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Opinione scritta da Daniele Ogre

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Opinione inserita da Daniele Ogre    06 Luglio, 2024
#1 recensione  -  

Quella dei finlandesi Cryptic Hatred è una storia simile a quella di tanti giovani gruppi Death Metal odierni: quattro amici - di Helsinki e poco più che ventenni, in questo caso - che decidono di mettere su una band e suonare quello che più piace loro, prendendo spunto dalla vecchia scuola (americano, per quanto riguarda i Nostri). Né più, né meno. Formatisi nel 2019, il quartetto di Helsinki approda oggi sulla nostrana Time to Kill Records con il secondo album "Internal Torment" e ci offre una scarica di poco più di 35 minuti di Death Metal di stampo - soprattutto - floridiano. Sembra infatti che i Cryptic Hatred abbiano appreso a pieno gli insegnamenti dei Cannibal Corpse - alcuni pezzi come "Breeding of Evil" sembrano usciti da uno dei primi dischi con Corpsegrinder -, Deicide e Malevolent Creation, ma anche qualcosina da Dying Fetus da un lato ("Chasm of Void", ad esempio) e Bolt Thrower dall'altro (la parte conclusiva di "Breeding of Evil") nei momenti più groovy. In sostanza, i Cryptic Hatred non fanno altro che far loro ciò che più probabilmente piace loro ascoltare, riuscendo nel non facilissimo intento di risultare comunque parecchio interessanti, grazie soprattutto ad un entusiasmo che maschera - e non poco - la mancanza quasi totale di originalità. Anzi, a metà tracklist i Nostri piazzano pure una serie di colpi mica da ridere, a partire dai due singoli "Homicidal Intentions" e "Mesmerized by the Malignant Gaze", fino ai due pezzi migliori del lotto "Tomb of Desecration" e "Mauled to Flesh". Parliamoci chiaro, la sensazione di "già sentito" è forte durante tutto l'ascolto di questo disco, ma nonostante questo i Cryptic Hatred riescono a mettere su un impianto solido fatto di riffoni belli "grossi" e taglienti ed una sezione ritmica sempre chirurgica. Insomma, mancheranno anche di originalità, ma i Cryptic Hatred con "Internal Torment" riescono a tenere in ogni caso incollato l'ascoltatore: e questa, oggi come oggi, è cosa non da poco!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    06 Luglio, 2024
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Si erano fatti già notare con l'EP del 2021 "Lair of Xenolich" i Black Hole Deity, Death Metal band di Birmingham, Alabama, che debutta oggi su lunga distanza con "Profane Geometry", sempre per l'attenta Everlasting Spew Records. Subito salta all'orecchio una produzione fredda ed asettica che perfettamente si sposa con le tematiche fantascientifiche dei Nostri, che possono tra l'altro vantare una line up formata non certo da sprovveduti - come ad esempio il batterista dei Malignancy ed ex-Fear Factory, Mike Heller -. Nonostante un tasso tecnico decisamente elevato, possiamo vedere ance solo dalla durata dei pezzi presenti in tracklist che i Black Hole Deity sono uno di quei gruppi che preferisce badare al sodo: il quartetto attacca a testa bassa lungo le dieci tracce di questa prima fatica su lunga distanza - compresi un'intro ed un interludio -, riuscendo a mantenere sempre altissima la tensione delle canzoni e l'attenzione dell'ascoltatore grazie ad un mix stilistico che comprende tanto patterns old school (Nile, Hate Eternal) quanto arie e groove moderni (soprattutto Monstrosity ed Origin degli ultimi lavori). Il continuo vortice di blast ferini e bordate ricche di groove è sostanzialmente il leitmotiv dell'opera, in cui si segnala - a nostro avviso - soprattutto un ottimo lavoro della sezione ritmica, con Heller che guida la carica ed i continui cambi di tempo supportato dal pulsante basso di Cam Pinkerton, protagonista assoluto nella title-track. A questo si uniscono dei riff affilati come bisturi ed un buonissimo gusto per gli assoli, sempre centrati e che, soprattutto, si prendono il giusto spazio tempistico all'interno di pezzi che, come detto, hanno quasi tutti un minutaggio contenuto: la sola "Cybernetic Inferno" - uno dei momenti migliori di "Profane Geometry" insieme alla title-track ed a "Swarm Attack" - arriva ai 5 minuti e mezzo. Probabilmente molti penseranno che alla fine si può trovare di meglio in giro e forse non avrebbero tutti i torti, ma in ogni caso "Profane Geometry" è un lavoro in cui tecnica ed urgenza si fondono e che, dopo diversi attenti ascolti, saprà sicuramente conquistare. In generale, per i Black Hole Deity una prova più che soddisfacente.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    30 Giugno, 2024
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Quasi trent'anni di carriera per gli slovacchi Perversity ma "solo" sei album - più diverse uscite minori, ad onor del vero -, l'ultimo dei quali è queto "Spiritual Negation", rilasciato nei giorni scorsi da Great Dane Records. Cominciato come una band Brutal Death, la band di Prešov ha col tempo spostato il proprio focus sulle sonorità che possiamo ascoltare in questa loro ultima fatica e che prendono spunto - se così vogliamo dire - dai territori più cupi ed a loro modo brutali del Death Metal americano e centroeuropeo: Immolation, i Morbid Angel di "Formulas Fatal to the Flesh" e "Gateways to Annihilation" (questi ultimi soprattutto in que passaggi soffocanti di chitarre e batteria, marchio distintivo di quei due album dell'Angelo Morboso), Sinister, senza che però di fondo venga a mancare quell'influenza dei Suffocation che ha scandito i primi anni della loro carriera. Il risultato è un disco dai toni cupi e che passa senza sosta da momenti crudi e soffocanti ad altri dalle arie mefistofeliche e dalle melodie luciferine; magari si poteva fare giusto un filo meglio in fase di produzione (la voce di Juraj "Kazateľ" Handzuš ha un volume leggermente più alto del comparto strumentale), ma a parte questo se si amano determinate sonorità (gli esempi sono qualche rigo più su, l'avrete capito ormai), "Spiritual Negation" è un lavoro che può avere il suo fascino, un lavoro che brilla nella sua cupezza ed in cui i Perversity riescono a mettere a segno anche un paio di bei colpi come il singolo "Patron of Hate" e "Your Flesh Is My Temple", o ancora "Wrath Manifest" e la conclusiva "Epitome of Diabolization", pezzi in cui i Nostri sembrano trovarsi perfettamente a proprio agio e che contribuiscono ad alzare l'asticella sul giudizio finale dell'opera, insieme ad un lavoro dietro le pelli sicuramente degno di nota di Marek Baran, che spesso richiama quello di mr. Pete Sandoval nei due succitati album dei Morbid Angel. In generale, i quasi 40 minuti di "Spiritual Negation" scorrono via senza problemi, con i Perversity che mettono - a nostro avviso - un importante tassello all'interno della loro carriera ormai trentennale. Ascolto consigliato!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    30 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 30 Giugno, 2024
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E' stata finora una carriera un po' discontinua quella dei Commander, band Death Metal proveniente da Monaco di Baviera: formatisi alla fine degli anni '90 hanno avuto nel tempo un paio di pit stop, tanto che dopo i primi due album rilasciati tra il 2006 ed il 2008 ("World's Destructive Domination" e "The Enemies We Create"), sono poi tornati solamente nel 2018 col terzo full-length "Fatalis (The Unbroken Circle)", per infine far passare sei anni per questo "Angstridden", rilasciato in questi giorni dalla loro connazionale MDD Records. Una lunga attesa dunque, ma il gioco è valso la candela date la concretezza e la solidità di questo quarto album dell'act bavarese. Ciò che rende interessante questa release è la varietà di soluzioni adottate dai Nostri, capaci di amalgamare con certosina precisione diverse correnti all'interno delle proprie sonorità: da rocciosi passaggi della vecchia scuola svedese ai toni epici e marziali dei Bolt Thrower, passando per pesanti rallentamenti di matrice Death/Doom fino a bordate che rimandano al Blackened Death dei Behemoth del medio periodo. Un buon esempio da prendere è quello della title-track, pezzo di poco più di tre minuti in cui le varie influenze vorticano senza sosta con una fluidità anche abbastanza sorprendente. Di tutt'altra pasta è la seguente "Astrayed", con prima parte e finale votati alla marzialità della scuola britannica ed una parte centrale a metà tra Vader e Slayer. Altro giro altra corsa e con "Deviate from Our Vision" la matrice di fondo è quella dei Behemoth di "Thelema.6"... e così via per l'intero scorrere della tracklist. La bravura dei Commander è quella di saper in ogni caso legare le proprie composizioni da un unico fil rouge, senza dunque che i pezzi appaiano slegati tra loro nonostante le palesi differenze stilistiche che intercorrono tra loro. Comunque sia, ci sono diversi passaggi parecchio interessanti in "Angstridden", ma quello che più ci preme segnalare è rappresentato da "Not My War", pezzo che comincia con chitarre acustiche ed atmosfere drammatiche prima di divenire un rabbioso pezzo dai toni decisamente 'bolt-throweriani'. Per quanto ci riguarda, "Angstridden" è uno di quegli album da mettere nel proprio lettore CD e da ascoltare senza starci a pensare troppo, lasciandosi intrattenere e trascinare dall'ampia gamma di soluzioni stilistiche dei Commander. E visto che siamo in estate e coi primi veri caldi - e loro sono di Monaco di Baviera -, magari con una bella Paulaner ghiacciata vicino.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    28 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 2024
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Ci hanno messo un po' più di tempo per tornare questa volta i White Stones, side project Progressive Death creato da Martín Méndez; dopo due album lanciati nel giro di un anno ("Kuarahy" nel 2020 e "Dancing into Oblivion" nel 2021), i Nostri hanno impiegato tre anni per la pubblicazione del nuovo album "Memoria Viva". Nel frattempo Méndez e soci hanno seguito Markus Staiger in Atomic Fire Records dopo il divorzio con Nuclear Blast, condividendo poi il destino della label tedesca, confluita in Reigning Phoenix Music, etichetta americana nata nel 2023 che si sta affermando sempre più come un colosso inarrestabile (tant'è che nelle scorse settimane ha incorporato anche la greca Rock of Angels Records). Divagazioni di label a parte, i White Stones si dimostrano ancora come il progetto con cui Méndez torna a suonare il suo primo amore - il Death Metal, ça va sans dire -, coniugato nella sua forma più progressiva. A dirla tutta, definirli come una band Progressive Death è quasi riduttivo, visto che nelle opere dei White Stones confluisce tuto l'estro creativo del geniale musicista spagnolo, accompagnato in quest'avventura da musicisti dal tasso tecnico particolarmente elevato che mettono il loro mestiere al servizio del genio compositivo di Méndez e dell'ottimo lavoro vocale di Eloi Boucherie. Da un lato abbiamo sì quell'impronta Progressive Death che 'permette' ai Nostri di essere quanto di più vicino agli Edge of Sanity sia uscito da quando non c'è più la creatura di Dan Swanö, ma dall'altro confluiscono anche le influenze più disparate, dal Progressive Metal 'classico' a certo Progressive Rock, fino ad arrivare al Jazz e, in misura minore, anche qualcosa Djent. O addirittura si cita, in un certo qual modo, la Bossa Nova brasiliana con la strumentale "Zamba de Orun", nella cui parte finale è protagonista il flauto di José Ignacio Lagos. A questo si uniscono ritornelli particolarmente orecchiabili, in taluni casi potremmo addirittura definirli "radiofonici" come quello del singolo - e come sbagliarsi? - "D-Generación". Insomma, avrete capito che, come al solito, quello dei White Stones è un lavoro al contempo ostico ma anche particolarmente orecchiabile, una dualità dovuta semplicemente al genio di Martín Méndez, oltre che dal livello tecnico dei musicisti particolarmente elevato. "Memoria Viva" non è un album 'da intrattenimento': per poterlo comprendere ed apprezzare a pieno bisogna gioco forza prestarne la massima attenzione. Non un disco per tutti, insomma, ma ciò non toglie che è comunque particolarmente affascinante.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    28 Giugno, 2024
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I 200 Stab Wounds sono una di quelle bands che si sono fatte le ossa in tempi abbastanza brevi, tanto che dal 2019 - anno della loro fondazione - ad oggi hanno pubblicato un EP ed un album per poi approdare nientemeno che sotto l'egida di Metal Blade Records, che dopo aver ristampato il debutto "Slave to the Scalpel" licenzia oggi il secondo album del quartetto di Cleveland: "Manual Manic Procedures". Sarà stato il passaggio ad una label potente come Metal Blade, ma i Nostri sembrano aver ragionato un attimo di più riguardo le loro nuove composizioni: laddove il debutto era un assalto continuo e serrato dove la forma canzone era sostanzialmente un costrutto astratto, oggi la band ha sensibilmente diminuito la raffica di riff e soprattutto punta decise su ritmiche estremamente groovy e sicuramente più orecchiabili (beh, si fa per dire). E' insomma in qualche modo diminuita la foga, ma allo stesso tempo i 200 Stab Wounds di questa nuova release appaiono più pesanti, seguendo maggiormente la scia di gruppi come Fulci e Sanguisugabogg, con i Dying Fetus ed i Cannibal Corpse dei primi dischi con Giorgione Fisher alla voce come Stella Polare. E vi diremo, i 200 Stab Wounds così funzionano alla grande: per loro l'impatto immediato rimane una costante immutabile - e va bene così -, ma a nostro avviso in "Manual Manic Procedures" appaiono decisamente concentrati ed in un certo senso più energici, pur avendo sensibilmente rallentato rispetto l'esordio. Certo, non mancano bordate brutali come nella title-track o la seguente "Release the Stench", classico pezzo che dal vivo promette moshipt e headbanging da mettere a serio rischio diverse ossa. Con "Manual Manic Procedures" i 200 Stab Wounds ci regalano un'opera che tutto sommato non avrà nulla di così trascendentale, ma che dimostra come il seguito sempre più crescente sia ampiamente meritato.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    28 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 2024
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Dal ribollente sottosuolo di Cleveland, Ohio, arriva un'altra interessantissima nuova realtà del panorama Death Metal degli States: si tratta dei Noxis, band che dopo un demo ed un EP rilascia il primo full-length "Violence Inherent in the System" oggi tramite Rotted Life Records per il mercato americano e Dawnbreed Records per quello europeo. Il quartetto statunitense non è formato propriamente da novellini (giusto come esempio, alla batteria c'è Joe Lowrie dei Nunslaughter) e lo possiamo sentire sin dall'attacco di questa loro prima fatica su lunga distanza con il singolo "Skullcrushing Defilement"; possiamo subito notare, infatti, come i Noxis non "ristagnino" in una singola corrente Death Metal, ma che anzi accolgano con favore diversi affluenti. C'è una marcata venatura della scuola Technical/Brutal - Cryptopsy, primi Decapitated e primi Gorguts - che rappresenta le fondamenta su cui si staglia una struttura articolata e sghemba: soprattutto David Kirsch (basso) e Joe Lowrie (batteria) sembrano aver studiato a fondo il mitico "Nephente" dei Demilich, come possiamo accuratamente notare dall'incedere psicotico della sezione ritmica con entrambi gli strumenti in primi piano esattamente come le affilate chitarre di Dylan Cruz. La produzione riesce a mettere in risalto l'operato dei quattro musicisti coinvolti - ascoltate "Abstemious, Pious Writ of Life", la già citata "Skullcrushing Defilement" o "Tense and Forlorn" - non rinunciando a quell'aria da disco di fine 90's riuscendo al contempo a non sembrare mai troppo vintage. Certo, magari i Nostri si sono lasciati prendere un po' troppo la mano in qualche frangente allungando forse più del necessario le composizioni, ma a parte questo possiamo tranquillamente affermare che, qualora abbiate una predilezione per queste sonorità brutali quanto ipertecniche, "Violence Inherent of the System" è uno di quei lavori che divorerete e che non vi annoierà mai con il progredire dell'ascolto, grazie a questa miscela alchemica di foga e tortuosità. Persino la sezione di fiati sull'ultima parte di "Horns Echo over Chorazim" ha il suo perché! Se in futuro i Noxis sapranno contenere in un minutaggio leggermente minore la loro veemenza, potremmo davvero sentirne delle belle.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    23 Giugno, 2024
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Debut album per i polacchi Escalation, band formatasi nel 2020 con all'attivo un EP rilasciato nel 2021 ("Before We Fall") e fresca di pubblicazione di questo "Ruins of the Falling World" per Via Nocturna. Ammettiamo di non sapere se i Nostri abbiano cominciato suonando il genere indicato nella nostra Enciclopedia Metallica preferita (Melodic Death/Metalcore?) per poi cambiare, ma fatto sta che nei nove pezzi presenti in tracklist - tra i quali è compresa un'intro di quasi tre minuti (!!!) - possiamo sentire un act dedito an Death Metal che più classico non si può, con influenze che spaziano tra la Florida (Morbid Angel, Obituary) ed il Regno Unito (Bolt Thrower, Benediction), e con l'aggiunta di sferzate Death/Thrash vaderiane (se ci fate caso il loro logo richiama un po' quello dei Vader, n.d.r.). Tolta qualche passabile ingenuità da debut album - sì, una di queste è proprio l'intro di quasi tre minuti! - e passando sopra a sonorità ancora un po' troppo derivative - cosa non inconsueta in un'opera prima -, in generale "Ruins of the Falling World" è un disco più che passabile che molto vive sul connubio tra il roccioso riffingwork ed un drumming mai estremamente protagonista ma comunque bello solido e preciso. L'ascolto procede fluidamente tra episodi sicuramente meglio riusciti (il singolo "Beyond the Veil of Fear", "Human Tomb") ed altri meno ("No Turning Back" è un brano dalle sonorità forse troppo derivative, anche se la parte finale sicuramente si fa notare!). Piccola nota a margine: la godibile "United Forces" non è l'ennesima cover del classicone degli S.O.D., fortunatamente . Poco più di 35 minuti di discreto intrattenimento: possiamo riassumere così "Ruins of the Falling World" degli Escalation; dal canto nostro, la band polacca si attesta su una pienissima sufficienza.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    23 Giugno, 2024
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Piuttosto scarne le informazioni riguardanti gli Ancient Entities, band americana di recente - crediamo - formazione che ha pubblicato in maniera indipendente (con stampa poi ad opera di WormHoleDeath) il debutto "Echoes of Annihilation", lavoro in cui sentiamo la band di Milwaukee muoversi a cavallo tra certo Death Metal europeo ed il Brutal Death di stampo americano. E' dunque un mix di brutalità ed attenzione all melodie quello che offrono gli Ancient Entities: Blood Red Throne, Bloodbath, Vomitory, Dismember, ma anche Hour of Penance, Cannibal Corpse, Broken Hope e, soprattutto, i Necrophagist di "Onset of Putrefaction", sono sicuramente le influenze maggiormente riconoscibili nell'operato del quintetto statunitense. Musicalmente insomma nulla di così nuovo, ma i Nostri colpiscono comunque nel segno grazie ad un lotto di brani solidi quanto taglienti, grazie proprio a questo 'gioco' di brutalità/melodia che imperversa per tutta la mezz'ora abbondante del disco. Certo, ascoltando pezzi comunque buoni come il singolo "Pierced by Obsidian" o anche "Creatures of the Sand" e "Ritual Autopsy" - i brani che ci hanno favorevolmente colpiti di più -, la sensazione di "già sentito" è presente, segno che il combo americano avrà da lavorare un po' di più in futuro sul piano della personalità, ma ciò non toglie che "Echoes of Annihilation" si lascia comunque ascoltare piacevolmente, destando anche un certo interesse per chi - come il sottoscritto - è appassionato di storia; gli Ancient Entities puntano infatti su tematiche storiche, ma a differenza di molti colleghi che si concentrano su di una singola civiltà/popolazione, la loro visione è più ampia, basandosi su antiche civiltà, folklore e mitologia di tutto il mondo: l'incendio di Roma ad opera di Nerone ("Empire in Ashes"), la creazione dell'umanità dalla sabbia dal punto di visto del dio sumero Annunaki ("Creaturs from the Sand"), mummificazione ("Ritual Autopsy"), sacrifici rituali cannibali delle popolazioni azteche ("Blood upon the Stone"), la morte e la rinascita del dio egizio Ra ("Hidden") sono alcuni esempi dell'accuratezza e nella ricercatezza dei testi degli Ancient Entities. Insomma, se per godere di un disco Death Metal vi bastano un growl cavernoso, un riffingwork incessante ed incandescente ed una sezione ritmica brutale e groovy, allora questo debutto targato Ancient Entities potrebbe anche essere per voi una più che piacevole scoperta: date loro una chance!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    21 Giugno, 2024
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Sono già passati ben sei anni da quando gli americani Construct of Lethe se ne uscirono con quella bomba di album che fu "Exiler" (2018, Everlasting Spew Records); anni in cui qualcosa si è mosso in casa della band della Virginia e non ci riferiamo solo alla formazione (con l'ingresso del nuovo cantante Kishor Haulenbeek), ma anche stilisticamente: pur mantenendosi con le radici ben salde in quel Death Metal che prende spunto tanto dalle sonorità classiche di Morbid Angel ed Immolation, quanto dai movimenti avanguardistici di Ulcerate e Gorguts, i Construct of Lethe hanno oggi ampliato la loro gamma di colori, flirtando anche con pattern Black e Doom, oltre che con lavori di synth di scuola Industrial e, soprattutto, con arie Ambient. Ed il risultato di questo lungo processo è "A Kindness Dealt in Venom", terzo studio album dei Nostri e debutto su Transcending Obscurity Records, disco legato all'unico concept della depressione suicida che, come reso noto dalle info che accompagnano il promo, è da ascoltare quasi come se fosse un'unica traccia di 3/4 d'ora. Nella realtà, sono dodici le tracce che compongono "A Kindness Dealt in Venom", alcune delle quali sono passaggi strumentali che fanno da trait d'union tra pezzi, cosa questa magari funzionale al concept ma che nell'economia dell'album spezza sovente la tensione data da brani furiosi e 'sentiti' dal mood disperato, in cui i Nostri riescono ad alternare con estrema perizia - il tasso tecnico è decisamente elevato - sfuriate d'inaudita brutalità a mid-tempo groovy e pesanti come macigni. Probabilmente una sforbiciata ai lunghi passaggi strumentali avrebbe maggiormente giovato, ma resta comunque il fatto che questo terzo disco targato Construct of Lethe è sicuramente ben al di sopra della media, anche se un filo meno "digeribile" rispetto l predecessore, album comunque complesso ma in un certo senso anche più accessibile. La lunga seconda traccia "Bete Noir" è la perfetta fotografia della croce e della delizia di quest'album, con pregi e quei pochi difetti concentrati in un unico monolite di 9 minuti, cui segue quello che è a nostro avviso l'highlight dell'album: atmosferica, lugubre, quasi teatrale, "Contempt" è la punta di diamante di un lavoro sicuramente riuscito ma che avrà bisogno di ben più di un ascolto per essere compreso ed apprezzato a pieno. Ma comunque sia, se siete tra i sempre più numerosi fans di queste sonorità estreme più complesse, "A Kindness Dealt in Venom" potrà essere una buonissima aggiunta alla vostra collezione.

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