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Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    22 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Mag, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

Abbiamo già avuto modo di recensire i bolognesi Gengis Khan in occasione dell’uscita del full-length “Possessed by the Wolf” e della pubblicazione dell’EP “Master of My Sins”, rispettivamente nel giugno 2022 e nel febbraio di quest’anno. In entrambi i casi abbiamo avuto modo di esprimerci in maniera positiva, apprezzando il loro Heavy Metal classico con venature Epic, come si confà anche al nome prescelto per il monicker. Ebbene, siamo al cospetto di un ulteriore EP, intitolato "Arrows & Flames", generato dalle viscere di un immaginario vulcano incandescente, che funge da fucina nella quale forgiare ad elevatissima temperatura delle opere di acciaio che più duro non si può. Un EP che conferisce ulteriore continuità e coerenza a quanto realizzato finora dalla band felsinea. Pronti, via, la opening track è un monumento a colui che fu sovrano dell'Impero mongolo dal 1260 al 1294. Tra i suoi successi si ricordano la conquista della Cina e la successiva istituzione del dominio mongolo sul paese, che fu il primo non cinese a governare, ampliando l'impero fino ai suoi massimi confini. “Eyes Wide Shut”, titolo ispirato all’ennesimo capolavoro cinematografico di Stanley Kubrick, entra come un implacabile cingolato che tutto schiaccia inesorabilmente. La title-track è uno tsunami travolgente che fa partire un pogo incontrollabile, fino quasi a farti staccare la testa dal collo (a proposito, niente male davvero la drummer Gemma dietro le pelli…), raggiungendo il culmine con un assolaccio strappatutto. Peccato che la successiva “Escape” non si dimostri all’altezza della situazione, rappresentando un mezzo passo falso… Per fortuna ci pensa la traccia finale ad aggiustare un po’ le cose, con il suo piglio epico quanto basta per chiudere in bellezza un lavoro globalmente niente affatto malaccio. Questo "Arrows & Flames" è insomma un acquisto consigliato con headbanging assicurato!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    11 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 12 Mag, 2024
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Questa intrigantissima band meneghina a nome The Headless Ghost, stando alle scarne fonti biografiche sembrerebbe venuta fuori dal nulla (magari auto-riesumandosi in una notte tempestosa in un cimitero qualunque, di quelli monumentali stile liberty che mi fanno impazzire) ed è (ri)sorta come cover band dei mitici Mercyful Fate (e scusate se è poco...). E, in effetti, l'impronta della band danese - che è stata tra quelle seminali in ambito Metal - si sente anche se, fortunatamente, senza mai esagerare rendendo questa prima proposta discografica dei Nostri alquanto interessante. La opening e title-track viene introdotta da una cantilena infantile, tanto stralunata quanto malefica, che fa da preludio ad un possente incedere che ti travolge immediatamente. Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, la voce di Steven non ripercorre affatto gli stilemi di Sua Maestà King Diamond, tenendo più fede al proprio pseudonimo di corvo, quindi un vocalizzo più orientato verso Metal Church & co. L'altra peculiarità che accomuna i nostri cinque milanesi con i cinque del Fato Pietoso è il songwriting pieno di cambi di tempo: ogni pezzo sai come inizia, ma non sai mai dove andrà a parare, pur tenendoti sempre sul "chi vive", come testimoniato dalla successiva "Inside the Walls" e dalla altre sei tracce di cui si compone questa opera di metallo oscuro, molto variegata e molto ben suonata, con tanti spunti degni di rilievo presenti in ogni brano di questo "King Of Pain". "Whisper in the Dark" si insinua nella tua mente con un arpeggio quasi jazzistico, per poi farti scattare l'headbanging in automatico grazie anche ad una produzione da urlo, che ha saputo rendere ultra-heavy il sound del gruppo milanese. Così come - in ogni pezzo - non manca mai il duello di asce a suon di assoli più che pregevoli, ma mai ridondanti. "Vision" esordisce un po' alla Accept con un riffacchione ed una andatura cadenzona mid-tempo dirompente. "Let Them Go" prosegue sulla scia di fuoco iniziata dai primissimi solchi. Ed è poi la volta della monumentale "Angel in Flame": sette minuti magistrali ai quali dà la stura un arpeggio sinistro e misterico e che si snoda come un serpente stritolatore con il killer instinct. Intrigantissimo, come tutto questo CD dei The Headless Ghost: assolutamente un "must have"!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    04 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2024
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Con mio enorme piacere, ecco un disco dell'ennesima band tricolore che mi si para davanti: i genovesi Blue Dawn. Piacere duplicato dal fatto che si tratta di un gruppo dedito ad un Heavy Metal intriso di tematiche esoteriche e di venature Doom che non mi dispiacciono affatto. Nella fattispecie, trattasi di un complesso formatosi all'ombra della famigerata Lanterna nel 2009 e che ha esordito con il full-length omonimo ("Blue Dawn") nel 2011, riaffacciandosi due anni dopo con "Cycle of Pain", al quale ha fatto seguito - nel 2017 - "Edge of Chaos". Quindi il singolo apripista "Damage Done" nel 2022, poi trasfuso in questo loro quarto album "Reflections from an Unseen World". La formula proposta dall'ensemble genovese è davvero interessante, perché miscela tra loro tante influenze e reminiscenze, dai sottovalutatissimi Saint Vitus ai seminali Celtic Frost, specie nelle parti in cui viene in risalto l'intreccio tra la voce di Monica e quella di Enrico (stimatissimo compositore): in certi passaggi mi ha riportato alla mente pezzi come "Necromantical Screams" (dal leggendario "To Mega Therion" della band svizzera), così come emerge - a tratti - una certa ispirazione ai meneghini Lacuna Coil, quelli della prima ora (ad esempio "In the Reverie"...), anche se Monica non si accosta affatto a Cristina Scabbia. Nel songwriting dei Nostri, prevale il voler ricreare delle atmosfere un po' thrilling, più che oscure; sarà forse perché il colore blu ha queste caratteristiche: infonde calma, rallenta i battiti del cuore ed è un alleato prezioso per contrastare gli stati di ansia. È il colore dell'equilibrio, che ci aiuta a riportarci al centro. Secondo il sistema dei sette chakra è associato al quinto, quello della gola e governa la comunicazione. La parte centrale di "A Blue Monster in My Heart" ce la vedrei benissimo come colonna sonora di uno dei mitici thriller anni '70, di quelli con titoli tipo "Il gatto a nove code" o "Sette scialli di seta gialla". Interessantissima è poi la cover degli Dei Black Sabbath "Who Are You?" resa più elettronica, ma restando pur sempre il pezzo ammaliante e misterico che conosciamo. Insomma, questo "Reflections from an Unseen World" è un pregevolissimo disco, che si chiude con una originalissima final track ("Colorful") nella quale fa capolino un sax invero un po' spiazzante, ma assolutamente calzante ed in assonanza con tutto il contesto.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    27 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 2024
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Lo Stoner/Doom metal, si sa, è uno dei sottogeneri più ostici in assoluto. Miscelare le atmosfere deliranti dello Stoner con quelle misteriche e cupe del Doom non è mestiere agevole. Se poi le tue radici affondano in una terra dalle grandi tradizioni (anche esoteriche) che incarna ed abbraccia tutto ciò che di misterioso c'è nel creato come la Sardegna, il mix che ne scaturisce non può che essere micidiale. Ebbene, tre anni fa un polistrumentista di Elmas (Cagliari) ha dato vita a questo progetto il cui nome non lascia spazio a dubbi di sorta: Ascia Dopo una breve militanza nei Black Capricorn e negli Alcoholic Allianz Disciples ed un altrettanto breve ma intensa collaborazione con il bassista Ricky Atzei (ex-Outlast, Tested to Destruction e K-19) ed il drummer Matt (Abduction, Outlast), ha sfornato tre demo ("Vol.1", "Vol.2" e "III"). Ed eccolo qui, il Nostro approdare al suo full-length d'esordio "The Wandering Warrior"; ascoltando questo disco, si ha la sensazione che - non appena parte la opening track - un enorme bruto ti afferri la gola con una mano sola e non molli più la presa fino all'ultimo solco, lasciandoti finalmente libero di respirare dopo aver lungamente temuto di non arrivarci, ma di soffocare ben prima di quell'ultimo solco, costituito dalla title-track. Il suono è tanto cupo quanto asfissiante e, ad onor del vero, un tantino monocorde; distribuito in dieci pezzi, quasi tutti piuttosto lunghetti, si ha la netta sensazione che sia proprio quella la strategia del loro autore/esecutore: dapprima avviluppare l'ascoltatore nelle spire lisergiche dello Stoner e poi lasciarlo vagare in un sinistro labirinto nel quale finirà ineluttabilmente per perdersi, anche perché via via angosciato con e dal susseguirsi dei brani, che lo soffocano generando una cappa plumbea sempre più pesante. E forse non a caso, la voce di Fabrizio - con il succedersi delle tracce - si impasta sempre di più con il suono, fino a rendersi difficilmente decifrabile: anche questo sembra far parte di una ben precisa e studiata strategia finalizzata a rendere questa produzione assolutamente particolare ed un po' diversa da quelle del medesimo comparto. Un'esperienza per padiglioni auricolari forti e per nervi ben saldi: se la supererete, potrete ben dire di essere temprati nel Sacro Fuoco del Dio Metallo!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    20 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Ok, ok non bisogna mai giudicare un disco dalla copertina, ma - onestamente - quella di questo "Witches Wheel" dei Vulgar Devils è oggettivamente accattivante! Vabbè, ma il contenuto? Questo è un quartetto originario di Cleveland, Ohio, e ha debuttato nel 2016 con il full-length "Temptress of the Dark". Dopo otto lunghi anni di oblio, si ripresentano con questa nuova creatura malefica ispirata al sinistro (ma sempre affascinante) mondo della stregoneria, ma con un approccio molto più vicino a quello "old school" dei vari Demon, Whitcfinder General, Hallow's Eve, cioè andando a rinverdire i fasti del Power Metal classico con testi aventi ad oggetto tematiche stregonesche. "Awaken the Night" è il primo assalto frontale bello tosto con un riffone che fa presa sulla testa meglio del cemento rapido. Il pezzo immediatamente successivo mantiene ciò che promette nel titolo ("Bringing Hell"), portandoci dritto all'Inferno sonoro con un suono sporco e cattivo come il morso fulmineo di un cobra. A seguire, tutto d'un fiato, un brano sulle anime perse ("Lost Souls"), che è ciò che questo disco ci ha già resi chiamandoci ad affrontare la ardua prova di reggere l'urto dell'ennesimo muro di suono creato dai Nostri, specie nella parte centrale di questo pezzaccio micidiale. Con "Black Talons" ennesimo riffaccione acchiappone con la voce di Dave che - man mano che si avvicendano le tracce - diventa sempre più corrosiva. E' poi la volta della title-track: che dire? Un altro diretto in pieno volto! Con "Wild and High" non si cambia rotta e cominciamo a barcollare sotto la gragnuola di colpi alla quale siamo piacevolmente sottoposti fin dai primi solchi di questo monumento alla potenza. Idem dicasi per "In the Gutter Again", ancor più vigorosa e possente, così come con "Death or Victory/Give Me Speed" e la conclusiva "Ready to Rock": questo CD è un'aggressione in piena regola, è come se ti stesse prendendo a pugni un pugile tanto massiccio quanto sordo, che non sente le tue imprecazioni e le tue suppliche, che sai che si fermerà solo quando ti vedrà al tappeto, inerme e abbacinato. Una aggressione senza pietà!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    13 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 2024
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Appena tre anni fa, in quel di Cerveteri, provincia di Roma, si è formato questo quartetto che ha scelto di chiamarsi Sulphur and Mercury, traendo spunto da quella che è la antichissima e sempre affascinante scienza alchemica. L'alchimia è stata un po' la progenitrice della moderna chimica, ma con in più una connotazione esoterico-iniziatico-filosofica che portava i suoi adepti ad intraprendere un arduo percorso morale e spirituale, senza del quale nessuna opera poteva essere realizzata, in primis la mutazione del metallo rozzo (il piombo) in metallo nobile (l'oro), ossia la Pietra Filosofale. Gli alchimisti considerano lo zolfo uno dei tre princìpi della loro opera e lo chiamano Spirito o materia prima del Sole e dell'Oro filosofico, attribuendogli una natura maschile e ignea e la facoltà di coagulare (mentre il mercurio è solitamente femminile), era considerato dissolvente ed acquatico. Un'arte molto complessa, al limite della magia, a cui hanno contribuito numerosi nostri compatrioti e sulla quale si potrebbe disquisire all'infinito. Prima di dare alla luce questo EP, i Nostri hanno tastato il terreno con due singoli ("Lightless Slumber" e "Venereal Levitation") poi confluiti nella tracklist di questo disco. Un lavoro il cui preludio è tutto un programma: già dal titolo italianissimo ("Presagio del Maligno") non lascia adito a dubbi, preannunciando altre cinque pezzi tetri, ma pur sempre Heavy. "Invoke the Adversary (Pugnali di Megiddo)" rievoca la mitica località egiziana in cui si svolse una significativa attività bellica dalle forti tinte esoteriche. Il songwriting - affidato al Maesto d'Ascia Francesco Conte - è estremante variegato, in coerenza con il logo della band, palesemente ispirato a quello dei fantastici Mercyful Fate. "Lightless Slumber" è tanto ossessiva quanto possente e con un organo da paura a fungere da tappeto sonoro che si contrappone al wall of sound dei chitarroni di Francesco, sempre in improvvisa accelerazione. Jason - nel suo stile vocale - mi rievoca un po' Tom G. Warrior dei Celtic Frost. La successiva "Venereal Levitation (Voci dall'Aria)" è la mia traccia preferita, andando a configurare un sinistro connubio tra i divini Slayer e i Celtic Frost di cui sopra. "Entombed in Necrodust" è il pezzo più cupo, con il suo incedere pesantemente oscuro. Chiude le ostilità "Heads Will Roll", cover dei seminali Satan, di recente tornati ad incidere dopo una vita. Insomma, questo "Alchimia Prophetica" è davvero un gran bell'EP, in cui si fondono esoterismo, occultismo e Metal in un unico mortale crogiuolo.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    07 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 07 Aprile, 2024
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Gli Attic, quintetto Heavy Metal proveniente da Gelsenkirchen in Germania, mi hanno cagionato con questo loro "Return of the Witchfinder" un brusco ma piacevole balzo all'indietro nel tempo; dopo la immancabile intro orrorifca con tanto di violino del diavolo in evidenza, è partita la seconda traccia ("Darkest Rite") e quasi non credevo alle mie orecchie: i grandiosi Mercyful Fate si erano reincarnati! Negli anni '80 mi crogiolavo nell'ascolto di capisaldi del Metal come "Melissa", "Don't Break the Oath", con quegli inconfondibili cori malefici generati dalla malevole mente di King Diamond! Certamente il paragone è di quelli tostissimi, non fosse altro per il fatto di essere fatto con uno dei più carismatici dei frontman dell'Empireo (o degli Inferi?) del metallo. Paragone che, però, ci rapporta ad un Meister Cagliostro che non sfigura comunque dinanzi a cotanta pietra di paragone. Così come certamente i Nostri non hanno certo la medesima varietà di songwriting e cambi di tempo dei mostri sacri danesi, ma tuttavia riescono a ricreare e riproporre egregiamente le atmosfere horror e sataniche dei Mercyful Fate, dei quali sono indiscutibilmente allievi. Peraltro, i loro primi passi li hanno mossi ben dodici anni fa, con il loro demo omonimo del 2012; è seguito poi uno split "Satan's Bride / Ghost of Dublin" che ha fatto da apripista al full-length di esordio "The Invocation" sempre nello stesso anno. Cinque anni di silenzio (quanto meno in studio, sopperiti da una intensa attività on stage) ed ecco arrivare, nel 2017, "Sanctimonious", loro secondo album; poi spariscono dai radar, per rimaterializzarsi quest'anno con il singolo "Darkest Rites" che è poi confluito in questa loro ultima fatica oscura, "Return of the Witchfinder", che rievoca quella che è stata l'era più contraddittoria del Cristianesimo: quello della caccia alle streghe, nel quale nel nome di Dio (..?) sono state processate e date al rogo dalla Santa Inquisizione un numero non ben precisato (né precisabile) di donne, ritenute streghe per i motivi più fantasiosi e disparati, così come lo erano le torture a cui venivano sottoposte al solo fine di estorcere una confessione. Ed effettivamente, questo disco fa rivivere quelle stesse sensazioni: nessuno può sentirsi al sicuro, l'aria è vieppiù pesante ed opprimente, la morte è sempre in agguato e non vi sono vie d'uscita; l'organo che dà la stura ad "Up the Castle" ne è l'emblema, unitamente alla title-track. In siffatto contesto, non poteva mancare l'omaggio all'Arcangelo della Morte ("Azrael") che giunge ad apporre il proprio sinistro sigillo ad un'opera grandiosamente nefasta, che merita di essere inserita nella collezione di ogni fan dei Mercyful Fate.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    30 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 2024
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Un paio di anni fa, un chitarrista italiano ed un cantante svedese si incontrarono. Le loro passioni comuni erano il Metal ed i film horror e pensarono bene di farle sposare. Fu così che da questo connubio malefico nacquero gli Scarefield ed il loro primo singolo, "Primitive Shadows". Un anno fa, altri due singoli, "Shiver" e "Always", poi confluiti nel full-length di esordio, "A Quiet Country"; ebbene, ormai la vena creativa malevola della nostra strana coppia è esplosa, se è vero come è vero che a brevissima distanza dall'album appena menzionato, sentono il bisogno di condividere il loro ennesimo incubo musicale, dando vita a questo "Night Creatures", che annovera quattro pezzi del precedente CD (i primi quattro) e gli stessi riproposti in versione demo. E devo in effetti confermare, con piacere, che di idee il nostro duo ne ha a bizzeffe, muovendosi sul filo del rasoio del Death/Thrash che fu originato dai capostipiti Death della buonanima di Chuck Schuldiner ed i cui epigoni furono i vari Dark Angel, Necrophiliac e altri maniacs, ma caratterizzata da innesti a volte inaspettati. La stessa "God of Terror" che funge da opening track, ha una struttura anomala, atipica ma nel complesso molto convincente. Un primo assalto all'arma bianca che lascia subito le prime cicatrici, così come la seguente "Dead Center" che sembra un bisturi impazzito in mano ad un chirurgo assassino. "Shiver" non fa eccezione: sembra l'alternarsi di una sequenza di pugnalate sferrare da uno psicopatico, che ogni tanto rifiata, per poi proseguire nella mattanza. Per fortuna giunge "Child of the Corn" a darci una pausa con i suoi suadenti arpeggi e l'ugola di Markus che - per una volta - si acquieta; ma è solo una infinitesimale parentesi, perché - dopo pochissimo - il massacro riprende feroce come prima e la voce di Markus torna d'acciaio mentre l'ascia di Simone torna a colpire inesorabilmente. In effetti il tutto riporta alla mente immagini degli horror movies made in USA, al limite dello splatter, come Terrifier 2, del quale potrebbe essere benissimo la colonna sonora. Si passa poi alla seconda metà di questo "Night Creatures", ossia ai quattro brani riproposti in versione demo, su cui non c'è molto da dire. Davvero un'ottima ed orrorifica conferma per gli Scarefield!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    23 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 2024
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Quando uno ha cantato in bands come Chalice of Sin, Clockwork Revolution, Disaster/Peace, Lucian Blaque, War of Thrones, Leash Law, The Priest, Crimson Glory, Leatherwolf, Seven Witches, Tiwanaku, Ben Jackson Group, Astaroth, DeuxMonkey, Sector 9, Slash Maraud, Templar si può ben dire che è un frontman ricercatissimo, ma anche un tipo che non si accasa facilmente, probabilmente perché ha delle idee tutte sue e, in generale, non si accontenta facilmente. Se poi uno fatto così incontra un altro tipo che ha contribuito, con le sue sei corde, all'affermazione di una band come i War Of Thrones, da quel fortunato incontro di talenti puri non può che sortire un progetto ambizioso e comunque degno di essere attenzionato. E così, sotto il caldo sole di Tampa, in Florida, Wade Black e Rich Marks hanno concepito questo scrigno di gemme Power Metal che risponde al nome di "The Awakening" (un titolo che mi ha riportato alla mente il bellissimo pezzo dei Prong), debut album dei Wade Black's Astronomica. Poter godere simultaneamente di una voce possente e super estesa come quella di Wade e degli assoli iper virtuosistici come quelli di Rich è tanta roba! Il songwriting è di assoluto livello, realizzando un connubio tra potenza e melodia di quelli che si sentono davvero raramente. Pronti-via e la opening track ci investe con la sua veemenza e la virulenza dei riffs di Rich: è come aprire la porta e venire inondato non da acqua, bensì da musica che subitaneamente ti sbatte contro il muro. Da lì in poi, il ciclone non si fermerà più e continuerà inesorabilmente a tenerci incollati contro quel muro. Mollerà la presa solo dopo una sequela di pezzi uno più turbinoso dell'altro. Una sequela in cui l'ugola di Wade sembra diventare sempre più tosta e votata alla guerra totale, mentre gli assoli di Rich si fanno sempre più funambolici e coinvolgenti. E sotto, un tappeto ritmico degno di misurazione tanto con la scala Mercalli, quanto con la scala Richter! E questo anche grazie alla presenza di turnisti assolutamente all'altezza della situazione, scelti con estrema perizia. Un vera delizia per padiglioni auricolari che hanno vissuto innumerevoli battaglie sonore, tanto da essere considerati veterani dei conflitti musicali globali. La chicca è rappresentata da "Hellwalker", nella quale Rich cede temporaneamente lo scettro di axeman per passarlo a Tobias Kersing, mastro d'ascia di Steelhammer ed ora nei mitici Grave Digger. Beh, siete ancora lì? Non siete ancora andati di corsa a comprare il CD?

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    16 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 2024
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Nel lontanissimo 1976 uscì un disco doppio con 33 giri in formato 45 annesso, che rispondeva al nome di "Songs in the Key of Life", un'opera monumentale di Stevie Wonder. Nel 2024 esce questo album intitolato esattamente all'opposto: "Songs in the key of Death"; un titolo palesemente ironico che i canadesi Blood Opera ha voluto assegnare al proprio full-length di esordio. Formatisi nel 2017 a Toronto, esordirono con un EP chiamato "EP" (?!) nel 2019. Nel 2022 un singolo, "The Devil's Eyes", al quale hanno fatto seguito altre due maligne creature denominate "Be My Victim" e "The Gates of Hell", poi riconfluite in questo CD. Leggendo il monicker ed il titolo di questa ultima fatica dei conterranei dei vari Anvil, Exciter, Danko Jones mi aspettavo un genere grandguignolesco, truce e truculento: niente di tutto ciò. I Blood Opera altro non propongono se non un Power/Pop Metal melodico con qualche strizzatina d'occhio alle charts e qualche rivolo di sangue qua e là (come, ad esempio, un audio estrapolato dal b-movie horror "Killer Klowns from Outer Space" o la traccia "Damien", tratta dalla colonna sonora dell'omonimo film). Diciamo subito che il risultato di questa fatica degli emuli di Damien e Nicko Mc Brain, che ne costituiscono la sezione ritmica non è affatto malaccio, ma che si limita allo svolgimento del classico compitino che ogni band Metal è chiamata a compiere. Le idee ci sono, anche se non particolarmente originali ma sono sviluppate fino ad un certo punto; alla fine dell'ascolto, resta una sensazione di incompiutezza, per la serie: "potrebbero fare di più, ma non si applicano abbastanza". La sequenza dei pezzi scivola via piacevolmente ma senza particolari scossoni, senza qualche spunto cha abbia del clamoroso. Quanto basta, comunque, per conquistare la sufficienza piena e guardare avanti con buone prospettive per le prossime releases in studio nelle quali, però, i nostri quattro dovranno dimostrare un deciso passo in avanti su tutti i fronti.

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