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Opinione scritta da Michele Alluigi

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Opinione inserita da Michele Alluigi    02 Ottobre, 2016
Ultimo aggiornamento: 02 Ottobre, 2016
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La carriera dei tedeschi Obscenity iniziò nel lontano 1992, con la semplice e seminale "Demo", che ben presto divenne l'anno zero per la formazione di un sound granitico e di impatto, un death metal dal taglio finemente tecnico che non mette assolutamente da parte nemmeno le proverbiali mazzate nei denti che i fans si aspettano e pretendono dagli artisti di questo filone musicale. Il loro ultimo full lenght, l'interessante "Antrophied In Anguish", risaliva ormai al 2012; ben quattro anni sono dovuti trascorrere prima che i deathsters di Oldenburg tornassero a far sentire il loro ruggito gutturale. In questo lasso di tempo però, Tobias Muller e soci si sono presi tutta la calma e la rilassatezza che occorreva per comporre una nuova serie di martellate purulente, dieci canzoni che non lasciano nemmeno un attimo di respiro durante l'ascolto, facendo sì che le nostre teste non smettano di fare headbanging dal primo all'ultimo secondo. Per chi ancora non li conoscesse, questo combo tedesco fonde sapientemente il meglio della tradizione death mondiale; in queste sonorità, infatti, si sentono sia le influenze dei maestri americani, come ad esempio Deicide, Obituary e Cannibal Corpse, senza però lasciare in disparte il filone europeo, che dai Pestilence tocca anche l'Est Europa attraverso un marcato richiamo ai Vader ed ai Decapitated. A caratterizzare il songwriting di "Retaliation" è senza dubbio l'altissima caratura tecnica: le canzoni passano una dopo l'altra nel lettore, sempre muovendosi su bpm elevatissimi ed alternando sapientemente parti serrate in blast beat con passaggi più cadenzati in mid tempo. Il riffing di chitarra si presenta inoltre freschissimo e pieno di grinta, lo schema prediletto è il terzinato sostenuto dalla cassa in trentaduesimi, ma non mancano nemmeno esecuzioni concettualmente più semplici, ma comunque interessanti e trascinanti. Il merito degli Obscenity è senz'altro quello di essere riusciti a creare un proprio trademark personale che, pur restando fortemente vincolato alla tradizione extreme, propone tuttavia una buona visione personale del death metal. "Retaliation" è vivamente consigliato per tutti gli amanti dello splatter musicale per eccellenza.

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Opinione inserita da Michele Alluigi    24 Agosto, 2016
Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 2016
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Quella delle ristampe sembra stia diventando un'usanza sempre più in voga tra le varie etichette, e vista la qualità dei lavori scelti per questa manovra non è difficile comprendere come riscoprire nuovamente certi dischi ormai divenuti dei classici sia sempre un evento atteso da parte dei fan. La Season Of Mist ha pubblicato lo scorso 5 di agosto una riedizione di "Revolution DNA", full lenght datato 1999 dei greci Septic Flesh, una delle band più interessanti del panorama extreme moderno. Per chi ancora non conoscesse questo combo ellenico, il gruppo nacque nel 1990 da un'idea dei fratelli Christos e Spiros Antoniou e dopo un esordio con un semplice "Demo" l'anno successivo prese avvio la lunga e variegata carriera del progetto, che dopo uno scioglimento nel 2003 tornò in attività nel 2007; da un primordiale sound di matrice death e black metal, le sonorità virarono ben presto verso orizzonti più sperimentali, inserendo anche orchestrazioni e samples ad arricchire i riff energici e di impatto delle chitarre. Dal punto di vista ritmico, detto molto terra terra, i bpm scesero di velocità ma al tempo stesso venne guadagnata una maggiore melodia all'interno dei vari arrangiamenti, passaggio fondamentale per conferire alle tematiche mitologico-scientifiche dei testi il giusto canale di espressione. "Revolution DNA" può considerarsi dunque il primo giro di boa di questa evoluzione: nella tracklist infatti si possono notare, all'interno delle varie canzoni, come i Septic Flesh siano cresciuti, raggiungendo frangenti melodici ed introspettivi simili ai loro colleghi Moonspell o Tiamat (giusto per dare due riferimenti noti). La Season Of Mist ha voluto celebrare questo caposaldo del gruppo greco all'interno di un progetto più ampio, a breve infatti saranno disponibili tutte le ristampe del catalogo della band dell'Attica, ma non si tratta solo di recuperare i vecchi master e ristamparli nuovamente; il pacchetto è infatti più ricco sotto tutti i punti di vista, l'artwork è stato rivoluzionato da cima a fondo per questa riedizione, l'immagine della nuova copertina è stata disegnata dall'artista Adrien Bousson ed approvata dal gruppo, il "Revolution DNA" del 2016 guarda nuovamente in faccia i suoi ammiratori con un nuovo volto; inoltre sono presenti ben tre bonus track, di cui una riservata originariamente all'edizione francese del lavoro, che seppur non incluse fin dall'inizio ben si amalgamo all'idea complessiva della tracklist originale. Se siete fan dei Septic Flesh comprenderete bene come questi nuovi elementi valorizzino ulteriormente un lavoro già pregevole, se al contrario ancora non conoscete il gruppo, la Season Of Mist vi offre a miglior occasione possibile per farlo.

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Opinione inserita da Michele Alluigi    26 Luglio, 2016
Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 2016
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La carriera dei piemontesi Braindamage ebbe inizio nel 1988, a cui un anno dopo seguiva la pubblicazione del demo "Kingdom of Madness"; le sonorità del progetto sono mirate ad un Trash Metal moderno, definito non a caso post-thrash, il cui obiettivo è dunque quello di superare i classici canoni per evolvere la musica verso nuovi orizzonti inesplorati. Il voler rompere con la tradizione fu in passato una prerogativa delle avanguardie artistiche, in particolar modo del nostrano movimento futurista ed è proprio alla corrente fronteggiata da Filippo Tommaso Marinetti che si rifà questo gruppo di Torino: la loro musica infatti si propone come un'unica macchina sonora avanzante verso di noi con il solo desiderio di travolgerci e lasciarci successivamente esanimi; l'energia è dunque il motore principale di questo lavoro, e proprio come un motore essa deve rombare e produrre rumori nuovi, le chitarre infatti si muovono su un livello tecnico particolarmente elevato, fatto di ritmiche veloci e precisissime costruite talvolta su sequenze dissonanti, proprio per creare un senso di straniamento che deflagri letteralmente la attuale concezione "dogmatica" di melodia. Il basso e la batteria assumono qui il ruolo di pistoni il cui compito è pompare il carburante nei polmoni di un ingranaggio metallico perfettamente inquadrato alla distruzione degli schemi, i suoni delle sei corde sono infatti scarni e graffianti, stracarichi di gain, in modo tale che questo stridore si unisca letteralmente con l'equalizzazione massiccia di cui godo invece gli strumenti ritmici. La post produzione fa un enorme lavoro in tal senso, rendendo questi pezzi una amalgama decisamente trascinante e compatta; la filosofia compositiva di questi brani non è certo qualcosa di immediata comprensione e metabolizzazione, ma è anche vero che se vogliamo che la musica che seguiamo si evolva sono necessari dei musicisti "futuristi" che osino proporsi sulle scene con qualcosa di assolutamente mai udito prima, a costo di causarci dei danni cerebrali durante l'ascolto. "The Downfall" è dunque un disco originale ed innovativo che tutti i palati affamati di novità devono assolutamente assaggiare.

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Opinione inserita da Michele Alluigi    26 Luglio, 2016
Ultimo aggiornamento: 08 Agosto, 2016
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Avevamo già incontrato i brasilian Woslom ben sei anni fa, all'epoca del loro full lenght di debutto "Time To Rise" e li ritroviamo oggi al terzo capitolo della loro carriera con "A Near Life Experience". Di acqua sotto i ponti ne è trascorsa e da un Thrash Metal ricco di attitudine old school che lasciava spazio più al tributo ai grandi maestri che non all'impronta personale, ora i quattro brasiliani possono vantare una notevole crescita artistica. Il sound è sempre quello tradizionale, ma fin dai primi minuti emerge un cambiamento radicale attuato da questi musicisti che non può far altro che aumentare la loro notorietà: innanzitutto il livello tecnico si è elevato fino a raggiungere vette di lodevole audacia, i singoli riff sono suonati con una perizia ed una fluidità esecutiva davvero ammirevole che tuttavia non manca di pacca quando si tratta di dover mitragliare note in shredding per trirurarci i timpani, per poi passare a delle sopraffine parentesi soliste che sfiorano gli orizzonti neoclassici; le ritmiche sono molto lineari, ma anch'esse godono di una chirurgia di tocco che rende ogni singolo inciso una vera e propria prova di maestria. Ad arricchire ulteriormente questa crescita inoltre, rispetto ai lavori precedenti, è un maggior uso delle parti corali, l'utilizzo di più voci, sapientemente piazzate al punto giusto, rendono possibile l'imprimersi dei ritornelli nella testa dell'ascoltatore per fare in modo che anch'egli si unisca al pezzo durante l'ascolto ( in tal senso vi basterà porre attenzione al ritornello della titltrack del lavoro, in cui Silvano Aguilera adotta una linea vocale trascinante e di presa immediata). Dai canoni tipici dell'old school, i nostri prendono anche le distanze, arricchendo un proverbiale tupa tupa con soluzioni più moderne e catchy che rendono freschissime ed assolutamente travolgenti queste canzoni, non sarebbe infatti sbagliato parlare di un thrash metal tradizionale aggiornato per i canoni attuali, o, per meglio dire, riletto con l'ottica di musicisti del 2016, ormai immersi in una realtà musicale che è notevolmente cambiata rispetto agli anni Ottanta. "A Near Life Experience" rappresenta quindi una prova lampante di come un genere storico si possa rinnovare per essere sempre attuale. Disco vivamente consigliato agli amati del Thrash senza età.

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Opinione inserita da Michele Alluigi    26 Luglio, 2016
Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 2016
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Nella realtà attuale in ambito Thrash Metal, i greci Suicidal Angels si sono saputi ritagliare uno spazio di tutto rispetto nell'affollatissima moltitudine di gruppi che oggigiorno le nostre orecchie possono ascoltare; la miscela proposta da questo quartetto, fondamentalmente, riporta in auge la tradizione vecchio stile del genere, fondendo gli elementi migliori dei due grandi filoni, quello americano e quello tedesco: nelle influenze che si possono riscontrare a primo impatto infatti si notano gruppi Yankee, come Anthrax, Testament e Forbidden ma anche artisti teutonici, in particolar modo i Sodom ed i Destruction, indi per cui, se vi definite thrasher e non annoverate ancora questa band nei vostri ascolti, evidentemente vuol dire che siete rimasti indietro col passo. "Division of Blood" vanta una tracklist dinamica, coinvolgente e che, soprattutto, ci fa letteralmente devastare la colonna vertebrale a forza di headbanging. La carta vincente del songwritig di Nick Melissourgous e soci consiste proprio nel fondere il tiro del classico tupa tupa di cui i thrashofagi si cibano quotidianamente con soluzioni maggiormente incentrate sul groove, ricche di stop and go precisi e dinamici che creano la giusta attesa per la ripartenza successiva ("Eternally To Suffer" è perfetta in questo senso per farvi un'idea di quanto poc'anzi citato). Il tutto è dunque sapientemente mescolato per non lasciarci nemmeno un attimo di respiro. A rendere particolarmente interessante questo lavoro inoltre è la qualità sopraffina della postproduzione: i suoni sono perfettamente calibrati e bilanciati per farci ottenere un impatto assolutamente travolgente, la classica botta per capirci, ottenuta grazie a delle chitarre pesanti e ben amalgamate, sostenute a loro volta da un basso pesate e monolitico e da una batteria spinta a dovere per essere una vera e propria mitragliatrice spaccaossa. Del resto il Thrash Metal è questo: potenza e velocità allo stato puro, i Suicidal Angels vogliono perciò far esplodere il vostro impianto per poi trascinarvi in un mosh pit inarrestabile ai loro concerti, sarete all'altezza per reggere questo vortice senza fine?

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Opinione inserita da Michele Alluigi    26 Luglio, 2016
Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 2016
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Cosa si può dire riguardo a "Scream Bloody Gore" dei Death se non che rappresenta una pietra angolare del Death Metal a livello mondiale? Il leggendario primo full lenght della band americana capitanata dal grandissimo e mai troppo compianto Chuck Schuldiner riprende nuova vita in una ristampa esclusiva edita dalla Relapse Records, che oltre ai brani originali rimasterizzati per l'occasione offre anche diverso materiale inedito. Questo album, come tutti sappiamo, rappresenta il primo passo di un ancora seminale genio del mastermind del gruppo, il cui sound verte ancora preminentemente a quelle sonorità crude ed old school dell'extreme metal, destinate poi ad evolversi verso orizzonti maggiormente progressivi e sperimentali; la parabola tracciata dai Death nel corso della breve carriera fece sì che comunque fossero riscritte ex novo le regole del gioco, affiancando alle tematiche splatter gore strutture musicali prog, jazz e fusion accompagnate da arrangiamenti melodici di elevatissima caratura tecnica. Brutalità e raffinatezza iniziavano così la loro sinergia all'interno di una discografia destinata a scrivere, e non pecco di superbia nel dirlo, la storia di un intero genere. I Death avevano appena assunto la nuova identità dopo la breve ed iniziale parentesi dei Mantas ed Evil Chuck dava libero sfogo al suo amore per il metal attraverso delle canzoni che oltre a puzzare letteralmente di cimitero in quanto ad estro lirico, rendevano tributo ai grandi maestri dell'estremo come Slayer, Venom e Bathory, ma per rendere il tutto ancora più succoso, la Relapse ha riesumato dall'oblio del tempo anche quelle seminali demo tape con i quali una band all'epoca ancora composta da due membri incideva su nastro le proprie bozze in vista di uno sviluppo futuro. I fan dunque hanno modo di ripercorrere la storia di questo capolavoro entrando metaforicamente all'interno della saletta in cui Chuck Schuldiner e Chris Reifert diedero vita a quei germinali riff, potendoli quasi vedere in diretta. Questo cofanetto non è solo una summa di materiale collezionistico dunque, ma un vero e proprio making of di un album che ancora oggi, a 29 anni di distanza, resta all'unanimità uno dei dischi death metal per antonomasia.

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Opinione inserita da Michele Alluigi    15 Giugno, 2016
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I Last Rites sono una band thrash/death metal di Savona nata nel 1997, ed il 2016 li vede tornare sulle scene con un nuovo full lenght dopo ben sette anni di distanza dal precedente "Future World"; l'ultimo album infatti risale al 2009, dopo di esso poi, il gruppo si è dedicato alla realizzazione di un mini dal semplice titolo "Rites Live", risalente al 2013, che offriva una prova dal vivo della band in studio. Sette anni da un disco all'altro sono tanti, ma è anche vero che se il tempo che intercorre tra un lavoro e l'altro e necessario a realizzare un songwriting meditato nel dettaglio e che davvero evolva il sound della band l'attesa può dirsi pienamente ripagata. "Unholy Puppets" infatti ci offre una prova assolutamente impeccabile per il gruppo capitanato dal chitarrista e cantante Dave: le dieci tracce qui contenute vantano strutture maggiormente elaborate rispetto ai precedenti lavori, senza però perdere di vista quel tiro che deve sempre essere al centro del mirino per un gruppo di questo genere. Le composizioni si caratterizzano per la presenza di riff in pieno stile old school, indirizzati verso muse ispiratrici quali Kreator, Slayer, Megadeth, Carcass e Cannibal Corspe, a cui non mancano però aperture melodiche e passaggi più neo classici più raffinati che vedono in Chuck Schuldiner il loro guru indiscusso. Le strutture dinamiche di questi brani ci tengono sempre ben desti, sempre sostenuti dal drumming variegato di Laccio, che si rivela un batterista esperto sia quando si tratta di martellare teste a forza di quattro quarti serrati (il celebre "tupatupa" che tutti i thrasher adorano) sia quando occorre muoversi su disegni ritmici più elaborati e ricercati, che dai normali mid tempo tendono verso passaggi più articolati. Questo nuovo full lenght dunque ci offre dei Last Rites decisamente in forma, freschi del recente cambio di line up che ha visto l'ingresso di Fens al basso, e che si preparano ora a compiere un nuovo passo avanti della crescita artistica. Se siete amanti delle sonorità thrash e death non potete assolutamente farvi scappare "Unholy Puppets".

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Opinione inserita da Michele Alluigi    01 Giugno, 2016
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2016
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Per la serie "throw back thursday", ecco a voi amanti del Thrash Metal il nuovo ep dei milanesi Extrema, il cui titolo, "The Old School EP", lascia intendere senza troppi giri di parole dove voglia andare a parare il combo lombardo. Fin dalla copertina stessa del lavoro infatti, la band mira a ribadire che sono ben trentuno anni di carriera al loro attivo, tre decadi buone che Tommy Massara e soci ci asfaltano i timpani con la loro miscela potentissima, che dalla musa ispiratrice dei grandissimi Pantera si allarga poi ad altri monumentali nomi del genere (Testament, Slayer, Anthrax e chi più ne ha più ne metta) fino ad arrivare alle sonorità groove più moderne. Dopo l'ultimo full lenght "The Seeds of Foolishness", risalente ormai al 2013 e con il quale il suond degli Extrema si era ulteriormente aggiornato per essere al passo coi tempi, ora il gruppo si guarda indietro, voltandosi verso quegli anni passati a calcare i palchi più disparati e tenendo alto il vessillo della tradizione nostrana per riprenderlo con queste sei tracce, dato che la settima consiste in una live cover della celeberrima "Ace of Spades" dei Motorhead; la struttura stessa dell'EP vuole quindi riallacciarsi metaforicamente alle stra usurate demo tape che giravano tra le mani dei metalheads negli anni ottanta, costituite da pochi brani ma abbastanza eloquenti per rendere l'idea del potenziale artistico di chi le aveva composte. Dal punto di vista espressamente compositivo, i quattro abbandonano provvisoriamente le strutture catchy e groove oriented modellate sull'esempio di nomi quali Hellyeah e Mudvayne per ricollegarsi totalmente al Thrash Metal duro e puro: riff taglientissimi ed alcalini, batteria mitragliante e basso letteralmente zappato per avere il proverbiale monolite sonoro, questi sono gli elementi strutturali di quelle che più che canzoni sono veri e propri inni al mosh pit; il rullante di Francesco La Rosa, il quale compie una splendida prova dietro le pelli, scandisce sempre con una potenza travolgente tutti i passaggi della sei corde di Tommy Massara, la quale, è sempre a sua volta seguita fedelmente dall'eclettico basso di Gabri Giovanna, precisissimo e dirompente in ogni frangente. Ultima, ma non meno importante è la voce di GL Perotti, di cui non si può fare a meno di notare la somiglianza stilistica con Phil Anselmo dei Pantera: i passaggi vocali melodici di brani come "Pyre of Fire" sono provvisoriamente lasciati ai box per far sì che la performance sia tutta incentrata sulla tonalità roca ed aggressiva come mezzo della propria furia. Conclusa la parentesi in studio, si passa alla sezione di EP dedicata alle tracce dal vivo; è qui che gli Extrema vogliono dimostrarsi come dei veri e propri carri armati; i pezzi vengono annunciati in maniera netta e concisa, proprio per fare in modo che siano quei pochi minuti di esecuzione a creare il proverbiale "fottuto massacro collettivo" ed in tal senso si può affermare con certezza che la missione possa dirsi compiuta. Dulcis in fundo l'omaggio ai Motorhead ed al mai troppo compianto Lemmy, che nel gruppo milanese trova dei fans devoti che, invece della sterile riproposizione, propongono una personale rivisitazione costituita da una ulteriore spinta sull'acceleratore: un pezzo leggendario e già di per sé travolgente acquista nuova forma ed un tiro decisamente "in your face". Se siete amanti del Thrash Metal più oltranzista, questo salto indietro nel tempo sui banchi della vecchia scuola non vi può sfuggire!

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Opinione inserita da Michele Alluigi    25 Mag, 2016
Ultimo aggiornamento: 25 Mag, 2016
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Per chi ancora non lo conoscesse, Raff Sangiorgio è il chitarrista dei Gory Blister, death metal band nostrana tra le più influenti del panorama italiano; ma non siamo qui a recensire il loro ultimo lavoro, bensì ci troviamo ora ad ascoltare l'esordio solista del chitarrista lombardo, una serie di canzoni che in parte, ovviamente, risentono in qualche modo dell'influenza della band "madre", ma che al tempo stesso mettono in luce le doti eclettiche di questo musicista. In questa tracklist c'è infatti quanto di più eclettico e vario possa intrigare gli amanti delle sei corde: c'è il death tecnico (basti ascoltare la opener "Quick Trigger", c'è il blues ispirato e ricco di pathos in pieno stile Stevie Ray Vaughn con la seguente "Lil' Chuck Blues", per poi passare ad un hard rock più melodico con un accenno di potenza in più in "Back To Glory" fino ad arrivare alle orchestrazioni maestose di "Cosmic Seed", che ci catapultano invece in un universo più modern oriented, dove i tempi spezzati e le suite progressive lasciano intendere che Raff è un esperto conoscitore ad ampio campo del mondo chitarristico in tutte le sue sfaccettature, fino ad arrivare al jazz di "Fragile Existence". A colpire notevolmente inoltre è la qualità della post produzione: l'intero lavoro vede l'axemen dei Gory Blister lavorare a tutti gli strumenti in qualità di "one man band", ma ognuno di essi è curato al dettaglio; dalla limpidezza e la fluidità degli assoli, alla decisione degli accordi e degli arpeggi delle parti ritmiche fino ad arrivare alle complessità dei disegni di batteria; i suoni inoltre escono con la giusta calibratura, potenti e spessi nelle ritmiche stoppate ma altresì fluidi e leggeri nelle parti soliste e nei puliti senza stacchi netti, e quindi dissonanti, tra i due frangenti.
Trattandosi di un disco interamente strumentale, dove ovviamente il maggior risalto lo hanno le chitarre, "Rebirth" è più mirato verso un target di ascoltatori a loro volta musicisti, ma la freschezza e la varietà del songwriting, positivamente avulse dallo sfoggio di tecnica fine a se stesso, fanno sì che questo album sia godibilissimo anche per ascoltatori "meno esperti".

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Opinione inserita da Michele Alluigi    23 Mag, 2016
Ultimo aggiornamento: 23 Mag, 2016
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I greci Rottin Christ, capitanati dai fratelli Temis e SakisTolis, dopo averci esaltato con il live "Lucifer Over Athens" giungono al nuovo full leght effettivo. Questo nuovo album non poteva avere titolo più azzeccato: "Rituals" (tradotto come "rituali") è infatti quello che meglio descrive quanto contenuto nella scaletta, ancora meglio del termine "canzoni". Ogni brano infatti consiste in una preghiera alle diverse divinità malvagie, partendo con una osanna degli dei oscuri in toto ("In Nomine Dei Nostri", espressione latina per "Nel nome dei nostri dei") per poi giungere fino alle litanie di Satana, omonimo titolo di un componimento di Baudelaire. Nel complesso, i pezzi smorzano leggermente le velocità, anche se i blast beat in puro stile black metal sono sempre presenti, per lasciare che siano le atmosfere ad avvolgerci nel calore di queste fiamme nere ed esoteriche; in tal senso è eccezionale il lavoro delle chitarre, che agli imponenti muri di accordi aperti alterna fraseggi melodici più serrati e dinamici regalandoci delle parti davvero emozionanti. Naturalmente non potevano mancare i campionamento orchestrali, i quali, assieme alle sei corde rendono il lavoro un vero e proprio "disco teatrale", i cori inseriti all'interno dei vari passaggi non solo allargano notevolmente il respiro compositivo, ma conferiscono ad essi un tono epico e solenne nel pieno stile delle tragedie di Euripide e Sofocle. Altri cori particolarmente interessanti sono invece quelli più guerreschi e di insieme, che abbiamo modo di apprezzare specialmente nella traccia di apertura ed in "Apage Satana", brano quest'ultimo condotto principalmente dalle percussioni e dalle voci di una serie di adepti durante un rito dedicato a Lucifero.In conclusione, non posso far altro che ribadire il mio enorme apprezzamento per questa band greca, che dagli esordi più estremi ed old school ha saputo compiere una notevole evoluzione artistica verso orizzonti più raffinati ed innovativi, similmente a quanto hanno fatto, giusto per dare un esempio di riferimento, i polacchi Behemoth. Disco imperdibile!

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