Opinione scritta da Daniele Ogre
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#1 recensione -
E' passato solo un anno e mezzo da "The Highest Level" ed i veterani death metallers nipponici Defiled tornano già alla carica con un nuovo album - l'ottavo di una carriera cominciata nel 1992 - sempre per Season of Mist: "Horror Beyond Horror". Yusuke Sumita e soci mantengono con quest'album i livelli qualitativi soddisfacenti del disco predecessore, e soprattutto confermano l'approccio più diretto ed aggressivo, non dimenticando mai però quei momenti progressivi che hanno contraddistinto soprattutto la loro prima parte di carriera e che hanno oggi ancora la loro certa rilevanza (basta ascoltare la title-track come primo esempio che capita lungo la tracklist). Il punto forte dei Defiled resta comunque l'essenzialità del riffingwork, che specie nei pezzi più marcatamente old school Death Metal si fanno incisivi e ficcanti. Essenziale è anche il songwriting del quartetto di Tokyo, con solo due pezzi che raggiungono a stento i 4 minuti, segno questo che, come sempre, ai Nostri non interessa tanto perdere tempo, ma nonostante ciò, per l'appunto, ciò non vuol dire che i Defiled non trovino il tempo d'inserire quei patterns tecnici con rimandi ora a Cryptopsy e Suffocation, ora addirittura ai Voivod. Sostanzialmente, "Horror Beyond Horror" appare sin da subito come l'album forse più ispirato dei Defiled in questa loro ultima parte di carriera, anche se ci sarebbe sempre la questione della produzione, con i Nostri che puntano al solito su suoni che sanno molto di "casalingo" con la voce che tende a coprire tutto: c'è a chi piacerà e chi no (il sottoscritto è nella seconda categoria ad esempio), ma anche questo fa parte ormai del DNA della band giapponese: prendere o lasciare!
#1 recensione -
Uno dei principali meriti di Transcending Obscurity Records è sicuramente quello di farci conoscere quasi a getto continuo nuove interessanti realtà provenienti dal sottobosco estremo mondiale; basta vedere passate recensioni per vedere come il sottoscritto abbia sempre elogiato - talvolta con toni più entusiastici, altre volte "normali" - le uscite della label indiana, che questa volta è andata a pescare in Centro Europa, più precisamente in Germania, con i Typhonian, di cui è stato da pochissimo licenziato il secondo album "The Gate of the Veiled Beyond", 50 minuti di Blackened Death Metal dalle aperture Progressive in cui i Nostri sanno come tenere alta l'attenzione dell'ascoltatore: un piglio furioso e risoluto con rimandi alla vecchia scuola svedese (Dismember, Unleashed) che s'interseca con rasoiate sempre di scuola Swedish, ma in questo caso Black/Death (Necrophobic, Unanimated, ecc. ecc.), il tutto sorretto da un impianto melodico sempre centrale all'interno delle composizioni del quintetto teutonico. I Typhonian attaccano frontalmente con una serie di brani rabbiosi e quadrati che dal vivo promettono di fare la loro bella figura (prendete la doppietta iniziale "Cosmic Throne" / "Primal Deceptive Light"), sapendo però inserire di tanto in tanto momenti che hanno un sapore decisamente più moderno, come nella parte centrale di "Crimson Rivers", pezzo che presenta le prima avvisaglie di quelle venature à la Edge of Sanity che sentiremo esplodere soprattutto nelle due tracce più lunghe: la tetra "The Gatekeeper" (i cui primi minuti potrebbero far venire in mente gli Immortal degli ultimi lavori) e la mastodontica suite finale (quasi 20 minuti) "Cath'un - The Gate of the Veiled Beyond". Dato il minutaggio decisamente più diluito, in questi due pezzi i Typhonian hanno uno spazio di manovra maggiore che permette loro di dimostrare come ogni aspetto di questo loro secondo album sia stato curato nei minimi dettagli, già a cominciare dall'approccio filosofico su tematiche cosmiche che ci accompagnano tramite testi altamente ispirati. Magari i 50 minuti totali di durata possono rendere un po' ostico l'ascolto, specie pensando che gli ultimi 20 sono dedicati esclusivamente alla pachidermica traccia conclusiva, ma come detto i Typhonian sanno come tenere sempre alta l'attenzione: i pezzi non calano di tensione ed anzi con un ascolto attento si sapranno apprezzare le varie sfumature.
#1 recensione -
Dopo aver sorpreso il mondo col debut album autoprodotto "Menschenmühle", disco divenuto quasi subito di culto nel circuito underground europeo, arrivano oggi a pubblicare il secondo album i melodic black/death metallers tedeschi Kanonefieber. La one man band saldamente guidata dal cantante e polistrumentista Noise ha nel frattempo pubblicato diversi singoli ed uscite minori, per poi trovare un deal nientemeno che con Century Media, che licenzia oggi questo nuovo "Die Urkatastrophe". L'aver cominciato a fare live deve aver sicuramente giovato a Noise: se già con "Menschenmühle" ci aveva dato una serie di pezzi sicuramente ottimi per un disco che fu una delle più grandi sorprese del 2021, con "Die Urkatastrophe" lo troviamo all'opera con pezzi dalla presa melodica ancor maggiore che, soprattutto, scorrono con una fluidità superiore al predecessore. Musicalmente (e tematicamente) c'è sempre una stretta "parentela" con i 1914 ("Sturmtrupp", "Der Maulwurf"), ma molti dei rimandi in quest'opera convergono verso la scuola Melodic Black svedese ("Menschenmühle", "Panzerhenker", "Lviv zu Lemberg"), mentre - sempre rispetto al predecessore - prendono più spazio anche momenti più prettamente Melodic Death, nella furiosa accezione dei primi lavori degli Amon Amarth (con cui i Kanonefieber hanno suonato, con gli Insomnium, quest'estate a Lignano Sabbiadoro) e degli Heaven Shall Burn, tra l'altro questi ultimi qui presenti nella persona di Maik Weichert, ospite nel singolo "Waffenbrüder". Con una marzialità di fondo sempre presente, il tagliente riffingwork di Noise ci accompagna lungo i 50 minuti di un disco che può tra le altre cose vantare una produzione pressoché perfetta. Con un'identità ormai ben definita a partire dalle copertine (che ricordano i manifesti propagandistici della Grande Guerra) e dal vestiario, oltre che dalle tematiche, i Kanonefieber sul piano musicale sono ormai diventati un'assoluta garanzia all'interno del panorama europeo, capaci anche di sorprendere con passaggi inaspettati, tipo il solo marcatamente Heavy classico di "Lviv zu Lemberg". "Die Urkatastrophe" è, insomma, assolutamente consigliato.
#1 recensione -
Puntuale come le linee ferroviarie giapponesi, a due anni dal precedente lavoro torna Andrew Lee con i suoi Ripped to Shreds,che pubblicano oggi su Relapse Records il quarto full-length "Sanshi". Che Andrew abbia un amore incondizionato per il Death ed il Grindcore della vecchia scuola è ormai più che palese, quindi chi già conosce questa sua creatura sa già esattamente cosa aspettarsi: un vortice sonoro che passa dalla furia floridiana degli Obituary a quella nordica dei Dismember, passando per più cupi e groovy passaggi à la Asphyx ed un bieco marciume di fondo che rimanda a Terrorizer e primi Carcass; tutto questo è sorretto da un impianto sonoro di tutto rispetto in cui i Ripped to Shreds dimostrano di avere una tecnica di base di sicuro livello, oltre che uno spiccato gusto melodico - soprattutto in sede di soli - che dona al loro assalto un aspetto più arioso e variegato. Lee e soci rimangono insomma fedeli a loro stessi con un assalto all'arma bianca di dieci pezzi che parte con la più lunga e varia "Into the Court of Yanluowang" prima di ritrovare il classico assalto che ci si aspetterebbe dalla band californiana con la robusta "Force Fed", pezzo di meno di 3 minuti ma sicuramente trascinante cui segue la 'svedese' "燒冥紙 (Sacrificial Fire)". Ritmiche rocciose e telluriche, riff serrati, bordate belluine che s'intrecciano con pesanti passaggi Doom, i Nostri si muovono con agilità lungo sonorità che sono più che familiari a chi ha ascoltato i loro precedenti lavori, ma non per questo ascoltarli all'opera con "Sanshi" può essere noioso o ripetitivo: i Ripped to Shreds questo sono e fin quando fanno bene il loro lavoro - cosa che fino ad ora è accaduta sempre - noi non si può esserne che contenti.
#1 recensione -
Che cinema horror e Death Metal vadano a braccetto è una cosa più che (stra)palese; basta pensare ai Necrophagia o, per venire a tempi contemporanei ed alla scena italica, Fulci e Tenebro, che già da tempo si muovono su tali coordinate. La romena Pest Records ha tenuto a battesimo, sul finire di questo scorso agosto, gli ...in Viscero, trio che omaggia in tutto e per tutto il cinema Horror italiano dagli anni '60 ai '90, con titoli che non lasciano spazio a dubbi di quale film stiano parlando, titoli in italiano, cantato in italiano, pseudonimi in italiano, il titolo dell'album è "Italia Violenta"... ma loro sono ungheresi. Mentre Fulci e Tenebro stilisticamente seguono il percorso groovy e pesante dei Mortician, il trio ungherese punta deciso verso un old school Swedish Death che vede in Dismember e Vomitory le principali fonti d'ispirazione (ma non meno anche i soliti Entombed, Grave...). Concedendosi un attimo di pausa a metà disco con "Signor Frizzi" - pezzo che ovviamente omaggia il M° Fabio Frizzi, autore di innumerevoli colonne sonore nell'epoca d'oro del cinema Horror italiano, gli ...in Viscero ci regalano sette pezzi che sul piano musicale hanno ben poco di originale, ma che riescono comunque ad intrattenere a dovere, grazie anche ad un copioso lavoro di voice over tratti dai vari film in questione ed un songwriting particolarmente fluido. I film omaggiati sono tutti lì, tranquillamente nei titoli dei pezzi: si va da capolavori come "E Tu Vivrai nel Terrore! L'Aldilà", "Suspiria" e "Demoni", fino a "Zombi 2" (il film da cui viene tratto il seminale "Tropical Sun" dei Fulci), il morboso "Buio Omega" di Jo D'Amato - prima che si desse al p0rn0 - (seriamente IL film più morboso che una mente umana abbia mai partorito) e "Dellamorte Dellamore" di Michele Soavi, quello che molti erroneamente credono essere un film su Dylan Dog quando invece il protagonista è Francesco Delamorte - tutt'altro personaggio uscito sempre dalla penna di Tiziano Sclavi - e che molto ricordano quasi solo per QUELLA scena di Anna Falchi. Sul piano musicale, come detto, siamo nei territori della vecchia scuola svedese Death Metal: attitudine a pacchi, HM-2 a palla, riffoni corposi e ritmiche serrate: nessuna sorpresa sotto questo punto di vista, ma un lavoro sicuramente soddisfacente da parte del trio ungherese. "Italia Violenta" è un prodotto più che discreto che, per quanto ci riguarda, consigliamo caldamente soprattutto ai die hard fans del più profondo e sconosciuto underground Death Metal. E dei vecchi film Horror italiani ovviamente, visto che, usando le parole degli stessi ...in Viscero: "I sette film evocati dalle canzoni dell'album raccontano storie di demoni, zombie, streghe e del lato più oscuro della mente umana. Dopo aver ascoltato l'album, guardare questi film non è solo necessario, ma obbligatorio!"
#1 recensione -
A quanto pare, i Maat non sono l'unica band tedesca che segue pedissequamente gli insegnamenti dei Nile; dalla Sassonia arrivano infatti gli Apep, band che dopo un debut album autoprodotto nel 2021 ("The Invocation of the Deathless One"), pubblica tramite War Anthem Records questo secondo full-length a titolo "Before Whom Evil Trembles", disco composto da sette tracce i cui riferimenti stilistici sono alquanto chiari: Karl Sanders e soci sono la Stella Polare verso cui le sonorità degli Apep si dirigono, ma va comunque detto che seppur manchi per forza di cose una certa originalità, i Nostri riescono a compensare grazie ad un lavoro compositivo di tutto rispetto che fa perno su di un riffingwork particolarmente ispirato. Oserei addirittura dire anche un filo più ispirato dell'ultimo Nile: in tal senso sorprendono in positivo "The Pillars of Eternity" (con la sua parte centrale mediorientaleggiante), la mortifera "Tombs of Eternity" - il pezzo che più abbiamo preferito di questo disco - e la lunga traccia conclusiva "Swallowed by Silent Sands", brano dalla durata consistente in cui, un po' come fanno per l'appunto i maestri americani, gli Apep si dilatano per lasciarsi andare a briglia sciolta incorporando in un solo posto tutti gli elementi delle proprie sonorità, col risultato di non far pesare gli oltre 10 minuti della canzone. Insomma, se cercate originalità, indirizzo sbagliato; ma se invece siete alla ricerca di un buon prodotto Death Metal che riesce a sorprendere in positivo pezzo dopo pezzo con l'avanzare della tracklist, allora "Before Whom Evil Trembles" potrebbe essere per voi il giusto acquisto.
#1 recensione -
Dopo averli visti all'opera quest'estate al Frantic Fest (un live bello solido e trascinante), è tempo di parlare del secondo album dei monzesi Husqwarnah, Death Metal band che nei giorni scorsi ha rilasciato tramite Time to Kill Records "Purification Through Sacrifice", degno successore del buonissimo debutto "Front: Toward Enemy" (2021, Fuel Records). Dopo un ultimo anno con qualche problema di formazione, l'act brianzolo sembra essersi finalmente stabilizzato, con la new entry alla chitarra Emanuele Biondi che si è integrato alla perfezione immediatamente, tanto che il suo lavoro unito a quello di JP Lisi va a rappresentare il fulcro primario della buonissima riuscita di questa seconda fatica dei Nostri. Muovendosi sempre a proprio agio nei territori di Bolt Thrower, Asphyx e Benediction, gli Husqwarnah mettono sul piatto undici tracce (nove + intro ed outro) solide e compatte, in cui dimostrano di trovarsi a proprio agio in ogni veste, sia quando i torni si fanno marziali e groovy, sia quando c'è da spingere a manetta sull'acceleratore (vedasi i nemmeno 2 minuti della ferale "Lawn Mower Massacre"). Scorrendo la tracklist possiamo facilmente come i Nostri siano decisamente cresciuti sul piano sia della composizione sia dell'esecuzione, assestando una serie di colpi dritti alla bocca dello stomaco di rara potenza e violenza, dalla feroce "Graboids" con il suo brutale incedere Black/Death, ai toni più marziali infarciti di accelerazioni assassine di "Mass Grave", passando per i buonissimi singoli "Reincarnation of Sin Pt. II" (con ospite Enrico H. Di Lorenzo degli Hideous Divinity) e "Tower of Suicide", fino alle mazzate finali di "The Jackal's Grin". Tra colate laviche di riff ed una sezione ritmica adrenalinica e vibrante, il tutto ad incorniciare il corposo growl di Maurizio Caverzan (che incontreremo di nuovo ad ottobre con i Ghostheart Nebula, n.d.r.), gli Husqwarnah con "Purification Through Sacrifice" pubblicano quello che è il loro manifesto: sono qui per colpire duro e fare male. E con quest'album ci sono riusciti in tutto e per tutto.
#1 recensione -
Crediamo che dopo questo "Spilling the Astral Chalice", non ci siano limiti a dove possano arrivare gli sloveni Siderean. L'album qui in esame - uscito per Edged Circle Productions - è il secondo per la band di Lubiana e segue di tre anni il già di per sé incredibile "Lost on Void's Horizon", livellando verso l'alto gli standard qualitativi dei Nostri. Sono sei i pezzi qui compresi, in cui i Siderean modellano a loro piacere un Progressive/Technical Death che spesso rimanda ai maestri (attuali) Blood Incantation ed agli StarGazer, ramificandosi talvolta con percussioni Tech-Thrash (Vektor, Coroner, ecc. ecc.), non facendosi mancare momenti più brutali e possenti (Artificial Brain): il risultato è un disco dall'elevatissimo tasso tecnico - ma va? -, ma al contempo anche sicuramente impattante, complici quegli stacchi più diretti e brutali che aumentano la tensione lungo i brani, un paio dei quali anche dal minutaggio importante e che quindi lasciano loro un ampio spazio di manovra. Proprio in "Visions" (poco più di 9 minuti) e la conclusiva "To Build Ruins" (10 minuti e mezzo), i Siderean si lasciano andare a briglia sciolta tra bordate della vecchia scuola, furiose dissonanze e melodie dalle arie cosmiche, in un incedere vorticoso di sperimentazioni intricate e strutture oblique. Ma quello che più colpisce è la precisa volontà dei Nostri - che traspare da ogni passaggio - di dare un'impronta personale alle proprie composizioni, e a nostro avviso la band slovena riesce a pieno nel suo compito, nel senso che seppur facile individuare le coordinate stilistiche da cui traggono ispirazione, i Siderean riescono a non assomigliare troppo a l'una o l'altra band, segnando così un netto passo avanti rispetto all'ottimo debut album. Insomma, traendo le conclusioni finali non possiamo che rimandarvi alla frase che ha aperto questa recensione. Ed a consigliarvi l'acquisto di "Spilling the Astral Chalice": nel vale davvero la pena.
#1 recensione -
Devo essere sincero: non ho capito tanto le dinamiche che hanno portato i Paganizer a pubblicare questo EP un mese e mezzo prima dell'uscita del prossimo album "Flesh Requiem", ma tant'è... Nelle info che accompagnano il promo in questione, "Forest of Shub Niggurath" viene descritto come il ritorno della creatura primaria di Rogga Johansson su Xtreem Music dopo vent'anni ed anticipa il nuovo album in uscita nel 2025 sempre per la label spagnola. Ma ancora: "Flesh Requiem" è in uscita il 1° novembre e su un'altra label. Vabbè, saranno dinamiche di mercato (discografico) che non sappiamo, chi se ne frega. Parlando invece di "Forest of Shub Niggurath", l'EP è composto da sei pezzi rapidi e feroci, come da tradizione dei Paganizer: 1/4 d'ora di Death Metal della vecchia scuola svedese, di cui i Nostri sono ormai da tempo tra i Grandi Veterani. Riffoni corposi, taglienti melodie, ritmiche serrate, attitudine Rock'n'Roll: le componenti ci sono tutte e non ci si potrebbe aspettare nulla di diverso dai Paganizer, alle prese questa volta con una (breve) release dai toni lovecraftiani, come lascia facilmente intendere il titolo dell'opera, così come quello dei pezzi ("R'Lyeh Ascends" su tutti). Ripeto: le dinamiche che hanno portato a questo EP non le conosco, ma più in generale possiamo dire che i Paganizer ci hanno abituati da sempre ad essere sempre in costante fermento tra album, EP, live album e raccolte; in questo senso, non stupisce che abbiano materiale a iosa da pubblicare: e "Forest of Shub Niggurath" è un EP che la sua sufficienza piena la raggiunge abbastanza agilmente.
#1 recensione -
Un EP per tenere il motore su di giri questo "Immaculate Pain" dei Father Befouled; licenziato ancora da Everlasting Spew Records questa breve uscita vede la band di Atlanta impegnata in tre pezzi inediti e due cover, una dei Morbid Angel ("Pain Divine") e una degli Abhorrence ("Vulgar Necrolatry") - quest'ultima presente solo nel formato digitale -, entrambe ben eseguite da parte di Justin Stubbs e soci. Per quanto riguarda i tre inediti, confermano la verve e il buonissimo stato di forma di una band che si trova ormai alle soglie dei vent'anni di carriera e resta tra le più interessante tra le tante che seguono i dettami di Incantation ed Immolation. Sonorità dunque cupe e pesanti come macigni, in cui un riffingwork corposo è fondamentale per la stesura del granitico tappeto sonoro che accompagna le cavernose vocals di Stubbs, con la malta rappresentata da una sezione ritmica chirurgica, con un Chris McDonald dietro le pelli che guida la carica tra blast beat assassini e mid-tempo mefistofelici e sulfurei. C'è sostanzialmente ben poco altro da aggiungere: nei 25 minuti di "Immaculate Pain" i Father Befouled semplicemente proseguono per la propria strada senza intoppi con tre pezzi soddisfacenti (la lunga "Abomination of Flesh" è quella che probabilmente più delle altre riesce a convincere) e due cover ben eseguite. In attesa di un nuovo full-length, insomma, un'uscita minore che i fans dell'act di Atlanta difficilmente si lasceranno scappare.
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