Opinione scritta da Daniele Ogre
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#1 recensione -
Dopo un buonissimo esordio - "Oútis" - tornano dopo cinque anni gli slovacchi Ceremony of Silence con quello che è il loro secondo full-length, intitolato "Hálios" e rilasciato alla metà di questo scorso luglio da Willowtip Records come il predecessore. I Nostri partivano già da una base più che solida ed il tempo che si sono presi tra una release e l'altra è servita per creare qualcosa di ancor più maturo, strutturalmente complesso, ma al contempo che riesce - incredibilmente - quasi ad essere in qualche modo più accessibile. Avendo come base un Blackened Death imperioso e monolitico - di base potrebbe rimandare principalmente agli Immolation -, il trio slovacco prende sin da subito traiettorie sghembe dando gran complessità alle proprie composizioni con dissonanze psicotiche supportate da un drumming che sarebbe quasi riduttivo definire forsennato. Ma allo stesso tempo, rispetto all'esordio di cinque anni or sono i Ceremony of Silence mostrano una certa ricercatezza in quanto a melodie, che imperversano per l'intera totalità dell'opera donando ai pezzi una sensazione di maggiori aperture ariose. Che poi sa tanto di effetto placebo: per quanto il buonissimo lavoro melodico sembri concedere una maggior accessibilità, i pezzi della band slovacca restano in ogni caso altamente complessi, con una vena sperimentale di fondo sempre ben presente e che ha il proprio culmine nella lunga traccia conclusiva "King in the Mountain". Un drumming sempre costantemente bestiale, un basso pulsante, un eccelso lavoro chitarristico tra riff magmatici e stranianti arpeggi, il tutto supportato da una produzione potente e chiara che mette in risalto ogni singolo aspetto di un album come "Hálios" che aumenta di fascinazione di ascolto in ascolto, grazie anche ad un'azzeccatissima doppietta di singoli ("Primaeval Sacrifice" e "Serpent Slayer") ed altri pezzi sicuramente degni di nota come "Moon Vessel" - la preferita di chi vi scrive - e "Perennial Incantation". Potremmo definire "Hálios" un disco 'subdolo': come detto, la ricercatezza melodica potrebbe dare quel senso di maggior ariosità, ma nel complesso i Ceremony of Silence si dimostrano ancora una volta maestri nel muoversi tra strutture oblique e martellanti dissonanze, trasportando l'ascoltatore in un incubo senza ch e quasi lo stesso se ne accorga. Insomma, se siete avvezzi a tali sonorità, l'acquisto è caldamente consigliato!
#1 recensione -
Uscito nel giorno dell'anniversario della Presa della Bastiglia - 14 luglio -, "La France des Maudits" è il settimo studio album dei blacksters francesi Seth e, soprattutto, il primo segno di continuità da lungo tempo a questa parte. Questa nuova opera segue infatti di soli tre anni il maestoso "La Morsure du Christ", attestandosi come una vera e propria continuazione di quanto proposto dai Seth tre anni or sono. E questo perché finalmente Heimoth ed Alsvid hanno potuto contare su una line up rimasta inalterata dal predecessore, cosa questa che ha aiutato non poco i Nostri a trovare una stabilità anche stilistica. L'opener "Paris des Maléfices", ad esempio, sarebbe potuta benissimo essere una ghost track proveniente da "La Morsure du Christ", fungendo da trait d'union tra i due lavori. Vero, per quanto musicalmente continuativo del predecessore, "La France des Maudits" ha anche qualche piccola ma sostanziale differenza: i Seth qui scelgono un approccio leggermente meno violento e più ragionato, implementando le proprie sonorità con gelide arie che ricordano non poco i migliori Emperor ("Et Que Vive le Diable!", ad esempio). Ma nonostante questo, i Seth con questo loro nuovo album abbracciano definitivamente quel sound che aveva fatto le fortune dell'incredibile precedente lavoro, dandoci in pasto un disco di assoluto valore, in cui i sei sacerdoti neri sciorinano una prestazione di tutto rispetto con otto liturgie mefistofeliche in cui il carattere maligno dei Nostri risplende in tutta la sua oscura luce. Sembra anzi che i Seth si siano maggiormente avvicinati - musicalmente quanto concettualmente - alla sfera Religious Black, Ondskapt in primis, riuscendo al contempo a dare al proprio operato un'ariosità dovuta ad un buon gusto per melodie mutuate dalla scuola Black svedese. Otto nere gemme in cui convivono atmosfere luciferine ed una rabbia di fondo che porta a passaggi brutali quanto taglienti, ed a cui si unisce nella versione deluxe la bonus track "Initials B.B.", cover di Serge Gainsbourg già resa famosa dalla versione dei Therion... o per lo meno dal suo video che è un'apologia alle tette (diciamo le cose come stanno, perché il pezzo in sé dei Therion faceva anche cagare); questa versione dei Seth non sarà il massimo - e comincia a venirci il dubbio che il problema sia il brano originale -, ma comunque la band di Bordeaux è riuscita a far meglio dei veterani svedesi. Dunque, i Seth sono questi: se avete - come il sottoscritto - adorato "La Morsure du Christ", allora anche "La France des Maudits", per quanto un filino inferiore, saprà conquistarvi dal primo ascolto. E se i Seth sono tra i pochi gruppi Black Metal che il sottoscritto ancora ascolta con piacere, un motivo ci sarà, non trovate?
#1 recensione -
Februus è una nuova one man band formatasi intorno al 2021 per mano di Andreas Karlsson nella regione della Scania, la più meridionale di Svezia, con all'attivo sinora un demo, un EP ed un primo full-length, questo "Surveillance Orgy", uscito originariamente solo in digitale nel 2023 tramite la sconosciuta Horg Recordings (supponiamo sia dello stesso Karlsson, dato che ha prodotto solo Februus e un'altra band dello stesso, i Well of Depression) e rilasciato nei giorni scorsi in formato fisico dalla sempre attenta Transcending Obscurity Records. Diciamolo subito: "Surveillance Orgy" è un lavoro ostico, molto ostico; c'è seriamente bisogno di molti attenti ascolti per penetrare nell'incessante maelstrom sonoro partorito dalla mente del Karlsson: sulle prime vi potrà sembrare solo un qualcosa di caotico, ma man mano, col procedere degli ascolti, si può notare come ci sia nel metodo nella follia compositiva del mastermind. C'è di sicuro tanta tecnica unita ad un approccio old school (Edge of Sanity, Afflicted, Morbus Chron), ma Karlsson non dimentica la componente più prettamente Death Metal, alternando passaggi estremamente cervellotici a vere e proprie bordate di violenza inusitata. Il Nostro mostra poi di essere un artista a tutto tondo quando a metà disco piazza "The Price of Enterprise", pezzo musicalmente devoto alla scuola scandinava seguito dalla rocciosa title-track e la psicotica, lunghissima traccia finale "Resignation Syndrome", suite di circa 1/4 d'ora che possiamo prendere come perfetta fotografia di quanto si possa trovare in questo lavoro. Parlando poi della prova di Andreas, sul piano vocale offre una prestazione a dir poco ottima, passando da un cavernoso growl a feroci harsh vocals con estrema semplicità, sorprendendo anche con l'utilizzo di voci pulite (sort of...) nella già citata "The Price of Enterprise"; anche sul piano ritmico possiamo vedere come un basso pulsante segua perfettamente le linee guida di un drumming forsennato, con la drum machine settata a dovere che offre una gragnuola di blast beat d'inaudita violenza; ma, soprattutto, Andreas Karlsson è un chitarrista stratosferico! Il suo riffingwork è un'incessante colata lavica che ci accompagna per l'intera durata dell'album tra passaggi più diretti e rocciosi e folli dissonanze, assoli al fulmicotone ed una ricercatezza melodica che si fa via via più protagonista con il passare dei minuti. Seriamente, sul piano chitarristico magari non arriviamo ai livelli di Chuck Schuldiner (e insomma, vorremmo ben vedere), ma possiamo sicuramente affermare che Andreas non ha nulla da invidiare a un Luc Lemay o ad un Dan Swanö: ascoltate la parte centrale della title-track e ci direte, per non parlare della conclusione dello stesso pezzo che rimanda alle divagazioni Ambient dei Blood Incantation. "Surveillance Orgy" è più di un "semplice" album Progressive Death Metal; questo debutto è un contorto viaggio nella mente del suo creatore, musicista che quasi schernisce l'ascoltatore con continui cambi di registro che possono da un lato disorientare, ma dall'altro, una volta raggiunto il giusto mood, sapranno anche affascinare. Tant'è che alla fine viene sempre da chiedersi: ma questo, di preciso, cos'ha nel cervello?
#1 recensione -
Puntuali come un treno giapponese, a due anni dal precedente lavoro tornano i deathsters americani Obscene con il loro terzo full-length "Agony & Wounds", uscito nelle scorse settimane su Nameless Grave Records (e su cassetta tramite Desert Wastelands Productions). Il quartetto di Indianapolis non ha mutato di una virgola l'impatto truce del loro Death Metal, assaltando l'ascoltatore con una scarica rabbiosa di riff sempre efficaci ottimamente supportati da una sezione ritmica arrembante. Ciò che di album in album migliora è senza dubbio la produzione: se già con "...from Dead Horizon to Dead Horizon" si erano riscontrati dei miglioramenti, con "Agony & Wounds" la resa sonora è a nostro avviso ulteriormente migliorata, con l'aggressivo operato dei Nostri messo perfettamente in risalto da suoni che esaltano ogni componente. A questo su unisce una prova muscolare che mette in mostra una band in un ottimo stato di forma, cosa questa che possiamo riscontrare in ogni singolo passaggio di quest'opera, dai pezzi più furiosi e brutali ("The Cloverland Panopticon", "Watch Me When I Kill", "Death's Denial") a quelli con un afflato maggiormente thrashy (in "Breathe the Decay" l'ombra di Slayer e Kreator si palesa dal primo secondo per quello che è uno dei brani più convincenti del disco). Ovviamente il punto focale degli Obscene restano i Pestilence, ma lungo la tracklist possiamo trovare anche diverse divagazioni che possono far pensare ad un inizio di evoluzione per i Nostri (o se sarà solo una cosa una tantum lo scopriremo in futuro), come la ricercatezza melodica di "Noxious Expulsion" o le arie più cupe e funeree della title-track e di "Written in Blood and Covered in Flies" - altro pezzo quest'ultimo che ci ha molto convinti -. Insomma, gli Obscene si dimostrano ancora una volta uno dei gruppi più interessanti da seguire tra quelli dediti al Death/Thrash della vecchia scuola; grazie ad un lavoro di songwriting accuratissimo ed un livello di esecuzione tagliente e chirurgica, "Agony & Wounds" è un album il cui ascolto difficilmente lascerà delusi; anzi, l'adrenalinico assalto del quartetto americano metterà sicuramente a dura prova le vostre vertebre cervicali!
#1 recensione -
Non sono propriamente dei novellini i polacchi Disloyal: la band Death Metal di Kętrzyn è infatti attiva dal 1997, ma è appena arrivata a pubblicare su Black Lion Records "solo" il proprio quinto album "Divine Miasmata", che arriva ben nove anni dopo "Godless" (a sua volta preceduto di sette anni da "Prophecy"). Insomma, una band che si prende i suoi tempi, ma questa va a coincidere anche col fatto che tutti i loro album sono di buonissimo livello. Ed ovviamente non fa eccezione "Divine Miasmata", con un solo piccolo appunto: la durata dei pezzi è forse un filo troppo eccessiva. Ma a parte questo - ed è sostanzialmente una quisquilia - questo quinto capitolo su lunga distanza dell'act polacco di offre una band fortemente legata da un lato al possente Death/Black centroeuropeo (Behemoth/Dies Irae) e dall'altro allo US Death più sacrilego (Morbid Angel/Deicide). Il loro è un sound dai toni severi, rigidi, impeccabilmente duro pur avendo tratti epici ed una certa ricercatezza per taglienti melodie che danno una sensazione di ariosità a composizioni che vivono soprattutto su riff granitici ed una sezione ritmica belligerante. Il singolo "The Black Pope" può essere preso a perfetto esempio riguardo tutti i pregi e i (pochi) difetti di questo disco; per i più scafati, ad esempio, si avrà spesso l'impressione di già sentito, ma se come spesso accade si passa sopra questa cosa si riesce ad apprezzare l'assalto sonoro perpetrato dal quintetto, a partire sì dalla più marcatamente old school ed oscura "The Black Pope", ma anche con altri due pezzi solidi come l'epicheggiante "1347-1352" e l'esplosiva "Stella Peccatorum", a formare un trittico di pezzi in cui i Disloyal mostrano i muscoli tra accelerazioni assassine e passaggi ricchi di groove spacca collo (vedasi la monolitica parte finale di "The Black Pope" proprio). Il telluric drumming del leader e unico membro fondatore rimasto Jaro è ottimamente supportato dall'incessante colata lavica di riff della coppia Artyom Serdyuk/Yahor Liatkouski (entrambi nei Deahtbringer), mentre più che buona è la prova dietro al microfono di quello che a conti fatti dovrebbe essere l'ultima entrata in formazione (nel 2020), il cantante Konstantin Kolesnikov, già in forze nei Woe unto Me, band bielorussa rilocatasi poi in Polonia. Le oscure coordinate stilistiche dei Disloyal sono più che chiare - scusate l'ossimoro -, per cui è semplice intuire a quale frangia di metallari è indirizzata quest'opera: se siete insomma amanti di queste sonorità, "Divine Miasmata" dei Disloyal può rivelarsi un buonissimo ascolto.
Ultimo aggiornamento: 17 Luglio, 2024
#1 recensione -
I finlandesi Octoploid, con il loro debutto "Beyond the Aeons" uscito per Reigning Phoenix Music, sono probabilmente LA grande sorpresa di questo 2024; e la cosa di per sé non dovrebbe nemmeno soprendere, dato che questa nuova band è il solo project di Olli-Pekka Laine degli Amorphis; circondatosi di amici ed ospiti - chi in maniera "fissa", chi semplicemente come guest - l'artista di Helsinki ha in mano l'intero progetto a partire dalla composizione, in cui ha riversato tutto il proprio estro creando quello che - a ragione - viene definito "70's Death Metal", ossia un mix semplicemente strepitoso di Progressive Death, Progressive Rock settantiano e Psychedelic Rock; praticamente, come se Amorphis ed Edge of Sanity incontrassero gli ultimi Opeth ed i Genesis (ma anche PFM, Le Orme, Banco del Mutuo Soccorso...), non una soluzione del tutto nuova, visto che sono sonorità che fanno parte da tempo del bagaglio dei Barren Earth, ma è assolutamente innegabile come "Beyond the Aeons" sia un lavoro praticamente privo di difetti che tiene incollato l'ascoltatore dal primo all'ultimo secondo. C'è una grande eleganza di fondo in ognuno dei pezzi che compongono la tracklist, oltre ad un'accurata ricercatezza sia nelle melodie che nelle divagazioni Prog Rock, il cui culmine lo troviamo, a nostro avviso, in "Coast of the Drowned Sailors", in cui le sonorità che compongono l'operato dei Nostri si fondono a meraviglia tra ritmiche dure e compatte, melodie ariose, suoni di chitarra che ricordano i grandi lavori di Genesis e Pink Floyd - cosa questa che ritroviamo per tutta l'opera, ascoltate "Human Amoral"! -, divagazioni orientaleggianti ed un intrigante solo di tastiere. C'è poi la questione della lunga lista di session ed ospiti, a partire dalle diverse voci: il session primario - essendo anche vocalist nei live - è Mikko Kotamäki degli Swallow the Sun, a lui si aggiungono poi Tomi Koivusaari (Amorphis, Abhorrence), Tomi Joutsen (Amorphis), Petri Eskelinen (Feastem, Rapture), Janitor Muurinen (Xysma) e Jón Aldará (Hamferð, Barren Earth); questa cosa consente agli Octoploid di avere una certa continuità a livello vocale, ma al contempo una discreta varietà visto che ognuno porta in dote il proprio stile personale. Ma dobbiamo ammettere che è soprattutto sul piano prettamente musicale che il buon mr. Laine ha fatto centro: il continuo vortice tra le diverse anime che compongono il sound degli Octoploid tende ad alzare la soglia d'attenzione di chi ascolta per poterne cogliere tutte le svariate sfumature: sulle prime, insomma, "Beyond the Aeons" può essere anche un lavoro ostico, ma col proseguire degli ascolti e penetrando in profondità si riuscirà ad apprezzare in toto un disco che mette perfettamente in mostra dove affondano le radici musicali di Olli-Pekka Laine, che giocoforza dà un ruolo primario al suo basso - ma credeteci, la cosa non disturba affatto -. La già citata "Coast of the Drowned Sailors" (voci di Tomi Koivusaari e Janitor Muurinen) e "Human Amoral" (Tomi Joutsen alla voce), oltre all'incredibile ed enormemente settantiana "Shattered Wings" (voci di Petri Eskelinen) e "The Hallowed Flame" (voce: Mikko Kotamäki) con le sue tastiere à la PFM/Le Orme, sono il culmine di un lavoro scritto, registrato e prodotto con una cura maniacale per ogni dettaglio, anche quello più infinitesimale, e la cui resa sonora potrà affascinare tanto i fans della frangia più melodica e progressiva del Death Metal, quanto quelli del caro vecchio Progressive/Psychedelic Rock, a patto di "superare" le growlin' vocals. Mr. Laine: lavoro impeccabile (o imPEKKAbile?), complimenti!
#1 recensione -
Dopo due EP arriva il primo full-length per i Trog, band Death Metal del New Jersey in cui militano musicisti provenienti da altre realtà dell'East Coast (tipo Reeking Aura e Sentient Horror). Come i due precedenti lavori, anche in questo primo album i Trog si presentano con la stessa ricetta: tematiche che vertono su vecchia filmografia Horror ed un sound che unisce Death floridiano (Monstrosity, Deicide, Malevolent Creation) e sferzate Death/Thrash (Vader e, soprattutto, Death dei primi tre album). Come ci capita di dire spesso, niente di nuovo sotto il sole - del New Jersey -, ma comunque un disco che parte anche bene con un bel trittico iniziale - personalmente ho apprezzato la title-track con le sue divagazioni melodice e "The Void", in cui compare come ospite quel mostro di Will Smith (non l'attore, il cantante degli Afterbirth) -. E' però con "Ritual Corpse Division" ed "Eviscerate the Advanced" che inizia a vedersi qualche problema: i due pezzi in questione non sono nemmeno male, ma qualche taglio qua e là - facciamo un minutino ciascuno? - avrebbe maggiormente giovato all'economia generale dell'album, anche perché sono pure piazzate a metà disco. E poi in chiusura troviamo gli oltre nove minuti di "Ontological Shock": ecco, quelli sono probabilmente davvero esagerati. "Horrors Beyond" non avrà un riffingwork memorabile - il che è strano essendoci TJ Coon dei Sentient Horror - e fondamentalmente è un disco scritto e suonato di mestiere; per questo, tirando le somme finali, possiamo dire che quest'opera prima su lunga distanza dei Trog raggiunge una sufficienza piena, ma non oltre.
#1 recensione -
Gli spagnoli Aposento sono stati tra i primissimi capostipiti del Death Metal in Spagna; la loro prima pare di carriera si è infatti svolta tra il 1990 ed il 1997, anni in cui hanno però pubblicato slo due demo, un EP ed uno split. E' da quando si sono riformati nel 2012 che la loro carriera ha, per così dire, svoltato, con un immediato EP e poi ben quattro album, l'ultimo dei quali è "No Safe Haven", uscito poco più di una settimana fa su Xtreem Music. Da una band nata negli anni '90 ed il cui principale songwriter è l'unico membro fondatore rimasto, non ci si può che aspettare un Death Metal old school... e difatti così è. Il quintetto iberico ha inserito col tempo nelle proprie sonorità diverse correnti che vanno dalla scuola americana (Cannibal Corpse, Deicide) a quella più brutale svedese (Vomitory, Bloodbath), passando anche per la matrice centroeuropea (Sinister). Una visione insomma quasi a 360° del Death Metal old school tra passaggi più brutali e rocciosi con blast beat ferali ed altri di chiaro stampo Death'n'Roll svedese, in cui il comparto strumentale sorregge alla perfezione il growl pesante (ma comprensibilissimo) di Carlos García, tornato dietro al microfono degli Aposento 27 anni dopo - era lui il vocalist all'epoca dello scioglimento -. Ritmiche serrate, riff rocciosi ricchi di groove, assoli dal taglio slayeriano, i Nostri hanno tutti gli ingredienti per mettere su una ricetta che non scontenterà gli amanti del Death Metal classico, come dimostrano ampiamente la tellurica "A Texas Funeral", "Tortured and Abused" e "Let It Bleed". In generale, tutto "No Safe Haven" è un disco ampiamente soddisfacente che sa intrattenere per tutta la sua poco più di mezz'ora. Insomma, dal canto nostro ascolto consigliato!
#1 recensione -
Ridendo e scherzando, gli americani Gorgatron - da Fargo, North Dakota - sono in giro da quasi un ventennio, due decadi in cui i Nostri hanno pubblicato quattro album - passando anche sotto le mani di Blood Blast Distribution, una sub-label di Nuclear Blast -, l'ultimo dei quali è questo "Sentience Revoked", che segna il debutto dei deathsters statunitensi su Redefining Darkness Records. Senza girarci attorno, questa quarta fatica dei Nostri è uno di quei dischi di facile ascolto... sempre siate degli ascoltatori abituali di Death Metal, ovvio. Bastano infatti già solo i primi due pezzi, "Duivulgence" e "Conduit of Pain", per centrare immediatamente quali siano le coordinate stilistiche dei Gorgatron, fedeli alla tradizione americana del genere; Morbid Angel, Deicide e Hate Eternal sono basilari per l'evoluzione stilistica dei Nostri, ma anche Cannibal Corpse - nei passaggi più duri e brutali - ed Exhumed - per certe divagazioni Thrash/Grindcore presenti di tanto in tanto - hanno giocato il loro ruolo fondamentale. Il risultato di tutto ciò è che "Sentience Revoked" è un lavoro musicalmente abbastanza derivativo, ma che in ogni caso si lascia ascoltare: non ci sono cali di tensione, non troviamo momenti filler, il riffingwork è una continua colata lavica ed è supportato da una sezione ritmica sempre viva e pulsante. "Conduit of Pain" ed "Implosive" sono probabilmente giusto un gradino sopra gli altri pezzi presenti in una tracklist tutto sommato bella solida in ogni componente. Insomma, questa quarta fatica targata Gorgatron è uno di quei lavori che di certo non passerà alla storia, ma altrettanto senza dubbio non scontenterà gli amanti di queste sonorità.
Ultimo aggiornamento: 06 Luglio, 2024
#1 recensione -
Tornano a farsi sentire dopo quattro anni i melodic death metallers tedeschi Nyktophobia, che ai autoproducono il quarto full-length "To the stars". Dando un ascolto ai primi lavori della band teutonica, si poteva constatare come il loro Melodic Death fosse tutto sommato alquanto canonico e con pennellate di Melodic Black alla Dissection qua e là; oggi il quintetto della Nord Reno-Vestfalia ha leggermente virato rotta in quanto a sonorità: le peculiarità dei primi lavori sono sì ancora presenti (il cantato dell'ex-Dawn of Disease Tomasz Wisniewski - proprietario di Apostasy Records, tra l'altro - molto deve alla scuola melodica Black svedese), ma in questo nuovo "To the Stars" i Nostri danno maggior spazio ad arie epiche alla Wolfheart e passaggi più eleganti che rimandano giocoforza a Dark Tranquillity ed Insomnium ("Farewell", ad esempio); troviamo poi passaggi più rocciosi e cadenzati con richiami agli Hypocrisy, così come taglienti accelerazioni che riportano ai primordi del genere e dunque ai primi lavori di In Flames ed At the Gates... Insomma, pur mantenendosi perfettamente all'interno degli stilemi del genere, i Nyktophobia riescono in un certo qual modo a dare una parvenza di varietà all'interno della tracklist di questo nuovo lavoro, in cui troviamo anche un paio di pezzi sicuramente sopra la media. E no, per quanto buoni siano non ci riferiamo ai singoli "Millenium" e "Voyager 1", ma "Progenitor" e soprattutto "Behind the Stars Exists No Light": quest'ultimo sinceramente non ci sappiamo spiegare come non sia stato scelto come singolo, visto che è uno dei migliori pezzi Melodic Death degli ultimi anni (almeno, tra quelli non appartenenti ai soliti nomi). I Nyktophobia, dunque, giocano maggiormente con le atmosfere riuscendo a nostro avviso nel non semplicissimo compito di dare qualcosa di diverso dal passato senza snaturarsi. Per gli amanti di queste particolari sonorità, "To the stars" può essere una più che buona aggiunta alla propria collezione.
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