A+ A A-

Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

241 risultati - visualizzati 211 - 220 « 1 ... 19 20 21 22 23 24 25 »
 
releases
 
voto 
 
5.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    16 Marzo, 2019
Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Grandiosi, come sempre!!! Una delle monolitiche certezze tra noi adoratori del Dio Metallo!!! È dai primi anni ’80 che questi inossidabili statunitensi della West Coast sono tra gli incontrastati Grandi Ministri del culto metallico, offrendo la propria chiesa come tempio in cui celebrarne i fasti!
Questa è la loro dodicesima release in studio come full-lenght, ma la loro biografia è costellata da demos, EP, singoli etc. che si fondono in un unico, potentissimo, infinito rito tutto dedicato al metal vecchia scuola, quello che ti fa partire l’headbanging fino a che ti si stacca la testa, che continua a vibrare imperterrita sul pavimento!
La sontuosa opening/title track mette subito le cose in chiaro: stai approcciando i Metal Church. E ti farai mooooolto male!
A mio parere, il meglio viene con la seguente “The Black Thing”, che sembra scritta dal mitico Jaz Coleman dei Killing Joke, solo molto più rabbioso ed oscuro.
I bei tempi di “Beyond the Black” sono tutt’altro che andati: qui si continua al galoppo infuriato con una sequela di pezzi, l’uno più adrenalinico dell’altro!
Ti senti come un pugile che sta subendo una raffica di micidiali pugni nello stomaco, con la differenza che ha pure le orecchie che sanguinano ed il secondo che non può nemmeno gettare la spugna, perché già da tempo perso nel moshpit!
Gli assoli sempre saettanti del duo dei Gran Maestri d’Ascia ti portano alle soglie dello stordimento, ma non riesci a fermarti, ormai sei catturato in una pogata senza requie, che cesserà solo quando l’ultimo solco di questo disco sarà sacrificato.
“Guillotine” è proprio la traccia che ti fa staccare la testa, come profetizzato (e non poteva essere altrimenti) con la sua reminiscenza “Metallica” mentre maledici di non poter alzare ancora di più il volume ma hai la sensazione che tanto, dopo, le casse le dovrai buttar via bruciate!
L’inossidabile ugola del redivivo frontman Mike Howe continua a massacrarci i padiglioni auricolari con quel suo essere un mix mortale tra Bobby “Blitz” Ellsworth e Udo Dirkschneider.
E si prosegue alla grande, fino al decimo e letale pugno in pieno stomaco che pone fine al tuo tarantolamento: la perdita di controllo è totale.
Il rito è compiuto, la Chiesa del Metallo chiude i battenti, ma solo fino alla prossima celebrazione.
Questo esplosivo come-back dei Metal Church è rigorosamente da ascoltare in una stanza di contenimento con le pareti imbottite!!!!
Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrghhhhh!!!
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
01
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    02 Marzo, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Formatisi in quel di Charlotte, North Carolina, U.S.A., nel 2014 questi quattro horsemen in black hanno già all’attivo l’EP "Funeral Chic" nello stesso anno in cui si sono formati (con una misconosciuta line up) e l’album di debutto (targato 2016) "Hatred Swarm".
Nel 2018 I Funeral Chic sono tornati con questo nuovo cd "Superstition".
Chiariamo subito che non si può certo gridare al capolavoro, ma, se ciò con cui volete farvi male è del sano, genuino ed onesto mix di grindcore/thrash/black, questo è il disco che fa per voi!
Sembra di tornare indietro nel tempo: le vocals devono molto a Cronos (con un po’ più di eco) ed i primi Venom, almeno come concept; come il sound, del resto: brani brevi (vedi “Jump” con il suo minuto e ventidue secondi), velocissimi e rabbiosi mutuati dal punk/hard core della prima ora (vedi simpatici coretti), con una spruzzatina di thrash della Bay Area (specie nei guitar-solos) e accelerate blast drumming a profusione tipiche del new black metal.
Quattordici tracce altamente corrosive, da maneggiare con la stessa cura con la quale si maneggia dell’acido solforico perché rischiate seriamente di sfigurarvi, una volta che vi siete lanciati alla velocità di un proiettile dopo aver spinto il tasto “play”!
“Decorated” mi ricorda un po’ i mai troppo compianti Zoetrope, fillers compresi.
Alla lunga, si ha la netta sensazione che i nostri quattro “ceffi” abbiano voluto un po’ strafare, infarcendo i pezzi con troppi cambi (anche di tempo) facendone sortire una sorta di zibaldone metallico.
Certamente devono ancora maturare molto e devono riordinare le idee (oltre che focalizzare e veicolare la loro furia incontenibile) ma, nel complesso, meritano un bel 3 e mezzo di incoraggiamento.
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    23 Febbraio, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Recensire un disco postumo non è mai facile, perchè si corre seriamente il rischio di essere banali e di edulcorare la release in preda alle immagini del “fu” che ti scorrono nella mente, quasi guidando le tue dita sulla tastiera.
Beh, nel caso di Warrel Dane, non è affatto così: i meriti ci sono tutti anzi, siamo al cospetto di un artista sottovalutato e che non ha avuto la possibilità di esprimere appieno la portata innovativa delle proprie idee.
Colto da infarto il 13.12.17 mentre registrava in studio a S.Paolo il suo secondo solo album, Warrel da Seattle era già un’istituzione grazie all’apporto dato alla causa del metallo sotto l’egida di Sanctuary e Nevermore (e scusate se è poco…).
Nel 2007 aveva intrapreso il suo percorso dark-progressive molto misantropico ed introspettivo.
Il marchio della casa ci proponeva un sound molto carico di pathos, al limite del claustrofobico, che spesso sfociava in aperture platealmente progressive (come se fossero degli squarci di luce venuti a fendere le tenebre) caratterizzate da assoli al limite del virtuosismo ma praticamente fusion, in grado di portarci alla mente le creazioni di gente del calibro di Satriani, Mc Alpine,etc.).
Dato atto di una sezione ritmica telluricamente perfetta (da notare la line up brasileira) su tutto si erge la voce di Darrel, estremamente versatile (in condizione di spaziare dal falsetto al growl onde supportare al meglio la variegatissima vena compositiva che si ritrova in tutti i brani.
Una voce segnata da una vena di triste follia, che – in taluni frangenti – ricorda il King Diamond del periodo concept album (per la verità anche la struttura dei pezzi rievoca le variazioni dei Mercyful Fate che furono tra i primi ad adottare i cambi di tempo all’interno di tracce più lunghe, vedi Satan’s Fall – alternata ad una furia più unica che rara.
L’intro sembra una session malata tra uno sciamano, un cantore gregoriano ed un induista e da la stura ad una sequenza terrificante di uppercuts: interessantissima Madame Satan, seguita dall’accoppiata di quelli che già furono proposti come singoli nel 2017, ossia Disconnection System e As fast as the Others. La title track è una vera e propria sferzata di energia nera che ci porta al galoppo sfrenato fino alla conclusiva Mother is the word of God in cui gli archi si incastonano alla perfezione (direi quasi alla Pergolesi) nel contesto malinconicamente potente della piece.
R.i.p., Warrel: ci hai regalato un’ultima perla prima di unirti a Lemmy & Co. nel Walhalla dei Metal Gods.
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    16 Febbraio, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Un tempo si usava riempire i periodi vuoti che andavano da una pubblicazione all’altra con un disco dal vivo, giusto per rispettare le scadenze contrattuali con l’etichetta discografica o per placare la fame dei fans più accaniti della band, che erano ormai in crisi di astinenza.
Comunque la si volesse vedere, il più delle volte si trattava di mere operazioni di marketing magari accompagnate anche dalle immancabili polemiche su presunte sovraincisioni realizzate in studio (talvolta fino al punto di sembrare delle normalissime incisioni della band aventi come “sottofondo” i rumori del pubblico…)
La fatica on stage di cui si tratta è quella sostenuta dallo storico gruppo teutonico nel luglio dello scorso anno in quel di Wacken, durante il famosissimo Open Air Festival.
Ed in effetti, viene un po’ a lenire le sofferenze dei divoratori di metallo classico in attesa della nuova opera che dovrebbe vedere la luce nella primavera di quest’anno, nuovo parto in cui Wolf Hoffmann e soci saranno alle prese con una partnership tutta da vivere con tanto di orchestra sinfonica!
Esperimento, peraltro, del quale già possiamo avere un assaggio in questo doppio cd live, in cui vengono ripresi alcuni dei grandi classici della band con rivisitazioni interessanti, proposte agli 80.000 convenuti a Wacken in una apposita sezione del concertone.
Peraltro, tutte le grandi bands sono passate attraverso questa esperienza, ed i nostri quattro dell’accetta non potevano di certo esimersi, riproponendo i loro anthems immortali con tanto di archi e fiati che ben si incastonano nell’impianto metal integralista che ha fatto da apripista alla vera e propria scuola germanica dell’hard & heavy ovvero eseguendo brani di musica classica sottoposti abilmente a procedimento di “metallizzazione”, peraltro caratteristica che ritroviamo nello stesso filone tedesco fin dai suoi albori.
Infatti, a beneficio dei nostri Fratelli Metalbangers più giovani, rammento che gli Accept calcano le scene fin dal lontano 1976.
Hoffmann & Baltes sono tra i fondatori del monicker capeggiato da quel colosso dell’ugola al vetriolo che risponde al nome di Udo Dirkschneider (fantasticamente imitato dal singer Mark Tornillo, che lo ha rimpiazzato ormai 10 anni orsono).
La cover di questo disco, effettivamente, in maniera un po’ amarcord, rievoca quella del loro disco più famoso della sterminata discografia ossia “Restless and Wild” targato 1982 in cui vi sono vere e proprie pietre miliari del metal, come la stessa title track e “Fast as a Shark” il cui intro al fulmicotone ti rade al suolo ancora oggi!
Tornando al live, il connubio tra orchestra sinfonica e quartetto metallaro direi che risulta abbastanza convincente e – francamente – lasciarsi picchiare dai remakes di grandi (appunto) classici della band non è affatto malvagio, specie se si considera che la furia di Hoffmann & Co. è rimasta inalterata nonostante i tanti anni decorsi: le asce scintillano come ai vecchi tempi e la sezione ritmica è sempre stile bulldozer così come Tornillo ci delizia con la sua voce abrasiva e corrosiva.
Insomma, una release ideale per mettere a ferro e fuoco i vostri momenti dedicati alle celebrazioni in onore del Dio Metallo!
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    02 Febbraio, 2019
Ultimo aggiornamento: 02 Febbraio, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Quando, in piena NWOBHM, in quel di Newcastle tre loschi figuri appassionati di occultismo pensarono bene di fondere il rock’n’roll sporco e maledetto dei Motorhead con le tematiche a loro care, nacque (tra miasmi di zolfo) il metallo nero.
Si, signori: proprio il Black Metal!
È ormai storia indelebile l’omonimo album targato 1982 che è obbligatoriamente presente nella raccolta discografica di ogni metallaro che si rispetti, nel bene e nel male: un albun davvero seminale come ce ne sono pochi, un vero e proprio totem imperituro!
Artefici di questo orrido parto, agli albori degli anni ’80, furono Cronos (un culturista dalla voce alla carta-vetrata cui è stato messo in mano un basso per martoriarlo), Mantas (non talentuoso, ma efficacissimo axeman macina-riffs) ed Abaddon (un fabbro ferraio con le bacchette dietro le pelli di una batteria).
Ebbene, dopo esser partiti dalla minuscola label Neat Records ed una sterminata discografia di cui sono lastricate le strade dell’inferno sonoro, il nostro Cronos continua imperterrito a fungere da gran cerimoniere del metallo nero.
Come insegna una ben nota regoletta di matematica, cambiando i fattori il prodotto non cambia: senza mai cedere a compromessi (eccezion fatta per "Calm before the storm” del 1987 in cui Cronos accennò a delle linee vocali vere e proprie) il marchio velenoso si è eretto a vessillo diuturno del Black Metal, poi divenuto un vero e proprio genere, sinistramente alimentato dalle legioni oscure calate dalle foreste scandinave da una parte e dalle orde di blacksters made in USA; parliamoci chiaro: se non fossero nati i Venom, non sarebbero nati nemmeno gli Slayer! E questo, è tutto dire!
Non fa eccezione nemmeno questo “Storm the Gates” in cui i tre massacratori ci scaraventano proprio alle soglie dell’Inferno giusto in tempo per farci godere della tempesta colà scatenatasi per loro mano, crivellandoci con ben tredici colpi di obice semovente che ci arrembano i padiglioni auricolari senza requie e senza pietà!
Si, lo ammetto, i bei tempi del trio originario sono stati un’altra cosa ma Rage e Dantè si rivelano degni successori di Mantas ed Abaddon (sono stati sempre loro ad escogitare la coincidenza tra nome d’arte e nome di demone che continua tutt’ora) continuando ad alimentare quella linea di sangue blasfemo dalla quale è poi promanata cotanta progenie, in grado, ancora oggi, di nutrire i nostri peggiori incubi notturni.
Da rimarcare, a mio avviso, la implacabile “Destroyer” e una “Over my dead body” al fulmicotone anche se la media di tutta questa release è piuttosto alta, come altro è il vessillo del nero metallo che si staglia ancora negli inferi, grazie ai Venom!
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
01
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    22 Dicembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 2018
Top 50 Opinionisti  -  

Il brand Wichsorrow sorge in quel di Terra d’Albione intorno al 2005 (più precisamente nel New Hampshire, a Farnborough) ad opera dei due fondatori Necroskull ed Emily Witch, i quali chiamarono a pestar le pelli tale Morrelhammer, rimpiazzato nel 2011 da Wilbrahammer.
Sono alla quarta fatica in studio, dopo l’omonimo esordio nel 2010, “God Curse Us” (2012), l’EP “De Misteriis doom Sabbathas” (2013) ed il successivo full-lenght “No light, only fire” (2015).
Ora si ripropongono con questo album il cui titolo già lascia poco all’immaginazione: Hexen, in tedesco, significa strega; hammer, in inglese, significa martello, per cui il leit motiv di questa doom-opera è il famoso “Malleus Maleficarum” (ergo, il Martello delle Streghe) dei due inquisitori Sprenger ed Institoris, lettura leggera leggera per il relax pre-dormita e per agevolare gli incubi notturni.
Diciamo subito che non si può certo gridare al capolavoro, ma comunque il trio ha partorito qualcosa di non molto diverso da ciò a cui ci aveva abituato: un doom sapientemente incrociato con thrash ed una spruzzatina di N.W.O.B.H.M. composto e suonato onestamente, ma niente di più.
La voce vagamente hetfieldiana di Necroskull domina sui pezzi che compongono il cd, tutti alquanto lunghetti (nella miglior tradizione oscura) ma che scivolano via senza particolari sussulti, eccezion fatta per un’ascia più votata alle vibrazioni tanto care a Sua Maestà Tony Iommi (nella title-track), una breve “accelerazione” (si fa per dire..) in “Eternal” ed una piece finale con intro un po’ misterica e cambi di tempo (Like Sysiphus) rievocheggiante la nota figura mitologica dell’antica Grecia, ovverossia quel Sisifo che (scomodando nientepopòdimenoche la Treccani) era ritenuto “il più astuto dei mortali e uno dei più noti dannati dell'oltretomba, protagonista di varie vicende che ne pongono in evidenza la capacità di ordire trame e tranelli (e che..) appare nell'oltretomba condannato a rotolare eternamente sulla china di una collina un macigno che, una volta spinto sulla cima, ricade sempre giù in basso (di qui la locuzione “fatica di Sisifo” per indicare un'impresa che richiede grande sforzo senza alcun risultato)” .
Ebbene, proprio quest’ultima annotazione ci rende l’idea di questo cd dei Witchsorrow: un grande sforzo profuso per proporre qualcosa di nuovo e diverso, senza risultato apprezzabile.
Max “Thunder” Giangregorio


Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    01 Dicembre, 2018
Top 50 Opinionisti  -  

In principio (1977) era “In morte di Stefano Silvestri” ovverosia “In death of Steve Sylvester” poi abbreviato in Death SS. Un nome breve, efficace, tetro e che rispecchiava la personalità dei due capostipiti del monicker: Paolo Catena alias Paul Chain (guitars) da Pesaro e Stefano Silvestri alias Steve Sylvester (vocals) da Milano.
Al loro macabro richiamo aderirono il bassista Daniele Ugolini alias Danny Hughes ed il drummer Tommaso Castaldi alias Tommy Chaste.
I quattro pensarono bene di personificare il loro concept preferito con tanto di abiti di scena; e così, Paul Chain fu La Morte (The Death), Steve Sylvester il Vampiro (The Vampire), Danny Hughes la Mummia (the Mummy) e Tommy Chaste il lupo mannaro (the Werewolf): e line up originaria fu.
Il fatto stesso che oggi, a distanza di ben 41 anni, bands anche giovanissime abbiano preso parte a questo progetto faraonico, consistente in un triplo (…!?!) cd in onore di questa band assolutamente anomala ed “avanti”, la dice lunga sull’impronta sanguinolenta lasciata dai nostri.
Dico dai nostri perché, per quanto mi riguarda, la vera anima nera dei Death SS è stata indiscutibilmente quella di Paul Chain.
La dipartita di Steve Sylvester, infatti, è stata subitanea, dopo pochissimo tempo che il gruppo si era formato. Giusto il tempo di dare alla luce il primo demo (“Horny God of the Witches” – 1977) con i soli Terror (qui riproposta dai Denial Of God) e Murder Angel (rivisitata dai mitici milanesi Bulldozer di Andy Panigada) ed il demo II con Horrible Eyes (eseguita da Evil Spirit), Cursed Mama (Varego), Kings of Evil (Witches of Doom) e Zombie (Blue Dawn).
Fu dunque Paul Chain a portare avanti il progetto Death SS, di cui fu condottiero dal 1984 (anno in cui diede alle tenebre la famosa antologia iniziale) fino al 1988, anno in cui passò nuovamente il testimone al Vampiro per seguire la sua nuova attitudine; infatti, nel corso dell’ennesima messa nera, il Paolo ci stava rimettendo un occhietto e fu lì che decise di abbandonare il satanismo ed il progetto Death SS a favore del Paul Chain’s Violet Theatre dedito al culto della Morte (d’altronde lo era già nella band) ossia la Magia Viola e partorendo quel gioiello di EP che rispondeva al nome di “Detaching from Satan” con l’intro della opening track “Armageddon” in cui il coro mi fa ancora accapponare la pellaccia! Da lì, il viaggio del catena verso la sperimentazione (utilizzando una lingua puramente fonetica ed inventata ed accostandosi alla musica elettronica tedesca della prima ora (Popol Vuh, Tangerine Dreams, etc.)
Dal canto suo, invece, il Sylvester ha dato vita ad una discografia sterminata e caratterizzata dalla ricerca di un sound votato sì alle tematiche occultistiche ma più catchy e, comunque, sempre fresco ed al passo con le ultime tendenze metalliche.
Discografia dalla quale le bands di questo mega-tributo hanno potuto attingere a piene mani, non mancando di personalizzare adeguatamente tutte le perle oscure prescelte come covers: tra esse spicca il trittico composto – oltre che dalla già nominata Murder Angel coverizzata dai mitici Bulldozer (all’epoca, un po’ i Venom nostrani ma più “Motorhead oriented”) – la sempre brividosa “Black and Violet” rivista dai Bleeding Fist e “Baphomet” eseguita dagli apprezzatissimi Deathless Legacy della “cinghiala” Steva Deathless!
Comunque un tributo monumentale, che merita l’acquisto e l’ascolto grazie al refresh apportato dai nostri giovani darkemetalbangers a pezzi maledettamente (è il caso di dirlo) indimenticabili.
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
5.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    17 Novembre, 2018
Top 50 Opinionisti  -  

È incredibile come il sano, vecchio, sporco rock’n’roll mantenga giovani.
Nonostante tutti gli stravizi a cui è stato avvezzo per decine di anni, il nostro Spaceman (che, è bene rammentarlo per i più giovani, ha fondato i Kiss nel lontano 1973) si mantiene in splendida forma a dispetto di tanti imbolsiti suoi coetanei che si sono limitati al trittico mefitico “posto fisso/matrimonio/figli” che sembrano degli zombie!
Indiscutibilmente siamo al cospetto di un songwriter eccezionale, dalla vena (aurea) compositiva infinita.
Se a ciò si aggiunge che Ace è indiscutibilmente un riffmaker ineguagliabile come ce ne sono pochi, ne derivano canzoni che ti si attaccano addosso che manco il simbiota di Venom…
Si parte con una track dal titolo romantico (senza di te sono niente) che, invece, sfoggia un assolo saettante che fa quasi da contraltare al titolo stesso.
La seguente traccia è l’ennesimo rock’n’roll anthem forgiato da Ace nelle sue premiate fucine che ti entra nella calotta cranica come una trapanata.
Il terzo pezzo sembra quasi fare il verso al titolo della opening track (ogni tuo desiderio è un ordine) ma la galanteria è solo apparente essendo comunque ammantata di quel tipico sound sporco con venature bluesy che mal gli si attaglia.
Ascoltando la successiva, ci rendiamo conto di quanto sia infinita la quantità di bands che sono state influenzate dal nostro uomo dello spazio; questa, avrebbero potuto tranquillamente (si fa per dire, of course) essere eseguita dagli Anvil di Lips.
La quinta track ci/si chiede quale sia lo scopo del rock’n’roll; semplice: darci vita nonostante tutto e tutti!
Con la sesta traccia sembra che il nostro abbia un rigurgito nostalgico, tanto gli piglia la voglia di tornare indietro, ma è solo un momento, perché poi lo Spaceman torna ad essere tale con la seguente, incalzante missione su Marte, anch’essa piuttosto seventy.
Off my back torna a farci capire – semmai ve ne fosse bisogno - che Ace è un riffmaker degno di occupare il suo posto nell’Olimpo degli Dei rockeggianti mentre come al solito, l’ultimo pezzo (strumentale) ci regala un Ace più sperimentale e meno catchy.
Non c’è che dire, questa ultima fatica dello Spaceman ci proietta nell’Empireo metallico ed ogniqualvolta vorremmo ritornarci, ci basterà metter su il cd o il vinile di questo vero mostro sacro del rock’n’roll!
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    03 Novembre, 2018
Top 50 Opinionisti  -  

Ancora oggi, quando metto su l’EP in vinile datato 1985 di questi inossidabili bolognesi e mi lascio travolgere dalla mitica track “Thundergods” tutta la forza d’urto del suo “wall of sound” la sento ancora nelle vene!
Signori, qui si parla di gente che ha fatto la storia del metal in Italia! Miracolosamente a piede libero (visti gli ingenti danni sonori cagionati) dal 1982, col nome di Wurdalak, grazie al duo Alberto Simonini (vox) e Angelo Franchini (tutt’oggi alle quattro corde) i felsinei sono giunti alla ragguardevole cifra di 11 releases fra demos, vinili e cd!
Un pedegree metallico di tutto rispetto che, peraltro, ha registrato pochi cambi di formazione atteso che il drummer Luca Ferri e l’axeman Franco Nipoti tengono ancora botta, coadiuvati dalla seconda ascia JJ Frati e dal nuovo vocalist Mirko Bacchilega che “presta” alla band la sua ugola dal 2016.
L’album mantiene fede al marchio della premiata casa dell’acciaio urlante, sfoggiando un metal molto orientato alla New Wave Of British Heavy Metal uno sfavillante e scintillante sound che incrocia in maniera micidiale Judas Priest (specie agli esordi in cui Simonini era un Rob Halford italico sia nel look che a livello vocale – vedasi/ascoltasi proprio “Thundergod”) e Accept prima maniera.
Appena parte il cd vi sembrerà di esser un pugile crivellato di pugni in tutto il corpo da un avversario che non vi lascia scampo, con la differenza che dovete resistere ed incassare per un unico, interminabile round!
In pratica ed in buona sostanza, state sotto le mazzate (sia pure sonore, of course…) che vi lasceranno – alle fine del cd/round di boxe – proprio come un boxeur rintronato per quante ne ha dovute prendere di santa ragione: un unico macigno di suono che vi schiaccerà inesorabilmente!
Chi, come me, ha avuto il privilegio di veder nascere l’heavy metal (rimanendone folgorato e giurandogli eterna fedeltà) sta costatando come i propri coetanei (che hanno dunque oltrepassato da un bel po’ il traguardo intermedio dei cinquant’anni) sono ancora là a pestare gli strumenti,a calcare i palchi o a fare headbang sotto di essi, senza la benchè minima intenzione di mollare, seguendo le orme di mostri sacri come Lemmy, Ronnie James Dio etc. che – pur vivendo una vita sempre al limite – hanno reso l’anima ad età che forse nemmeno le loro più ottimistiche previsioni avrebbero potuto sperare di raggiungere.
La verità è che il metal mantiene giovani a dispetto dell’età anagrafica, grazie alla immensa energia psico-fisica di cui ti pervade.
Una sorta di elisir di lunga vita, come stanno a testimoniare i nostri intramontabili Crying Steel: onore e rispetto, specie quando ci urlano: Stay Steel!!!
Max “Thunder” Giangregorio


Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    20 Ottobre, 2018
Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 2018
Top 50 Opinionisti  -  

Questo quartetto micidiale si è formato nel 2010 a New Haven - Connecticut (USA), allorquando l’ex axeman dei Fates Warning Victor Arduini ed il versatilissimo vocalist e bassista Christopher Taylor Beaudette (ex Jasta e Kingdom Of Sorrow) si sono incontrati davanti ad una birraccia da quattro soldi in uno dei peggiori pub del globo e si sono chiesti come avrebbero potuto torturare allegramente i nostri padiglioni auricolari.
E così hanno pensato bene di convocare a consesso due ceffi chiamati Christopher Begnal e Dave Parmelee per completare il loro perverso progetto.
Ne è venuta fuori una vera e propria asfaltatrice (originariamente denominata Treebeard…?!?), ma che ora porta per nome il loro stesso macabro programma: sepoltura (nell’iberico idioma) ed in effetti, questo omonimo album mira direttamente a portare chi l’ascolta a vedere come nascono i fiori dal di sotto.
Non a caso, uno dei pezzi migliori si chiama “Santa Muerte”…
Dopo un paio di EP targati 2014 (Entierro) e 2016 (XVI) passati un po’ in sordina, i quattro hanno partorito questo cd che non lascia scampo.
Siamo al cospetto di una sorta di mortale incrocio tra i Witchfinder General ed i Type 0 Negative (che ricordano molto nel songwriting, vedasi “Cauldron of War” o “Valley Of Deceit”, che ben sarebbero state performate dalla buon’anima di Pete Steele col suo vocione cavernoso).
Signori, qui c’è mestiere ed esperienza da vendere e si sciorina praticamente la creme de la creme di ciò che la metal-mania possa proporre!
Ne vien fuori una specie di vademecum del metallo che non potete non avere nei vostri scaffali, metalbangers!!!!!
Max “Thunder” Giangregorio

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
241 risultati - visualizzati 211 - 220 « 1 ... 19 20 21 22 23 24 25 »
Powered by JReviews

releases

Deliziosamente, l'ultimo Cradle of Filth!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Folkstone -
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
"In Penitence and Ruin": Il Doom Metal Gotico Classico e Profondo dei Tribunal
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Hangfire, un debutto di ottimo heavy metal
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Evilizers, sulla scia della tradizione
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Candlemass: ennesima sinfonia in nero
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Sweeping Death: un disco ben fatto
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Wasted: distruzione totale
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Hans & Valter, ma la chitarra?
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Sacrifix, thrash old-school dal Brasile
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Phear, ottimo heavy/thrash dal Canada
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Grandi passi avanti per il progetto On My Command
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla