A+ A A-

Opinione scritta da Daniele Ogre

2755 risultati - visualizzati 2691 - 2700 « 1 ... 267 268 269 270 271 272 ... 273 276 »
 
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Daniele Ogre    07 Marzo, 2017
Ultimo aggiornamento: 07 Marzo, 2017
#1 recensione  -  

Arriva con un po' di ritardo la recensione a questo "Elektron" (uscito nel 2015 come autoproduzione e ristampato nel 2016 da PRC Music), debut album degli anconetani Duality, band formatasi nel 2003 e che dagli esordi, segnati dal demo "Dual Aggression Seed", sono andati sempre alla costante ricerca di un sound più personale, che li ha portati ad inserire sempre più inserti Jazz nella loro musica. Un processo cominciato con l'EP del 2011 "Chaos_Introspection" e che prosegue in questo primo full.

Diciamolo subito: "Elektron" è un album di pregevolissima fattura, che ci mostra una band consapevole dei propri mezzi e tecnicamente molto, molto preparata. Il lato più prettamente Technical Death dei Duality è praticamente perfetto; il problema arriva forse proprio in quello che dà ai Duality la loro singolarità (sì, il gioco di parole è voluto). Per quanto i passaggi Jazz siano ben eseguiti, spesso arrivano così improvvisi che quasi troncano a metà quel che si sta ascoltando. Per farvi un esempio pratico: è come la questione delle orchestrazioni su "Labyrinth" dei Fleshgod Apocalypse, ossia troppo presenti, troppo preponderanti. Così sono gli stacchi di cui sopra nel lavoro dei Duality: forse troppo presenti. E ne risentono pezzi come "Motions", l'opener "Six Years Locked Clock", "Along the Crack"...

Il voto finale è la summa di quanto detto qui sopra: se per quel che concerne l'ambito Death "Elektron" sarebbe un disco da 8, il fatto che sia un ascolto ostico per molti un po' ne inficia il risultato. Assolutamente nulla da dire sulle ineccepibili doti tecniche del quartetto marchigiano, né tanto meno sull'ottima produzione, sia chiaro: semplicemente, per quanto il package finale si presenti più che bene, il contenuto non è per tutti.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Daniele Ogre    26 Febbraio, 2017
Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

Ci sono bands che non hanno bisogno della minima presentazione. Nell'ambito Death e stringendo il campo all'area geografica del Centro Europa, quest'affermazione vale soprattutto per due bands, entrambe olandesi: gli Asphyx, già recensiti su queste pagine poco tempo fa, e l'anima più estrema del Death Metal olandese, i Sinister. Ed è proprio la band capitanata dal vocalist Adrie Kloosterwaard ad esser tornata in grande stile lo scorso 24 febbraio con "Syncretism", tredicesimo studio album del quintetto olandese, edito da Massacre Records.

Come sempre nella carriera dei Sinister la parola d'ordine è sempre la stessa: nessun compromesso. "Syncretism" è un concentrato di 50 minuti di Death Metal brutale e diretto, senza, per l'appunto, il minimo compromesso alle mode o al mercato. A cominciare da "Neurophobic", opening track del disco, i Sinister caricano a testa bassa, dando subito l'impressione che il passare del tempo non ha intaccato di una virgola la violenza del loro sound. Già dal titolo dell'album, comunque sia, si evince come il quintetto olandese non abbia un rapporto particolarmente buono con le religioni; il sincretismo è, infatti, la convergenza di elementi ideologici tra di loro inconciliabili messa in pratica solo per esigenze pratiche. Ma oltre questo, direi che titoli come "Convulsion of Christ" o "Confession Before Slaughter" lasciano ben pochi dubbi al riguardo. Sul piano musicale "Syncretism" è esattamente quello che ci si aspetta da un album dei Sinister. A fare la parte del leone in un album suonato e prodotto magistralmente è soprattutto, a mio avviso, una sezione ritmica monolitica: il drummer Toep Duin ed il bassista Ghislain van der Stel appaiono per tutto l'album in forma smagliante, offrendo una prestazione che, come avrete capito, ritengo sugli scudi. Impressionante anche, per certi versi, come ad esempio in "Dominance of Acquisition", una canzone che potrebbe esser presa come esempio alla voce "come dev'essere un pezzo Death Metal". Apprezzabilissimi poi i vari inserti orchestrali, che danno al lavoro quel tocco sacrale che non fa altro che rendere il tutto ancora più blasfemo e incazzato.

Con alcuni amici si rifletteva qualche tempo fa che nonostante una buona informata di nuove leve, sono ancora quelli più "anziani" a menare sulla nuca dei giovini virgulti, portando come esempio gruppi come Testament, Kreator e Overkill. I Sinister dimostrano con "Syncretism" di far parte a pieno titolo di questa schiera. Per i deathsters questo è e sarà uno dei primi album che fanno ben sperare per un 2017 che si prospetta pieno di uscite ben più che degne di nota.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Daniele Ogre    26 Febbraio, 2017
Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

Singolo apripista per Deadsydän, one man band Melodic Death del napoletano, il cui debut album uscirà quest'anno per Nadir Music. Essendo "From the Ashes" giusto un singolo, potremmo definire questo più un commento a caldo piuttosto che una recensione, una sensazione di quello che potrebbe essere il futuro disco di Grave, unico membro della band.

Ebbene, pur non innovando nulla, il lavoro di Grave col suo progetto Deadsydän sembra svolgere bene il proprio compito. Seppure con influenze dichiarate e riscontrabili, Children of Bodom e Wintersun su tutti, l'artista campano è riuscito, per quanto possibile, a dare la propria impronta al suo lavoro, soprattutto nei particolari più piccoli. Riffing-work ispirato - e non stupisce, essendo la chitarra lo strumento primario di Grave -, buon lavoro con la sezione ritmica, così come buone sono le linee vocali; con in più orchestrazioni sapientemente usate: ci sono, danno quel tocco di epicità in più al tutto, ma non sono preponderanti nel sound.

Il voto finale è in pratica un 6 politico, mancando nel nostro form delle recensioni il senza voto. Tutto sommato, comunque, credo sia normale: come detto "From the Ashes" è giusto un singolo. Ma c'è da dire che se la premessa è questa, il lavoro sulla lunga distanza si prospetta interessante. Staremo a vedere!

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Daniele Ogre    19 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

Fondati nel 2004 come un progetto "piccolo" da Johan Sjöblom e Bosse Öhman, gli svedesi In My Embrace arrivano solo lo scorso anno alla pubblicazione di un full, quel "Black Waters Deep" in esame oggi. Un po' d'anni, vero, ma in cui la band svedese ha avuto una crescita costante e mirata che li ha portati dall'Old School Black influenzato dal Viking degli esordi all'ottimo Melodic Black/Death che possiamo ascoltare in questo lavoro.

Cosa che colpisce subito nell'ascoltare gli In My Embrace è che difficilmente si riesce a capire se siano stati influenzati da questa o quella band. Certo, vuoi per provenienza geografica vuoi per genere, qualche similitudine con i Dissection ci sta, ma per la maggiore, pur non innovando nulla, il sound del quintetto svedese è molto personale e maturo. Altro merito è la non staticità dei pezzi; si va da alcuni più oscuri e malinconici, come la bellissima "Next Chapter", mia preferita in assoluto del disco, e la title track, ad altri più veloci, feroci, dal flavour decisamente più Black Death come "Thy Abhorrence", una mazzata tra capo e collo di 3 minuti scarsi. Questa varietà di sound è ben bilanciata, andando ad accontentare i vari tipi di ascoltatori (o più semplicemente il mood dell'ascoltatore in questione in quel momento). Particolarmente apprezzabili, tra gli altri pezzi che compongono "Black Waters Deep", sono a mio avviso "Voyage of Thoughts" col suo incedere marziale e spaccacollo, e, per rimanere su toni identici, i mid tempos di "Of Ache and Sorrow".

Come detto, gli In My Embrace non inventano nulla di nuovo. Semplicemente, svolgono egregiamente il loro lavoro confezionando un disco interessante sotto tutti i punti di vista. Dimostrando come, in questo genere in particolare, gli svedesi siano ancora una spanna sopra tutti.

Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
2.5
Opinione inserita da Daniele Ogre    13 Febbraio, 2017
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

Ai più il nome dei Crossbones dirà poco. Sarà che provengono da una nazione di cui, "metallicamente" parlando, si sa davvero poco o nulla. Eppure in patria (Albania, per la cronaca) i Crossbones sono la band più conosciuta e longeva, l'unica nata nei 90's ancora in attività. "WWIII", uscito con la collaborazione della genovese Nadir Music, è il secondo album per il quartetto albanese, a 20 anni di distanza dal primo full, "Days of Rage", datato ormai, per l'appunto, 1997.

Un album, questo "WWIII" che può essere sintetizzato col più classico dei "senza infamia e senza lode". Nel senso: non è affatto un brutto disco, si ascolta con estrema facilità, ma è anche vero che non brilla per originalità e non ha un vero e proprio picco. Insomma, è tutto in una sufficienza media, in tutto e per tutto (mi scuso per il gioco di parole). Più si va avanti con l'ascolto, più si ha la consapevolezza di quanto i Metallica abbiano giocato un ruolo fondamentale per l'Heavy/Thrash dei Crossbones. Il punto però è tutto lì: tutto scorre bene, ma con quella sensazione di già sentito che non si schioda mai per tutti gli oltre 50 minuti di durata del disco.

Come detto: senza infamia e senza lode. Mio giudizio è che magari non sarà un disco imprescindibile questo "WWIII", non farà gridare al miracolo e non è uno di quegli album da avere a tutti i costi. Ma fa parte di quei lavori che un ascolto lo meritano comunque e sta poi decidere a voi quel che ne pensate.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Daniele Ogre    13 Febbraio, 2017
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

La genesi dei bergamaschi Maze of Sothoth è stato un percorso lento ed inesorabile. Nati nel 2009 dal chitarrista Fabio Marasco la line up si è andata completando man mano negli anni con gli innesti del batterista Matteo Moioli (col quale il Marasco registrerà il primo demo "Guardian of the Gate"), del bassista/cantante Cristiano Marchesi e del chitarrista Riccardo Rubini. Ed è con questa formazione che, dopo la partecipazione ad una compilation nel 2016, "Molto Male Fest Vol.1", i Maze of Sothoth arrivano alla realizzazione del loro debut album, edito da quella che è l'astro nascente tra le etichette estreme italiane, la Everlasting Spew Records.

Essendo totalmente franco: finalmente è arrivato nelle mie mani un disco di quel Death che piace a me. Tecnico, violento, ancorato alla tradizione del genere (richiami a Morbid Angel e, soprattutto!!, Vomitory sono palesi) ma con una produzione moderna, potente e cristallina. Il quartetto orobico sciorina una prestazione mostruosa lungo i quasi 40 minuti di "Soul Demise", con quei pochi momenti di "pausa" tra una bordata e l'altra che non sono altro che suoni che richiamano l'Orrore Cosmico che, come si evince tanto dal nome della band quanto dal titolo di buona parte dei brani, è protagonista nelle tematiche della band lombarda, vedasi in primis "Azzaih' Nimehc". E qui non si può non parlare di Lovecraft. Per quanto i temi riguardanti il Solitario di Providence siano stati ben ampiamente usati ed abusati, ben pochi sono riusciti a rendere in musica quelle che sono le sensazioni che si provano a leggere gli scritti di uno dei più grandi scrittori esistiti. I Maze of Sothoth ci riescono; ed un esempio lampante di quanto appena affermato lo abbiamo con "At the Mountain of Madness" e "The Outsider", lovecraftiane in tutto e per tutto. Sul piano musicale il lavoro dei MoS è una continua ondata di violenza sonora, fatta di riff taglienti ed una sezione ritmica monolitica (e seri complimenti vanno al drummer Matteo Moioli: ascoltate la già citata "At the Mountain of Madness" o la mastodontica "Blind" e capirete perché), su cui si staglia il cavernoso growl di Cristiano Marchesi.

L'Italia può già vantare, in ambito Death Metal, nomi che non hanno nulla da invidiare a bands estere forse anche più blasonate (Hour of Penance, Hideous Divinity o i più giovani Bloodtruth); a mio avviso, dopo aver ascoltato attentamente "Soul Demise" dei Maze of Sothoth, non è un azzardo pensare che la band bergamasca possa tranquillamente arrivare a quegli stessi livelli: come tecnica e sound non manca loro niente. Se questo è il loro biglietto da visita, non si può che esser fiduciosi per il futuro: starà a loro confermare quanto di ottimo ascoltato qua. E, come avrete capito, non ho praticamente alcun dubbio.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
5.0
Opinione inserita da Daniele Ogre    12 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

Ormai l'uscita di un nuovo lavoro dei Kreator non è un momento normale. La leggendaria band tedesca, considerata a pieno titolo come una delle più importanti del mondo e facente parte della Grande Triade Tedesca (con Sodom e Destruction), porta con sé sempre un interesse particolare e, come sempre ormai, divide il giudizio sia degli addetti ai lavori che dei fans. Interessante potrebbe essere il punto di vista di chi li critica: basta farsi un giro su un social network qualsiasi - croce e delizia, visto che per fortuna e purtroppo tutti han diritto di parola, e non andiamo a scomodare le parole di Umberto Eco in merito - per legger di persone che criticano quello che è ormai lo stile consolidato di Mille Petrozza e soci: c'è chi addirittura afferma che ormai suonino Melodic Death (?????) e ho letto qualcuno chiamarlo Kreator of Bodom. Dal canto mio, son critiche che lasciano il tempo che trovano.

Per cui bando alle ciance e tuffiamoci in questo "Gods of Violence", quattordicesimo studio album dei Kreator. E partiamo col dire che, personalmente, trovo sia l'ennesimo capolavoro della band teutonica, dopo i già grandiosi "Enemy of God", "Hordes of Chaos" e "Phantom Antichrist". Vero, c'è molta più melodia nei Kreator dell'Anno Domini 2017, ma è dove la band è arrivata dopo un percorso lungo, senza che per altro abbiano snaturato di un pelo quello che è il loro tiro. E poi oh: sono i Kreator e penso siano liberi di fare un po' il cazzo che pare loro.
Le canzoni hanno ampio respiro e, non essendo votate totalmente all'attacco diretto, non danno mai alcun senso di noia. Una cosa che però ho notato è che c'è una struttura base che si ripete spessissimo ormai nelle canzoni dei Kreator. Prendiamo ad esempio le title-tracks degli ultimi tre album: "Hordes of Chaos", "Phantom Antichrist" e "Gods of Violence" sono strutturate tutte nella stessa identica maniera; ossia: inizio strumentale dirompente - strofa - ritornello - strofa - ritornello - bridge con cantato estremamente veloce - assolo - ritornello dirompente e ripetuto. E ho solo preso in esame le tre title-tracks. Se proprio una lontana critica si può dare, magari è questa, ma poi basta. Perché comunque abbiamo mazzate tra capo e collo come "World War Now", "Satan is Real", "Totalitarian Terror" (di cui vi consiglio la visione del video, uscito nel giorno della memoria e giorno d'uscita dell'album), "Army of Storms", "Hail to the Hordes" col suo refrain da urlare a squarciagola in concerto insieme a Mille, "Fallen Brother" il cui video è un tributo ai mai troppo compianti colleghi deceduti nella scorsa annata (Lemmy in primis). E poi "Lion with Eagle Wings": 5 minuti e mezzo circa di Kreator in piena forma, una cannonata di pezzo che risulta essere a mani basse il migliore di tutto il disco. Per quanto adesso possano piacere o meno, ma sarà perché io adoro i Kreator incondizionatamente i 50 minuti di "Gods of Violence" li ho divorati più e più volte. Nota di colore finale: c'è un po' d'Italia in quest'album, visto che Francesco Paoli e Francesco Ferrini dei Fleshgod Apocalypse hanno orchestrato quattro degli undici pezzi di "Gods of Violence", in primis, e lo si noterà immediatamente per lo stile inconfondibile, l'intro "Apocalypticon".

Dopo aver avuto l'ingrato compito di recensire l'ultimo album di quella che sarebbe la mia band preferita (i Sepultura, che per me han smesso di suonare dopo Chaos A.D.), aver avuto tra le mani "Gods of Violence" dei Kreator ha ripagato dall'enorme delusione precedente. Siamo appena a febbraio, il disco è uscito lo scorso 27 gennaio, eppure probabilmente abbiamo davanti un serio candidato a disco dell'anno. Sono fortunatamente lontani i tempi di "Endorama" e "Violent Revolution": i Kreator ora sono una macchina da guerra perfettamente oliata che non teme confronto alcuno con chicchessia.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Daniele Ogre    02 Febbraio, 2017
Ultimo aggiornamento: 02 Febbraio, 2017
#1 recensione  -  

Arrivano alla pubblicazione del terzo album i tedeschi Nailed to Obscurity, band formatasi nel 2005 e che già nel 2013 aveva rilasciato con "Opaque" un gran bel lavoro (il debut album "Abyss" del 2007, mea culpa, non l'ho mai ascoltato). Il sound del quintetto teutonico è un Melodic Doom/Death Metal dal flavour decisamente scandinavo, tant'è che da subito chi è avvezzo al genere potrà trovare qualche similitudine con gli October Tide.

In quasi un'ora di durata di "King Delusion" i Nailed to Obscurity dimostrano una maturità compositiva impressionante e doti tecniche opethiane (periodo "Blackwater Park"-"Deliverance", per intenderci). Un album che riesce ad essere tanto melodico quanto roccioso, in cui molta importanza hanno le atmosfere; a riff classici del genere che danno al tutto quell'aurea malinconica, si unisce nel lavoro dei Nailed to Obscurity un sapiente uso di clean vocals che riescono a dare al tutto il giusto pathos, ed esempio lampante lo abbiamo subito con la canzone No.2, "Protean": è nei momenti come la parte centrale di questo pezzo che l'influenza di una band quantomeno seminale come gli Opeth si fa ancora più forte. La durata non certo esigua dei pezzi potrebbe sembrare un "ostacolo" ostico, ma è invece qui che si denota la maturità compositiva dei NtO, capaci di non far calare mai l'attenzione nemmeno sulle lunghissime "Uncage my Sanity", vero e proprio gioiello della corona di quest'opera, e "Desolate Ruin". E se "Uncage my Sanity" può esser definito il gioiello della corona, "Deadening" è un vero e proprio diamante, già solo per il bellissimo arpeggio iniziale intrecciato ad una voce appena sussurrata e spettacolari cori onirici.

Il Doom/Death, melodico o meno, sta pian piano diventando un genere sempre meno di nicchia, grazie ad un buon numero di bands che stanno sostanzialmente sdoganando questo tipo di sound. "King Delusion" dei Nailed to Obscurity è, ne sono certo, solo il primo grande album di quest'annata in questo particolare genere in cui, oltre che la musica, c'è d'importante l'interconnessione con i sentimenti, per quanto negativi, per la maggiore, siano. I fan degli Opeth - e non parlo di quella roba settantiana che fanno ora - avranno pane per i loro denti con questa band: il mio consiglio è quello di procurarseli il prima possibile.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Daniele Ogre    28 Gennaio, 2017
Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 2017
#1 recensione  -  

Fondati nel 2006, i tedeschi Speedwhore arrivano a festeggiare, lo scorso anno, il decimo anno di carriera con l'uscita di questo EP, "On the Verge of Dysfunction", dopo alcuni demo e singoli ed un solo album, "The Future is now", prodotto come l'EP dalla tedesca Witches Brew. Intento totale degli Speedwhore è quello di tenere ben alta la bandiera dell'Old School, con un Thrash/Black Metal diretto e fortemente ottantiano: i richiami a Venom e, soprattutto, Toxic Holocaust o Disaster sono chiarissimi.

L'EP in questione scorre rapido in tutti i sensi. Per la velocità d'esecuzione del quartetto teutonico, per l'esigua durata dei pezzi così come del disco in generale: in meno di 20 minuti è già tutto finito e non si ha idea da dove sia arrivato 'sto treno dritto in faccia. Il tempo di una piccola intro (i 30 secondi scarsi di "The Sands of Badr") che "Project Babylon" dà il via alla mattanza. Thrash/Black furioso in cui i nostri sanno miscelare, specie negli assoli, quel retrogusto di NWOBHM che dà quel minimo di varietà che aiuta non poco a rendere "On the Verge of Dysfunction" più fruibile. La varietà dei pezzi, comunque sia, non è di casa in questo lavoro: la struttura come gli arrangiamenti seguono pedissequamente i canoni del genere proposto, per cui pezzi come "Alcoholic Force" (singolo che ha preceduto l'uscita dell'EP) o "Lights over Phoenix", che presumo parli del ben noto avvistamento UFO sui cieli di Phoenix del 1997, o la conclusiva "Born to Speed" (un titolo, un programma) sono proprio quello che ci si può aspettare da un disco Thrash/Black. Presente, poi, anche una cover, la ben eseguita "Dead City", originariamente dei Violent Force.

Non che "On the Verge of Dysfunction" sia un disco così imprescindibile, ma quasi sicuramente non lascerebbe scontenti gli amanti di tali sonorità. Nulla di nuovo sotto il sole dunque, ma in questo caso va bene così; e poi l'EP, in fin dei conti, non è poi male.

Trovi utile questa opinione? 
11
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
2.0
Opinione inserita da Daniele Ogre    26 Gennaio, 2017
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 2017
#1 recensione  -  

In 15 anni che faccio recensioni, questa è forse la più difficile che mi sia mai toccata. Questo perché, per quanto mi riguarda, i Sepultura non sono una band qualsiasi. Almeno fino a "Chaos A.D.", che già "Roots", insomma... Stiamo parlando, in questo caso, di quella che è la mia band preferita (ripeto, fino a "Chaos A.D.") e mi sono trovato nella condizione di non aver mai digerito né i cambi di line up, né tanto meno la nuova direzione stilistica della band brasiliana, quel misto di Thrash (poco) e Groove/Nu (troppo).

All'uscita di "I am the Enemy", singolo che ha preceduto la release di "Machine Messiah", quattordicesimo album dei Sepu, non sono stato il solo ad aver pensato ad un ritorno ad un sound più "vecchio", ad influenze più hardcoreggianti che potessero legare più con i dischi più vecchi. E invece, fuoco di paglia. Per i fan di più vecchia data e meno intransigenti, "I am the Enemy" è praticamente la sola canzone a salvarsi. Il resto, ci troviamo con quello che, a tutti gli effetti, è il sound dei Sepultura dei giorni nostri e con canzoni come la title-track o "Phantom Self" o "Alethea" o la conclusiva "Cyber God" che sono delle mattonate in faccia. E purtroppo, non nel senso "buono" del termine. Poi capita anche la strumentale "Iceberg Dances" con soli di tastiera e sound spagnoleggiante. Bah.
La produzione è buona e non sorprende, essendo un classico marchio di fabbrica della Nuclear Blast ma... non so, ormai manca del tutto quello che rendeva i Sepultura la band che erano: non c'è rabbia, non c'è furore, non c'è l'assalto frontale che tanto m'ha fatto amare questa band. Ormai, sono solo un'altra delle tante bands che s'è buttata su uno dei trend del momento. E non sono nemmeno migliori di altri, nonostante alla batteria abbiano tra l'altro un fenomeno assoluto come Eloy Casagrande.

Ho cercato in questa recensione di essere il più oggettivo possibile, ma l'impresa è stata più che difficile, lo so. E' anche per una questione di cuore, che "Machine Messiah" è l'ennesima delusione da una band che personalmente vorrei vedere con un altro nome. Per gli amanti di queste sonorità magari sarà anche un bel disco, così come i fans di questo secondo corso dei Sepultura. Ma io faccio parte della vecchia guardia, mi dispiace.

Trovi utile questa opinione? 
21
Segnala questa recensione ad un moderatore
2755 risultati - visualizzati 2691 - 2700 « 1 ... 267 268 269 270 271 272 ... 273 276 »
Powered by JReviews

releases

Christian Mistress: Con "Children of the Earth" trenta minuti di energia e velocità
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
I Löanshark ed il loro amore per gli anni '80
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Elvenking, un nome, una garanzia
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Mentalist, repetita iuvant
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Epica, reinventarsi con stile sempre più personale
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Phear, ottimo heavy/thrash dal Canada
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Grandi passi avanti per il progetto On My Command
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Alarum, sulla scia di Cynic e Death
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Corte Di Lunas, perchè?
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Warhog: il secondo volume della trilogia è più "semplice" del precedente capitolo.
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
 “Rhapsody of Life”, il nuovo incantevole album dei Worlds Beyond
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla