Opinione scritta da Piero Pizzorni
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Ultimo aggiornamento: 12 Mag, 2017
Top 50 Opinionisti -
Via Mala è il nuovo album degli Umbra Noctis, uscito il mese scorso per Novecento Produzioni.
Nei quaranticinque minuti a disposizione gli Umbra Noctis dimostrano di aver raggiunto quella maturazione artistica, attraverso: melodia, mistero, liriche ricercate.
Sette sono le tracce del nuovo full-lenght, destinato a lasciare un ricordo indelebile.
Le armonie malinconiche si confondono a perfezione con i riffs pesanti appartenenti al black metal, tuttavia la band si avvicina a qualcosa di avantgarde che fa acquisire al lavoro originalità, l’arte viene messa davanti alla musica. Apprezzabile i sali/scendi di ritmi e umori, complice la buona caratura dei singoli musicisti. Le canzoni suonano complete, ogni traccia gioca un ruolo da protagonista, non ho trovato momenti di stanca, l’album è omogeneo, anche se non manca di certo la riconoscibilità a ogni brano, per questo motivo penso che “Via Mala” sia un disco da tenere in seria considerazione, specie per chi vuole uscire dai canoni odierni, con la consapevolezza di calarsi in nuove atmosfere, legate tuttavia a tempi dietro. Poesia, musica, arte, attraverso questo nuovo lavoro in casa Umbra Noctis. La band non ha avuto paura di sbagliare, l’eccesso di coraggio ha premiato loro, grazie a creatività, rabbia, innovazione. Post black metal/avantgarde metal, attribuite ai ragazzi ogni tipo di nome, una cosa è certa ci troviamo di fronte a una band che ha molto da dire, lasciarsi sfuggire quest’album sarebbe un errore fatale, cosa aspettate?
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 2017
Top 50 Opinionisti -
I Tenebrae, band ligure attiva dal 2005, dopo alcuni cambiamenti di line-up, sono fuori, attraverso Black Tears, con il nuovo album intitolato “My Next Dawn”, dopo che in passato erano stati rilasciati altri due dischi, “Memorie Nascoste” e “Il Fuoco Segreto”. I nuovi membri della band hanno portato idee innovative, senza che il sound dei Tenebrae subisse stravolgimenti, tuttavia queste new entries rappresentano un nuovo approccio e una personalità fresca.
Di questo ne giova il disco appena uscito, i suoni sono molto più cupi, scuri così come le liriche, il Doom Metal è quanto emerge maggiormente nella musica dei Tenebrae, anche se con questo nuovo full lenght altri generi sono esplorati, c’è Death Metal nei riffs, nella voce del bravo Paolo “Pablo” Ferrarese, che si districa in maniera del tutto naturale tra clean voice, scream & growl, usando tutta la sua teatralità a servizio di ogni singolo brano.
La nuova fase Tenebrae è caratterizzata da una vasta gamma di contrasti, dalla più cruda e ruvida, alle melodie malinconiche e atmosfere dark, il tutto condito dal Prog di casa nostra, quello che la città di Genova ha saputo innegabilmente offrire nel corso degli anni.
“My Next Dawn” è un album interessante sotto ogni punto di vista, un disco che va ascoltato in tutta la sua totalità, con tanto di testi davanti. Sono sicuro che i Tenebrae sapranno migliorarsi, ne sono certo, ma ora godiamoci “My Next Dawn” che si merita un giudizio più che positivo, assolutamente.
Fate vostro il nuovo album dei Tenebrae, non ve ne pentirete, specie per voi che amate il Dark, il Doom, il Death Metal, la teatralità e tutte quelle emozioni che si leggono attraverso la luna piena.
Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 2017
Top 50 Opinionisti -
Non mi voglio soffermare troppo nel cercare aggettivi inebrianti, “Behind the Masquerade” è un disco bellissimo e qui mi fermo, basta questo a rendere l’idea.
I Ruxt hanno partorito un album da lode, nelle sue tonalità che vanno ad abbracciare il Classic Metal, il Rock più duro, ragionato ma, al tempo stesso, ruvido e genuino, proprio come qualche esimio collega di anni dietro.
Non ci sono note stonate, ogni musicista, posso asserire con certezza, ha imparato a dovere la lezione, quello che viene fuori è qualcosa di dannatamente Metal, il sangue scorre nelle vene dei nostri senza mai fermarsi, l’adrenalina non manca, così come il giusto groove, grazie ad una sezione ritmica capace di trasportare in alto ogni singolo brano, Steve Vawamas al basso (già con Mastercastle e Athlantis) e l’ottimo Alessio Spallarossa (drummer dei techno-death Sadist) hanno realizzato un incredibile lavoro.
Le lodi non si esauriscono di certo qui, la parte ritmica è da applausi, tutto vero, ma il resto della band non è di certo da meno, Stefano Galleano e Andrea Raffaele sono due chitarristi esperti, legati al Metal eightiees (si sente!), hanno disegnato trame incredibilmente belle, sia dove i tempi si fanno “malvagi”, che nelle parti melodrammatiche, vedi nei chorus.
A proposito di chorus, è arrivato il momento anche di tessere le lodi del bravissimo Matt Bernardi, singer dalla voce calda, ho apprezzato molto il suo lavoro, specie per la versatilità distribuita dalla partenza decisa di “Scare My Demons”, alle note delicate di “Forever Be” o “A New Tomorrow”.
“Behind the Masquerade”, signori miei, è un album che fa riflettere chi dice che la musica è morta…
Whitesnake, Gotthard, R.J.Dio, Deep Purple e Judas Priest sono gli accostamenti più marcati, il tutto rivisitato in chiave odierna, complice una produzione che di certo ha contribuito a rendere giustizia al master di chiusura.
Credetemi, non ho trovato canzoni deboli, nonostante il full lenght duri quasi settanta minuti, la band non entra mai in una fase stucchevole, le tracce suonano tutte molto fresche e la sensazione è quella che, finito un brano, si attende con ansia il prossimo.
"Behind the masquerade", debut album dei Ruxt, suona già come un capolavoro, anche se spero davvero che la band riesca a migliorarsi, perché no?
Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 2016
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Ascoltando questo debut album dei Blue Hour Ghosts, mi sono reso conto di come sia possibile scrivere musica difficile, ricca di sperimentazione, ma altrettanto di facile ascolto, complice una serie di arrangiamenti da definirsi più che intelligenti.
Ho appena detto che la band ama sperimentare, di certo non si può dire che i Blue Hour Ghosts siano una formazione statica, i confini sono varcati, inesorabilmente, la band assume toni camaleontici dall’inizio alla fine di questo interessantissimo album di debutto omonimo.
Alternative Metal vuol dire molte cose, ecco quello che i terribili ragazzi emiliani hanno da dirci; da una parte risuonano influenze classic metal, dall’altra il prog odierno, ma non è tutto, frammenti di alternative rock, groove metal, il tutto accompagnato da sinistre strutture dove, alla malinconia diffusa, si accosta un atteggiamento misterioso.
I brani sono davvero ben confezionati, sotto ogni punto di vista, dall’arrangiamento che, come detto pocanzi, è il fiore all’occhiello del disco, così in fase di produzione, il mastering è ben bilanciato.
Un encomio alla voce del singer Alessandro Guidi, le metriche riescono a essere sempre dinamiche, mentre i chorus arrivano all’orecchio piacevoli e mai forzati.
Ma non è certo finita qui, gli altri musicisti di certo non sfigurano, anzi tutt’altro, la sezione ritmica non è mai doma, così come i riffs, confezionati dalla coppia Diego Angeli e Francesco Poggi; infine Simone Pedrazzi disegna tappeti di tastiere che accompagnano, a volte trascinano, il brano nelle atmosfere cariche di arcana riflessione.
Si tratta di un debut album davvero riuscito, già dalle prime note dell’opener “Dreadful Faces and Fiery Arms”, dinamica, moderna, energica, il giusto inizio per un disco che non conosce limiti e fasi calanti.
Fate vostro questo disco, sarebbe una bestemmia non custodirlo nella vostra collezione.
Sono certo che dei Blue Hour Ghosts sentiremo parlare a lungo.
Ultimo aggiornamento: 02 Dicembre, 2016
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Five è il titolo del nuovo album dei canadesi The Agonist.
Dopo aver reclutato nelle proprie fila Vicky Psarakis, la band ha realizzato il secondo full lenght, con la bionda cantante e, dopo l’uscita di “Eye of Providence”, album che ha suscitato ottimi consensi da parte di critica e pubblico, ecco uscire per la Napalm Records, dopo circa un anno dal precedente, il nuovo “Five”.
Il sound della band è invariato, tutto quello a cui i The Agonist ci hanno abituato in questi anni non viene meno, i riffs sono diretti, il groove di certo non manca, la matrice Thrash/death si miscela molto bene, anche nei frangenti più melodici, dove la voce della brava Vicky è esaltata in particolar modo in diversi chorus.
Si parte in maniera riflessiva, “The Moment” è una canzone inconsueta, specie come apripista di un album, tuttavia non c’è nulla di stonato, anzi, a farla da padrone sono i saliscendi, il crescendo di emozioni con cui la band canadese si è fatta conoscere e amare.
Non ci sono cali, “Five” mi convince, non credo sia un azzardo definire quest’album come il capolavoro della band, ormai Alissa (passata agli Arch Enemy) è storia vecchia, “The Raven Eyes” ne è la conferma.
Bridge in growl, clean voice nei chorus, riffs potenti e una sezione ritmica precisa è il riassunto dei “The Agonist”, ma non fatevi ingannare in questo “Five” c’è molto altro, la sperimentazione è sempre in agguato quando si ha a che fare con bands di questo calibro.
Bravi davvero!
Ultimo aggiornamento: 02 Dicembre, 2016
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Il polistrumentista Brant Bjork è una “vecchia” conoscenza, visto le molte collaborazioni che l’hanno reso protagonista, su queste Kyuss e Fu Manchu le più importanti.
“Tao of the Devil” è il nuovo album, dopo il fortunato “Black Power Flower”, a dimostrazione che il sodalizio con la Low Desert Punk Band porta buoni frutti.
Il sound ci riporta indietro di qualche anno, anzi, a dire il vero, ci rispedisce dritti agli anni 70, a tratti sembra di essere sul set di un film, targato Rob Zombie, folle amatore di tali sonorità.
Lo stoner, non è un segreto, ha radici seventeen, la musica di Brant Bjork conferma tutto ciò, con suoni genuini, ruvidi, passionali.
Emergono i grandi del passato, Jimi Hendrix, Black Sabbath, con l’ausilio dei mezzi di oggi, grazie a una produzione che suona pulita, chiara in ogni sua definizione ma che, al tempo stesso, non perde la spontaneità di quei tempi passati.
“Tao of the Devil” è un disco piacevole, da non dimenticare a casa, specie se siete in procinto di partire per un lungo viaggio, se il vostro obiettivo è attraversare gli States con un vecchio furgone, ho la musica che fa per voi.
Tutte le sette canzoni sono in possesso di una buona personalità, nonostante ritenga questo full lenght comunque omogeneo, un punto in più a favore di Brant Bjork e la sua temibile band, non è cosa da tutti i giorni.
Non ho preferenze, “Tao of the Devil” mi ha convinto nella sua interezza, insomma che aspettate, prima di correre lungo una strada senza fine, fate una capatina nel vostro negozio di fiducia e ordinate il nuovo album di Brant Bjork. Non ve ne pentirete!
Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 2016
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Vi piace il metal estremo, tecnico, ragionato? Questo è un disco che fa per voi, sarebbe una bestemmia lasciarvelo sfuggire.
I Denominate, giovane band finlandese, nonostante appunto un’età media davvero bassa, sono in possesso di una caratura tecnica invidiabile. La maturazione con cui confezionano, questo “Those Who Beheld The End” è incredibile.
Sono due gli aspetti su cui si basa la band: da una parte la brutalità, nei riffs, nelle voci, gutturali, potenti; dall’altra la ricerca della tecnica, mai fine a se stessa, dove i solos spiccano all’orecchio, nella mitraglia di blast-beat.
Le ispirazioni ci sono, e qui cito i Carcass di Necroticism, i Gorguts, gli Obscura, il tutto rivisitato nei giorni nostri.
Quello che ho apprezzato maggiormente è il tentativo, per lo più riuscito, di scrivere canzoni in senso tale, senza lasciare nulla al caso, cosa che, in un genere come il Death più brutale, non succede spesso; qui la canzone ha molta importanza e per questo mi sento di promuovere a pieni voti i Denominate.
E’ una piacevole sorpresa questo nuovo full lenght, specie, e qui ritorno sulle mie parole, considerando la giovane età dei terribili finlandesi, dotati di una tecnica che gli permette di accostarsi alle band più note ed apprezzate che si muovono intorno al genere. Tra le mie preferite “Torments of Silence”, canzone di oltre undici minuti; per un attimo abbandoniamo, almeno in parte, il Death più tecnico, a favore di un chorus epico, a seguito di un intro, dove la meditazione ci addentra nella rabbia che, di lì a breve, si abbatterà su di noi.
Sono sette le tracce che vanno a costituire questo “Those Who Beheld The End”, ognuna di queste ha una durata media di sei minuti; non spaventatevi, di certo non ci si annoia con la musica dei Denominate, tutt’altro!
Sono arrivato a fine corsa, soddisfatto nell’essermi imbattuto in questo disco, che consiglio vivamente a tutti quelli che hanno voglia di violenza sonora, accompagnata da intelligenza e tecnica da vendere.
Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 2016
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I M.I.LF (Make It Long N’ Fast), sono una band Toscana, basta vedere una loro foto, per capire subito il genere di appartenenza.
Vi dico subito, che stiamo parlando di una band dinamica, anzi esplosiva, accostabile al Glam Rock, nonostante nel sound dei M.I.L.F. ci sia ben altro.
“More than You”, è un disco, principalmente e fottutamente Rock’n’Roll.
I brani sono piacevoli, ora Rock, ora Glam, ora si sconfina nell’Hard Rock, il tutto sempre dannatamente, selvaggio e genuino.
Quando mi trovo a recensire album di questo genere, il mio giudizio è bilaterale: se, da una parte, l’aspetto puramente tecnico non deve mai venire meno, dall’altra trovo sia ancor più importante la voglia, la passione con cui la band trasmette emozioni al proprio pubblico e di questo ai M.I.L.F. non si può di certo rimproverare nulla, visto che la band Toscana è in possesso della giusta adrenalina e del giusto approccio.
“More Than You” è un album consigliato a tutti, specie ai fans di band quali: Motley, Aerosmith, Guns…
Molto buona la prova del singer, frontman, capace di spezzare i cuori delle ragazzine poste tra le prime fila. Non ci sono brani deboli, il disco è bilanciato, omogeneo, tra dosi di Rock, dove a tratti viene a galla anche del Blues. Come avrete capito, ci troviamo di fronte a un album per tutti, da ascoltare a tutto volume.
Ultimo aggiornamento: 09 Novembre, 2016
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Dalla Grecia con furore, è proprio il caso di dirlo.
I Dimlight approdano al grande pubblico, con il loro terzo studio album, intitolato “The Lost Chapters”, forti di epserienze live di tutto rispetto, la band ellenica, ha condiviso il palco con molte bands, tra queste: Arch Enemy, Rotting Christ, Septic Flesh, Lacuna Coil, Annihilator…
Per chi non conosce i Dimlight, vi dico subito, che si tratta di un genere ibrido, tra sonorità tipiche al Death/Black Metal, virate sinfoniche, e poi gothic, e ancora dark music, una miscela davvero esplosiva.
Protagonisti di una musica a tratti epica, in cui giocano un ruolo da assoluto protagonista, le trame orchestrali, che accompagnano per buona parte, questo “The Lost Chapters”.
Vi ho parlato di un mix letale, confermo quanto detto, le due voci, maschile e femminile, sono bilanciate nel migliore dei modi, in funzione del singolo brano, andando a esaltare, i riffs di chiara matrice extreme, così come i blast-beat di batteria.
Il nuovo album dei Dimlight, escalation di forti emozioni, partendo dalle metriche con cui Eva, questo è il nome della singer, si muove all’interno delle songs; la sua voce, non è da accostare alla miriade di cantanti soprane, appartenenti al gothic, la sua ugola è tremendamente rock, rendendo l’intero lavoro, originale, fuori dai consueti schemi di oggi.
Le liriche sono incentrate sull’antico impero Egizio, un matrimonio, tra musica e testi, assolutamente perfetto.
Di certo non è indispensabile premiare la singola traccia, credetemi, in questo caso, sarebbe molto difficile, “The Lost Chapters”, come si suol dire, è un disco che suona, nella sua interezza, non ci sono canzoni deboli o stonature. A riguardo della musica mi sono già ampiamente espresso, sulla produzione che dire, è il giusto supporto, grazie a un mastering pregevole, senza sbavature.
Il nuovo full lenght dei Dimlight è una piacevole sorpresa, nonostante fossimo già abituati alle buone prestazioni della band greca, possiamo dire con assoluta certezza, che questa volta ci troviamo di fronte alla giusta consacrazione.
Bravi!
Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 2016
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I Defiled, band giapponese, sono arrivati al loro quinto full lenght, quest’ultimo uscito la scorsa estate per Season of Mist, intitolato “Towards Inevitable Ruin”.
Ci troviamo di fronte ad un album che ammicca al death metal old school, il sound è ruvido, genuino, così come la produzione, forse, troppo anacronistica, caotica, i suoni sono deboli e disarmonici.
Certamente l’estrazione è quella legata agli anni novanta, bands quali: Cannibal Corpse, Incantation, Immolation, rappresentano più di una fonte d’ispirazione, anche se, avrei forse tentato di alzare l’asticella, con qualche soluzione da collegarsi ai giorni nostri, non tanto per quel che concerne la musica, ma per la produzione artistica, leggermente troppo datata e come già detto parecchio confusa.
In un genere, nel quale tirare fuori qualcosa di nuovo non è assolutamente cosa semplice, i Defiled ci provano, tuttavia questa volta non mi sento di promuovere la band nipponica, anzi, a dire il vero, il mio giudizio si avvicina alla sufficienza.
Canzoni immediate (2'30" di media) che, in certi frangenti, sembrano quasi demo, più che tracce finite. Ci sono cenni di thrash/death schizoide e noise, contenenti riffs tritaossa e un drumming in evidenza dalle prime note di questo “Towards Inevitable Ruin”.
La voce di Shinichiro Hakada è gutturale, sofferta, anche se, per tutto l’intero album, non esiste altro tentativo; l’intero disco è troppo poco versatile, a tratti noioso.
In passato, i Defiled hanno fatto parlare di sé, specie con un album come “Crisis”, questa volta non ci siamo, confermarsi non è cosa scontata.
Rimandati a settembre.
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