Opinione scritta da Virgilio
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Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 2023
Top 10 opinionisti -
"The Awakening" è il titolo del tredicesimo studio album dei Kamelot, che segue di cinque anni "The Shadow Theory". In linea di massima, il nuovo lavoro continua sulla scia del precedente disco, nel senso che presenta alcune tracce che rimandano senz'altro ad una loro produzione più classica, con riferimenti al periodo di "The Fourth Legacy" o "The Black Halo", quali ad esempio "The Great Divide" o "Opus of the Night (Ghost Requiem)", brano che rimanda, anche a livello di testi, a "Ghost Opera". In linea di massima, tuttavia, la maggior parte degli altri pezzi presenta un approccio con un sound più fresco e moderno, più in linea anche con quella che è l'attuale incarnazione della band e della sua line-up: tra questi potremmo citare "Nightsky" o "New Babylon" (dove compare in veste di guest Melissa Bonny degli Ad Infinitum). Molto particolare "One More Flag in the Ground", uno dei pezzi più anthemici mai scritti dai Kamelot oppure, ad esempio, l'intro orientaleggiante, che sa molto di Myrath (non a caso, peraltro, la band tunisina li seguirà nel prossimo tour) in "Bloodmoon" o, ancora, una traccia cangiante, dalle venature Prog, come "My Pantheon (Forevermore)". Non mancano ovviamente le classiche orchestrazioni che impreziosiscono il sound della band e, sotto questo profilo, si segnala anche la presenza di ulteriori guest come il violinista Florian Janoske e la violoncellista Tina Guo (virtuosa dello strumento, che può vantare anche qualche nomina per il Grammy Award); per mantenere una certa connotazione teatrale, ci sono anzi anche un paio di strumentali orchestrali, collocate rispettivamente in apertura e chiusura della tracklist, "Overture" e "Ephemera". Eccezionale la performance di Tommy Karevik, che si supera, peraltro, in alcune tracce intrise di pathos e di forte carica emotiva come "The Looking Glass" o la ballata "Willow". Bisogna riconoscere comunque che "The Awakening" è un album in generale davvero molto bello e ben riuscito: la band ha tutto sommato inserito i soliti ingredienti, con una squadra collaudata, che vede la produzione, come al solito, affidata a Sascha Paeth, ma possiamo dire che tutti gli elementi sono andati ad incastrarsi al posto giusto, realizzando un meccanismo praticamente perfetto: eccellente songwriting, ottima produzione, performance superlative. Gran disco, dunque, che testimonia l'ottimo stato di forma della band e l'elevato livello qualitativo che è in grado di esprimere in questo momento.
Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 2023
Top 10 opinionisti -
Il chitarrista canadese Don Dewulf torna con il suo progetto The Wring, che con “Spectra” giunge al suo terzo full-length. Ancora una volta, la line-up viene completamente rinnovata e stravolta ma tra i nuovi membri spicca la presenza di musicisti del calibro di Marco Minnemann, virtuoso della batteria, apprezzato in tutto il mondo. Lo stile dei The Wring è un Heavy Rock, intriso di elementi Progressive, soprattutto per l’utilizzo di tempi complessi e passaggi molto tecnici mentre, contrariamente a quanto avviene spesso nel caso di album Prog, le tracce non sono caratterizzate da durate particolarmente lunghe. Il disco si fa apprezzare senz’altro per alcune soluzioni tecniche e un sound abbastanza arioso, nonostante i brani non siano propriamente semplici e lineari. Va però altresì ammesso che, al di là di questi suoi pregi, l’album non entusiasma particolarmente: si prende atto delle buone intenzioni, ma probabilmente le aspettative erano un po’ più alte, considerando che si tratta del terzo album di una band che recluta sempre musicisti di altissimo livello. Nulla da eccepire in realtà dal punto di vista esecutivo, ma sotto il profilo compositivo non c’è nulla che non rappresenti in un certo senso già il pane quotidiano per ogni amante del Prog. Anzi, qualche traccia appare persino un po’ sottotono, come l’opener “Stiletto”, un po’ eccessiva nelle sue dissonanze o la strumentale “The Wolf”, che stenta a decollare. In generale, dunque, “Spectra” non è certo un disco imprescindibile, però si possono ascoltare anche ottime cose, per cui merita senz’altro un ascolto da parte di chi apprezza e segue il genere.
Ultimo aggiornamento: 07 Febbraio, 2023
Top 10 opinionisti -
I Grimner giungono con "Urfader" al loro quarto full-length, che segue "Vanadrottning", pubblicato nel 2018. La band affonda le radici del proprio sound nel Death Metal e nel Pagan Folk, utilizzando come di consueto la propria lingua madre, lo svedese, ma in quest'album si può notare una maggiore apertura verso sonorità più classiche, tanto che in qualche passaggio ci hanno fatto un po' pensare ad act come gli Elvenking. Naturalmente, comunque, rimangono salde le coordinate stilistiche del gruppo scandinavo, con un sound che riesce ad essere aggressivo, ma è caratterizzato al contempo da melodie ed atmosfere fiabesche, grazie a refrain accattivanti e all'utilizzo di strumenti Folk, tra cui in primis il flauto. I Grimner riescono dunque ad ammantare le proprie canzoni con sonorità tipicamente nordiche, con intermezzi e passaggi però che introducono momenti atmosferici di grande effetto, grazie anche ad un oculato utilizzo delle voci, che alternano il classico growl con il cantato pulito e cori dalle voci molto calde. Insomma, i Grimner hanno ormai un proprio stile ben definito, che riesce ad affascinare e in parte anche a sorprendere per la propria capacità di mettere insieme i diversi elementi che compongono il proprio sound, con dei brani davvero ricchi e curati negli arrangiamenti, certamente non semplici né banali, ma allo stesso tempo neppure eccessivamente impegnativi all'ascolto. Buon disco, dunque, per questa band, che dimostra di avere le idee chiare e che sembra aver imboccato la giusta direzione.
Ultimo aggiornamento: 06 Febbraio, 2023
Top 10 opinionisti -
"The Wonders Still Awaiting" apre un nuovo capitolo nella storia degli Xandria, perché rispetto al precedente album, il bellissimo "Theater Of Dimensions" del 2017, resta il solo chitarrista Marco Heubaum, che si ripresenta con una line-up quindi totalmente rinnovata. Si tratta di un ritorno in un certo senso in grande stile, perché per questo lavoro la band non si è limitata praticamente in nulla: tredici tracce per oltre settantaquattro minuti di durata, con il supporto di un autentico coro, il Bulgarian National Radio Children's Choir, l'utilizzo di strumenti folk, gli archi suonati da Ally Storch (Subway To Sally) e gli arrangiamenti orchestrali a cura di Lukas Knöbl, per non parlare dei numerosi videoclip realizzati per promuovere il disco (ben cinque alla data di pubblicazione dell'album). Un simile sforzo è giustificato da quelli che sono i risultati: ci si sarebbe potuti aspettare un lavoro di rodaggio per assestare la nuova formazione, ma gli Xandria hanno ormai una storia quasi trentennale alle loro spalle e non potevano permettersi di indugiare in questo loro ritorno che rappresenta di fatto un nuovo punto di partenza. Tra i volti nuovi spicca senz'altro quello della cantante greco-francese Ambre Vourvahis, di bellissima presenza e dotata di una splendida voce, molto pulita, ma in grado di cimentarsi anche con il cantato operistico e che non si tira indietro neppure a cantare in growl, come avviene in diversi passaggi. Una notevole versatilità, dunque, che consente alla band così di spaziare agevolmente tra i diversi elementi che caratterizzano il proprio stile, con orchestrazioni e cori imponenti, atmosfere dal sapore folk (ad esempio nella sognante "Your Stories I'll Remember), accattivanti melodie e momenti più aggressivi. Un disco che praticamente non comprende filler, nonostante la lunga durata, con brani molto diretti e di immediato impatto come la title-track, "Reborn", "Ghosts", "Paradise" e "You Will Never Be Our God" (che vede peraltro la partecipazione di un ospite d'eccezione come Ralf Scheepers, il quale duetta magnificamente con la Vourvahis), ma anche brani più articolati, come "Two Worlds" e soprattutto "Astéria", dove ci sono anche alcuni versi in greco, composti dalla cantante. Insomma, "The Wonders Still Awaiting" rappresenta un gradito ritorno per questa storica band, pronta a rilanciarsi con grande impegno e determinazione e che riteniamo abbia tutte le carte in regola per poterlo fare.
Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 2023
Top 10 opinionisti -
Quinto full-length per i tedeschi Beyond The Black (il primo edito per Nuclear Blast Records), che decidono di intitolare quest'album semplicemente come il loro moniker. Potremmo intendere questa scelta come una manifestazione d'intenti di andare un po' all'essenza della loro musica, dato che le canzoni appaiono perlopiù caratterizzate da una struttura abbastanza semplice e lineare, senza fare particolare ricorso ad orchestrazioni o in generale ad elementi sinfonici. La band opta invece per un Metal melodico di grande impatto, con refrain catchy ma con linee vocali comunque niente affatto banali, dove spicca ovviamente la splendida voce della cantante Jennifer Haben, da sempre leader e protagonista del gruppo. Certo, la line up, tutto sommato abbastanza stabile dal 2016, ogni tanto perde qualche pezzo (prima il tastierista nel 2018 e poi il bassista l'anno scorso) ma, pur essendosi ridotta ad un quartetto, non fa mancare nulla in quanto a ricercatezza musicale e a cura per gli arrangiamenti. A tal riguardo, sono apprezzabili, ad esempio, i ritmi pulsanti della bellissima "Dancing In The Dark", gli spunti quasi da World Music di "Not In Our Name" o le venature Folk di "I Remember Dying" (dove alcuni suoni ricordano quelli della ghironda, un po' alla maniera di Eluveitie o Cellar Darling). Quasi epico, poi, il riff di "Reincarnation", brano dove sono presenti anche seconde voci in growl, mentre assolutamente trascinante è l'opener "Is There Anybody Out There?", ma i Beyond The Black si fanno apprezzare anche per il loro lato più introspettivo con la suggestiva ballata (tutta in crescendo) "Wide Awake". Buon disco, che ci presenta una band in gran forma, in grado di proporre un album davvero gradevole, praticamente senza filler.
Ultimo aggiornamento: 07 Gennaio, 2023
Top 10 opinionisti -
I 17Crash hanno scelto il titolo di "Stamina" per il loro quarto full-length. L'album si apre con "A Song For Ennio", una strumentale chiaramente dedicata al grandissimo Ennio Morricone, che ricalca sonorità e ambientazioni tali da richiamare alcuni dei capolavori di Sergio Leone (in particolare ci riferiamo ai suoi Spaghetti Western come Il buono, il brutto e il cattivo, Per un pugno di dollari, ecc.), per i quali il compositore ha realizzato bellissime colonne sonore. Si tratta però ovviamente solo di un'introduzione, perché già con il successivo "Higher" la band vira in maniera decisa verso il suo consueto Hard Rock, con refrain melodici, talvolta dalle venature ottantiane e con un'attitudine un po' Sleaze. Sotto questo profilo, si mettono in evidenza anche altri brani come "My World", "Soul" e "Flashing Lights". Non mancano neppure dei pezzi più lenti ed introspettivi, come nel caso della suadente "In My Dreams" e di "Brand New Day" o, ancora, citiamo la più articolata "Strike First", che include parti arpeggiate ma mantiene comunque un sound robusto e ritmi vivaci. Molto particolare una traccia come "Keep Yourself Alive", che presenta elementi Funky, anche per la presenza di fiati e con un bellissimo assolo di sax nel finale. Diciamo che la band ha saputo realizzare un disco piacevole e con tante belle canzoni, ottimamente interpretato da tutti i cinque i musicisti, che conferma le buone qualità di questa formazione.
Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre, 2022
Top 10 opinionisti -
Gli Astral Experience sono una band saldamente ancorata alla fervida scena spagnola, formatasi nel 2009 e con all'attivo un EP e due full-length. La scelta di tornare sul mercato dopo l'album "Inflexion" del 2019 è curiosamente non quella di pubblicare un nuovo full-length, bensì prima un disco con alcune collaborazioni, "Friends Of Astral" e poi quest'EP, che però sarà evidentemente solo una parte di un concept a cui seguiranno altri dischi, dato che nel titolo viene specificato espressamente che si tratta di una parte prima. L'EP peraltro è composto da solo quattro tracce e non arriva neanche a venti minuti di durata, perciò possiamo dire che gli Astral Experience ci danno appena un assaggio della loro musica, con la tracklist che finisce proprio sul più bello, quando si stava cominciando a prendere gusto. Il loro stile è un Power/Prog, influenzato da act come Symphony X e Dream Theater, con il cantato in madrelingua. Le tracce sono in effetti alquanto belle e coinvolgenti e si articolano attraverso vari cambi di tempo e tematici, con una giusta dose di potenza e refrain abbastanza melodici. Il dischetto è dunque di per sé alquanto intrigante, però la sua breve durata lascia un po' un senso di incompiutezza, che dovrà essere necessariamente colmato dal seguito del concept. Per quel poco che intanto viene qui proposto, comunque, le nostre impressioni sono positive, per cui consigliamo intanto senz'altro l'ascolto di questa prima parte di "Esclavos del Tiempo".
Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 2022
Top 10 opinionisti -
I Mythosphere sono una nuova band che mette insieme però personaggi più o meno noti della scena Metal americana, dato che è formata per tre quarti da membri dei Pale Divine (di cui due, Dana Ortt e Darin McCloskey, principali ideatori del progetto e autori delle prime basi dei brani, già in precedenza insieme anche nei Beezlefuzz), i quali hanno coinvolto Victor Arduini, ex chitarrista nei primissimi Fates Warning. Il loro album di debutto, "Pathological", è composto da otto tracce, ma si potrebbe fare in verità un po' fatica a considerarlo come un vero e proprio full-length, dato che dura appena trentacinque minuti: un minutaggio che sarebbe probabilmente risultato piuttosto breve persino nei tempi in cui dominavano il mercato musicale i 33 giri e non esistevano ancora i CD. Ad ogni modo, la tracklist ha una sua coerenza e una sua impostazione, per cui in fin dei conti meglio così piuttosto che magari inserire tracce poco adatte al contesto del progetto. La band suona un Heavy Metal decisamente classico e i brani, in particolare, sono costruiti attorno ai riff di Dana Ortt, scanditi in maniera alquanto lenta e cadenzata, in perfetto stile Doom, ma la voce è molto alta ed evocativa; soprattutto, però, l'apporto di Arduini appare davvero significativo, dato che questi in effetti aggiunge splendidi inserti di lead guitar e meravigliosi assoli, che riescono a conferire un tocco realmente emozionante alle canzoni: basti ascoltare ad esempio l'inizio quasi onirico di "Ashen Throne" o lo splendido intermezzo chitarristico di "King's Call To Arms", talvolta anche con qualche venatura Prog, come nel caso della title-track. In generale, le canzoni di "Pathological" risultano ricche di armonie ed introspettive, partendo dunque da un Heavy/Doom alquanto classico, ma che presenta tutto sommato alcune sue peculiarità e che riesce ad affascinare l'ascoltatore grazie ad un sound coinvolgente ed intriso di un mood vagamente malinconico e quasi misterioso. Questo primo lavoro risulta dunque alquanto interessante, per cui auspichiamo che possa avere un seguito e che non si tratti di un semplice progetto estemporaneo.
Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 2022
Top 10 opinionisti -
L'idea di un EP acustico per gli Eleine nasce e si realizza soprattutto in concomitanza con il fatto di dover affiancare i Sonata Arctica in un tour appunto acustico. Il titolo, "Acoustic In Hell", richiama evidentemente quello del loro ultimo album "Dancing In Hell", dal quale sono state estratte la maggior parte delle canzoni, benché ve ne siano anche tre dal precedente "Until the End" e una ("Death Incarnate") dal loro omonimo debut album. Le impressioni che derivano da questo EP sono per la verità piuttosto altalenanti: la sensazione, innanzitutto, è che la band si sia imbarcata in questo lavoro con l'idea di non abbandonare la propria essenza Metal e questo lo si nota da come viene suonata la chitarra, dal fatto che venga mantenuto il growl in diversi passaggi e dai ritmi delle percussioni, spesso molto veloci. Proprio queste ultime, peraltro, sono per tutto il disco piuttosto monotone e ripetitive, al punto che il batterista Jesper Sunnhagen pare risultare alquanto inadeguato nella fattispecie e persino nella scelta degli strumenti si rivela assai poco versatile. Per contro, la cantante Madeleine Liljestam sembra essersi ben calata nel progetto e per quanto abbia registrato tutte le sue parti in circa tre ore appena, riesce a tirar fuori delle interpretazioni abbastanza convincenti, con interessanti note di colore e persino con un certo flavor dal sapore mediterraneo in qualche passaggio. Sotto questo profilo, dà un contributo anche il chitarrista Rikard Ekberg, che almeno in qualche assolo sembra prendere un minimo di confidenza con lo strumento, ricordandosi di non impugnare una chitarra elettrica. Le canzoni risultano certamente un po' impoverite senza le orchestrazioni e i ricchi arrangiamenti che li caratterizzano nelle versioni originali, ma tutto sommato alcuni refrain sembrano funzionare bene, come nel caso ad esempio di "Enemies", "Ava of Death" o "All Shall Burn". Diciamo che l'idea di partenza poteva essere interessante e nel disco si possono ascoltare buone cose, però non ci sembra essere questa, almeno allo stato attuale, la dimensione ideale dove gli Eleine possano esprimersi al meglio delle loro possibilità.
Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 2022
Top 10 opinionisti -
Il moniker potrebbe far pensare ad una band italiana, ma i Sede Vacante sono invece un progetto formato dal chitarrista greco Michael Tiko. L'album di debutto, "Skies Infernal", era stato pubblicato nel 2016, ma nel frattempo la line-up si è parecchio rinnovata, con l'inserimento di una nuova cantante, Stephanie Mazor (francese, ma trapiantata in Finlandia), nonché del batterista Jannis K e del bassista Nick Gkogkomitros. Lo stile del gruppo è il classico Metal sinfonico con voce femminile, in questo caso non tanto operistica, quanto piuttosto abbastanza chiara e potente, ma ci sono fondamentalmente venature Gothic/Dark, con qualche innesto di synth elettronici, comunque in maniera abbastanza moderata e non troppo invasiva. Il sound, dunque, è in linea di massima abbastanza potente e magniloquente, come risulta già dalle prime tracce quali "Mistaken" e "Dead New World", ma c'è anche una giusta dose di melodie, specialmente con dei refrain alquanto accattivanti: a tal riguardo, si mettono in evidenza, ad esempio, la title-track (unica canzone dove peraltro permangono voci maschili, a differenza del disco di esordio) o tracce come "Raindrops" e "Wheel Of Misfortune". Da segnalare la cover della celebre "Paint It Black" dei Rolling Stones della quale, nonostante sia probabilmente una tra le canzoni più coverizzate in assoluto, i Sede Vacante riescono a proporre una versione davvero molto personale e particolare. Nel complesso la band ellenica comunque non brilla particolarmente per originalità e tutto sommato si inserisce in un filone ormai alquanto consolidato, ma possiamo dire che le canzoni funzionano bene e il disco si fa ascoltare con piacere, quindi possono rappresentare senz'altro una valida alternativa per gli amanti del genere. Peraltro, tornando al moniker, qualche legame con l'Italia ci dev'essere, perché oltre ad avere una label italiana, la prima traccia s'intitola "Furia" e la band ha già annunciato che sta lavorando ad un terzo album, che sarà ispirato all'Inferno di Dante Alighieri: staremo dunque a vedere e nel frattempo attendiamo con sincera curiosità.
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