A+ A A-

Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

241 risultati - visualizzati 171 - 180 « 1 ... 15 16 17 18 19 20 ... 21 25 »
 
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    26 Febbraio, 2021
Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

Nella mia precedente recensione esordivo elogiando le terre scandinave per il loro immenso contributo alla causa metallica; non c’è settore del metal nel quale abbiano fatto mancare il loro apporto. Ebbene, lo stesso discorso vale per il (sotto) genere dark-metal old school, quello di estrazione sabbathiana, quello dal sapore anni ’70 che – però – sembra non invecchiare mai… anzi, piuttosto (come il buon vino rosso sangue) migliora col passare del tempo ed il trascorrere delle opere ad esso dedicate!
Siamo alle prese con questi Wizards of Hazards, un quartetto finlandese (per amore di precisione provenienti da Laukaa, Keski-Suomi) devoti al genere fin dal lontano 1989 ma che – fino ad ora – non si sono propriamente dimostrati una band prolifica, se è vero (come è vero) che sono stati in grado di sfornare solo un EP prima di questa convincentissima prova ("Blind Leads the Blind"). Signori, in questo "End Of Time" ci sono tutti gli ingredienti per comporre una fatica di sano e robusto dark metal che non sfigura affatto al cospetto dei mostri sacri del settore e che, soprattutto, mi riportano decisamente alla memoria i (troppo sottovalutati) Witchfinder General. L’arte del riff tenebroso è molto ben omaggiata dai nostri quattro finnici, esattamente al pari del combo risalente alla N.W.O.B.H.M. (guarda caso, sempre di quartetto si tratta), ma con in più un vocalist più dotato rispetto a Zeeb “Cobb” Parkes, in grado – a tratti – di accostarsi (sia pure timidamente) a sua Maestà Messiah Marcolin dei mostri sacri Candlemass. Una release davvero completa: oltre ai riffs tenebrosi di sui sopra, non mancano i ritmi mortiferi alternati a cambi di tempo in moderata accelerazione, i testi esoterici e le tematiche legate alla magia ed al mistero, la giusta carica di pathos, il basso super-compresso “alla Trouble” (altri mostri sacri del genere) e gli assoli da figlio di Tony Iommi.
"End Of Time" degli Wizards of Hazards è un lavoro certamente all’altezza dei pezzi grossi del dark, che non sfigura affatto nel paragone e che porta una ventata di oscura freschezza ad un settore della musica che amiamo, sempre suggestivo ed attraente.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    14 Febbraio, 2021
Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

Molte volte, è dai paesi scandinavi che giungono le migliori “new sensations” del metalrama internazionale. Si pensi al grande tributo fornito ad un po’ tutti i generi annoverati dalla musica che noi tutti amiamo svisceratamente: si passa dal doom dei Candlemass, al classic-power degli Europe, al metal sinfonico finlandese dei Sonata Arctica, fino all’epic metal degli Amon Amarth, per non parlare del fatto che le nordiche terre sono state la culla malefica del black metal più oltranzista, oltre che del folk metal godibile dei Finntroll. I Rämlord sono un combo relativamente giovane, nato nel 2010 dalla collaborazione fra Jarno Anttila (ex Impaled Nazarene/ex Belial) e Janne Mannonen degli Yup: cosa esattamente abbia spinto Jamo ad abiurare il black metal estremo che contraddistingueva le due bands in cui ha militato, non è dato sapere e, francamente, poco importa se poi il risultato è stato un gruppo in grado di regalarci dello scintillante metallo old-school godibilissimo. Come ho già scritto in altre recensioni, fino a che esisteranno bands in condizione di rinverdire i fast del metallo della N.W.O.B.H.M., possiamo stare pur certi che il nostro beneamato genere sarà ben lungi dall’estinguersi!
Il disco è una bruciante sequenza di brani al vetriolo, dalla classe adamantina con riffs ben azzeccati, “catchy” al punto giusto ma possenti e ben congeniati, intarsiati con quel tanto di tastiere che bastano a strizzare l’occhio anche agli amanti dell’A.O.R. (Adult Oriented Rock). Un songwriting ed una esecuzione del tutto trasversale, in grado di abbracciare tutta la gamma metallica, dal classic metal ("Love of the Damned") al semi-dark&doom (title-track, "Non Serviam"), fino all’epic ("To the Battle") ed all’A.O.R.("Haunting All Over the World") , finanche negli outtakes che inframezzano i pezzi ("Chained God") con assoli mai troppo debordanti, ma ben inseriti nel contesto così come si diceva per le keyboards.
Un album di tutto rilievo, degno di fare la sua porca figura nell’Empireo metallico andandosi a collocare tra nomi di tutto rispetto e ben più conosciuti agli headbangers di tutto il mondo!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    06 Febbraio, 2021
Ultimo aggiornamento: 06 Febbraio, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

Come diceva il buon Socrate, “tutto ciò che so è di non sapere”.
Faccio pubblicamente ammissione di ignoranza (il che mi viene del tutto spontaneo e naturale) ed affermo di non aver mai saputo che questi doomsters cileni esistessero fin dal 1997! Dei membri originari sono rimasti solo il cantante ed il chitarrista a dimostrazione del fatto che sono loro due la vera anima (nera) della band andìna.
Per una volta, signore e signori, il freddo sonoro non arriva dalla Norvegia o dalla Svezia bensì dalle Ande.
Quello dei Poema Arcanvs è un doom metal più che onesto, piuttosto votato ad una malinconia di fondo che permea tutto questo loro ultimo lavoro preceduto da una discografia alquanto nutrita.
Devo dire che l’alternanza tra cantato pulito e possente e growl funziona benissimo, conferendo il giusto pathos al giusto momento ad ogni pezzo.
Le ritmiche, manco a dirlo, sono funerarie, e ben si attagliano ad un sound intriso di tristezza da far rabbrividire, apportando quella sensazione di freddo mortifero che finisce con il paralizzarti progressivamente gli arti.
Si parte con la title-track e, man mano che l’ascolto di questo album procede, ti senti sempre più angosciato ed abbandoni ogni speranza di poter rivedere la luce (altro che “The lighthouse keeper”!) che venga in tuo soccorso, squarciando le tenebre sempre più fitte che ti avvolgono, creando un mix micidiale con la sensazione di freddo di cui sopra.
E rimani orfano (“Orphans”) di ogni benessere, avventurandoti in un percorso che si trasforma ben presto in un pellegrinaggio (“Pilgrim”) tra le rovine di un paesaggio a tinte fosche (“Kingdom of Ruins”) durante il quale cerchi di farti coraggio (“Brave”) fino a che approdi in un Paradiso (“Heaven”) che però non ha niente di bello e di buono.
L’unica cosa che ti salverà, sarà l’ultimo solco del disco, che ti libererà finalmente dal nero giogo del Poema Arcano anche se ce ne vorrà di tempo per riprenderti da questa funesta esperienza sonora che ti segnerà per un bel pezzo.
Asfittico ma affascinante.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    23 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

Gli Scrollkeeper sono una band texana di formazione relativamente recente, infatti hanno mosso i primi passi nel 2016, ma questa è la prima volta che si cimentano con un full-length. Al primo EP, “Path to Glory” del 2018, hanno fatto seguito solo due singoli, “Lady Death” (2019) e – inframezzato da una cover di “Hellion” dei W.A.S.P. nello stesso anno, bonus track di questa release – il singolo “Scrollkeeper” che è stato poi riproposto nella tracklist di questo CD, che prende il nome da una pratica inquisitoria: l'autodafé, o sermo generalis, era una cerimonia pubblica, facente parte soprattutto della tradizione dell'Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita, coram populo, la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione.
Il quartetto texano è votato ad un heavy metal alquanto tradizionale, che attinge a piene mani dagli spartiti della Vergine di Ferro, sia pure accelerato e pluri-potenziato, con delle venature epic metal (mi riportano alla mente, specie in "Lady Death", i sottovalutatissimi Omen, quelli di “The Axemen” e “Dragon’s Breath”, tanto per intenderci). Il tempo di assaporare l’intro acustica di rito, che subito si scatena l’inferno sonoro, una sequenza di pezzi al fulmicotone ("Valhalla’s Gate"), alternati ad altri più cadenzati ("Surrender") che si susseguono come una serie di strali infuocati che piovono da un cielo reso plumbeo dalle fiamme di un assedio: quello ai nostri padiglioni auricolari! Assolutamente pregevoli gli assoli epicheggianti di Alex, così come granitica si appalesa la sezione ritmica vulcanica di Andrew e Simon. Unica, grande nota dolente è il cantante: davvero inadeguato, dalle corde vocali debolucce, a tratti urtante, non in grado di reggere la forza d’urto generata dal resto della band e persino con una pronuncia tale da far seriamente dubitare che sia madrelingua (nella cover di "Hellion", fa quasi tenerezza, impietoso il confronto con Blackie Lawless), ma tant’è…
Un cd concepito con un buon mix tra tecnica e rabbia, che dà l’idea di una vera e propria cavalcata epica sul campo di battaglia, facendosi largo a suon di sciabolate, tra fuoco e fiamme, rinfrancandosi con una sacrosanta birra dopo l’ultimo solco.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    16 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento: 16 Gennaio, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

I Dread Sovereign sono un doom/black metal powertrio; sorti nella capitale irlandese nel 2013, per volere principalmente del bassista/vocalist Alan Averill, che molti di voi ricorderanno tra le file dei Primordial (che alcuni rammentano sotto il monicker Mortus) e dei Twilight of Gods. Lo pseudonimo che si è scelto, Nemtheanga (completo è Naihmass Nemtheanga), è ricollegabile proprio alla storica band anni ’90 autrice di un masterpiece del calibro di “The Gathering Wilderness”.
Le loro prime, infuocate tracce, risalgono all’EP “Pray to the Devil in Man” del 2013, cui hanno fatto seguito “All Hell's Martyrs”, il loro primo Full-length nel 2014 e “For Doom the Bell Tolls” nel 2017, che ha svelato il gusto dei nostri doomsters per i calembour ricavati dal parafrasare i titoli altrui: quest’ultimo, infatti, riporta alla mente il “For whom the bell tolls” dei Metallica, mentre il titolo di questa ultima fatica fa il verso a “Chemical Warfare” degli Slayer, combinato con il suggestivo richiamo alla nobile scienza dell’alchimia.
Ciò che contraddistingue il sound dei tre terribile sovrano, è il giusto equilibrio tra potenza, melodia, suggestività e mistero (specie nelle vocals di Alan), velocità (mai “a ogni piè sospinto”, né mortifera, bensì ben dosata da JK alle pelli) con vocalizzi a metà strada tra l’evocativo/narrativo ed il pathos tipico del genere.
Ci si ritrovano – ben miscelati – i Venom e gli Slayer meno accelerati, echi dei precursori del dark metal come Angel Witch e Witchfynde, qualche spruzzatina di thrash e di Trouble (dai quali è stato mutuato un basso super-compresso): un mix micidiale, caratterizzato da testi a sfondo storico, esoterico ed anticristiano.
Gli assoli di Bones, non sono particolarmente degni di nota, anch’essi ben centellinati e mai debordanti (a proposito di calembour, verrebbe da dire: ”ridotti all’osso”), ma comunque ben incastonati in tutto il contesto.
Il risultato è un cd particolare, sicuramente degno di entrare a far parte della vostra collezione super-heavy!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    19 Dicembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 2020
Top 50 Opinionisti  -  

Sorti a Montreal (Canada) nel 2001, i nostri hanno operato fino al 2005 sotto il monicker The Mass dopo aver sperimentato in svariate bands locali (per Simon Escarre, Longing for Dawn, Veneficium, Esker, per Kevin Escarre, Negativa, Seized, Show of Bedlam, Rostrum, Blodewed, Maruka). Dopo aver rifondato il tutto sotto il nome della band attuale, hanno dato vita (oddio, si fa per dire…) nel 2007 al CD “Solemn” cui ha fatto seguito il full-length “Barren” del 2012. Nello stesso anno incidono l’EP “Empire” , che ha fatto da preludio a questo “Tetrad” che ci accingiamo ad ascoltare e recensire.
Il tenebroso duo, è dedito ad un funeral doom di ordinanza, con tutti gli ingredienti contemplati per realizzare una mefitica ricetta musicale degna delle più gettonate camere ardenti. Pezzi cadenzati intervallati da parentesi dal tocco mortuario che rimembrano un coma farmacologico di tutto rispetto, cantati con tecnica growl che attinge a piene mani dalla migliore tradizione doom/sludge. Dal primo solco, cala un inesorabile drappo nero su tutte le fonti di luce, solare e non, apportando un buio che più pesto e nero non si può; si innesca un’atmosfera raggelante, scevra da ogni barlume di speranza, votata al più negativo pessimismo, che tutto livella sempre più verso il basso, fino a far sprofondare sempre più sotto terra. A tratti, si ha la netta sensazione di essere stati sepolti vivi e di essere, per di più, condannati ad ascoltare da laggiù la colonna sonora del proprio funerale.
Un’opera al nero totale, che cala ineluttabile come la falce di sorella Morte, un disco per chi ha nervi d’acciaio e non teme nulla, per chi ha davvero coraggio da vendere e riesce a superare indenne la morsa mortifera che ci ha proiettato verso l’oscurità.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    12 Dicembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 2020
Top 50 Opinionisti  -  

Ed eccoci, con nostro grande piacere, a recensire l’ennesima puntata della telenovela discografica di Flanagan e soci. Un altro EP che ci testimonia la scelta strategica dei nostri four horsemen, ovverosia quella di dosare le forze nel tempo, optando per una release distanziata di qualche mese dall’altra, con l’intendimento di far sentire costantemente la loro sinistra presenza ai fans. Ed in effetti, è come sentire continuamente il loro fiato sul collo nel tempo! È come sentirsi braccati dal suono megapotente della banda newyorkese, che sembra sussurrarti dolcemente (o meglio, urlarti) nell’orecchio: “bello, non ti mollo manco se ti ammazzi!”. La cosa, of course, non dispiace affatto; anzi, è quasi rassicurante sapere che sei sempre nei loro pensieri e che loro si “prendono cura” dei tuoi padiglioni auricolari, tormentandoli a dovere con trovate sempre nuove. E sì, perché questa è la grande notizia: la vena creativa dei Cro-Mags è sempre bella pimpante e martellante, sempre bella vivace: che si tratti dell’intro reggaeggiante di “Violence and Destruction” o che si tratti della sequenza iniziale tipicamente fusion di “Crofusion” (non a caso) con un basso in gran spolvero e tinteggiature orientaleggianti, con loro non si sa davvero mai dove si andrà a parare! Ovviamente, senza mai rinnegare né trascurare le loro radici hardcore/crossover, con qualche spruzzatina di Oi! nei coretti tanto gentili da sembrare simpaticamente intonati da un manipolo di energumeni (vedasi la opening track di tristissima attualità) o la sparatissima “Chaos in the Streets” tema sempre caro. Ben tornati, Cro-Mags! E grazie per non farci mai sentire la vostra mancanza!

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    05 Dicembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 05 Dicembre, 2020
Top 50 Opinionisti  -  

So che qualcuno di voi mi prenderà per pazzo (o penserà che l’ascolto di questo cd mi abbia fatto molto male), ma l’impatto che ha avuto su di me l’ascolto è stato quello di riportarmi alla mente lo Stabat Mater di Pergolesi: l’intensità, il pathos, la vena malinconica e piangente di questo lavoro rievocano un po’ quel mood settecentesco, tipico della musica sacra dell’epoca. Sarà l’utilizzo del pianoforte, che effettivamente spadroneggia insieme al cantato puramente lirico femminile al quale fa da contraltare il growl maschile, sarà l’immaginare sullo sfondo le gelide distese di neve est-europee, ma ho trovato questo lavoro degli Amederia a tratti persino commovente! Vabbè, forse direte: “Ok Max, non ci girare intorno, stai solo invecchiando!”, ma vi posso garantire – e sono pronto a scommettere – che a più d’uno di voi farà lo stesso effetto che ha fatto a me!
La fatica di questo ensemble russo si apre e si chiude con uno struggente strumentale sull’onda della migliore tradizione della musica classica per pianoforte, ma – lungo tutte le tracce, tutte alquanto lunghette ma mai noiose – le asce non omettono affatto di essere taglienti come solo il freddo glaciale di quelle parti sa fare. Spetta al synth stendere il gelato tappeto di note, che sembra quasi trasformarsi in una morsa ghiacciata che ti molla solo all’ultima nota, e solo per pietà. Non sfigurano affatto degli inserti recitati, che hanno lo scopo di dilatare ulteriormente le algide atmosfere vieppiù cupe e tenebrose secondo i canoni del doom più intransigente. Dettami del genere, ovviamente rispettati in pieno a partire dal ritmo funerario ed oltremodo cadenzato e iper-compatto che caratterizza il lamentoso incedere dei brani.
Insomma, un’opera raggelante ma interessante, ottima per allargare le vedute e gli orizzonti musicali.

Nota: Il disco è uscito originariamente nel 2008 su Molot Records ed è stato ristampato a fine novembre 2020 dalla BadMoodMan Music

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    28 Novembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 2020
Top 50 Opinionisti  -  

Vessel of Light è un dark-quartet del New Jersey, operativo dal 2017, in cui militano personaggini con un passato in bands del calibro di Hades e Cursed (Dan Lorenzo), Attacker (Jimmy Shulman), Overkill e Whiplash (Ron Lipnicki): combos di tutto rispetto. Con un background di questo tipo, piuttosto avvezzo a sonorità più vicine al thrash ed al power metal, non poteva che scaturire una doom-sensation di assoluto livello.
Il sound è certamente votato al doom più tradizionale, ma avvolgente come le spire di un gigantesco serpente stritolatore, che finisce con il soffocarti progressivamente con il suo incedere insieme cadaverico ed ipnotico. Riecheggiano degli stilemi alquanto mutuati dal dark metal dei primordi, come se fossero degli Angel Witch più cadenzati e sulfurei, con un singing pulito (inframmezzato talvolta da piccoli inserti growl, giusto per gradire) che scandisce delle cantilene maledette, con la sezione ritmica sempre pronta a flagellarti, accompagnandoti in una sorta di via crucis che cessa solo con l’ultimo solco di questo cd, non a caso intitolato “ultima corsa”, in cui – a dispetto ed in palese dissonanza con il nome della band – di luce proprio non se ne vede. Solo profondo pessimismo e cupa disperazione che lentamente, ma inesorabilmente, ti scortano verso l’ineluttabile destino di ogni essere umano, magari con il malcelato intento di favorire (o meglio, agevolare) l’incontro finale il più possibile, come testimoniano titoli come “There’s No Escape”, “King of Torture”, “Web of Death”, che poco o nulla lasciano alla immaginazione, se non quella strettamente connessa a visioni di morte.
Signori, capolinea! Terrificante ma affascinante. Da non perdere!

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    21 Novembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 21 Novembre, 2020
Top 50 Opinionisti  -  

Beh, devo dire che – ogni tanto – del puro ed incontaminato metallo ci sta. Con gli Incursion si torna a respirare a pieni polmoni proprio quel sano ed onesto heavy metal superclassico dei vecchi tempi. Anche perché, effettivamente, questo combo è sorto proprio nel lontano 1982 nella solarissima Florida dove, dopo la solita, tostissima gavetta, ha forgiato un primo demo marchiato 1985 (con tre soli pezzi ossia "Vengeance", "Tell Me the Truth" e "Crown of Thorns") per poi letteralmente dissolversi nel nulla fino ai giorni nostri. E forse questo è stato un bene, perché – ascoltando questo loro lavoro – sembra proprio che il tempo si sia fermato per i nostri “five horsemen”: sono muscolari, essenziali e senza tanti fronzoli, dediti ad un metallo pesante tanto caro a chi non può proprio prescindere dal binomio Iron Maiden/Metallica (la label si chiama pure No Remorse…) di chi ha bisogno del metal come l’aria per respirare!
Già l’intro ricorda i vecchi fasti di “Am I Evil” dei Diamond Head, successivamente riproposto dai four horsemen di San Francisco con una cover consegnata alla leggenda del nostro beneamato genere. Le altre tracks offendono con efficienza ed efficacia, risultando adrenaliniche ma melodiche al punto giusto, intarsiate da assoli assolutamente niente male sciorinate su tappeti ritmici schiacciasassi. Una fatica che certamente rievoca la grandeur della New Wave of British Heavy Metal mixandola sapientemente con i canoni del Bay Area’s sound (senza mai sconfinare nel thrash metal) mantenendosi in perfetto equilibrio tra dinamismo e potenza sonora.
Peccato che siano solo quattro pezzi (più intro e outro), perché verrebbe da prolungare l’headbanging molto volentieri… speriamo che presto (e non certo tra altri 35 anni…!!!) questa band torni a riproporci il suo metallo onesto e massiccio, tutto pogo e sudore.

Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
241 risultati - visualizzati 171 - 180 « 1 ... 15 16 17 18 19 20 ... 21 25 »
Powered by JReviews

releases

Deliziosamente, l'ultimo Cradle of Filth!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Folkstone -
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
"In Penitence and Ruin": Il Doom Metal Gotico Classico e Profondo dei Tribunal
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Hangfire, un debutto di ottimo heavy metal
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Evilizers, sulla scia della tradizione
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Candlemass: ennesima sinfonia in nero
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Sweeping Death: un disco ben fatto
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Wasted: distruzione totale
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Hans & Valter, ma la chitarra?
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Sacrifix, thrash old-school dal Brasile
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Phear, ottimo heavy/thrash dal Canada
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Grandi passi avanti per il progetto On My Command
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla