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Opinione scritta da Daniele Ogre

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Opinione inserita da Daniele Ogre    05 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

Nati nel 2012 e con alle spalle una lunga gavetta fatta di demo, EP e split, pubblicano il loro secondo album gli statunitensi Act of Impalement: licenziato da Caligari Records, "Infernal ordinance" arriva a cinque anni di distanza dal primo full-length, "Perdition Cult" (2018, Unspeakable Axe Records & Caligari Records). Diciamo subito che - non una novità - non troverete nulla di originale in questa nuova fatica del powertrio di Nashville: sul piano prettamente musicale siamo nel campo dell'old school Death Metal - Death/Doom Metal, con influenze che appaiono palesi sin dalle prime note della granitica opening track "Summoning the Final Congregation": Autopsy e Cianide in primis, ma anche Asphyx e Bolt Thrower e molti patterns che rimandano ad un Death/Doom più cupo e violento (Coffins, primi Hooded Menace...). Il merito primario degli Act of Impalement è quello di esser riusciti a tirar fuori un lavoro che difficilmente potrà apparire monotono; in primis, per via di una durata totale che si attesta sotto la mezz'ora, cosa che lascia ben intendere quanto velocemente passi l'ascolto; vi è poi - in un certo qual modo - una leggera varietà di soluzioni stilistiche che rendono come prima cosa scorrevole la tracklist, in modo che si mantiene sempre alto il livello dell'attenzione. Basta prendere a titolo esemplificativo i primi tre pezzi della tracklist, con la prima ("Summoning the Final Conflagration") le cui ritmiche richiamano la scuola centroeuropea, la seguente "Bogbody" più violenta, rapida e ferale, mentre "In Wolflight" va ad attestarsi verso un Death/Doom pesantissimo. Ed è appunto questo confluire di sonorità al contempo diverse e simili che ci accompagna fino in fondo a questo "Infernal Ordinance", tanto che si arriva alla conclusiva "Erased" quasi senza accorgersene. In generale, possiamo dire che questa nuova opera targata Act of Impalement si attesta su di una sufficienza piena: riffingwork efficace, un basso pulsante che tende a guidare una sezione ritmica sempre sul pezzo, una produzione sporca ma non inascoltabile... tutti elementi che conosciamo e che probabilmente altri gruppi riescono a far risaltare di più, ma che in ogni caso ci portano a promuovere la band statunitense. Ok, oggi come oggi c'è di meglio in giro, ma un deathster che si rispetti avrà sicuramente già messo nel mirino questo disco. Non sbagliando, a nostro avviso.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    04 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

Nemmeno il tempo di far sedimentare nelle nostre menti il buon exploit degli svizzeri Anachronism, che ci si ritrova a parlare subito di Death Metal dai 'sapori' ipertecnici e dissonanti; e questo grazie a Willowtip Records, che pubblica "Harrowing", debut album degli americani Mithridatum, trio formato da gente non propriamente alle prime armi come Marlon Friday e Lyle Cooper - entrambi negli Abhorrent - e l'ex-The Faceless Geoffrey Ficco. I Nostri ci mostrano si dai primi secondi dell'opener "Sojourn" di aver ben compreso quali siano gli insegnamenti di gente come Ulcerate, Gorguts e Deathspell Omega - tre nomi "a caso" -: "Harrowing" è un album solido e compatto - vuoi anche per la durata totale di 35 minuti per cinque tracce -, in cui i Mithridatum mettono in mostra un certo amore per le atmosfere dense e le folli dissonanze tipiche di questo particolare genere, pur riuscendo a mantenere il loro lavoro in un certo qual senso "digeribile". I pezzi che compongono "Harrowing", infatti, sanno essere decisamente coinvolgenti e riescono a filare via in maniera anche scorrevole nonostante una durata media dei brani piuttosto elevata (non si scende sotto i sei minuti). In generale, questo lavoro saprà accendere l'interesse dei fans delle suddette bands, ma dall'altro lato potrà sembrare agli stessi che quanto si ritrovi qui abbia quel sapore stantio del già sentito: ma sarebbe fare un torto ai Mithridatum, attenti in fase di songwriting nell'inserire momenti più diretti ed aggressivi, come l'attacco iniziale di "Silhouette" che rimanda immediatamente al Black/Thrash degli Aura Noir. A parte questo, il singolo "Mournful Glow" è il perfetto biglietto da visita del trio statunitense, pezzo in cui troviamo ben incastrati nelle trame del pezzo tutti gli elementi che compongono le sonorità dei Nostri. Songwriting ispirato, lavoro d'esecuzione chirurgico e una produzione potente che dà giusto risalto ad un lavoro chitarristico imperioso: se siete amanti di queste sonorità psicotiche, il nostro consiglio è quello di procurarsi "Harrowing"; il debutto targato Mithridatum saprà sicuramente conquistarvi ascolto dopo ascolto.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    03 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

Prosegue inarrestabile la marcia del bulldozer inglese Memoriam; fedeli alle loro tempistiche che vedono un anno/un anno e mezzo di distanza tra un lavoro e l'altro, Karl Willets e soci pubblicano oggi tramite Reaper Entertainement il loro quinto album, "Rise to Power": seconda parte della seconda trilogia dell'act di Birmingham in cui centrali sono i temi come il dolore e la perdita, accentuati inoltre dalle recenti vicissitudini in Ucraina. Ma lo sappiamo, quel che per i fans conta maggiormente è la musica e su questo punto vediamo i Memoriam riprendere in mano le sonorità più ruvide dei primi lavori, eliminando già del tutto le incursioni sperimentali che abbiamo potuto ascoltare in "To the End". Ovviamente il focus principale è da concentrarsi sul lavoro alle chitarre di Scott Fairfax: il riffingwork del chitarrista inglese è qui più roccioso rispetto al passato recente e riprende maggiormente in mano le sonorità care ai vecchi colossi britannici Bolt Thrower e Benediction; ma altrettanta importanza ha nel lavoro di Fairfax un certo gusto per melodie che rimandano immediatamente alla scuola Melodic Death scandinava. Quello delle chitarre in questa nuova opera dei Memoriam è dunque un lavoro di bisturi, una performance chirurgica che guida la band nei vari momenti dell'album, che siano questi più rabbiosi e duri ("Total War", "Rise to Power") o più tormentati ed atmosferici ("I Am the Enemy"), ed il tutto sorretto da un buonissimo impianto ritmico con uno Spike T. Smith sugli scudi con una prestazione decisamente ottima. Probabilmente i Nostri avrebbero potuto dare una sforbiciata qua e là ai pezzi - tutti di durata sostanziosa, ma con alcuni momenti che, per l'appunto, sembrano alquanto riempitivi -, in modo da rendere l'ascolto maggiormente scorrevole, ma per il resto "Rise to Power" presenta esattamente quello che ci si aspetterebbe da una band che, come detto in passato, è a tutti gli effetti l'erede spirituale dei Bolt Thrower: Death Metal dai torni ruvidi e marziali della scuola britannica, con in un più un deciso gusto verso aperture melodiche; nel complesso un lavoro soddisfacente che permette ai Memoriam di andare avanti con la loro carriera in maniera lineare e particolarmente efficace.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    02 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

I film horror degli anni '70 hanno di certo avuto un peso per Ryan Wills, mastermind ed unico membro dei deathsters inglesi Seven Doors; già il nome della band lo lascia intendere, dato che è il nome dell'hotel nel capolavoro di Lucio Fulci "E tu vivrai nel terrore... L'aldilà", ma non di meno lo sono i titoli dei brani che compongono questo primo full-length intitolato "Feast of Repulsive Dead", licenziato da Redefining Darkness Records. Ed ancora una volta la label di Cleveland ha fatto centro, visto che quanto possiamo ascoltare in questo debut album non è affatto da disprezzare, anzi! Musicalmente siamo nei lidi di quel Death Metal dall'attitudine thrashy di fine anni '80 ed inizi '90, vedasi Pestilence e Death dei primi lavori, Gruesome e, per venire ai giorni nostri, Skeletal Remains. Coordinate stilistiche ben indirizzate e chiare, così come lo sono le tematiche che, come detto, prendono a piene mani dai vecchi horror: zombie movies di Romero e Fulci ("feast of the Repulsive Dead", "Welcome Back to Life", "The Graves of Matool"), slasher movies à la Carpenter (la ferale "Stalked, Strangles and Stabbed"), morbosità à là Joe D'Amato ("The Morbid Mortician") o cannibal movies come quelli del Maestro Deodato ("Cannibalistic Humanoid Underground Dwellers"). Non fa alcuna differenza quale filone sia, in questo suo debutto su lunga distanza Ryan lo copre e lo fa con una serie di brani feroci e compatti, in cui la parola d'ordine sembra essere unica ed imperativa: attacco frontale. Concedendosi qualche accenno di melodie nelle parti soliste, Wills spara tutte le sue cartucce come fossero una salva di spari di mitragliatrice. E' esattamente questa l'impressione che danno i pezzi che compongono "Feast...": basta ascoltare a titolo esemplificativo la bestiale "The Morbid Mortician". Ma è solo uno dei tanti, si potrebbe dire benissimo lo stesso di "I'll Swallow Your Soul", "The Hack Shack" o "The Graves of Matool": una bordata dietro l'altra coi Seven Doors passano i 40 minuti di quest'album e quasi non ce se ne rende conto. Non da sottovalutare poi la buonissima produzione, che mette ancora più in risalto un lavoro che colpisce per la sua semplicità. Gran bella sorpresa!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    02 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

Terzo studio album per gli svizzeri Anachronism, realtà magari non conosciutissima ai più che però va a certificare ulteriormente l'eccellente lavoro di Avantgarde Music da quando ha aperto la sua divisione Death Metal con Unorthodox Emanations. Sarò sincero: avevo giusto sentito parlare - in termini lusinghieri - di questo combo proveniente dalla Svizzera francofona, ma per un motivo o per un altro non avevo mai approfondito, recuperando l'ascolto del vecchio materiale giusto in vista di questa loro terza release su lunga distanza a titolo "Meanders"; e c'è da dire che il percorso di crescita degli Anachronism in questi loro tredici anni di carriera ha dell'impressionante: se già l'album del 2018 "Orogeny" (uscito autoprodotto, rendiamoci conto) metteva in mostra una band che sapeva decisamente il fatto suo in quanto a scrittura ed impressionante tecnica esecutiva, con il nuovo "Meanders" l'act guidato dalla cantante/chitarrista Lisa Voisard e dal batterista Florent Duployer non solo mette un tassello di rilievo nella loro carriera, ma probabilmente ad oggi questo è il più importante. Con sonorità in cui il tasso tecnico e le avanguardistiche dissonanze sono il fulcro primario, gli Anachronism riescono ad accompagnarci in un viaggio lungo una mezz'ora abbondante in cui il livello d'attenzione non scema mai, nemmeno per un singolo secondo. Cambi di tempo, improvvisi stop'n'go, groove monolitici e folli aperture melodiche, sono tutti elementi che troviamo concentrati nelle otto gemme che compongono quest'album. E per quanto i riferimenti ad Ulcerate e Gorguts siano quanto mai palesi, così come i loro compagni di label Ad Nauseam anche gli Anachronism riescono a dimostrare di non essere solo dei semplici epigoni dei colossi neozelandese e canadese, grazie ad una forte personalità che traspare da ogni nota. "Meanders" è un album che sa come impressionare, un lavoro sì sperimentale ma che può essere facilmente "digerito" grazie alla durata non esagerata e ad un buon gusto melodico che concede più spazio di manovra ai Nostri nel dare una maggiore ariosità ai brani. Da ascoltare sì con estrema attenzione, ma vi si garantisce che alla fine si resterà strabiliati.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    02 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

Il 2023 è anno di celebrazione per i peruviani Disinter (omonimi della band americana già recensita sulle nostre pagine facente parte anch'essa della famiglia Pest Records/Loud Rage Music): la band di Lima si è infatti formata nel 1993, arrivando quindi oggi a celebrare i trent'anni di carriera; e lo fa (ri)pubblicando tramite Pest Records il quarto full-length "Guerra eterna", rilasciato già a novembre su War Ogre Records (che a naso direi possa essere l'etichetta del batterista e fondatore Roberto "Warogre" Leonardi). Composto da dodici tracce suddivise in tre capitoli - ognuna delle quali ha la propria intro), "Guerra eterna" è l'ennesimo disco che certifica un certo stato di forma della scena Death Metal sudamericana, che soprattutto grazie a gruppi cileni e peruviani ci sta offrendo un gran numero di dischi bel al di sopra della media. Punti di riferimento stilistici dei Nostri sono in primis - senz'ombra di dubbio - i connazionali Mortem e Ritual, gruppi che proprio insieme ai Disinter sono da considerarsi tra i pionieri del genere in Perù. E quindi i primi Morbid Angel ed i Sadistic Intent sono da annoverarsi tra le influenze del quartetto di Lima, dedito, come avrete ormai capito, ad un Death Metal old school quanto mai diretto e sfrontato. In generale "Guerra eterna" è un disco solido, che pur non brillando per originalità - sai che novità... - porta in dote un lotto di brani compatti in cui le rocciose chitarre e l'arrembante sezione ritmica si muovono in perfetta sintonia, creando un tappeto sonoro solido come cemento armato dietro le vocals (in spagnolo) di Leonardo "Esophagus" Navarrete, che dallo scorso anno ha anche imbracciato il basso. Da menzionare il singolo "Orgia negra" e buonissimi pezzi come la tellurica "Illiatupac", "Aberrantes ofrendas al Ukupacha" ed "Ancestrales rituales de necromancia". Unico appunto che si può fare è che le tre intro spezzano del tutto la tensione dell'album, che senza le quali sarebbe stato a nostro avviso ancor più godibile. In ultima analisi, per questo quarto album dei Disinter sufficienza più che piena raggiunta e disco sicuramente consigliato ai fans della vecchia scuola Death Metal sudamericana.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    02 Febbraio, 2023
#1 recensione  -  

Terzo album - primo su Black Lion Records - per Sorrowful Land, one man band ucraina con alla guida il polistrumentista Max Molodtsov, che - per l'appunto -, si occupa di tutta la parte strumentale del disco e delle voci su un paio di pezzi ("As I Behold Them Once Again" e "Where the Sullen Waters Flow"). Basta considerare che i primi due album di Max ("Of Ruins..." del 2016 e "I Remember" del 2018) sono usciti su Solitude Productions per intuire le coordinate stilistiche di questo progetto; quel che ci offre l'artista ucraino con Sorrowful Land è un Doom/Death che si muove a cavallo tra la pesantezza del Funeral Doom/Death e le atmosferiche melodie del Melodic Doom/Death: uno sguardo quindi sempre puntato sulla scena nordica dunque tra le funeree arie dei primissimi lavori dei Katatonia, degli Shape of Despair e dei Doom:VS, ed aperture melodice dal mood malinconico di Saturnus e Swallow the Sun. La prima cosa che si nota, inutile girarci intorno, è la durata importante di questo "Faded Anchors of the Past": un'ora netta che si spiega su otto lunghissime tracce (sette a dirla tutta, visto che la conclusiva "When Oceans Calm" è una breve outro). Ci vuole una certa abitudine a queste pachidermiche durate e, più in generale, a sonorità dal mood malinconico e luttuoso. E una certa predisposizione d'animo, of course. Fatto sta che sorvolando sul piccolo particolare dell'ora piena di durata, è innegabile come "Faded Anchors of the Past" sia un lavoro decisamente affascinante, che ha proprio in questo fluido intercambiarsi tra monoliti funerei e grevi melodie il proprio principale punto di forza, come possiamo sentire ad esempio nella buonissima title-track o nella bellissima "The Cold Grey Fog of Dawn", a nostro avviso il pezzo migliore del lotto. Salta all'occhi anche la lista degli ospiti presenti sui primi quattro brani della tracklist tra membri degli A Dream of Poe (entrambi su "Small Last Moments"), Soliloquium (Stefan Nordstrom su "The Cold Grey Fog of Dawn"), Doomed e Hadriel. Non un disco propriamente per tutti questo terzo di Sorrowful Land, ma non è una novità per quanto riguarda questo particolare genere. Gli amanti di queste sonorità però potranno sicuramente trovare molto, molto interessante la proposta di Max Molodtsov, sicuramente molto ispirato sia in quanto a scrittura che esecuzione in questa sua ultima release, aiutato tra l'altro da una gran bella produzione. Dal canto nostro insomma, ascolto più che consigliato.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    31 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 2023
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Dopo uno split ed un EP nel 2017, tornano con un nuovo EP gli olandesi Dead Will Walk, trio di Drenthe dedito ad un Death Metal fortemente devoto tanto alla vecchia scuola svedese di Entombed e Dismember quanto al Death/Doom centroeuropeo di Asphyx e compagnia. Una cosa certa, è che ai Dead Will Walk piacciono i vecchi horror: basta vedere la copertina che ricorda tanto uno di quegli horror degli anni '70/inizi '80 (Fulci in primis, tipo Quella villa accanto al cimitero); e nel caso invece non basti, ad accoglierci nei primi secondi di "Raise the Horde" c'è la voce del Cryptkeeper, il Custode della celeberrima cripta del mitico show Tales from the Crypt. Insomma, Death Metal old school, vecchi film horror... aggiungeteci qualche birra e un po' di schifezze da mangiare ed è più o meno il paradiso soprattutto per chi ha passato la trentina. O di chi semplicemente è più che felice con queste cose estremamente semplici, cosa che in effetti è il sound dei Dead Will Walk; per quanto nei sei pezzi che compongono la tracklist di questo loro nuovo "A New Day of Dawning" è sempre ben presente quella componente di "già sentito", è innegabile che l'EP dell'act olandese sia in ogni caso un intrattenimento più che soddisfacente. Basta premere il tasto play e per una ventina di minuti non avrete altro a cui pensare, se non scapocciare sulle note di pezzi come "Concrete Wombs". E questo grazie ad un comparto strumentale decisamente affiatato, che non cala di tensione né nei momenti più lenti e pesanti, né quando c'è da spingere sull'acceleratore. Insomma, Death Metal old school e vecchi film horror: cos'altro serve?

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Opinione inserita da Daniele Ogre    28 Gennaio, 2023
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David Torturdød - al secolo David Mikkelsen - è oggi senz'ombra di dubbio LA figura di spicco della sempre più fiorente scena Death Metal danese; il fondatore e leader degli Undergang ha nel tempo messo in piedi altre diverse realtà - come ad esempio i Phrenelith, oltre ad essere il proprietario di Extremely Rotten Productions, etichetta che abbiamo incontrato pochi giorni fa recensendo i Deiquisitor. E proprio per Extremely Rotten esce questo EP intitolato "Pickled Preservation": tra un impegno e l'altro, infatti, mr. Mikkelsen ha unito le forze con Andreas Nordgreen e Søren Willatzen dei Chaotian (rispettivamente basso/voce e chitarra/voce) e Frederik Laursen (batteria), creando un nuovo progetto a nome Sequestrum, il cui EP in questione è la seconda uscita ufficiale dopo un demo dello scorso anno ("The Epitome of Putridity"). Qualcosa che richiama il sound di Undergang e Phrenelith - e quindi di rimando gli Autopsy - in questo "Pickled Preservation" lo troviamo, ma in generale ci troviamo di fronte ad un lavoro ed una band che omaggiano senza nascondersi il Goregrind degli anni '90: lo spirito dei primi due lavori dei Carcass, Dei General Surgery, dei Repulsion e degli Impetigo (omaggiati nella traccia conclusiva dell'EP con una cover di "Dis-Organ-Ized") è più vivo che mai nelle sette tracce per poco più di 1/4 d'ora di questo lavoro. Puro putridume sonoro il cui senso di marcio viene amplificato da una produzione volutamente lo-fi ed una voce che più che cantare (sort of...) sembra letteralmente vomitare nel microfono. Non aspettatevi assolutamente, dunque, la maggior cura che i Nostri mettono nei loro progetti primari: la sensazione è che con i Sequestrum questi ragazzi si siano voluti chiudere in sala prove e divertirsi a fare casino tributando il loro omaggio ai gruppi di cui sopra. Sostanzialmente, sembra che questo lavoro venga fuori da una fogna, il che in questo preciso caso non è un male, sia chiaro: il riffingwork è particolarmente azzeccato e se siete fans accaniti di queste precise sonorità, "Pickled Preservation" è sicuro del buon intrattenimento.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    28 Gennaio, 2023
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E' un bene che ci siano ancora gruppi come i bielorussi Ominous Scriptures o come il gruppo di cui gli OS sono in un certo senso una costola, i Relics of Humanity, ad oggi una delle migliori espressioni di Brutal Death Metal in Europa. Diciamo questo perché in un periodo in cui in quest'ambito ormai si ascoltano sempre le stesse cose trite e ritrite (Slam, Brutal Death Moderno, Slam, Slam, Brutal Deathcore, Slam...) c'è ancora qualcuno che porta fieramente il vessillo della vecchia scuola, quella in primis, per intenderci, dei padrini Suffocation. Con tre membri in comune tra RoH e OS, non stupisce che le sonorità di questi ultimi si avvicinino a quelle della band madre: ci troviamo nei lidi di un Brutal Death che sembra - fortunatamente! - essersi fermato ai primissimi anni del nuovo millennio: un sound denso e brutale in cui un growl cavernoso (ma lontano da quello standardizzato che ascoltiamo oggi) viene supportato da un impianto strumentale a dir poco colossale. Blast beat frenetici, pesantissimi rallentamenti su cui si stende un massiccio tappeto di doppia cassa (spettacolare la parte finale della title-track "Rituals of Mass Self​-​Ignition") ed in generale un lavoro chitarristico quanto mai roccioso, sono tutti elementi che rendono estremamente fruibile l'ascolto di questo terzo album dell'act bielorusso. La già citata title-track, l'opener "Demonic Totem I Am" e lo schiacciasassi "Serpentine Wisdom" vanno a contendersi la palma di miglior brano dell'intero lotto (ed è una sfida ben difficile), ma comunque merito degli OS è quello di non far calare mai la tensione durante la mezz'ora di questo loro ultimo monolite. E' ormai un dato di fatto che se si vuole ascoltare qualcosa d'interessante in ambito Brutal Death, bisogna rivolgersi a Willowtip Records: in un momento storico in cui ogni singolo album che arriva da un'altra nota label americana assomiglia a tutti gli altri della stessa (seriamente, non se ne può più...), l'etichetta della Pennsylvania può contare su Ominous Scriptures, Relics of Humanity, Abysmal Torment, Defeated Sanity... è tutto dire, no?

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