Opinione scritta da Daniele Ogre
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#1 recensione -
A tre anni dal buonissimo "Sinister Monstrosities Spawned by the Unfathomable Ignorance of Humankind" è tempo di terzo full-length per gli americani Oxygen Destroyer ed il loro "Brutal Thrashing Kaiju Metal", che può essere tradotto in un Death/Thrash/Black con tematiche legate all'immaginario di Godzilla... e non potrebbe essere altrimenti quando come nome hai quello dell'arma usata contro il leggendario Kaiju nipponico nel mitico film del 1954. Comunque sia, dopo aver ascoltato e recensito il predecessore di questo "Guardian of the Universe" - licenziato da Redefining Darkness Records -, sono andato a recuperarmi anche il debutto del 2018 "Bestial Manifestations of Malevolence and Death", in modo che ora si può avere una visione d'insieme della carriera del quartetto che si divide tra gli stati di Washington ed Oregon: e gli Oxygen Destroyer sono una band in costante crescita. Il mix d'influenze - che passa da Morbid Saint. Demolition Hammer e Sodom, il Death/Thrash dei Vader ed il Thrash/Black di gente com,e Usurper, Hellripper e Deströyer 666 - crea un vortice sonoro in cui molto, molto raramente la band americana rallenta i ritmi, lanciandosi anzi a rotta di collo in una serie di pezzi frenetici ed adrenalinici che, possiamo esserne sicuri, dal vivo lasceranno sul campo ben pochi prigionieri. Riff e drumming sono sparati a velocità allucinanti, ma nonostante questo gli Oxygen Destroyer affronano il tutto con un dinamismo che ha quasi dell'invidiabile, riuscendo nonostante la furia inconsulta ad essere a loro modo catchy (questo grazie soprattutto alle influenze derivanti dal Thrash teutonico, crediamo), tutto questo segno anche di come il combo statunitense abbia trovato una propria perfetta dimensione di come i musicisti coinvolti abbiano un affiatamento con ben pochi pari. Tra riff che si stampano subito nella mente, soli al fulmicotone e ritmiche incalzanti da moshpit assassino, gli Oxygen Destroyer guardano con rispetto ai loro maestri, ma "Guardian of the Universe" è soprattutto il loro manifesto, una dichiarazione d'intenti che loro sono gli Oxygen Destroyer e basta. Ad un ascolto poco attento e sommario potrà sembrare che i Nostri abbiano semplicemente un'attitudine caciariona e divertente, vuoi per l'immaginario Kaiju delle loro tematiche, ma seguite il nostro consiglio: ascoltate con estrema attenzione questo terzo album degli Oxygen Destroyer e come noi vi accorgerete che questi quattro ragazzoni fanno sul serio e si candidano per essere un prossimo punto di riferimento in queste particolari sonorità.
#1 recensione -
In un cero qual modo, sembra quasi un controsenso che l'assolata California sia terreno fertile del Death Metal più crudo e 'putrido'... ma tant'è! Al numero già abbastanza considerevole di gruppi che conosciamo, va ad aggiungersi questa nuova creatura proveniente da quel di Bakersfield a nome Cemetery Rot, che tramite la canadese CDN Records ha pubblicato nei primi giorni di agosto il proprio debut EP a titolo "Euphoric Consumption of Human Flesh". Cinque tracce per 1/4 d'ora scarso di Death Metal dalle arie insalubri à la Autopsy, malsani passaggi più pesanti e groovy (Coffins, Cianide) ed accelerazioni al vetriolo con ritmiche che si fanno quasi Death/Punk à la Abscess, a sorreggere le cavernose growlin' vocals del fondatore Gar... tutto in questo EP 'puzza' di arie grevi e di atmosfere malevole, senza concessioni a qualsivoglia modernità, melodie o ammennicoli vari, se non una qualche melodie tagliente e vagamente slayeriana nei solo. Va da sé, "Euphoric Consumption of Human Flesh" va preso per quello che è, ossia un esordio assoluto con i suoi pregi ed i suoi difetti, che mette in mostra una band che ha già le idee ben chiare su quale sia il proprio percorso. Un EP che per quanto ci riguarda raggiunge facilmente una sufficienza piena e che ci sentiamo di consigliare ai maniaci del Death Metal più underground.
#1 recensione -
Si sono formati nel 2017 ma hanno alla fine debuttato solo nello scorso mese di luglio gli americani Infernal Realm, quintetto Death Metal di Seattle che ha rilasciato per la sconosciuta Sonic OSDM Records (questo disco è il debutto assoluto anche per l'etichetta) il primo full-length "Chamber of Desolation". Formati da musicisti provenienti da altre realtà del sottobosco estremo statunitense (Oxygen Destroyer, ad esempio), gli Infernal Real puntano sul sicuro, se così vogliamo dire, con uno US Death Metal classico (Morbid Angel, Cannibal Corpse,Deicide) al Death/Thrash di gente come Vader e Malevolent Creation. Insomma, sonorità che più classiche non si può e che a tratti possono sembrare anche un po' derivative... ma che alla fine sinceramente ci facciamo andare bene perché "Chamber of Desolation" adempie egregiamente al proprio compito, ossia quello d'intrattenere per poco meno di 40 minuti con un lotto di brani diretti e belli rocciosi. Inutile cercare una qualche innovazione qui, gli Infernal Realm partono a tutta semplicemente suonando quello che a loro piace e con risultati in generale più che soddisfacenti. Riffingwork magmatico, sezione ritmica arrembante, voci growl/scream che si alternano alla perfezione, tra metriche à la Cannibal Corpse e questo avvicendarsi 'deicidiano'. Poco altro da aggiungere: ascoltate i singoli "Scarlet Fog" e "Chamber of Desolation" per farvi un'idea su un disco consigliato soprattutto ai collezionisti di Death Metal underground ed old school.
Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 2024
#1 recensione -
Dopo tre o quattro anni, 'ospitiamo' di nuovo sulle nostre pagine i francesi Skelethal, che dopo aver rinsaldato la partnership con Hells Headbangers Records hanno pubblicato questo scorso luglio il loro terzo full-length "Within Corrosive Continuums", disco che potremmo definire di svolta per il trio di Lille - a cui si aggiunge il batterista session Ilmar Marti Uibo, che ha suonato in quest'album prima dell'ingresso di Pierre Vercoutter -, perché seppur sempre presente quella vena old school Swedish Death da sempre fondamenta del sound dei Nostri, il sound della band transalpina si è ramificata questa volta anche in altre direzioni, tra atmosfere ed alcuni passaggi più cupi à la Morbid Angel (prendete l'incipit di "Mesmerizing Flies at the Doors of Death") e, soprattutto!, patterns che rimandano al Death/Thrash ipertecnico - ma anche a tratti "grezzo" - di gente come Death, Pestilence e - per citare una band fautrice ultimamente di un grande exploit - Horrendous (la parte centrale di "Upon the Immemorial Ziggurat" ne è praticamente un compendio). Questa centrifuga d'influenze la si può sentire si da subito con la ferina "Spectrum of Morbidity", pezzo che sin da subito mette in mostra tanto la rocciosità dell'act francese quanto la voglia dei Nostri di ampliare il proprio raggio d'azione con uno spettro di soluzioni maggiore. Un gran lavoro in tal senso, va detto, viene fatto dalle chitarre di Gui Haunting e Lucas, che pur non inventandosi assolutamente nulla di nuovo riescono a tirar su una muraglia di riff serrati e granitici su cui si stagliano delle roventi soliste 'morbidangeliane'. Il particolare merito degli Skelethal è comunque quello di far convivere le diverse parti di questa loro anima con estrema fluidità, senza insomma che i pezzi qui presenti appaiano slegati: basta prendere ad esempio la lunga traccia finale "Within Corrosive Continuum", title-track costruita come fosse una suite in cui i Nostri riversano ogni elemento della loro evoluzione, dimostrando a pieno la loro volontà di sperimentare - con successo, a nostro avviso - nuovi territori, unendo alla perfezione momenti dal tasso tecnico più elevato e dall'afflato cervellotico a sfuriate aggressive che arrivano improvvise come una schiaffone in piena faccia. Se già in passata si poteva pensare che gli Skelethal fossero una band sicuramente interessante, con questo nuovo "Within Corrosive Continuums" le cose cominciano a farsi serie: se riusciranno a mantenere intatto questo equilibrio, il futuro per la band francese potrebbe riservare gran belle cose.
Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 2024
#1 recensione -
E' un album che taglia nettamente col passato questo "Agony", secondo full-length dei finlandesi Endless Chain; questo perché il chitarrista Timo Mölsä ha rivoluzionato l'intera line-up con quattro nuovi musicisti, andando a pescare anche in casa Korpiklaani con il batterista Samuli Mikkonen, oltre che poter contare sugli assoli di Sami Yli-Sirniö dei Kreator in tre dei dieci pezzi che compongono la tracklist. Punto focale di questa nuova opera del combo finnico è la presenza di due cantanti - voci pulite di Ville Hovi (ex-Kill the Romance, ex-Downfall) e growl di Aki Salonen (Gloria Morti) - con la musica che man mano si adatta a quale dei due vocalist è all'opera in quel momento. Abbiamo così un lotto di brani permeati di quelle classicissime atmosfere malinconiche tipiche della Terra dei Mille Laghi (Insomnium su tutti), che si dipanano tra passaggi più eterei ed altri più orecchiabili ed altri più rocciosi, anche se pur sempre pregni di melodie meste (Swallow the Sun, Before the Dawn), fino a toccare elementi Folk che richiamano gli Amorphis di Elegy. Il risultato è un lavoro sicuramente vario e che, a nostro avviso, potrà facilmente risultare orecchiabile anche a chi è meno abituato a tali sonorità. Facile durante l'ascolto incontrare momenti in cui gli Endless Chain rimandano ai Sentenced di fine carriera ("We Are We"), mentre i Nostri dimostrano di trovarsi a proprio agio anche in momenti più cadenzati e a loro modo tosti ("Beyond What You Believe"), anche se il meglio lo danno nei passaggi più delicati ed "autunnali", anche se - ad onor di cronaca - possiamo qui trovare dei passaggi forse un po' troppo 'commercialotti' (la parta iniziale di "Burn Your Skies Above", "Ghost"). Detto che ovviamente un bonus è contraddistinto dai soli di mr. Yli-Sirniö, dobbiamo dare atto agli Endless Chain di essere riusciti a tirare fuori un album che sa essere molto, molto catchy, ma che allo stesso tempo non tradisce quelle atmosfere tipicamente nordiche a cui chi ascolta un certo tipo di musica difficilmente rinuncia. Nel complesso "Agony" è un album sicuramente soddisfacente: un ascolto attento noi lo consigliamo.
#1 recensione -
Tra presenti e passati sono ben otto i gruppi negli Stati Uniti a nome Laceration, ma quelli che più si son fatti conoscere sono i death/thrashers californiani; dopo una prima parte di carriera complicata fatta di uscite 'minori' e pause più o meno lunghe, il quartetto di Windsor ha recentemente pubblicato il secondo album "I Erode", che segna anche il debutto per una delle più importanti etichette oggi in ambito Death Metal: 20 Buck Spin. E senza girarci tanto attorno, i Laceration oggi sono tra i migliori, nel sottobosco del genere, a declinare quel Death/Thrash della vecchia scuola Demolition Hammer/Malevolent Creation/Vader, sulla scia di veri e propri specialisti di queste sonorità come gli Skeletal Remains. Anzi, possiamo tranquillamente dirvi che si è piaciuto quella bomba di "Fragments of the Ageless", allora "I Erode" merita definitivamente una chance di finire nella vostra collezione. Estremamente groovy quanto arioso, con un riffingwork tecnicamente ineccepibile ma mai arzigogolato, un buon gusto melodico soprattutto nelle soliste, il tutto sorretto da una sezione ritmica rocciosa e vibrante: il tempo di prendere fiato con l'intro "Degradation" ed i Laceration si tuffano a rotta di collo in una tracklist compatta e scorrevole in cui nessuna nota è lasciata al caso. In poco più di mezz'ora la band californiana attraverso l'intero spettro del Death/Thrash affrontando la prova con grande maturità ed un tocco personale che, continuando per questa strada, potrà essere presto riconoscibile nel marasma di una scena in cui di concorrenza ce n'è tanta - soprattutto negli States ed in Cile, in questi ultimi tempi -. Interessanti poi quei passaggi dall'approccio più brutale - con rimandi ai "soliti" Suffocation e Cryptopsy - come nella ferale parte finale di "Sadistic Enthrallment" (uno dei pezzi migliori dell'album), che donano all'opera quel senso di maggior varietà di soluzioni. Il singolo "Excised" e la spacca collo "Vile Incarnate" - pezzo dal groove che davvero può mettere a durissima prova le vostre vertebre cervicali - sono altri chiarissimi esempi di come la crescita dei Laceration da quando sono definitivamente ripartiti sia esponenziale. Supportati da una produzione potente e sporca il giusto da mettere in risalto ogni elemento, i Laceration con "I Erode" si candidano fortemente per ascendere tra i nomi di punta del Death/Thrash. E come dicevamo, continuando su questa strada l'impresa per loro non sarà ardua.
#1 recensione -
Esattamente due anni fa i milanesi Morbus Grave pubblicavano il primo full-length "Lurking into Absurdity" (Chaos Records, 2022), e livediamo tornare ora con "Feasting the Macabre", secondo album rilasciato da Memento Mori sul finire di questo scorso luglio. Tolte le breve parentesi - meno di un minuto l'uno - di intro, interludio ed outro, sono sette i pezzi effettivi che compongono la breve ma efficacissima tracklist di questa seconda fatica dell'act meneghino, che non solo confermano quanto di buono proposto con il predecessore, ma sembrano qui ancor più focalizzati dando un'impronta ancor più mortifera e sulfurea al loro sound, un ribollire magmatico di Death Metal old school (Morbid Angel dei primi album, Possessed, Sadistic Intent, Death...). "Feasting the Macabre" è un unico concentrato di Death suppurato e che puzza di zolfo dal primo all'ultimo istante: basta ascoltare anche solo i due singoli apripista "Funeral Embodiment" e "Lusting Terror" per intuire l'ottima prestazione offerta da Erman e soci in questo disco, a partire da un riffingwork che racchiude groove pesanti come macigni e sfuriate lancinanti, il tutto supportato da una sezione ritmica sempre precisa e debordante che guida la carica anche nei passaggi più tirati - nemmeno tanto vagamente slayeriani -; "Where Evil Dwells", "Dissolving Obscurity" e - soprattutto! - "Congregation of the Exult" sono chiarissimi esempi della riuscita di "Feasting the Macabre": soprattutto l'ultimo pezzo citato è la fotografia perfetta delle sonorità e delle grandi capacità di scrittura ed esecuzione dei Morbus Grave. Non è un caso, dunque, che la band milanese sia tra quelle che più il sottoscritto segue con interesse nel panorama Death Metal dell'italico suolo: "Feasting the Macabre" è la conferma che i Morbus Grave sono ad oggi tra le migliori espressioni del genere sul territorio non solo nazionale, ma anche europeo. Per i die hard fans del Death Metal dei primordi, uscita questa sicuramente imprescindibile.
#1 recensione -
Terza band Death Metal spagnola consecutiva recensita sulle nostra pagine: questa volta vengono da Málaga e sono i Krypticy: il quartetto andaluso ha pubblicato questo scorso luglio il secondo album "The Non-Return" tramite Memento Mori (CD) e Violence in the Veins (LP). Se in passato l'act andaluso aveva una particolare predilezione per il Death floridiano, con occhio di riguardo per patterns Death/Thrash tecnico à la Death e Pestilence, col tempo ha irrobustito la propria proposta con un approccio più brutale (Suffocation) e votato al Death Metal old school più diretto di Monstrosity, Deicide e Malevolent Creation. Ed il risultato è, appunto, un disco come questo "The Non-Return": diretto e senza fronzoli, senza alcuna intro o perdita di tempo, per 36 minuti circa i Krypticy caricano a testa bassa dimostrando di avere una tecnica di base di livello sicuramente alto, ma anche di saper macinare riff e ritmiche particolarmente "classiche". Un continuo vortice sonoro - la copertina in questo senso è abbastanza eloquente - che lascia ben poco respiro. Il punto forte dei Krypticy è però, come dicevamo, il saper ben miscelare passaggi dal tasso tecnico più elevato a rasoiate furiose; in tal senso l'esempio più lampante lo abbiamo con il singolo "Hypatia's Heresy", pezzo estremamente coinvolgente, così come bene o male sono anche gli altri che compongono la tracklist come "The Water Street Butcher" e "UGH!", tanto per citarne un paio. Non siamo certo di fronte all'album del secolo, ma dobbiamo dare atto ai Krypticy di essere riusciti a tirar fuori un album sicuramente interessante che fa della varietà di soluzioni - ben amalgamate - il proprio punto focale.
#1 recensione -
A due anni dal debut album "Dark Paths of Humanity" è tempo di secondo full-length per gli spagnoli Intolerance con "Waking Nightmares of an Endless Void", disco licenziato in collaborazione da Godz ov War Productions (Digitale, LP, MC) e Memento Mori (CD). Non è cambiato l'approccio della band aragonese verso un Death Metal di matrice novantiana, ma i Nostri si presentano anche con due sostanziali novità, a partire da un sound che si avvicina più a quello degli Asphyx dei primi lavori, pur mantenendo una matrice bolt-throweriana (predominante nell'esordio); l'altra novità è rappresentata dal nuovo cantante/chitarrista P., ed è proprio il suo ingresso la spiegazione più plausibile di questa deviazione stilistica, visto che queste sonorità meglio si sposano con la sua voce e l'apporto di una seconda chitarra dona maggior profondità e densità alle composizioni della band spagnola. In generale, comunque, ci troviamo davanti ad un'opera sostanzialmente nella media: non è un brutto lavoro, sia chiaro, ma nemmeno fa gridare al miracolo; "Waking Nightmares of an Endless Void" è in pratica uno di quei lavori che non va a sfigurare nella collezione di un incallito deathster e che mantiene un livello qualitativo generale più che discreto. Un paio di episodi sono anche ben riusciti, come la conclusiva "Melting Skies" e la buonissima "The Dark Forest", con il resto del disco che si lascia ascoltare senza particolari patemi, ma anche senza particolari sussulti. Aiutati da una produzione ben bilanciata che riesce a mettere in risalto ogni componente di quest'album, gli Intolerance con "Waking Nightmares of an Endless Void" si attestano facilmente su di una sufficienza piena. Per i fans soprattutto di Asphyx e Bolt Thrower - ovviamente - un acquisto sicuramente consigliato.
#1 recensione -
Ad un solo anno dal debut album "Into the Mephitic Abyss" (buonissima release uscita per BlackSeed Productions, ma che ho potuto ascoltare solo poco tempo fa), arrivano già a pubblicare il loro secondo full-length gli spagnoli Sanctuarium, formazione Death/Doom di Barcellona che ha confermato il sodalizio con BlackSeed per la pubblicazione dell'album in formato CD, mentre per il formato LP si è affidata ad una garanzia assoluta: la londinese Me Saco un Ojo Records. E se è coinvolta l'etichetta inglese, potrete già facilmente intuire che il livello qualitativo dell'opera in questione non è affatto da sottovalutare; i Sanctuarium, ovviamente, non fanno eccezione grazie al loro approccio che rimanda immediatamente ai grandi nomi - attuali e passati - della frangia Death/Doom, dai sempiterni Disembowelment e Winter, fino ai vari Mortiferum, Spectral Voice e Krypts, con ovviamente quell'afflato mefistofelico mutuato dagli Incantation. Aiutati da sonorità pesanti come macigni, i Sanctuarium mantengono un approccio tradizionalista al genere, con un vortice melmoso di riff che come sabbie mobili trascina l'ascoltatore verso abissi insondabili: cinque lunghe tracce che funzionerebbero alla perfezione da "colonna sonora" dei peggiori incubi, e questo grazie alle capacità di songwriting dell'act iberico: i Sanctuarium non pretendono d'inventare nulla di nuovo, eppure le cinque lunghissime tracce che compongono "Melted and Decomposed" riescono a tenere incollati dal primo all'ultimo secondo, pur con una produzione low-fi e varie sfumature che possono essere ben comprese ed assimilate solo dopo diversi ascolti. Come il predecessore, anche questa seconda fatica su lunga distanza di Marc "Necrohelm" Rodriguez e soci mette in mostra una band che assolutamente non ha il dono della sintesi, ma sinceramente se il risultato sono pezzi monolitici e pachidermici come "Exultant Dredge of Nameless Tombs" ed il singolo "The Disembodied Grip of Putrescine Stench" - le due canzoni più lunghe ma anche le più convincenti -, non possiamo che promuovere la scelta dei Sanctuarium. La band spagnola ha scientemente scelto il proprio percorso e dimostra con questo secondo album di avere estrema conoscenza della materia e la giusta perizia per rispettarne i canoni pur mettendoci del proprio, dando all'opera un certo equilibrio tra tradizione e personalità. I Sanctuarium avranno in futuro ancora qualche ulteriore step da fare, ma la strada per divenire una band di punta del Death/Doom come i gruppi a cui si ispirano sembra, a nostro avviso, tracciata.
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