa volta soluzioni molto vicine al Gothic/Doom dei soliti My Dying Bride (su tutti), Anathema e Paradise Lost, un 'c'r'' di violini e violoncello che dona alle composizioni quell'aria decadente prettamente autunnale tipica di tali sonorità. Ciò che resta inalterato è la ruvidezza Death/Doom fatta di quei riff rocciosi e taglienti che s'intersecano alla perfezione con mesti arpeggi e con sorprendenti aperture melodiche. Lungo le cinque lunghe tracce che compongono "No Dawn..." i Convocation s'impongono con autorevolezza sempre crescente andando a cesellare ulteriormente in alcuni punti quanto di buono ci hanno già offerto con i loor primi due album, offrendoci quello che ad oggi è, come dicevamo, il disco più vario della loro carriera. Un disco impreziosito dalla presenza di alcuni ospiti che danno il proprio contributo nella riuscita dell'album: dalla voce semplicemente magnifica di Natalie Koskinen degli Shape of Despair (e The Abbey), al growl di Niko Matilainen (Corpsessed) e Jason Netherton (Misery Index), fino ad arrivare alla 'nostra' Samantha Schuldiner dei Ferum, celebrante con la sua voce narrante nella splendida traccia conclusiva "Procession". In conclusione, è semplicemente ottima la prestazione del duo di Helsinki: "No Dawn for the Caliginous Night" è di certo tra le migliori uscite nel genere di quest'annata.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    24 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

I Cruciamentum sono, insieme ai Vastum, uno dei motivi principali per cui c'è stata questo revival 'invasivo' old school Death Metal; oltre ai Grandi Vecchi, infatti, sono state la band britannica e quella californiana a dare sostanzialmente il via alla mega-ondata che ci ha col tempo portato gruppi come Mortiferum, Cerebral Rot, Spectral Voice, Tomb Mold e compagnia. E dei Cruciamentum si erano da un po' perse le tracce: dal 2017 per la precisione, anno in cui Daniel Lowndes e soci pubblicarono l'EP "Paradise Envenomed", dichetto che seguiva di due anni quello che fino ad oggi è stato l'unico full-length dei Nostri: il maestoso "Charnel Passages". Da allora, salvo dei live, silenzio assoluto da parte dei Cruciamentum, vuoi anche per vicissitudini del proprio leader: andando nello specifico, la crescita dei suoi Resonance Sound Studio ha fatto in un certo qual modo rivedere le priorità al mastermind dei Cruciamentum, che ha nel frattempo prodotto i dischi di Mortiferum, Cosmic Putrefaction, Cerebral Rot, Corpsessed, Hissing e molti altri (insomma, c'è la sua mano in molti album della nuova ondata old school Death Metal... tutto torna). Dopo anche la rilocazione negli States, negli scorsi mesi è arrivato l'annuncio che molti aspettavano: un successore per "Charnel Passages". E quel successore è "Obsidian Refractions", secondo full-length per l'act britannico-statunitense appena rilasciato dalla sapiente mano di Profound Lore Records. Ritroviamo così i Cruciamentum otto anni dopo il debut album e sei dall'ultimo EP con rinnovato vigore e - cosa che salta subito all'orecchio già dal primo ascolto - un songwriting più quadrato, più ponderato per certi versi... Ecco, stratificato è forse l'aggettivo che meglio lascia intendere cosa ascolteremo in "Obsidian Refractions", disco che stilisticamente è sì figlio diretto dei suoi ultimi due predecessori, ma che in un modo o nell'altro presenta anche alcune novità rispetto al passato. A partire dal nuovo cantante solista, con Lowndes che ha lasciato l'onore e l'onere al bassista Chris Eakes, ma anche e soprattutto ad un songwriting che sembra essersi perfezionato col tempo. I Nostri infatti pur mantenendo il loro approccio belluino, si presentano ai nastri di partenza di questa nuova opera con un lotto di brani dall'ampio spettro stilistico: i Cruciamentum di oggi sembrano a tutti gli effetti meno aggressivi - anche se quando c'è da picchiare duro sono ancora benissimo in grado di farlo -, prediligendo atmosfere cupe e pesanti, con sonorità oscure e mortalmente glaciali che diventano sovente terribilmente sinistre grazie ad un uso intelligentissimo di arpeggi dall'effluvio luciferino. Sostanzialmente, col passare del tempo e nonostante gli anni di silenzio i Cruciamentum sono maturati tantissimo sotto l'aspetto compositivo, e sintomo ne sono i frequenti cambi di registro compresi nelle sei tracce che compongono questa loro nuova opera fulgidamente nera che trova i propri lampi di rossa luce in pezzi come "Necropolis of Obsidian Mirrors" e la magistrale opening track "Charnel Passages" (sì, s'intitola proprio come il primo album, n.d.r.). Dopo aver ascoltato diverse volte "Obsidian Refractions" - e moltissimi altri ascolti seguiranno, statene certi - possiamo solo sperare che la situazione possa essersi stabilizzata - alla luce anche di una line up del tutto rinnovata - e che i Cruciamentum possano finalmente riprendere da dove avevano lasciato. Che sia questo l'inizio di una seconda parte di carriera per Lowndes e soci e che possano definitivamente raccogliere quanto meritano. Saran passati tanti anni, ma cristo se ne è valsa la pena!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    24 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

Proprio ieri scrivevamo, a margine della recensione ai Plaguemace, dell'agguerrita concorrenza in ambito Death Metal in Danimarca, terra che - vuoi anche per il maestoso Kill-Town Death Fest - è diventata un punto cardine del genere in Europa. Non parliamo di Undergang, che per quanto underground sono comunque ad un livello di fama superiore, né tanto meno dei Baest, da tempo sotto contratto con Century Media, ma a gruppi come Hyperdontia, Septage, Phrenelith, Chaotian e così via... e da oggi dobbiamo aggiungere un altro nome al novero, quello dei Temple of Scorn, quintetto di Aarhus al debutto su lunga distanza su Transcending Obscurity Records con questo "Funeral Altar Epiphanies". Un debut album, diciamolo, da far rizzare i capelli in testa! Beh... per chi li ha, ovviamente. E questo perché questo gruppo sarà pure nato solo nel 2018 ed avrà all'attivo solo quest'album ed un EP nel 2021, ma è anche formato da musicisti veterani provenienti da altre realtà decisamente conosciute: abbiamo infatti in formazione Simon P. Katborg (Horned Almighty, ex-Exmortem) alla voce, Svend E. Karlsson (Baest, Kampovgn) e Flemming C. Lund (The Arcane Order, ex-Autumn Leaves e chitarrista live dei Volbeat) alle chitarre, Bjørn Jensen (Bloodgutter, Dawn of Demise) al basso e Jacques Hauge (Horned Almighty, Sylvatica) alla batteria. Non proprio gente sconosciuta, no? Ed è per questo che nonostante sia solamente il debut album per i Nostri, il livello qualitativo dell'opera è decisamente alto, con un grado di maturità in quanto a composizione ed esecuzione ben al di sopra della media, tutto questo con un sound a cavallo tra un feroce old school Death Metal dalle venature Blackened (Incantation, Dead Congregation, Cruciamentum) ed un pesantissimo Death/Doom comparabile ai titani della 'nuova scuola' (Mortiferum, Spectral Voice, Krypts). Ed il risultato signori miei, sinceramente, è impressionante: tolta la come al solito inutile intro "Subsequent Mass", i Temple of Scorn vi terranno incolalti per tutti i poco meno di 40 minuti di questa loro prima fatica su lunga distanza grazie a pezzi pesanti come macigni, taglienti, brutali, dalle atmosfere mortifere e sulfuree, incatenandovi ed incantandovi tanto con letali accelerazioni guidate da blast beat assassini, quanto con sinistri momenti dall'afflato sulfureo, passaggi pachidermici e claustrofobici che donano al disco un'aura ancor più maligna e minacciosa. "Portals to Dystopia" è il punto più alto di quest'album, ma le restanti tracce - a partire dai tre singoli apripista che potete sentire cliccando sui link nelle info qui sopra - non sono affatto da meno, ed in più la band danese ha il merito di mantenere la durata totale dell'album nel giusto nonostante qualche passaggio più lungo nella seconda parte del disco. "Funeral Altar Epiphanies" è un debut album che ogni deathsters che si rispetti dovrebbe avere; e i tanti supporters estremi del famigerato Kill-Town Death Fest farebbero bene a seguire con estremo interesse i Temple of Scorn: in futuro da queste parti si prospettano belle cose.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    23 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

Abbiamo constatato più volte negli ultimi tempi come la scena Death Metal cilena stia vivendo un periodo decisamente florido, con una pletora di gruppi più o meno di recente formazione che hanno colpito per l'ottima qualità dei propri prodotti (il miglior album Death Metal del 2022 nel nostro speciale, ad esempio, è stato degli Inanna). Ma in mezzo a tanti giovani virgulti, c'è anche chi è da considerare tra i primissimi pionieri del genere in Cile, come la band che abbiamo in esame in questa recensione: parliamo dei Sadism, quartetto di Santiago in giro sin dal 1988 - col nome Sadist, cambiato poi in quello attuale probabilmente per l'omonimia con l'act di casa nostra - autori di un Death/Thrash old school dal sicuro impatto. Una carriera che ha cominciato a prendere piede nel 1992, anno della pubblicazione del debut album "Tribulated Bells", e che 35 anni dopo vede i Sadism alle prese con il loro decimo full-length "Obscurans", che segna anche il debutto dei Nostri su Hammerheart Records. Per quanto old school ed alquanto "classici", c'è, ad ascoltar bene, una discreta varietà di soluzioni all'interno dell'operato dei Sadism, che su di una base di Death nudo e crudo (Morbid Angel, Sadistic Intent, Malevolent Creation) inseriscono diverse ramificazioni verso diverse scuole di pensiero Death/Thrash (Vader da un lato, Possessed dall'altro), momenti in cui, questi ultimi, possiamo trovare sovente ritmiche o soli di scuola slayeriana. "Diabulation" ne è probabilmente l'esempio più lampante, ma va dato atto ai Sadism di aver messo su un lavoro compatto che si lascia ascoltare piacevolmente... ma magari meglio senza le due bonus track comprese sulla versione CD. Con la voce di Ricardo Roberts che ricorda tantissimo quella di Peter dei Vader e con un Gabriel Hidalgo che scarica addosso all'ascoltatore una tonnellata di riff, è però la sezione ritmica di Juan eduardo Moore (basso) e Juan Pablo Donoso (batteria, anche nei Pentagram Chile) il vero highlight di questo lavoro, con i due che guidano la macchina Sadism tra feroci accelerazioni e passaggi ricchi di groove: basta sentire anche solo "Lower Astral Entities", il pezzo che più ci ha convinto di quest'album, in cui troviamo anche altre canzoni degne di nota come i singoli "Exsanguination" e "On Your Knees", come "The Void Devourer" o ancora "Because We Are Rotten to the Core". Sinceramente, dopo diversi ascolti non abbiamo trovato un solo difetto a questo "Obscurans": il livello medio dei pezzi è ampiamente soddisfacente ed i Nostri mettono in mostra un grande affiatamento dovuto agli oltre dieci anni assieme. Se siete amanti di quel Death Metal da quella forte componente thrashy, allora il nostro consiglio è di farvi un giro sul sito di Hammerheart ed ordinare questa nuova fatica dei Sadism: divertimento assicurato!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    23 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

Uscito nella seconda metà dello scorso settembre, "Traumatic Putrefaction" è il primo full-length per gli Abominated, deathsters polacchi con all'attivo, prima di questo lavoro, solo il demo "Decomposed" del 2021. Va subito detto però che non stiamo parlando di novellini - in formazione troviamo ad esempio Greg e Marol dei Martyrdoom - e che quindi i Nostri affrontano un passo importante come il debut album con estrema consapevolezza dei propri mezzi. Aiuta poi avere alle spalle una delle label underground più rinomate d'Europa come Godz ov War Productions, che in quanto a Death Metal difficilmente delude. Ecco, "Traumatic Putrefaction" non fa eccezione, ed anzi ci mostra una band con un evidente amore per l'old school Death Metal in ogni sua forma - ed in particolar modo per quello degli anni '90 -; soprattutto scuola centroeuropea (Asphyx, Hail of Bullets, Soulburn) e svedese (Grave, Dismember, ecc. ecc.) sono facilmente riscontrabili nelle sonorità del quintetto di Varsavia, che tra accelerazioni da moshpit violento ("VIle Mutilated Mass", "Merciless Aggression") e passaggi dal retrogusto Death/Doom vintage, confezionano un lavoro energico che ha dalla sua anche una durata esigua (poco meno di mezz'ora totale). Coadiuvato da una buonissima produzione, l'assalto sonoro degli Abominated strappa più di un sorriso compiaciuto durante l'ascolto, merito soprattutto - dobbiamo ammetterlo - di un drumming forsennato e di una coppia d'asce affiatatissime che scaricano sull'ascoltatore un'eruzione vulcanica di riff dai patterns marcatamente Death/Thrash. Avessimo i voti in decimali su questo portale, "Traumatic Putrefaction" sarebbe un 7.5 pieno: in fondo è sempre bello ascoltare un gruppo che suona old school Death Metal con passione e mestiere.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    23 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

Spesso pubblicare il proprio debut album direttamente per una label altisonante può essere un'arma a doppio taglio (ogni riferimento ai Frozen Soul è voluto); è dunque un mezzo rischio quello corso dai danesi Plaguemace, quintetto dello Jutland formatosi nel 2020 che ha appena rilasciato il debut album "Reptilian Warlords" tramite niente meno che Napalm Records. E tutto sommato possiamo dire: scampato pericolo. La band danese sembra sin da subito assetata di sangue e parte all'attacco senza perder tempo con una gran bella doppietta di pezzi - "Cannibalicious" ed "Impenetrable Leather" -, con i quali in sostanza facciamo la conoscenza con un act le cui coordinate stilistiche son chiare sin dai primi istanti, con la pesantezza marziale dei Bolt Thrower che fa il paio con rocciose accelerate che rimandano alla vecchia scuola svedese (Grave ed Entombed su tutti). Per i quasi 40 minuti di durata di questo loro debutto i Plaguemace mostrano di avere pieno controllo della situazione, e seppur non inventino nulla di nuovo - anzi sono la classica band che mette in atto da studente diligente quanto insegnato dai vecchi maestri -, riescono a mantenere sempre un livello discreto senza particolari cali di sorta. "Reptilian Warlords" avrà pure una copertina brutta in maniera inenarrabile, ma che musicalmente bada al sodo, cosa che rende l'ascolto decisamente scorrevole, grazie anche a pezzi come i tre singoli apripista, la già citata opening track "Cannibalicious" e "Misanthropic Breed"; il resto della tracklist si piazza tutto su un livello soddisfacente e pur mancando magari quella hit che possa rendere memorabile questa release, la sensazione generale è quella di aver davanti un debutto che supera ampiamente la semplice sufficienza: i riff sono belli tosti e graffianti, la sezione ritmica impreziosisce i pezzi con un bel groove spacca collo... c'è tutto insomma per mettere a dura prova le vertebre cervicali. Magari questo non sembra propriamente del tutto materiale da Napalm Records - avrebbe fatto la sua bella figura nel catalogo di una label come Emanzipation Productions, ad esempio -, ma in ogni caso per i Plaguemace possiamo dire che è buona la prima, anche se c'è da mettere sempre in conto che la 'concorrenza' in patria è più che agguerrita, essendo ormai la Danimarca un centro nevralgico primario in Europa per il Death Metal.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    22 Novembre, 2023
#1 recensione  -  

Già tempo di ritorno per Il Becchino e Il Beccamorto, alias i Tenebro, gruppo Death Metal nostrano che nell'ultimo anno - e sempre sotto l'egida di Xtreem Music - si sta tenendo decisamente impegnata. L'anno scorso è arrivato il primo full-length "L'Inizio di un Incubo" (qui recensito e che ci aveva colpito solo a tratti), seguito a distanza di poco dall'EP "Carne Umana"; anno 2023, i Nostri rilasciano prima l'EP "Tracce di Violenza Carnale" ed infine arriva il secondo studio album "Ultime Grida dalla Giungla". Come sempre il duo italiana prende spunto per le proprie tematiche esclusivamente dai vecchi film horror italiani, ma mentre nel debut album trovavamo tracce impregnate delle sanguinolente visioni di Dario Argento, Lucio Fulci, Joe D'Amato, in "Ultime Grida dalla Giunga" i Nostri ci portano tra le più selvagge tribù dell'Amazzonia con le torture, le violenze ed i riti cannibalistici di due film famosi quanto controversi: Cannibal Holocaust e Cannibal Ferox. I titoli - così come i testi ed i video dei singoli - lasciano ben poco spazio all'immaginazione e confermano come i due musicisti nostrani non abbiano alcun freno inibitorio quando si tratta di parlare di film talmente violenti da ricevere il taglione della censura. E fin qui, direte voi, tutto nella norma per i Tenebro. Quello che però ci ha favorevolmente colpito in "Ultime Grida dalla Giungla" e che i Nostri sembrano decisamente più in palla rispetto al precedente album; non sappiamo se è perché lo scrivere a getto continuo abbia contribuito a dare in poco tempo una maggiore esperienza, o se semplicemente - non si ha paura di ammetterlo - abbiamo potuto dedicare maggior tempo e maggior attenzione a questa seconda release su lunga distanza, ma fatto sta che "Ultime Grida..." crediamo sia un deciso passo in avanti per i Tenebro, musicalmente sempre strettamente legati, comunque, al possente groove di gruppi come Mortician ed Impetigo. E non dimentichiamo i casertani Fulci, con cui i Tenebro hanno diversi punti d'incontro, ma anche differenze nette quanto sostanziali: un live con entrambe le bands sarebbe comunque uno spettacolo non da poco. Tornando a noi!, dicevamo come il punto focale dei tenebro resta un pesantissimo groove onnipresente in quest'opera, anche quando si spinge maggiormente sull'acceleratore come in "Khakhua", il tutto supportato da uno tsunami di riff, una cascata a getto continuo di plettrate che colpiscono l'ascoltatore come i ganci degli indigeni in Cannibal Ferox. Supportati da una produzione volutamente sporca e vintage - che per l'appunto dà gran risalto alle chitarre del Becchino -, i Tenebro piazzano alcuni dei migliori pezzi della loro carriera sinora come i tre singoli apripista - tra le quali spicca la title-track con il suo riff che rimanda in tempo zero ai Morbid Angel di "Gateways to Annihilation" -, ma da meno non sono l'opener "Ferox", "Il Ritrovamento della Donna Impalata" e le bestiali "Massacro della Troupe" e "Pellicola Maledetta". Tocca ripeterci, ma con "Ultime Grida dalla Giungla" troviamo che i Tenebro, pur non mutando di una virgola, abbiano fatto grossi passi in avanti. Se vi piace insomma questo tipo di Death Metal pesante come un bulldozer, quest'album fa decisamente al caso vostro. "Continua a girare!"

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Opinione inserita da Daniele Ogre    22 Novembre, 2023
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E' stato un quadriennio decisamente intenso per Tim Rowland, artista statunitense (di Athens, Georgia) che nel 2019 ha messo su questo suo progetto solista a nome Alchemy of Flesh debuttando su lunga distanza con "Ageless Abominations", con il quale ha cominciato il proprio sodalizio con Redefining Darkness Records. A distanza di due anni e sempre per la stessa label arriva "By Will Alone", secondo studio album per "Alchemy of Flesh", in cui si segnalano diverse novità rispetto all'esordio. Soprattutto, mentre nel debut album erano preminenti influenze derivanti dai Morbid Angel - e basta anche solo vedere il logo della band -, qui tali sonorità le possiamo ascoltar giusto nell'opening track - e primo singolo - "Meteor Hammer", mentre nelle restanti otto tracce Tim opta per sonorità decisamente molto più vicine ai Monstrosity di "The Dark Purity", quindi un Death Metal dall'approccio più brutale e dal livello tecnico più elevato senza risultare stucchevole. Soprattutto la musica qui è estremamente dinamica e tempestata di venature melodiche che donano all'intera opera un certo spessore ed una spiccata profondità. Ciò che colpisce maggiormente, però, è la strepitosa forma di mr. Rowland in fase di songwriting: il polistrumentista americano riesce a far sua questa specifica corrente Death Metal con un fortissimo dinamismo. Tant'è che ascoltando pezzi come "Other Eden", l'altro singolo "Unmaker", piuttosto che "An Eretic Existence" ed "Immuration", viene quasi da chiedersi se gli stessi Monstrosity siano ancora in grande di scrivere ed interpretare alla stessa maniera. Va da sé, non aspettatevi chissà cosa di originale, ma va dato atto agli Alchemy of Flesh di aver confezionato un album decisamente ispirato come questo "By Will Alone" che si lascia ascoltare per tutti i suoi quasi 40 minuti di durata. E che potrà accendere l'interesse dei gamers, visto che parte dei testi sono ispirati a Doom, Amnesia: The Dark Descent e Amnesia Rebirth.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    17 Novembre, 2023
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Il sempre più interessante catalogo di Sentient Ruin Laboratories si arricchisce ulteriormente con uno dei più solidi gruppi appartenenti alla scena War Metal canadese: i Ceremonial Bloodbath, che con "Genesis of Malignant Entropy" pubblicano il loro secondo album, a tre anni di distanza dal debutto "The Tides of Blood". I Nostri non sono propriamente gli ultimi sprovveduti, visto che in formazione troviamo membri di - tra gli altri - Encoffinate, Grave Infestation e Mass Grave -, e proprio la grande esperienza permette loro di ritagliarsi uno spazio prominente all'interno di una scena che vede gruppi dalla storia titanica come Blasphemy, Revenge, Bestial Warlust, Conqueror, Antideluvian, Adversial... Insomma, credo la lista la conosciate tutti. Ebbene, nonostante i Ceremonial Bloodbath siano una band decisamente più giovane rispetto ai succitati veterani, con questa loro seconda opera su lunga distanza mostrano i muscoli nuovamente, duplicando l'ottima riuscita dell'album d'esordio. Nel bel mezzo del solito immaginario di gruppi avvolti da cartucciere e con indosso occhiali da sole, brilla come esplosione nucleare questa band che sembra sì da un lato badare anche alla classica apparenza, ma che sul piano musicale non va tanto per il sottile e bada decisamente al sodo, puntando sovente anche a qualche variazione sul tema: l'assalto barbarico tipico del genere è lì in bella mostra, ma non raramente i Ceremonial Bloodbath decidono di sconfinare verso i territori della vecchia scuola Death americana - vedasi la parte centrale di "Bloodlust Raids of Vengeance" o l'incipit della seguente "The Boneless One" che richiamano immediatamente l'Angelo Morboso di Trey Azagthoth. Ciò si traduce in una netta distanza tra i Nostri e la solita caotica cacofonia del War Metal ed in un album sì brutale e barbarico, ma suonato decisamente con metodo e perizia.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    17 Novembre, 2023
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Da quando si sono riformati nel 2015 gli olandesi Bloodphemy hanno mantenuto una certa costanza, con una una nuova release ogni due anni precisi. Fedeli a questa linea, tornano oggi con il loro quinto studio album "Dawn of Malevolence", quarto disco dalla loro reunion per altrettante etichette diverse: questa volta Edwin Nederkoorn e soci si sono affidati alla loro connazionale Non Serviam Records, label che in quanto a Metal estremo è una buonissima garanzia. Con una verve compositiva sempre in movimento ed una tempistica di uscite così rapida, ovviamente sul piano stilistico non è che ci si debba aspettare chissà quale novità dal quintetto olandese, che sul piano delle sonorità continua a muoversi con perizia tra la scuola floridiana (Monstrosity, Hate Eternal) e quella scandinava (Bloodbath, Vomitory, Blood Red Throne). Risultato ne è un disco che suona altamente classico, ma anche tutto sommato abbastanza vario: basta sentire le differenze ad esempio tra i primi due pezzi in tracklist, l'opener "Convulated Reality" - in cui forti sono le influenze a Stelle e Strisce - e la seguente "Therapeutic Torturing" - con passaggi più marcatamente sulla scia di Bloodbath e Vomitory -. Rispetto al disco precedente più recente - "Blood Sacrifice" - possiamo notare però come in "Dawn of Malevolence" i Bloodphemy diano una maggior attenzione al groove delle canzoni, merito anche del buon affiatamento tra chitarre (segnaliamo il rientro in formazione dopo cinque anni dell'ex-Sinister Michel Alderliefsten) e sezione ritmica. Comunque sia, a nostro avviso la band di Utrecht dà il meglio nei pezzi più rapidi e concisi come "Metamorphic Disposition" e la conclusiva "From Suffering to Violence", mentre tende un po' a riempire spazio in canzoni come "Incarcerated Recollections" e "Crimson Redemption" (comunque di buona fattura); diciamo che una sforbiciatina qua e là male non avrebbe fatto, ma tutto sommato per l'ennesima volta i Bloodphemy ci regalano un lavoro più che soddisfacente che attesta il continuo buono stato di forma dell'act olandese.

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