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Opinione scritta da Daniele Ogre

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Opinione inserita da Daniele Ogre    07 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

La definizione "Caveman Death Metal" calza sicuramente a pennello per i Vomitort, trio svedese che ha pubblicato sul finire dello scorso agosto su Personal Records il secondo album "Emetic Imprecations". E' difatti un approccio da cavernicoli quello della band scandinava, che attacca frontalmente e senza fronzoli per tutti i 25 minuti e mezzo di questo loro disco. Già l'opener (ed unico singolo rilasciato) "Envomited" lascia ben poco spazio a dubbi su cosa ci aspetterà per il restante breve minutaggio dell'album: un assalto frontale che più che con gli Incantation - indicati tra le principali influenze dei Nostri - ha rimandi con la più becera scuola danese (Undergang, Hyperdontia) e finlandese (Abhorrence), oltre che i padrini assoluti del Death Metal più becero e putrido, gli Autopsy. La gorgogliante e pesantissima traccia seguente, "Emtophilic Cro-Magnon", è la conferma che non ci saranno sorprese in questo disco, se non qualche passaggio più pesante dalle velleità Death/Doom, ma già ad esempio con "Odious Fetid Aberrations" i Nostri spingono più sull'acceleratore, seppur con una parte centrale più groovy e spacca collo. Ai Vomitrot semplicemente non interessa minimamente qualsiasi cosa sia nata dopo a prima metà degli anni '90: il loro è un approccio totalmente votato alla vecchia scuola in tutto e per tutto, dalle sonorità alla produzione (unico aspetto un po' così di "Emetic Imprecations"). Comunque sia, dal canto nostro in generale una sufficienza piena per quest'album, vuoi anche perché i Vomitrot rendono benissimo l'idea del loro immaginario: se gli uomini delle caverne avessero suonato Metal, questo è quello che sarebbe probabilmente uscito fuori.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    07 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

Puntuale con la media di un disco all'anno, tocca quota quattro full-length Justin Vølus con il suo solo project Vølus con questo "Merciful the Dying Light", licenziato da Vargheist Records... che è poi la sua etichetta. Ed è il solio Black/Death caotico e dissonante che Justin ci dà in pasto con questa quarta opera su lunga distanza - sonorità sicuramente nelle corde dell'artista della South Carolina (basta pensare agli Out of the Mouth of Graves) -, con un approccio diretto e votato alla violenza primordiale sulla scia dei vari Impetuous Ritual, Abyssal, Teitanblood, con punte di quelle atmosfere orrorifiche e sinistre dei maestri Portal. C'è sempre il neo della produzione, con la voce che spesso sovrasta la parte strumentale e dei suoni di batteria oggettivamente brutti, ma dall'altro lato si può comunque notare come Vølus sia completamente dedicato all causa e sappia come mettere insieme pezzi solidi dall'incedere quasi psicotico, segno questo anche di una tecnica di base di sicuro livello; sette brani per una mezz'ora abbondante che avranno facilissima presa sui divoratori seriali di uscite estreme del profondo underground, terreno questo molto fertile per Vargheist Records (etichetta dal roster di tutto rispetto). Vølus sanno anche colpire bene poi, come dimostrano l'inquietante "Blasphemies Infernal Strife"e la seguente title-track, brano quest'ultimo dal mood molto più vicino al più classico old school Death Metal. Nel complesso "Merciful the Dying Light" è un lavoro che va a guadagnarsi una sufficienza piena, ma anche un mezzo punto in meno per la questione della produzione. Per i fans del sottobosco Death Metal, il consiglio è quello di saccheggiare il catalogo Vargheist: non ve ne pentirete.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    07 Settembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 07 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

Con un'onorata carriera di trent'anni sulle spalle, gli Officium Triste sono con ogni diritto tra i gruppi di punta e tra i più influenti d'un certo modo plumbeo e malinconico d'intendere il Doom/Death; dagli inizi in cui più che palesi erano le influenze dei Peaceville Three, col tempo la band olandese ha sviluppato un mood tutto suo che li ha portati, di disco in disco, a quello che possiamo ascoltare in questo nuovo "Hortus Venenum", album col quale il sestetto di Rotterdam rinsalda la partnership con Transcending Obscurity Records. Come detto, la bravura degli Officium Triste è stata quella di trovare una strada propria pur rimanendo tradizionalisti nel modo d'intendere e suonare il genere, "picchiettando" di volta in volta la propria proposta rendendola sempre più completa; in "Hortus Venenum" possiamo sentire sì i Nostri all'opera con il loro classicissimo Doom/Death mesto ed "autunnale", ma possiamo altresì notare come il mood generale dell'opera richiami spesso la frangia più melodica ed eterea del Funeral Doom (Shape of Despair, Evoken, Doom:VS) e soprattutto - novità principale di quest'opera - come ci siano passaggi più granitici, ma non di meno melodici, con rimandi al Melodic Death/Doom di scuola scandinava (Saturnus, October Tide, ecc. ecc.). Ne viene fuori un album che ci presenta gli Officium Triste sempre fedeli alla loro storia, ma allo stesso tempo anche più dinamici, e questo senza che diminuisca di un punto l'impatto atmosfericamente luttuoso delle loro composizioni. Supportato da una produzione praticamente perfetta per le sonorità dell'act olandese, "Hortus Venenum" è anche un disco particolarmente equilibrato che si divide in parti uguali tra pezzi con una durata 'normale' (tra i 4 minuti e mezzo ed i 5 e mezzo) ed altri decisamente più lunghi, in cui gli Officium Triste mettono in campo tutta la loro esperienza, raggiungendo lo zenit dell'opera con la bellissima "Anna's Woe", capace di sorprendere con un solo che personalmente mi ha ricordato i Labyrinth nei loro pezzi più romantici (stessa cosa in "Forcefield"). Alla fine, sinceramente, c'è ben poco altro da aggiungere: se ascoltate questo genere saprete già che gli Officium Triste sono una garanzia assoluta e che difficilmente - anzi, diciamo che è praticamente impossibile - rimarrete delusi da un loro album. Manco a dirlo, "Hortus Venenum" non fa eccezione alcuna e conferma ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno, che la band olandese è tra le massime espressioni del Doom/Death.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    06 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

Vi dirò, è sempre interessante quando tocca scrivere di un debutto assoluto, anche perché fondamentalmente non si sa mai cosa aspettarsi. Ed è questo il caso dei neozelandesi Ifrit, duo composto dal cantante OS e dal polistrumentista KS (aiutati dai session Jiji Aligno, George Prowse e David Arnold, rispettivamente chitarra solista, basso e batteria), che pubblicano il loro EP di debutto "Haunting Charnel Grounds" tramite Gutter Prince Cabal (CD) e Brilliant Emperor Records (LP). Tra le influenze dell'act di Wellington vengono citati Immolation e Morbid Angel, cosa vera in parte: sin dall'attacco di "Sites Unhallowed", traccia che segue la fin troppo lunga "Intro", si può notare come l'altra band citata nelle info, gli Excommunion, giochi un ruolo fondamentale per le sonorità del duo. Ci si muove qui per la maggiore, infatti, su di un Black/Death caotico ed estremamente diretto, che oltre la defunta band di Colorado Springs può facilmente richiamare i vari Impetuous Ritual e Teitanblood, tanto per fare due nomi. Vero è che con un tale sound, fondamentale è avere una produzione che dia valore all'opera, cosa che però non accade qui: sembra di ascoltare un vecchio demo in cassetta di inizio anni '90, Questo è l'unico tasto dolente di "Haunting Charnel Grounds", dato che comunque gli Ifrit dimostrano di sapersi ben muovere all'interno di tali sonorità old school dandoci in pazzo quattro pezzi sicuramente funzionali e belli violenti, piazzando anche un gran bel colpo con "Salts of Penitence", pezzo non a caso scelto come singolo apripista. Dei quattro pezzi, tra l'altro, solo tre sono degli inediti, visto che l'EP si chiude con la cover di un classico di una leggenda dell'underground del Metal più estremo: "Watain" dei Von. "Haunting Charnel Grounds" va preso per quello che è, ossia il primissimo biglietto da visita di una band che ha dalla sua tutto il tempo per qualche piccola correzione futura (la produzione, appunto) e che parte dimostrando di saper saziare la fame di violenza sonora di chi è solito ascoltare tali estremismi sonori. Li aspettiamo in futuro.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    06 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

Con una carriera pluritrentennale alle spalle, i God Dethroned sono a diritto uno dei gruppi Blackened Death più influenti in circolazione, o per lo meno per quanto riguarda soprattutto i dischi degli anni '90, seminali per il genere; e diciamo così perché già a partire dallo scorso "Illuminati", l'act olandese guidato dal mastermind cantante/chitarrista Henri Sattler ha mutato il proprio approccio verso qualcosa che possa essere in un certo qual modo più accessibile, con atmosfere dal mood più epico in cui si prediligono mid-tempo dalle arie occulte alle sfuriate maggiormente protagoniste in passato. Il risultato finale diciamo che quasi sicuramente non scontenterà i fans della band olandese e, più in generale, del genere, ma si ha anche la sensazione che i God Dethroned ancora debbano settarsi per bene su questo mood, cadendo spesso in soluzioni che risultano essere anche abbastanza banalotte, vedasi la title-track chiamata ad aprire il disco. Meglio va, ad esempio, quando i Nostri danno più spazio a ferine accelerazioni come in "Rat Kingdom" (che per sonorità si avvicina molto al Melodic Black di scuola svedese) e "The Eye of Providence". Per il resto i God Dethroned danno oggi un più ampio spazio a composizioni più lineari che strizzano spesso l'occhio ad un certo Heavy classico: in tal senso leggevo qualche giorno fa (perdonatemi, non ricordo dove) che in questi frangenti Sattler e soci ricordavano gli Amon Amarth, e devo dire che mi trovo sicuramente d'accordo con quest'affermazione, Certo, in tal modo i Nostri hanno reso la propria proposta sicuramente più accessibile per i fans più giovani, quelli che li hanno conosciuti da poco con le ultime uscite, ma è altresì vero che chi è più scafato passerà facilmente oltre ad un album che alla fine una sufficienza piena la strappa, andandosi a recuperare un "Bloody Blasphemy" che ancora oggi è - almeno per chi vi scrive - l'apice della loro carriera.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    06 Settembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 06 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

I Wolfheart hanno una puntualità che ha quasi dell'invidiabile: passano due anni da un album, ed eccoli ritornare con una nuova release; succede così anche questa volta: a due anni da "King of the North", l'instancabile Tuomas Saukkonen ed i suoi soci pubblicano il settimo studio album "Draconian Darkness", che segna anche il debutto dei Nostri sotto l'egida di Reigning Phoenix Music. Basta dare una rapida scorsa alle precedenti recensioni per intuire come i Wolfheart siano tra i gruppi che seguo con maggior interesse, e seguendoli per l'appunto sin dagli esordi ho potuto constatare tutte l'evoluzione della creatura partorita dalla mente del mastodontico cantante e polistrumentista finlandese; e posso quindi dire con cognizione di causa che i Wolfheart si sono ormai attestasti su precise coordinate stilistiche che, a quanto sembra, sono la loro forma finale, quella ossia di un Melodic Death muscolare e granitico che a differenza di tanti connazionali non punta su atmosfere cupe e malinconiche, ma tende invece a dare quella sensazione di gelo estremo degli inverni finlandesi; a questo si è poi unito nel corso del tempo una particolare attenzione per orchestrazioni pompose ma mai invasive, a rendere le sonorità del quartetto di Lahti ancor più corposo. Un esempio lo abbiamo subito con l'opening track "Ancient Cold": a parte un titolo che subito riporta alla mente i suddetti inverni finnici (ed un video che ricorda tantissimo quello di "Zero Gravity"), ritroviamo sin da subito tutti gli elementi dei Wolfheart nella loro evoluzione finale tra orchestrazioni pompose ma mai invasive - per l'appunto -, un MeloDeath bello roccioso - di nuovo, per l'appunto - e la capacità di Saukkonen di rendere le proprie composizioni in ogni caso orecchiabili e di facile presa anche su chi non è propriamente abituato a questo sound. Ne sono la riprova anche gli altri singoli rilasciati - tra i quali spicca sicuramente "Evenfall" -, così come tutto sommato il resto della tracklist che nasconde perle che scoverete solo ascoltando l'intera opera, come la più grooyv e spacca collo "Burning Sky" (gran lavoro di Saku Moilanen alle orcehstrazioni qui), "Death leads the Way" con il suo riffingwork trascinante e la tellurica "Throne of Bones". Un piccolo appunto su Moilanen: il suo apporto a tastiere ed orchestrazioni è diventato così insito nell'operato dei Wolfheart che inserirlo in pianta stabile in formazione non sarebbe una scelta così sbagliata. Comunque sia, i Wolfheart non hanno ormai più bisogno di presentazioni: se si ascolta Melodic Death, la band di Tuomas Saukkonen è sicuramente presenza fissa negli stereo o sulle piattaforme digitali; "Draconian Darkness" è l'ennesima conferma di qualità di una band la cui platea di fans si fa via via sempre più grande e che acquisisce di anno in anno sempre più importanza, come dimostrano le tante presenze in festival importanti (certo, se si degnassero di passare per l'Italia qualche volta...).

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Opinione inserita da Daniele Ogre    01 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

Venticinque minuti totali che si dividono su nove tracce, un approccio talmente diretto e brutale da far sembrare buona parte dei gruppi Grindcore come il Piccolo Coro dell'Antoniano, la solita corsa forsennata dal primo all'ultimo secondo come se la loro "macchina" fosse sprovvista di freno... Stiamo parlando ovviamente dei Concrete Winds, due finlandese giunto con questo disco eponimo alla terza uscita su lunga distanza. Licenziato da Sepulchral Voice Records, in "Concrete Winds" troviamo tutti gli elementi cui la band di Helsinki nata dalle ceneri dei Vorum ci ha abituati nelle prime due rasoiate "Primitive Force" (2019) e "Nerve Butcher" (2021): i Nostri prendono come Stella Polare il Metal estremo dei primordi (primissimi Morbid Angel, Repulsion, Sarcófago, Necrvore, Blasphemy e la malsana schiera di gruppi Black/Death canadesi), riuscendone a dare un'impronta ancor più oltranzista ed estrema, un vortice sonoro senza un attimo di requie, una serie di cazzottoni in faccia dal primo secondo di "Permanent Dissonance" fino all'ultimo di "Pounding Devotion", piazzandoci nel mezzo una serie di fendenti assassini come "Daylight Amputations", "Infernal Reapter" e "Systematic Distortion", tanto per citarne qualcuno. I Concrete Winds erano, sono e resteranno una band estrema fatta per gente che ascolta musica estrema: non c'è altro obiettivo per il duo finlandese che quello di annichilire totalmente qualsiasi cosa o persona gli si pari davanti. E in queso i Concrete Winds hanno ad oggi ben pochi rivali.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    01 Settembre, 2024
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Dopo aver sorpreso decisamente in positivo con l'EP d'esordio "Explosions", tornano i "vulcanologi" portoghesi Phenocryst con quello che è il loro primo full-length: "Cremation Pyre", licenziato come il precedente lavoro da Blood Harvest Records. Abbiamo notato nel più recente passato come l'etichetta svedese sembra abbia deciso di puntare più sulla qualità che sulla quantità, diminuendo il numero di uscite, che sono però tutte di un buonissimo livello. E "Cremation Pyre" non solo non fa eccezione, ma secondo il sottoscritto - che ha ascoltato qualsiasi release Death Metal di Blood Harvest in questi ultimi anni - è persino uno dei dischi più interessanti rilasciati dalla label scandinava. Questo perché i Phenocryst hanno già ulteriormente evoluto il loro sound, implementando il loro Death Metal - che vedeva in Morbid Angel, Autopsy e Cianide le maggiori fonti d'ispirazione - con ritmiche più marziali e groovy con palesi rimandi ai mitici Bolt Thrower... ma non solo: trovano qui ancora più spazio ramificazioni Black/Death à la Grave Miasma (o anche Sonne Adam, Bølzer, Grave Upheaval...) a dare un'aura ancor più mefistofelica e sulfurea ai pezzi del combo lusitano. Esempi pratici di queste nuove linee guida stilistiche dei Phenocryst li possiamo trovare subito con l'opener "Pinnacle of Death" e, soprattutto, la magmatica traccia seguente "Astonishing Devastation", a mani basse il miglior pezzo del lotto seguita a ruota da altre due canzoni esplosive come "Pyres of the Altar" - main single in cui la fusione Bolt Thrower/Grave Miasma raggiunge livelli praticamente perfetti - e "Volcanic Winter". Ma per quanto ci riguarda, è l'intero "Cremation Pyre" che va ascoltato dal primo all'ultimo secondo: non troverete qui il minimo momento che possa essere definito un mero riempitivo, ed anzi verrete trascinati via man mano che scorre la tracklist da una colata lavica di riff corposi e granitici, deviate aperture melodiche ed una sezione ritmica quanto mai pulsante e minacciosa. Quasi 40 minuti che si ascoltano senza problemi tutti d'un fiato: "Cremation Pyre" è la conferma che dai Phenocryst ci si potrà attendere in futuro grandi cose.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    01 Settembre, 2024
#1 recensione  -  

A due anni di distanza dal più che buono "Durance of Lightless Horizons" - debut album uscito per Blood Harvest Records - tornano i canadesi Gutvoid, che sempre sotto l'egida della label svedese ci offrono questo EP di quatto pezzi per una mezz'ora abbondante totale a titolo "Breathing Obelisk". Con solo la produzione come piccolo neo - i Nostri devono o possono far di meglio sotto questo frangente -, il quartetto canadese guidato da Brendan Dean (Fathomless Ritual, Fumes) e Daniel Bonfiglio (Fumes) musicalmente non si sposta da quanto potuto ascoltare nel precedente lavoro: un Death Metal che prende spunto tanto dalla più cupa frangia Death/Doom (Spectral Voice, Mortiferum, Krypts...) quanto da quella più tecnica e sulfurea (Blood Incantation, Demilich, Tomb Mold, Timeghoul...). Insomma, come un predatore si muove a proprio agio nel proprio habitat, così i Gutvoid hanno trovato la loro perfetta dimensione in queste sonorità melmose ed insalubri su cui si stagliano sinistre ed alienanti melodie; protagoniste assolute sono infatti le chitarre di Dean e Bonfiglio, che tra riff corposi ed ostili armonizzazioni conferiscono all'opera quell'afflato sinistro che viene ottimamente supportato da un drumming che predilige pesanti mid-tempo dando un'impronta più rocciosa alle composizioni. Se solo avessimo avuto una produzione leggermente meno sporca, "Breathing Obelisk" sarebbe potuto essere un vero e proprio nero gioiellino; non che l'EP in sé sia brutto, ma va detto che nelle parti più veloci la batteria sembra perdersi in suoni un po' troppo caotici, mentre le soliste di chitarra tendono a coprire un po' il tutto. Bastava insomma bilanciare un pochino meglio, tutto qua, ma comunque restano in ogni caso quattro pezzi che riescono a loro modo a tenere sempre alta l'attenzione dell'ascoltatore - in particolar modo lo psicotico singolo "For We Are Many" - e che, ne siamo certi, sapranno conquistare in un attimo gli amanti di queste particolari sonorità. Nell'insieme, dal canto nostro, "Breathing Obelisk" è un EP più che sufficiente, ma siamo anche certi che ci sarà di sicuro chi lo apprezzerà anche molto più di noi.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    30 Agosto, 2024
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Direi che Kunal di Transcending Obscurity Records c'ha preso seriamente gusto nel produrre gruppi dediti alla versione più avanguardista, psicotica e dissonante del Death Metal; ad una schiera sempre più lunga che comprende i vari Maere, Saevus Finis, Dead and Dripping, Fathomless Ritual - i primi nomi che ci vengono in mente così a memoria - si aggiungono ora anche gli Evilyn, band dalla formazione intercontinentale - il cantante/chitarrista Anthony Lipari (Thoren) ed il bassista Alex Weber (Malignancy) sono americani, il batterista Robin Stone (Ashen Horde, Norse) è australiano - che debutta su lunga distanza con questo "Mondestrunken" a quattro anni di distanza dal buonissimo EP d'esordio "Inside Shells" (recensito sulle nostre pagine). A quasi un lustro di distanza, troviamo una band che ha messo un po' più da parte le velleità Black/Death andando ad abbracciare in toto un Avant-garde Death Metal iper-tecnico ed iper-dissonante che vede in Gorguts e Demilich le primarie fonte d'ispirazione, anche se ai più scafati potrebbero venire in mente anche - e soprattutto - gli Acausal Intrusion di Jared Moran e Nicholas Turner. Dunque, cosa abbiamo qui? Abbiamo 36 minuti di Death Metal per stomaci forti, altamente psicotico nel suo incedere obliquo e sincopato che ha bisogno, come da tradizione per queste sonorità, di più di un ascolto per essere ben assimilato ed apprezzato. Ovviamente la prima cosa che salta all'orecchio è l'elevatissimo tasso tecnico che traspare da ogni singolo passaggio delle dieci rocciose tracce che compongono la tracklist, così come le subdole melodie che fanno capolino di tanto in tanto dando un mood ancor più alienante all'opera. Sarebbe quanto mai riduttivo consigliare un qualche pezzo piuttosto che qualche altro, facendo torto ad un disco da ascoltare con estrema attenzione dal primo all'ultimo secondo, anche se a onor di cronaca va detto che la terza traccia, "Limits", è probabilmente la fotografia perfetta delle doti dei Nostri, così come la folle traccia seguente "Bloviate"... ma per l'appunto, un discorso simile è da fare per tutti i dieci pezzi di un disco che, secondo chi vi scrive, è tra le migliori uscite di quest'anno della Transcending Obscurity. Noi "Mondestrunken" degli Evilyn ve lo consigliamo caldamente, ora dovete vedere voi se avrete il fegato di addentrarvi in un disco dalle strutture così tetragone.

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