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Opinione scritta da Valeria Campagnale

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    20 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

Gli Altar of Oblivion sono tornati con il concept album "In the Cesspit of Divine Decay”, lavoro basato sul diario del bisnonno del chitarrista Martin Meyer Sparvath che, con riluttanza, ha combattuto per l’impero tedesco durante la Prima Guerra Mondiale. È uno sforzo che è stato in fermento fin dai primi giorni dei Nostri, con versioni demo di quello che sarebbe diventato il materiale qui monitorato quasi vent'anni fa per quello che è stato immaginato come il loro debut album. "Nothing Grows from Hallowed Ground”, brano di apertura, cattura immediatamente grazie agli ottimi riff con la chitarra solista che preme al massimo e la voce potente che segue in "The Fallacy”, altro brano interessante così come il successivo “Ghosts in the Trenches”. Con "Mark of the Dead”, a mio avviso, gli Altar of Oblivion propongono un brano di un certo spessore e fanno un ulteriore passo avanti. L’apertura con toni più puliti, il senso di orrore che emana e la crudeltà percepita, creano un’atmosfera unica convergendo con il lato umano di ognuno. Bella la parte finale tra la profonda tragicità e la tristezza. La potente voce di Mik Mentor viene esaltata maggiormente in "Mark of the Dead", così come prosegue in "Altar of Oblivion" e "Silent Pain", in cui si evidenziano radici di Heavy Metal classico. L’inquietante organo in “The Night They Came” si fa strada, appesantendo quell’angoscia intrinseca che porta inevitabilmente la guerra. "Nothing Grows from Hallowed Ground” si apre con un canto che si trasforma in lamento, il brano evidenzia i due chitarristi Martin Meyer Sparvath e Jeppe Campradt che regalano dei bellissimi riff soffocanti. Acceleratore al massimo per “Silent Path", mentre troviamo sonorità quasi Folk Metal nella breve "Damnation”. Buone anche le ultime canzoni dell’album, "In the Cesspit of Divine Decay" e “Wind Among Waves”. In generale, questo disco è un buon lavoro; forse lo spazio di Jannick Nielsen alle tastiere sarebbe potuto essere più ampliato, mentre il basso di C. Nørgaard e la batteria di Danny Woe hanno una buona e forte marcatura. Gli Altar of Oblivion hanno realizzato un album a metà tra Doom e Heavy Metal molto classico, in cui spiccano accenni alla NWOBHM con una forte tematica.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    12 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

I Ghost presentano sé stessi al loro meglio con un grande intrattenimento e, se siete seguaci della band, resterete entusiasti. Gli svedesi sono una delle più grandi band nel panorama Rock/Metal e con tratti ben distintivi, sia musicalmente che visivamente e con il film “Rite Here Rite Now” ci regalano un viaggio attraverso le migliori canzoni come se in effetti le vivessimo in prima persona. Registrato in due serate al Kia Forum di Los Angeles nei giorni 11 ed il 12 settembre del 2023, “Rite Here Rite Now” è quanto di più incontaminato si possa desiderare. Tobias Forge, carismatico come sempre, canta in modo puro e la band è veramente al top per uno spettacolo senza sosta. Girato come un unico concerto continuo, è un lavoro che garantisce una serie febbrile sotto tutti i punti di vista, creando una dinamica visiva (se ci riferiamo al film) e musicale, molto interiore che cattura i Ghost in maniera altamente accattivante sul palco, dimostrando quanto questa band sia una delle più grandi in campo Heavy Metal. L’album in sé è una panoramica del materiale più recente, suonato a regola d'arte come, ad esempio, più della metà di “Impera” datato 2022 con il pesante preludio sinfonico “Imperium”, la più divertente “Kaisarion” dai suoni più Rock, l’aggressiva “Call Me Little Sunshine” e “Twenties”. Marginalmente viene ripreso anche “Prequelle”, del 2018, con “Rats” e “Dance Macabre”, accompagnato da “Mary on a Cross”, “Square Hammer” e “Cirice”. Insomma, “Rite Here Rite Now” è arricchito da innumerevoli perle della band. Merita assolutamente la visione del film poiché è in realtà il fulcro in cui è il concerto stesso ad appassionare con scheletri danzanti, ali di pipistrello, fuoco, fumo, coriandoli, quattro cambi di costume (almeno) da Papa, il tutto ripreso in un contesto che riesce a far vivere appieno il palco e lo spettacolo. Con il debutto sul grande schermo di alcuni volti familiari alle legioni di fans della band, che interagiscono dietro le quinte con Papa Emeritus IV nel momento in cui il suo futuro e il suo destino sono nelle mani del Ministero. Il film è diretto da Tobias Forge e Alex Ross Perry dei Ghost ed è prodotto dalla Popecorn Cinematic Pictures. Tra i produttori figurano Kristen Mulderig, Rick Sales, Craig Butta e Jonas Åkerlund.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    22 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

“Netherworlds”, il nuovo disco degli svedesi Stillborn, è il successore di “Nocturnals” datato 2017, un lasso di tempo non indifferente eppure sembra che il tempo non sia passato per la band che, perfezionandosi con il proprio stile, si riporta a quella che è la loro essenza originale cupa ed inquietante, per un album solido e pesante. Insomma, gli Stillborn sono tornati in grande stile proponendo un disco genuino e diretto; già si evince questo aspetto con la traccia di apertura “Neophyte”, che con un cupo suono Doom avvolge per la sua interezza portando un’immersione totale nelle radici della band; profonde le linee di basso e la voce di Kari Hokkanen, sempre pronto a dare emozioni cupe e con aura arcana. Mi è sempre piaciuta l’interpretazione di Mr. Hokkanen, mai troppo invasiva o teatrale, piuttosto è proprio la sua voce minimalista ed essenziale a caratterizzare i testi. Con “Children Of Darkness” gli Stillborn ci prendono per mano per sprofondare ulteriormente in un abisso oscuro con delle chitarre a volte stridenti, a volte più penetranti di Ingemar Scott Henning ed Erik Sandquist. Se fino ad ora le prime due tracce appaiono cupe, in “Dead Black Woods” la band ci porta ulteriormente in una profondità ancora più estrema con reminiscenze del tutto personali ad Andrew Eldritch, per un pezzo molto intenso. “Katharsis” ci fa immergere nuovamente in una cupa atmosfera e, se insieme ad “Abigail” e “Albino Flogged In Blue”, la band ci culla in una sorta di limbo tetro e decisamente Goth, con “Lusus Naturae” l’atmosfera riesce ad essere più romantica con le sue cupe melodie. A chiusura dell’album il tris estremamente interessante, oscuro e tetro “Motherland”, “We Monkey”, “When The End Begins”, tre brani che oltre a racchiudere l’essenzialità degli Stillborn, presentano una maggiore intensità e le radici di questa band. Riassumendo, “Netherworlds” è sicuramente il miglior album che il gruppo abbia mai pubblicato, presentando una maggiore maturità musicale e mantenendo lo stile che lo contraddistingue.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    16 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 16 Luglio, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

Con “Pirates II - Armada”, i Visions of Atlantis tornano con il secondo capitolo della saga dei Pirati, una nuova avventura drammatica e cinematografica mantenendo l’inconfondibile stile sinfonico che li caratterizza. Salpiamo per i mari con “To Those Who Choose to Fight” con un inizio cupo ed oscuro, ci porta ad attraversare una tempesta grazie alla batteria, finché la voce di Clémentine Delauney irrompe fluttuando come una sirena. Per certi versi un brano dal sapore inquietante con sussurri e oscurità, molto teatrale e coinvolgente. Più orientata ad un sound sinfonico classico è la seguente traccia “The Land of the Free", che risulta essere senza contaminazioni, un ritorno alle origini, al Symphonic Metal più purista con l’eccezionale epicità del brano. Con “Monsters” l’atmosfera si fa più pesante con belle melodie, ottime chitarre e soprattutto un ritornello che difficilmente non potrà entrarvi in testa. "Tonight I'm Alive" sorprende e cattura, con il sapore di una festa piratesca dell'ultima notte prima del combattimento, con il rombo elettrizzante dell'uragano, brano che precede la title-track "Armada”, pezzo trainante e fragoroso come un inno piratesco. Segue la cinematografica "The Dead of the Sea", con melodie e sezione orchestrale letteralmente magistrali, la battaglia infuria. La melodia di "Ashes to the Sea" è emozionale, drammatica e toccante, delicato anche il brano “Hellfire" e la più appassionante "Underwater”. Ancora una volta ci ritroviamo in un'atmosfera unica con “Hellfire”, in cui i Visions Of Atlantis mantengono un interesse vivo con la loro unicità. A seguire, troviamo le altrettanto spettacolari “Magic of the Night” e “Where the Sky and Ocean Blend”. Con “Pirates II - Armada” i Visions Of Atlantis propongono un concept album impeccabile che riesce ad intrattenere e farci viaggiare per i sette mari di Erodoto con un Symphonic Metal di grande classe.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    08 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 08 Luglio, 2024
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I metallers statunitensi Crypt Sermon presentano il loro nuovo oscuro album "The Stygian Rose" per Dark Descent, un lavoro che sprigiona un flusso Doom e Heavy Metal tra riff aggressivi e suoni profondi; un ritorno ottimo per la band di Philadelphia che, come nelle uscite precedenti, si mostra sempre all’altezza. La novità è il nuovo membro Tanner Anderson alle tastiere che, con il suo ottimo lavoro, aggiunge suoni in brani che affascinano. 
In apertura troviamo la febbrile “Glimmers in the Underworld”, con riff eccezionali e profonde radici Heavy Metal old school, tra cupezza e suoni epici, la voce di Brooks Wilson incarna esattamente il mood del brano, ma del resto come in tutto l’album, in cui non cala mai di potenza. “Thunder (Perfect Mind)” è orientata verso un suono orientaleggiante in cui la sezione ritmica è ben cadenzata, il basso di Matt Knox e la batteria di Enrique Sagarnaga si intrecciano perfettamente in un lavoro profondo e potente. “Down in the Hollow” e “Heavy is the Crown of Bone” hanno un suono classico, orientato più verso l’Heavy Metal tradizionale, mentre con la suggestiva “Scrying Orb” i Crypt Sermon propendono per una musicalità calda che vira al Prog, pur mantenendo sempre una linea cupa ed aggressiva in modo equilibrato. Opera epica a sé stante è la bellissima canzone “The Stygian Rose”, molto più profonda ed intima. In questo album non ci sono highlights, tutti e sei i pezzi sono capitoli diversi di questo viaggio criptico in cui la band mostra un’evoluzione evidente; "The Stygian Rose" è forse il miglior album dei Crypt Sermon, non tanto per i testi, quanto dal punto di vista musicale. Se siete fans del Doom con venature che spaziano dall’Heavy Metal old-school a sfumature differenti, "The Stygian Rose" è esattamente l’album che non può mancare nella vostra collezione.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    06 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 06 Luglio, 2024
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I Within Temptation sono una realtà importante della scena Symphonic Metal mondiale; dopo il recente tour mondiale, hanno pubblicato la registrazione dal vivo del loro concerto ad Amsterdam allo Ziggo Dome, un live intenso che propone i brani della longeva carriera della band. “Worlds Collide Tour - Live in Amsterdam” è stato pubblicato in versione LP, CD e DVD - insieme a un artbook di 64 pagine - per l’etichetta Force Music Recordings. L’atmosfera Steampunk, con la trasmissione di Winston Churchill e gli echi dell'occupazione nazista della Francia nel 1940, creano un’atmosfera cupa e minacciosa che sfocia con l’inizio del concerto in modo solenne tra la folla in visibilio con il brano “Our Solemn Hour”, che mostra una meravigliosa Sharon den Adel incoronata. Grande inizio per questa band che mostra tutta la sua energia già solo all’inizio di questo show. Con la seguente “Faster” continua lo spettacolo in modo ampiamente vigoroso, bellissime le linee di basso Jeroen van Veen, esattamente come se fosse una registrazione in studio; la band, dall’alto di una esperienza trentennale, non sbaglia un colpo e continua questo spettacolo emozionante. Coinvolgendo il pubblico, “Paradise (What About Us?)” è un altro brano che, oltre ad essermi sempre piaciuto, riesce a unire la band con la sua audience quasi fossero in simbiosi. Dopo una pausa di riflessione su ciò che accade nel mondo, Sharon ci regala un’altra emozionante performance con “Stand Your Ground”, mentre con “Angels” la cantante è come se si trasformasse in una fenice, rendendo il brano un qualcosa di emozionante e toccante. Seguono le altrettanto coinvolgenti “Iron”, “Raise Your Banner” e “Entertain You” in cui i Within Temptation risultano dei veri professionisti impeccabili. Con “The Reckoning”, sale sul palco Amy Lee degli Evanescence per un duetto fantastico con Sharon den Adel, un altro dei momenti coinvolgenti in cui emozionarsi è davvero semplice. Bellissimi i loro cori, due voci risplendenti in un unico momento. “Supernova” è un pezzo molto toccante, dedicato al defunto padre di Sharon, che trasporta il pubblico in un feeling intimista. Si prosegue con il ‘poker d’assi’ “Don’t Pray For Me”, “All I Need”, “Ice Queen” e “Mother Earth”, per continuare questo viaggio emozionale, in particolare con la bellissima “Ice Queen”, tra cori, melodie e l’energia che scaturisce dalla band. Magiche le tastiere di Martijn Spierenburg, grandi riff scaturiti dai chitarristi Stefan Helleblad, Robert Westerholt e fenomenale Mike Coolen alla batteria. “Worlds Collide Tour - Live in Amsterdam” è un live poetico e feroce allo stesso tempo, energetico e spirituale che mostra quanto potenti siano i Within Temptation.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    26 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 26 Giugno, 2024
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Flamekeeper è la band del musicista italiano Marco S. Vermiglio che nel 2018, dopo dieci anni nella scena Black Metal come frontman della band romana Demonomancy, ha cambiato il suo percorso musicale. L’album di debutto autointitolato ha radici fondate nell’Heavy Rock classico i cui temi sono incentrati sulla liberazione, la sfida, la fede. “New Wild World”, con un buon coro, presenta un ottimo lavoro di chitarre, con riff Power Metal che si avvicina ad essere un inno, così come "Flamekeeper”, con sonorità Viking Metal, e "Us and Them (The Song of the Voiceless)”, tutti e tre i brani spiccano per proprio per le sonorità ampie ed epiche. Molto bella la sognante ed eterea “The Golden Spark”, mentre “Death, You'll Tremble to Take Me” ci travolge con l’aggressività che troviamo anche in “As One with Light”.
La title-track “Flamekeeper”, uno dei punti di forza di questo album, è un intreccio emozionale di melodie che avvolge con un’aura magica. Ottimi tutti e tre i membri della band, la batteria di Axel Johansson non cala mai il ritmo, le chitarre di Filipe Jesus Minhava riescono ad affascinare ed il nostro Marco è spettacolare sia alla voce che che alla chitarra e basso. Di per sé, l’album è un lavoro davvero ammirevole e mostra un musicista poliedrico che è riuscito a passare con nonchalance da un genere estremo ad un Heavy Metal a metà tra classico vecchia scuola e Power Metal senza tanti orpelli, spesso inutili, “Flamekeeper” racchiude l'essenzialità. Se siete dei nostalgici, questo disco è esattamente l’album adatto a voi.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    20 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 2024
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Dopo otto anni, i Vicolo Inferno tornano con il nuovo album “Circles” per Rockshots Records, il loro terzo album in cui la band veste panni più introspettivi. Originariamente, i Vicolo Inferno avevano prodotto circa venti brani, ma hanno ridotto a dieci le canzoni presenti nell'album, pezzi introspettivi con molta cura nell'arrangiamento. Liminali, intensi, oscuri ed istintivi, i Vicolo Inferno, con “Circles”, offrono varie sfumature emozionali tra melodie che spaziano dal Post-Grunge al Groove Metal. Interessante quanto groovy è l’opener “Hidden” che, dopo un intro tendente a sonorità Doom, si apre in un brano arioso mostrando delle ottime chitarre suonate da Marco Campoli, le stesse che troviamo nella seguente “Suspended”, più pesante ed aggressiva, una traccia più che buona e convincente. "Sneeze in a Mob" segue la stessa linea aggressiva con delle linee di basso di Wallace, nette ed energiche, i vocalizzi di Igor Piattesi sono sempre più convincenti, come la batteria secca e decisa di Renzo Cuomo. Un buon brano che, rispetto ai precedenti, risulta essere più orecchiabile. Più introverso il brano successivo “Pieces” che, mantenendo una linea robusta, si presenta con accenni vagamente Prog con una musicalità più Rock, così come “Cold Surface” che presenta però sfumature Stoner, per un pezzo accattivante in cui la band eccelle in toto. In “Wine Drops” troviamo richiami agli anni ’80, una semi-ballad in pure stile Hair Metal, evocativa e intensa, in cui la voce risuona perfetta tra le melodie. “The Gift” è più evocativa fin dall’intro, forse più intimista, mentre “Gummy Bears” con venature Blues e Groove è un buon pezzo Hard Rock. Proseguiamo con un mood Hard Rock in “Handle With S(Care)", tra Stoner e chitarre infiammate con un bel ritmo brillante. 
Con “The Circle” l’album si chiude in modo più oscuro e malinconico, un vocalizzo pacato le linee di basso sempre incisive e un’atmosfera più morbida rispetto al resto dell’album. I Vicolo Inferno pubblicano un disco interessante che mette in evidenza la maturità della band e le sue potenzialità, “Circles” è un album davvero consigliato.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    14 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 14 Giugno, 2024
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Un gradito ritorno quello dei death metallers austriaci Cadaverous Condition, che presentano il loro nuovo album “Never Arrive, Never Return” pubblicato oggi, 14 giugno 2024, da The Circle Music: un lavoro estremamente feroce di Death Metal con venature Doom.
Dopo i singoli “They Came From The Hills” e “The Eternal Burial“, che hanno dato un ampio assaggio di questo nuovo lavoro, eccoci con l’album che non smentisce né le aspettative né tantomeno l’aggressività dei Cadaverous Condition e partiamo subito con il brano di apertura “They Came From The Hills”, che mostra una band più che in forma con preziosi riff di chitarra di René Kramer e una brutale musicalità in linea con e radici Death Metal e con striature Doom, come nell’intro di questo brano. La voce cavernosa di Wolfgang Weiss ne accentua l’intensità, così come le linee di basso di Peter Droneberger e la batteria ossessiva di Paul Droneberger. Come inizio direi che più che ottimo. Anche la seguente traccia “The Plow” eccelle col suo impeto e la sua essenza brutale viene messa in evidenza con una atmosfera tormentosa e sempre con chitarre eccellenti e molto pesanti si intrecciano al basso e alla batteria formando un’unione omogenea, per quanto pesante, “The Plow” s’imprime in testa anche grazie al suo groove, e scorre piacevolmente sempre tenendone il ritmo da brava headbanger. Anche la parte parlata è una buon inserto. Continua la furia con l’ottimo brano “The Eternal Burial”, in stile old school e per certi versi mi ricorda per certi versi il Thrash Metal dei primi Megadeth, anche in questo pezzo, le chitarre sono grandiose. "All the Wrong Turns" ha il sapore di una ballad malinconica, mentre la torva “A Blizzard of Lies” è un altro ottimo pezzo oscuro che incede violento con un ritmo tormentoso ed angoscioso, un’ennesima prova di quanto i Cadaverous Condition riescano ad essere molto oscuri. “From the Other Side” è un pezzo più tranquillo e, se vogliamo, melodico, anche qui le linee di basso profonde si fanno ben notare, come del resto anche le chitarre. Differentemente, “Hidden Things” è l’ennesima sfuriata Death Metal con la voce gutturale di Wolfgang Weiss che risulta essere sempre in linea in tutte le tracce dell’album, musicalmente l’impronta ossessivamente efficace, rende il pezzo più che appetibile ai fans del metal estremo. Molto più oscura e minacciosa la traccia seguente "The Darkness Is in My Bloodstream”, puro fragoroso Death Metal vecchia scuola, così come in "A Thousand Midnights in the Silent War”, troviamo una band che ci regala un ulteriore pezzo sanguigno e schiacciante. In chiusura troviamo “To Be”, una versione ri-registrata di un brano scritto dalla band nel 1992, una massiccia marcia Death/Doom vecchia scuola davvero molto bella. “Never Arrive, Never Return” è veramente un ottimo album, tra groove, musica minacciosa ed una produzione nitida, i Cadaverous Condition ci offrono un buon disco da poter riascoltare piacevolmente.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    07 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 07 Giugno, 2024
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La Gothic Metal band Trail of Tears torna, dopo una pausa di dieci anni, con l’EP “Winds of Disdain” tramite l’etichetta greca The Circle Music, che pubblicherà inoltre per la prima volta in vinile tutti i sette album precedenti della band, a partire dall'iconico debutto del 1998 “Disclosure in Red”. Partiamo subito con la title-track “Winds of Disdain“, che vede la voce di Ronny Thorsen sempre aggressiva e senza scalfittura intrecciandosi con quella eterea di Ailyn Giménez García. Un suono più orientato verso il Death Metal rende il pezzo più che persuasivo. “Take These Tears”, più teatrale e drammatica, offre una atmosfera cupa che, con l’intensità dei vocalizzi di Ailyn, mostra il lato più operistico. Il Death Metal si riaffaccia nella seguente “No Colours Left”, in una trama dai suoni gotici con un tocco Prog, rendendo il brano parecchio emotivo ed è una delle tracce più affascinanti di questo EP che offre di per sé un ventaglio di sonorità viscerali. La doppia chitarra aggressiva mostra Nicolay Jørni Johnsen in piena forma artistica. Anche la chiusura con il brano “Blood Red Halo” mette in bella mostra l’energia dei Trail of Tears, con delle bellissime linee di basso di Endre Moe ed una linea sinfonica intensa. Vocalizzi growl ed operistici, chitarre violente, basso profondo e cupo, rendono “Winds of Disdain” un’ottima anticipazione del prossimo album dei Trail of Tears, che spero di poter ascoltare molto presto.

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