Opinione scritta da Valeria Campagnale
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Ultimo aggiornamento: 01 Novembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
I Grand Magus festeggiano venticinque anni di onorata attività musicale e lo fanno con l’album “Sunraven”, pubblicato per Nuclear Blast.
Questo nuovo lavoro è uno di quelli in cui si trova del buon heavy metal vecchio stile e tanta coerenza artistica che si può già ascoltare nel brano di apertura “Skybound” e singolo che ha anticipato l’uscita dell’album; qui i Grand Magus ci lanciano in un disco classico, con una impronta stile Iron Maiden; questa apertura è la giusta spinta per addentrarci in un album che promette bene e, del resto, i Grand Magus non ci deludono mai.
Il potente ritmo di batteria di Ludwig “Ludde” Witt ed il basso di Mats “Fox” Skinner creano un tappeto perfetto per le chitarre e la voce del grande Mr. Christoffersson che durante tutti questi anni non smette mai di ruggire.
In “The Wheel Of Pain” la cavalcata iniziale è un classico, ma anche una bella sferzata d’energia che si protrae per tutto il brano con l’ottimo lavoro di batteria che ben si intreccia con le chitarre.
Restando sempre su un suono classico, ecco la bella “Sunraven” e l’elettrizzante “Winter Storms”, intense ed intrise di sano heavy metal old school.
Con “The Black Lake”, i Grand Magus propongono un pezzo epico che parte in modo relativamente fioco per poi esplodere in un fragoroso riff sprigionato dalle corde di Janne, direi un pezzo veramente memorabile.
Più gioviali “Hour Of The Wolf” e “Grendel” che regalano a “Sunraven” un livello superiore e ben marcato.
Con la successiva “To Heorot” ad essere protagonista in assoluto è la sezione ritmica per una canzone che non raggiunge le precedenti, ma che ha comunque un suo senso all’interno dell’album.
“The End Belongs to You”, in chiusura, è un pezzo di assoluta classe a cui la band ci ha da sempre abituati.
Tra doom, riff blues e tonalità epiche, il nuovo lavoro dei Grand Magus rispecchia le aspettative e lascia un nuovo segno memorabile nella carriera del gruppo.
Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Lunga e dolorosa è la storia dei Funeral, combo nato nella provincia di Oslo nel 1991, con ricorrenti problemi di formazione, che ha perso due dei propri membri chiave, Einar André Fredriksen (basso) e Christian Loos (chitarra), rispettivamente nel 2003 e nel 2006, per suicidio ed overdose.
La band è da sempre impegnata a creare la forma più deprimente e lenta di doom/death possibile, in un momento in cui il loro paese natale veniva etichettato come il luogo di nascita del black metal.
Con Anders Eek, membro fondatore, alla batteria, Eirik Krokfjord, cantante d'opera baritonale, Ingvild Johannesen al violino, Rune Gandrud al basso, Stian Kråbøl e Morten Søbyskogen alle chitarre, il gruppo riprende l’attività dopo l’album “Praesentialis in Aeternum” pubblicato nel 2021, pubblicando per Season of Mist il nuovo lavoro “Gospel of Bones”.
L’album è intriso di dolore, malinconia, solitudine e perdita, elementi essenziali in questo lavoro che vede i Funeral godere di ottima forma e, come dice la presentazione del disco stesso, “Il contenuto lirico dell'album è un'autobiografia delle disavventure della vita del batterista/compositore A. Eek, e tratta di vera oscurità, miseria, dolore e perdita!".
L’opener “Too Young To Die” è un brano funeral doom a tutti gli effetti ed è una composizione che riesce a strappare il cuore, cupa e malinconica, inizia con il suono soave del violino che, proseguendo, ci porta alla voce meravigliosa di Eirik Krokfjord che riesce ad interpretare appieno la cupezza e la malinconia del brano che musicalmente è, oltre ad essere lacerante nella sua interezza, intriso di un profondo senso pesante di cupezza.
Non si discosta la seguente “Yestertear” che, nel suo essere profonda, è un’immersione in un limbo di sonorità cupe e avvolgenti, con i vocalizzi che lasciano attoniti per la loro grandezza.
Ammaliante la seguente “Procession of Misery” in cui gli elementi orchestrali creano un intreccio con il suono cupo e pesante, accentuando l’impronta gotica, per un brano che risulta essere schiacciante. Bellissime le linee di basso e la batteria.
“Ailo's Lullaby“ è una traccia strumentale dal sapore intimista ed è una sorta di soglia liminale che ci porta verso pezzi notevolmente più pesanti, senza abbandonare lo stile straziante.
In “My Own Grave” le chitarre acustiche si intervallano ai riff massicci che, insieme alla sezione di archi, donano sempre quest’aura dolorosa.
L’intro opprimente di “To Break All Hearts of Men” è imponente, così come la voce del resto, Eirik Krokfjord riesce ad esprimere sentimenti dolorosi e profondi con un tappeto di strumenti ad arco.
“Når Kisten Senkes“ è un'altra osservazione intimista che raggiunge un alto livello sensoriale, mentre “Three Dead Men“ è una chiusura che mostra sfaccettature vocali, una musicalità intensa ed il perenne lacrimoso sound di cui i Funeral sono forieri.
“Gospel of Bones” è un lavoro inquieto e molto ben articolato, decadentista, triste e per certi versi minimale, che mostra la maestria di composizione, nonché d’esecuzione, in cui Eirik Krokfjord è inevitabilmente in evidenza. Un album solenne in cui immergersi completamente in incantevole mestizia.
Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
I power metallers italiani Wind Rose tornano con il nuovo titanico album “Trollslayer” via Napalm Records, otto pezzi epici in cui la band ci conduce in un viaggio potente nel mondo dei Nani, guerrieri ed emotività. L’apertura è il brano strumentale dal sapore epico “Of Ice and Blood”, che ci proietta nel cuore di questa nuova avventura e troviamo poi subito la tumultuosa “Dance of the Axes”, con le chitarre che irrompono in modo tagliente, così come il cantato in growl che aggiunge un’impronta teatrale; pur essendo un brano nel suo complesso potente, risulta essere orecchiabile con il ritornello che si imprime nella memoria. “The Great Feast Underground” è un pezzo dall’aria più goliardica che, tra accenni celtici e una ritmica cameratesca, ci travolge in una festa tra, probabilmente, un bicchiere di Miruvor o Limpë. Questa aria festosa non manca di ritmo serrato e riff potenti, così la stessa atmosfera la troviamo nella seguente “Rock and Stone” dal sapore anthemico, brano epico ispirato al videogioco Deep Rock Galactic, in cui le chitarre e la batteria si rincorrono in una briosa atmosfera ed in cui la voce risulta essere sempre più che adeguata, anche nel suo ritornello travolgente. La batteria finale è il colpo di coda di questo brano. Nuovamente la batteria, questa volta in apertura, in “To Be A Dwarf” muove la brigata dei Nani che ci trasporta tra melodie Power Metal, la linea di basso è apprezzabilissima nella sua profondità, la voce sempre potente rende l’insieme epico e sempre vivace. Di fatti, se c’è qualcosa che non manca in questo album è proprio la dinamicità e l’allegria che sprigiona, anche nei momenti meno gioviali. “Home of the Twilight” è il brano più Speed Metal che troviamo, l’accompagnamento d’archi è un elemento brillante che ben si inserisce tra le chitarre raggianti e potenti e, ancora una volta, la batteria trascinante. Bella la voce che guida questo pezzo. Se fino ad ora abbiamo avuto un’atmosfera verosimilmente leggera, con “Trollslayer” la band ci catapulta in un pezzo aggressivo tra voci pulite, growl e chitarre pungenti ed energiche. Bel brano possente che mostra l’aggressività della band, ma mantenendo sempre una linea melodica che incanta anche nei momenti più burrascosi. Con “Legacy of the Forge” cambia di poco la linea, pur essendo meno aggressiva e più legata ad un senso di cameratismo, nanico in questo contesto, proponendo una combinazione di elementi folk metal a momenti epici in cui si evince il concetto di unione tra allegria e momenti più cupi. Bella l’apertura di “No More Sorrow”, quasi cinematografica e certamente drammatica per un brano cupo e profondo in cui la voce si immedesima, risultando sempre più istrionica. Anche qui troviamo delle chitarre pungenti e un ritmo serrato, il tutto accompagnato dal ritornello orecchiabile. I Wind Rose in “Trollslayer” ci regalano momenti di pura energia tra leggiadria e momenti più profondi, dando vita ad un album che non si smetterebbe mai di ascoltare con momenti musicali celtici ed altri più epici, mantenendo una linea Power. Promossi ancora una volta!
Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Album di debutto per gli Heavenblack, band greca che propone elementi classici Heavy Metal con tocchi moderni: "Blindfolded" è uscito lo scorso mese di agosto per Sleaszy Rider Records. I Nostri propongono un buon lavoro, giocando con delle buone melodie ed un sound accattivante già dalle prime note dell’opener “Hell Denied”, con l’ottimo basso profondo di Giannis Verios e le chitarre graffianti di Giannis Patakakis e Dimitris Varvarigos; di primo acchito potrebbe sembrare di ascoltare un brano dei Judas Priest, ma la band si contraddistingue per la freschezza e la voce armoniosa di Marios Kouroupis. Ottimo inizio, e la qualità continua con la successiva traccia “My Insane”, uno dei singoli rilasciati e a ragione direi, poiché questo pezzo offre una gamma Heavy che non scherza tra riff rasenti al Thrash e un Metal quasi Speed, anche qui la band si dimostra veramente buona con una batteria ossessiva grazie a Mantalena Krikelli alle pelli. Ritornello orecchiabile e voce sempre all’altezza. Con “The Dominant”, altro singolo, la band greca non si risparmia e ci regala un pezzo pesante in cui anche qui troviamo delle linee di basso profonde e chitarre ben solide. La voce si differenzia e si fa a volte più cupa, mantenendo una linea che non cede mai. “Heavenblack” è una traccia esplosiva, pesantemente in sintonia con il genere proposto in cui le chitarre hanno un ruolo fondamentale e la voce di Marios brilla nuovamente; si continua sulla stessa onda, ma in modo più melodico, con “On My Skin”, mentre con “Orphan” si ritorna alla potenza di un puro Heavy Metal vecchia scuola che ci ricorda nuovamente i Judas, tra riff potenti e ritmica secca e decisa. La voce risulta chiara e forte, pur avendo sempre questo timbro melodico che personalmente trovo molto bello. Altra scarica di adrenalina con “Clowns”, che si apre con chitarre molto old school, ma con un tocco moderno, basso e batteria a seguire che aprono la pista per l’entrata di Marios Kouroupis: bel brano fresco e orecchiabile. A chiudere, la title-track “Blindfolded” è il brano più ipnotico dell’album, molto profondo e interessante che riesce a far convivere le molte melodie con suoni pesanti, tendenti quasi al Doom. Bravissimi Heavenblack che, con questo debutto, fanno sperare in una carriera longeva che auguro di cuore, perché sono ottimi musicisti che riescono ad intrecciare il classico ad un tocco di modernità nell’universo Metal.
Ultimo aggiornamento: 07 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
I Cult Of Scarecrow, band heavy metal belga formatosi nel 2017 da ex-membri di gruppi metal anni '90 come Dead Serious e Die Sinner Die, hanno uno loro stile che può essere descritto come una fusione di epic doom ed heavy metal vecchia scuola, con accenni di grunge e thrash.
Il loro EP di debutto autointitolato è stato pubblicato nel 2018, mentre il primo album “Tales of the Sacrosanct Man” nel 2021; quest’anno tornano con il secondo album “In Nomine Filiorum”, uscito per Empire Records.
“In The Name Of The Children” è un pezzo d’apertura d’impatto e crudo nella tematica poiché parla degli abusi della Chiesa Cattolica sui minori e, proprio per questa tematica raccapricciante, la musica è minacciosa con chitarre violente e ben salde. Questo brano, primo singolo estratto, è solido, con un basso penetrante in pieno stile doom. Bello davvero, cattivo e torvo.
Se già con l’apertura i Cult Of Scarecrow riescono ad entusiasmare, il prosieguo dell’album è sempre più interessante; la terza traccia “Phantom Pain”, ad esempio, dal ritmo veloce, con un potente lavoro di batteria di Nico Regelbrugge che regge per tutto il brano, tra le graffianti chitarre di Jan Van Der Poorten e Ivan De Strooper e l’ottima voce di Filip De Wilde. Un brano tosto e selvaggio.
“Lord of La Mancha” si discosta leggermente ed ha l’intro con una venatura ambient tra passi ed ululati che ci conducono in un bel pezzo oscuro che vede nuovamente protagonista Nico con un grande assolo di batteria; nulla togliendo al resto della band, è inutile negare che qui la batteria è ancora l’elemento essenziale, chapeau!
Più thrash la seguente “Road to Ruin” che contiene delle buone melodie che esaltano i vocalizzi di Filip ed una buonissima chitarra veramente solida mentre, in “Love Over Life”, troviamo un suono rivolto più agli anni '90 e quindi con un suono più verso il grunge.
Decisamente più incalzante, ma mantenendo una linea melodica, è “Reason to Live” che risulta un buon pezzo rock con chitarre ruvide.
“Sunday Child”, ultima traccia, ha un suono più heavy metal e doom vecchia scuola, con la voce melodica ed è davvero un’ottima chiusura.
Sintetizzando, “In Nomine Filiorum” è un ottimo lavoro suonato col cuore e si sente che l’anima del gruppo è racchiusa in queste otto tracce. Il punto centrale è legare le svariate influenze della band tra proposte doom a quelle thrash finendo al rock, i Cult Of Scarecrow ci mostrano tutte le loro sfaccettature che, personalmente, trovo potenziale incentivo per proseguire l'ascolto più volte.
Ultimo aggiornamento: 02 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
“Polaris” è il terzo album per il duo canadese Lodestar, che si addentra in una musicalità Gothic Metal, Doom e Hard Rock. Il disco in origine fu autoprodotto nel 2023, e si presenta oggi in nuova veste per Sliptrick Records. Partiamo subito con “Shooting Star”, che apre il disco con chitarra pesante ed ossessiva che si intreccia con synth delicati; è un pezzo d’apertura potente ed una sferzata di energia che ci porta verso la più tenebrosa “Never Die” e, per marcare l'atmosfera cupa, ecco la voce di Kate Glock che con la sua profondità accentua quest'impronta tetra. Anche questo secondo brano è interessante e proprio per la sua natura ombrosa che si rispecchia maggiormente nei miei canoni, mi fa apprezzare maggiormente l’inizio di “Polaris”. Manteniamo la cupezza con la successiva “Save Me from Fate”, in cui le voci melodiose lasciano uno spiraglio per prendere fiato prima di immergersi nuovamente nell’oscurità, anche i cori seguono questa linea e regalano al brano una sorta di saliscendi tra luce e oscurità, altro brano da apprezzare a pieno. C’è da dire che "Polaris" è un album molto intimista, per nulla commerciale e va ascoltato in tutte le sue sfumature gustandolo a pieno. Con “In This Life“ i Lodestar rallentano la morsa della mestizia e ci portano in un limbo più arioso, quasi spazioso, per poi tornare in un esteso ed intenso mondo tetro con la riuscitissima “In Your Shadow”, in cui il basso si fa penetrante e vitale, un’altra track incisiva che mostra ulteriormente l’anima Doom del duo. “Distance to Your Light” è una sferzata energica con una buona chitarra pesante, anche in questo pezzo la ritmica ci porta su e giù come fosse un ottovolante, estroso ed instabile. È davvero difficile decidere se in questo disco ci sia effettivamente un pezzo migliore di un altro, ogni canzone ci porta in luoghi differenti pur mantenendo uno stile preciso. Molto raffinata e soft la seguente “Light of My Life”, che si diversifica dai brani precedenti, mentre con “World of Change” i Lodestar ci propongono una sonorità più epica e devo ammettere che è un pezzo che non mi sarei mai aspettata. Dopo questo ‘coup de théâtre’, ecco la spettacolare “Polaris”, che chiude l’album in modo armonico. Un lavoro creativo ed interessante, un mix interessante tra Gothic, Doom Metal e melodie Hard Rock fatto di chitarre, synth e momenti orchestrali.
Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
The Lucidia Project, band del North Dakota, fonda melodie con riff molto pesanti, atmosfere oscure e venature Prog per un Metal melodico che arriva a toccare livelli Death. Con l’EP “Requiem”, uscito per WormHoleDeath, offre buone corde in un prodotto che non eccelle per produzione, ma poco importa in realtà, perché lo fa figurare come un lavoro naturale e genuino. La title-track “Requiem” è ricca di un pianoforte avvolgente che va ad accompagnare verso delle buone chitarre pesanti ma melodiche, mentre la bella voce pulita di Chase Baldwin spicca assieme ad una ritmica Rock, nel complesso è un brano con un buon piglio che riesce a catturare l’attenzione. “Eventide”, con le sue affascinanti tastiere, ci regala nuovamente degli ottimi vocalizzi tendendo sempre ad accenti malinconici e tristi, una traccia potente e, nel suo essere calorosa, è un’altra buona prova per questa band. Nell’accattivante “Deliverance” i nostri offrono una maggiore emotività con un pezzo che non per nulla è stato scelto come singolo, bella riuscita, pulita e con ottimi agganci. La strumentale “Interlude (Seeing the Truth)” è veramente molto bella e ci accompagna al finale con “The End of the Lies”, in cui riappaiono vocalizzi più che ottimi e queste voci più roche, arrivando al growl, ben si sposano con le solide chitarre ed una buona linea ritmica. Un EP che rappresenta la drammaticità dei The Lucidia Project che, visto questo assaggio di cinque pezzi, sono certa riusciranno, spero presto, a proporre un album carico dello spessore racchiuso in “Requiem”.
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Charlotte Wessels ha pubblicato il suo nuovo album “The Obsession” per Napalm Records il 20 settembre, con il supporto di una band composta dai suoi compagni ex-Delain Timo Somers (chitarre, arrangiamenti aggiuntivi), Otto Schimmelpenninck van der Oije (basso) e Joey Marin de Boer (batteria), oltre a Sophia Vernikov (pianoforte/hammond), che contribuiscono al nuovo sound più pesante. Il disco presenta anche gli arrangiamenti di Vikram Shankar (Redemption, Silent Skies), il violoncello di Elianne Anemaat, è stato mixato da Guido Aalbers (Muse, Coldplay, Live, Queens of the Stone Age, The Gathering) e masterizzato dal pluripremiato mastering engineer Andy VanDette (noto per il suo lavoro con artisti del calibro di Porcupine Tree, Deep Purple, Dream Theater e molti altri). In questo nuovo lavoro Charlotte ha raggiunto più potenza nel suo songwriting, in cui musicalmente la malinconia e elementi oscuri seppur orecchiabili, si intrecciano tra sprazzi Prog e Metal. Le tematiche principali sono i pensieri ossessivi e la paura. Il brano di apertura “Chasing Sunsets” è molto orecchiabile, con chitarre che sapientemente riescono ad agganciare l’ascoltatore, anche la ritmica è davvero buona e nel complesso è un pezzo molto godibile. Più intensa la traccia successiva “Dopamine”, che vede ospite Simone Simons alla voce con lamenti operistici, apportando una elemento sostanziale al brano, già di per sé interessante. In “The Exorcism” l’apertura malinconica con la soave voce di Charlotte ci accompagna in una sorta di meditazione musicale, tra un cantato più angelico ed uno più grintoso, con la musica che seguendo la voce, si fa dolce o impetuosa. Questo è un pezzo in cui la nostra Charlotte si fa notare molto di più rispetto al brano iniziale, brillando per la sua interpretazione che la mostra al di fuori dei canoni a cui eravamo abituati ad ascoltarla. Con “Soulstice” Charlotte brilla nuovamente insieme ad un bellissimo pianoforte, la sua voce in questo brano si fa più dolce, mentre la musica che le fa da tappeto l’accompagna cullandoci. Altro ottimo brano. In “The Crying Room” respiriamo un’atmosfera leggera sempre con un altalenarsi di momenti melodici ad altri più pesanti, a volte appena accennati al Folk, molto brillante l’assolo di chitarra di Timo Somers. Più teatrale la seguente “Ode to the West Wind”, che ha come ospite Alissa White-Gluz, pezzo che appare più come un racconto narrato che in un fantastico duetto, ci regala un’altra atmosfera sognante, delicata e sicuramente legante. Se con quest’ultimo brano ci siamo lasciati trasportare in una sorte di turbine, con “Serpentine” Charlotte ci ammalia e irretisce in una rete raffinata di vocalizzi e suoni onirici, un pezzo davvero magistrale e magico, con un assolo meraviglioso, probabilmente il mio preferito dopo “The Exorcism”, due pezzi differenti ma entrambi coinvolgenti. “Praise” è molto particolare poiché contiene cori Gospel e venature Soul, mentre in “All You Are” ritroviamo una voce soave ed angelica, accompagnata da suoni più veementi. In “Vigor and Valor” la musica si fa più pesante, anche se a tratti rallenta la verve Metal per far spazio ai synth e ad una voce dolce, il basso di Otto Schimmelpenninck è molto profondo e marcato, così come la batteria di Joey Marin de Boer, per arrivare ad un finale epico. Il violoncello di Elianne Anemaat in “Breathe” è un brevissimo intervallo che ci porta alla chiusura dell’album con “Soft Revolution”, brano che si presenta con una veste che, ricordo, faceva parte di “Tales from Six Feet Under”, decisamente più pesante e con una differente interpretazione, sempre senza mai esagerare sconfinando in un Metal pesante. “The Obsession” è un album corposo e concettuale in cui le paure vengono messe in risalto esorcizzandole, un disco nel complesso intelligente e suonato da maestri che riescono a racchiudere la propria bravura in un complesso lavoro.
Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
“Where Gods Fear to Speak” è il sesto album per gli Oceans of Slumber, band americana che continua a sviluppare un viaggio emotivo attraverso il Progressive Metal e l'Heavy Metal tradizionale. La combinazione tra temi sulla morte e l'anima con una base Doom Metal, crea un viaggio cinematografico musicalmente pesante e profondo. Iniziamo subito con la title-track “Where Gods Fear to Speak”, pubblicato come primo singolo di anteprima dell'album, con accordi iniziali carichi di Doom e che ci rivela per la prima volta i ferali growls di Cammie. Le chitarre di Alex Davis e Chris Kritikos risultano pesanti e con un ritmo pulito e incessante tra la batteria di Dobber Beverly ed il basso di Semir Ozerkan. In “Run from the Light” troviamo Fernando Ribeiro dei Moonspell alla voce con i suoi massicci growls, per un altro brano diretto e pesante in cui spiccano sempre le ottime chitarre. Apertura con synth soavi per “Don't Come Back from Hell Empty Handed”; questo brano è più leggero e lascia amplio spazio al carezzevole cantato di Cammie Beverly ed un pianoforte dal tocco Gothic. In realtà il pezzo è mutevole con suoni che spaziano da atmosfere cupe al Blues ed al Prog. Nuovamente la voce gentile di Cammie ci introduce in “Wish”, che diventa aggressiva con il tappeto musicale che altalena questi momenti più pesanti a quelli lenti, per un brano che personalmente trovo coinvolgente, una sorta di zona comfort in questo album tra pezzi inquietanti ed altri elettrici. In “Poem of Ecstasy” pianoforte e batteria aprono il brano con un cantato dolce a cui si aggiunge la chitarra più Grunge e distorta e quella acustica; la band ci culla per qualche istante poiché il pezzo ci trascina in un abisso oscuro dalla musicalità pesante tra growl e chitarre furiose. Davvero un gran bel pezzo, forse il migliore di tutto l’album. Synth e basso in apertura per “The Given Dream”, voci dal sapore epico mentre le chitarre ricamano una pesantezza fatta da momenti tonanti e laceranti. Anche per questo brano, la band si mostra al pieno riuscendo a donare emotività e concretezza nel suo essere malinconica ed aggressiva. Il piano ed i synth di “I Will Break the Pride of Your Will” danno il via ad un pezzo più moderno tra growl e voci pulite, che ben si intrecciano con la batteria per lo più dal suono pesante. In questo altalenarsi di momenti, l’atmosfera è sicuramente coinvolgente e posso immaginare il coinvolgimento suonata dal vivo.
Con “Prayer” ci si ritrova a metà tra un Doom ossessivo ed un Death Metal per lo più melodico, è un brano dal sapore evocativo tra la soavità della bravissima Cammie Beverly e i growl maschili. Con “The Impermanence of Fate” abbiamo la dimostrazione (sempre ce ne fosse bisogno) di come Cammie riesca a sostenere la scena in una performance strabiliante accompagnata dai synth, raggiunta in seguito dalla classica sfuriata fatta di growl, distorsione e una ritmica soffocante. Bellissimo il basso nella suo essere cupo e profondo, così come la batteria che riesce a mantenere il giusto equilibrio per tutto il brano. Altro pezzo memorabile per questo lavoro che risulta essere veramente epico. Nel finale ci lasciamo coinvolgere dalla versione di “Wicked Game” di Chris Isaak con il piano iniziale che viene affiancato dalle chitarre acustiche. Inutile sottolineare che la voce di Cammie Beverly è fantastica e regala un tocco più drammatico rispetto all'originale. Tra distorsioni, momenti epici alternati a venature melodiche sempre malinconiche, “Where Gods Fear to Speak” è un album meravigliosamente eseguito con interpreti eccezionali. Gli Oceans Of Slumber hanno superato loro stessi con questo nuovo lavoro, intriso di emozioni ed oscurità.
Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
I Legions Of Doom sono un supergruppo Doom Metal, composto da Ron Holzner (The Skull, ex-Trouble) al basso, Lothar Keller (The Skull, Sacred Dawn) alla chitarra, Henry Vasquez (Saint Vitus, Pentagram) alle percussioni, Victor Griffin (Death Row, Place Of Skulls, ex-Pentagram) alla seconda chitarra, e propongono l’album di debutto “The Skull 3”, lavoro di notevole rilevanza. Prima di tutto sottolineamo la nascita dei brani contenuti e secondo, ma non per importanza, la band è la naturale prosecuzione dei The Skull e si sono formati dopo la prematura scomparsa del cantante Eric Wagner. Se The Skull continueranno a esibirsi in onore ad Eric, i Legions Of Doom sono, come ho detto, la naturale continuità; “The Skull 3” è un ottimo Doom Metal old school, ipnotico, con un continuo ritmo incalzante, linee di basso profonde, complesso pur essendo minimale ma mai asettico. In apertura la profonda “Beyond the Shadow of Doubt” vede l’alternanza delle voci tra Scott Reagers e Karl Holzner: ognuna delle voci ha uno stile unico e proprio, per questo motivo si esaltano le sfaccettature della band e della musicalità proposta. La pesantezza del brano è ben strutturata ed eccelle nelle sue oscure radici, chitarre pesanti con uno shredding ottimo. Segue “All Good Things”, che contiene una malinconica melodia e riff potenti ed orecchiabili, strutturalmente questo brano è solido e marcato, i pezzi di chitarra sono nuovamente ottimi ed eccellono all’interno del brano. Intensa la seguente “Lost Soul”: qui la vecchia scuole Doom è presente in maniera evidente ed incarna una teatralità eccezionale con il cantato, mentre il tappeto musicale si fa sempre più ad incentrare in suoni tetri ed oscuri, bellissimo brano, una delle perle dell’album a mio modesto parere. Meno minacciosa “A Voice of Reason”, anzi è forse il pezzo più anthemico con pesanti riff di chitarra che si intrecciano al basso ben marcato di Ron Holzner, anche la voce è meno sofferente e plateale, ma più armoniosa e leggera, per quanto il Doom lo permetta. Venature Stoner Rock in “Between Darkness and Dawn”, brano che regala morbide linee di basso, chitarre pulite e la voce di Karl che risulta essere perfetta per questo pezzo arioso e leggero. “Insectiside” ci regala fantastici riff ed un assolo da brividi, brano energico con ritmiche incalzanti, bello anche questo brano con un’aurea stile anni '80 con uno scheletrato aggressivo e sempre profondamente Doom Metal. “Heaven“, brano più malinconico di questo album, ci regala la voce di Eric Wagner, un omaggio al cantante a cui dobbiamo la nascita dei Legions of Doom. Un pezzo che riporta alle sonorità anni '70 e che sicuramente lascia un segno profondo, molto intenso. A chiudere, “Hallow by All Means“, altra perla contenuta in “The Skull 3”, un pezzo direi epocale in cui la voce di Scott Little raggiunge una timbrica profonda, la presenza di organo accompagnato dal suono di campane aggiungo un tocco oscuro e drammatico, le chitarre sono tese, creando ancor di più un’aria opprimente, così come la sezione ritmica che risulta cupa e insistente. Il momento clou è l’aumentare della velocità che culmina in un vortice Metal schiacciante per un finale da brividi. I Legions of Doom ci regalano un lavoro trascendentale di Doom Metal, in cui la linea che lega gli otto brani è un tormentoso vortice di emozioni e oscura musicalità che sarà sicuramente la gioia dei fan del genere, me in prima linea.
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