Opinione scritta da Daniele Ogre
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#1 recensione -
La storia dei francesi Catacomb è simile a quella di un bel po' di gruppi che abbiamo incontrato negli ultimi tempi, fatta scioglimenti, lunghe pause ed una definitiva ripartenza. I Nostri nascono infatti agli inizi degli anni '90, e prima di fermarsi nel 1994 fanno in tempo a rilasciare tre demo; secondo periodo di attività tra il '97 ed il 2003 con un solo EP, poi un nuovo stop con ripartenza - preceduta da due raccolte - nel 2018: ed è questa la volta buona. Dopo qualche singolo arriva lo scorso anno l'EP "Back to Unknown Kadath" e finalmente, a 33 anni dalla propria formazione, il primo full-length: "When the Stars Are Right", licenziato oggi da Xtreem Music. Passando subito alla musica, i Catacomb si profilano come una band dedita ad un Death Metal che punta soprattutto su un mix di atmosfere tetre ed un tasso tecnico alquanto elevato; coordinate stilistiche che i più scafati ricondurranno immediatamente da un lato a Timeghoul, Blood Incantation e Chthe'ilist, dall'altro in primis Morbid Angel (omaggiati con la conclusiva cover della mitica "Chapel of Ghouls") oltre che la vecchia scuola finnica (i "classici capisaldi" Demigod, Adramelech e compagnia). Basta poi dare anche solo uno sguardo ai titoli dei brani che compongono questa prima opera su lunga distanza dei Nostri per rendersi conto che le tematiche vertono sugli scritti di H.P. Lovecraft: "Servants of the Old Ones", "The Great Dreamer", "Black Goat" e "Crawling Chaos" sono abbastanza eloquenti, soprattutto l'ultimo che è anzi anche alquanto abusato. Va detto che "When the Stars Are Right" non è un disco immediato, ma anzi c'è bisogno di diversi ascolti per assimilarlo a dovere e riuscire ad entrare nei meandri delle sonorità imposte dall'act francese (che a quanto ci pare di capire è adesso ridotto ad un duo). A primo acchito i 3/4 d'ora di quest'opera sembrano passare lentamente ed è qui che entrano in gioco i successivi ascolti, in cui si comincia a prestare sempre più maggiore attenzione al "gioco" dei Catacomb, fatto di brutali accelerazioni, atmosfere che richiamano gli indicibili Orrori partoriti dalla mente di Lovecraft e passaggi tecnicamente eccelsi. Pezzi come "Waiting for the Stars" si concedono momenti di puro Avant-garde Death (vedasi la parte centrale ai limiti del 'demelichiano'), ma è ognuno dei brani che compongono la tracklist che risulta essere un continuo sali-scendi umorale che colpisce per la fluidità con cui i Catacomb assestano un colpo sempre diverso dal precedente. Una volta notati tutti questi particolari, ci rendiamo conto che la band transalpina ha messo sul piatto molto più di quello che ci si anche solo aspetterebbe, riuscendo a rilasciare - per quanto ci riguarda - un lavoro scevro da difetti e che con ogni probabilità è tra le migliori tre uscite di Xtreem Music in questi ultimi anni. Il nostro consiglio è quello di procurarsi di corsa "When the Stars Are Right" e, per l'appunto, dedicargli più di un ascolto con estrema attenzione. La perseveranza di Benjamin ed Anthony ha ripagato: ci sono voluti più di trent'anni, ma adesso i Catacomb si sono presentati con un biglietto da visita impressionante.
#1 recensione -
E' ormai innegabile che quando ci si trova davanti un lavoro marchiato Dark Descent Records si accenda immediatamente un marcato interesse; nel corso degli anni la label americana si è sempre più distinta per essere una delle più attente in assoluto nel scovare veri e propri gioielli setacciando nell'underground Death e Black Metal, arrivando oggi a presentare un'interessantissima band proveniente dalle ostili quanto affascinanti terre islandesi che fonde i due generi succitati: i black/death metallers Úlfúð, quintetto di Reykjavík che dopo un EP di debutto assoluto datato 2018 taglia il traguardo del primo full-length oggi - per quanto sia stato registrato nel 2020 - con questo "Of Existential Distortion". Un debut album contornato da atmosfere algide ed in cui i Nostri dimostrano di avere uno spiccato senso melodico; difatti, seppur si ritrovino passaggi più duri - à la Belphegor/Behemoth per intenderci - come nella conclusiva "Leviathan Dreams", ognuno degli otto pezzi che compongono la tracklist di "Of Existential Distortion" ha come trait d'union un incessante lavoro melodico delle chitarre, il tutto a rendere più arioso un sound solido e quanto mai diretto. Il rimando alla sfera più melodica del Black Metal e del Black/Death svedese è sotto gli occhi di tutti, eppure non ci ritroviamo davanti ad una semplice copia di gruppi come Necrophobic e Naglfar (in assoluto i primi due nomi che vengono in mente ascoltando gli Úlfúð), data la forte personalità della band islandese accentuata da un songwriting che appare ispiratissimo sin dai primi istanti dell'opening track "Where Strange Lights Dance"; è però la terza traccia dell'album, "Mockery Theatre", ad essere probabilmente il miglior esempio dell'enorme potenziale dei Nostri: riff taglienti uniti a melodie catchy che si stampano inevitabilmente nel cervello (discorso che, come dicevamo, si può estendere anche agli altri brani), arie ricche di pathos ed atmosfere glaciali pronte però in infuocate eruzioni di violenza; una perfetta analogia con le ostili terre islandesi insomma, d'altra parte Úlfúð è tradotto proprio con "ostilità". Altre canzoni non sono comunque da meno: già detto della più dura "Leviathan Dreams", colpiscono anche "Faceless" (la seconda metà del pezzo è semplicemente da urlo) e la lunga, meravigliosa "An Elegy to a Paradise Out of Reach", brano ammantato di malinconia ed una certa teatralità grazie ad un sapiente gioco di melodie ed atmosfere. Consiglio nostro è quelli di appuntarsi il nome degli Úlfúð, autori di una prova assolutamente soddisfacente con questo "Of Existential Distortion"; e trattandosi "solo" del primo album, siamo certi che i margini di crescita del combo islandese sono decisamente elevati. Poi quando sarà, non dite che non vi avevamo avvertiti!
#1 recensione -
Si può sostanzialmente dividere in due tronconi distinti e separati la lunga carriera dei brasiliani Anarkhon; una prima, a partire dalla formazione nel 1999, che vedeva i Nostri suonare un Death Metal classico quanto brutale - sulla scia di gruppi come Cannibal Corpse e Dying Fetus, per intenderci -; vi è poi il corso attuale cominciato nel 2020 con l'album "Phantasmagorical Personification of the Death Temple", in cui la band di São Paulo si è spostata decisa su di un Black/Death dai toni apocalittici e dalle orrorifiche atmosfere lovecraftiane. Una scelta a nostro avviso saggia e decisamente ben ponderata, visto che il livello qualitativo dei Nostri si è alzato esponenzialmente e che s'innalza ulteriormente oggi con l'uscita tramite Debemur Morti Productions di "Obiasot Dwybat Ptnotun", quinto studio album dell'act brasiliano e secondo del nuovo corso. L'impianto sonoro si basa su di un Death Metal che evoca gli Orrori Cosmici del Maestro di Providence, in cui cascate di riff corrono su di una sezione ritmica guidata da un drumming forsennato e tellurico. Gli Anarkhon non sono però la solita band che si rifà al sound di Incantation, Dead Congregation e compagnia: per quanto le fondamenta poggino sulle influenze dei suddetti, nel corso dell'abissale tracklist di "Obiasot Dwybat Ptnotun" troviamo diramazioni verso un Black/Death più contemporaneo, vedasi la caotica violenza che richiama veri e propri terroristi sonori come Impetuous Ritual o Teitanblood. Man mano che scorre la tracklist si ha la sensazione di respirare un'aria vieppiù rarefatta quanto malsana, in un susseguirsi di orrori lovecraftiani constantemente richiamati dall'operato dei Nostri; "Obiasot Dwybat Ptnotun" è né più né meno che un lavoro estremamente furioso che deflagra in inenarrabili invocazioni di pura malvagità, una serie di detonazioni senza soluzione di continuità che rendono quest'album via via sempre più claustrofobico. Nonostante la durata importante - quasi 55 minuti totali -, si arriva in fondo all'ascolto sempre più macabramente affascinati da quanto proposto dagli Anarkhon, seppur con un nemmeno poco vago senso di inquietudine. Il livello di tutti i brani è decisamente elevato, tanto che è compito arduo sceglierne uno o più a titolo esemplificativo: i due singoli - le due tracce d'apertura - possono essere un buonissimo primo approccio, ma altrettanto ottimi - e forse anche un filo superiori - sono pezzi come "The Devourer of Eons Manipulates the Inanimate Puppet Called Man" e la conclusiva "Only Being in a State of Total Delirium Will You Be Able to Pronounce the Name of the Unfathomable Nightmare" con la sua primordiale violenza, ma poi così si lascerebbero fuori "Whispering the Mantra of Death in Horrendous Ecstasy" con la sua parte finale a dir poco sensazionale o la seguente "The Colossal Deformed Hallucination Distort and Violates the State of Entropy", che di contro ha un lungo incipit - circa due minuti - che è forse il migliore del disco. O ancora "The Aura of Extinction" e "Dissolution of the Firmament Through the Wrath of Spectral Emanations", in cui quasi a sorpresa troviamo soluzioni melodiche che all'interno di un disco tanto tetro quasi spiazzano. Come dicevamo all'inizio di questa recensione, il cambio di sonorità ha solo giovato al trio brasiliano, passato dall'essere uno dei tantissimi gruppi Death Metal né carne né pesce al diventare uno dei più interessanti act nella sfera più cupa ed apocalittica del Black/Death, tanto da mettersi alle spalle, a nostro avviso, anche gruppi decisamente più blasonati. Assolutamente promossi e da seguire con estrema attenzione in futuro.
#1 recensione -
Dopo circa un anno e mezzo torniamo a parlare dei canadesi Expunged, che con questo nuovo "Visions of Agony" portano in dote un ennesimo carico di old school Swedish Death Metal dalle terre dell'Ontario. Qualche novità, seppur non musicalmente, la troviamo: da "Into Never Shall" si denotano il cambio di etichetta (da Hells Headbangers alla canadese CDN Records) ed un nuovo batterista (Kaedes al posto di K.F.). Per il resto troviamo gli expunged esattamente dove li avevamo lasciati, ossia con crude sonorità derivanti soprattutto dagli albori della vecchia scuola Death Metal svedese: non a caso oltre i Dismember si possono menzionare come influenze dei Nostri altri grandi veterani come Grave, Carnage e Nihilist. Il punto è che anche il livello medio qualitativo dell'operato degli Expunged è esattamente quello che ricordavamo dal precedente lavoro: sufficiente, nulla di più. Il trio di Ottawa sa come suonare questo genere, seguendo però solo gli insegnamenti dei summenzionati gruppi; manca insomma quel guizzo in più che potrebbe rendere più interessante la proposta dei Nostri. Qualche passaggio degno di nota qua e là lo si riesce anche a trovare, ma in generale "Visions of Agony" ha tutti gli elementi per essere uno di quei lavori che ascolti, riponi sullo scaffale e poi te ne dimentichi fino a che non ti ci ricade l'occhio su. Insomma, come dicevamo: sufficiente (ed appena), ma niente di più.
Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 2023
#1 recensione -
Quando nello scorso dicembre recensimmo "The Final Plague" dei deathsters svedesi Death Reich, titolammo: "Secondo EP in due anni per i Death Reich: tempi maturi per un primo full?". Tre mesi dopo è la stessa band scandinava a risponderci: sì. Sempre tramite Non Serviam Records, infatti, la Death Metal band formata da membri ed ex membri di Runemagick, One Man Army and the Undead Quartet, Sacramentum e Grief of Emerald lancia il suo primo lavoro su lunga distanza: "Disharmony". Squadra che vince non si cambia, si dice di solito, ed infatti i Nostri tornano con una formazione consolidata ed un approccio diretto e sfrontato che segue perfettamente quanto abbiamo potuto ascoltare nel precedente EP. Il Death Metal dei Death Reich, infatti, punta tutto su una certa brutalità che rimanda chiaramente a gente come Vomitory e Bloodbath, cui aggiungono qua e là patterns che richiamano il granitico Death'n'Roll stoccolmese. Undici tracce - dieci più la title-track che è un'intro strumentale - per poco più di mezz'ora di puro Death Metal brutale scandinavo: è questo sostanzialmente il modo migliore per riassumere il debutto su lunga distanza dei Death Reich. E certo, ovviamente c'è da parlare di un riffingwork roccioso ed una sezione ritmica arrembante, così come di alcune soluzioni che per quanto estreme riescono ad essere al contempo catchy - la parte centrale dell'ottima "Dissimulation" -. "Disharmony" è uno di quei lavori tutto muscoli ed adrenalina che non concede un singolo attimo di respiro all'ascoltatore, avvolgendolo in un marasma di violenza sonora tout court che passa dagli altri singoli "World War" ed "Oblivion", così come per "Hysteria", "Suffocation" fino a chiudere la frenetica cavalcata con l'outro (sempre strumentale) "The Death of the Peace of Westphalian". Debut album solido per i Death Reich, che compensano la (solita) mancanza di originalità con un lotto di brani altamente funzionali il cui ascolto procede spedito senza il minimo intoppo. Per i fans di certe sonorità, un ascolto più che consigliato.
#1 recensione -
Ci hanno messo circa trent'anni, ma alla fine sembra proprio che abbiano finalmente ingranato i tedeschi Mystic Circle, che dopo una carriera a singhiozzo e un po' sepolti nelle retrovie - nonostante i cultori avessero sempre l'obiettivo puntato anche su di loro - arrivano a pubblicare il secondo album in due anni: un giro di calendario dopo l'album omonimo che li ha visti debuttare sotto la potente ala di Atomic Fire Records, il duo teutonico si è spostato su Fireflash Records - label sussidiaria proprio di Atomic Fire - e torna con "Erzdämon", nono studio album per i Nostri. Come per il precedente lavoro, i Mystic Circle non pretendono d'inventare nulla di nuovo, ma anzi ci regalano un ennesimo lavoro che per sonorità si muove con fluidità tra la frangia più melodica del Black/Death svedese (Naglfar, Old Man's Child, Dissection) ed un glaciale Symphonic Black nordico (Dimmu Borgir, Bal-Sagoth, ma anche Agathodaimon o Graveworm). La formula stilistica rimane dunque inalterata, con un riffingwork decisamente di matrice melodic Black/Death supportato dall'immancabile lavoro atmosferico di tastiere, il tutto condito da un drumming forsennato ed adrenalinico che scandisce ritmi infernali. Ed alla fine, va bene così: "Erzdämon" è un album che scorre liscio grazie ad un songwriting ispirato ed a suo modo, per l'appunto, vario, grazie questo anche ad un buon tocco di classico Heavy Metal che fa capolino durante le parti soliste, momenti che danno una certa varietà all'operato della band tedesca senza però mitigarne la furia intrinseca. Già l'accoppiata iniziale "Erzdämon (Part 1)" & "From Hell" lascia ben pochi spazi a dubbi su cosa ci si dovrà aspettare dai 3/4 d'ora abbondanti di quest'opera, con i Mystic Circle che convogliano tutte le loro energie sull'unico obiettivo di caricare a testa bassa, concedendo ben pochi attimi di pausa. Magari qui e lì si sarebbe potuto snellire qualcosa, ma in ogni caso ci ritroviamo con pezzi come "Unholy Trinity", "Asmodeus and the Temple of God" e "Welcome to the Midnight Mass" che certificano a nostro avviso la buona riuscita di quest'album. Dopo una lunghissima prima parte di carriera passata in sordina, i Mystic Circle sembrano aver finalmente trovato la quadratura del cerchio, premiando la perseveranza di Graf von Beelzebub e Aaarrrgon (o A. Blackwar, come preferite). Un approccio feroce, le maligne melodie e la maestosità dei passaggi orchestrali consentono ai Mystic Circle di strappare con grande facilità un voto finale soddisfacente.
#1 recensione -
Secondo full-length per i Kruelty, band giapponese formatasi nel 2017 e che si è fatta largo negli interessi degli appassionati di Death Metal a suon di demo e split, più ovviamente il debutto su lunga distanza del 2019, "A Dying Truth". A certificare la bontà della proposta del quintetto di Tokyo, il fatto che abbia subito attirato l'attenzione di una delle massime garanzie in quanto a Metal estremo: Profound Lore Records, che si occupa della distribuzione anche di questo nuovo "Untopia", album in cui i Kruelty mettono in campo quella che è sempre stata la loro peculiarità sin dagli esordi, ossia un pesante e feroce ibrido che mette insieme il Death/Doom della vecchia scuola (Coffins, Cianide, Asphyx) a massicce dosi di Beatdown Hardcore (Xibalba, Outer Heaven, Creeping Death, la scena HC dell'East Coast nipponica...), con quest'ultimo elemento che prende più il sopravvento rispetto al passato. Ne consegue un disco che seppur mantiene una certa ruvida pesantezza di fondo, mostra il suo lato più muscolare fatto di accelerazioni hardcoreggianti ed una visione d'insieme delle tematiche ancor più nichiliste. Ed immaginiamo che questa cosa sia da prendere come un preciso obiettivo dei Nostri: quello di mostrarsi ulteriormente cresciuti sia sul piano compositivo che su quello dell'esecuzione e prepararsi al meglio alla loro "invasione dell'Occidente" - sono infatti già pianificati tour che porteranno i cinque portatori di violenza sonora in Europa e Nordamerica -. Non bisogna farsi ingannare però, perché i loro momenti dall'incedere ieratico e pachidermico i Kruelty se li sono comunque riservati (la parte finale di "Harder than Before" ad esempio), dando un ancor maggiore senso di varietà alla propria proposta. In mezzo alle loro visioni di odio e distruzione si staglia il monolite rappresentato da un comparto strumentale che sembra sempre sul pezzo, qualsiasi sia la velocità d'esecuzione del dato momento; esempio più lampante è l'ottovolante a titolo "Burn the System", i cui sali-scendi di tempi e toni sono la perfetta fotografia dei Kruelty di oggi. Con "Untopia" possiamo affermare senza dubbio che i Kruelty abbiano voluto mostrare a tutti la loro personalità, dovuta proprio a questo sapere unire alla perfezione due correnti stilistiche così differenti. Con queste premesse, chi avrà la possibilità di vederli prossimamente in tour avrà sicuro di che divertirsi.
#1 recensione -
Inizio di 2023 decisamente prolifico sul piano qualitativo per la messicana Chaos Records: dopo il buonissimo debutto dei Cadaver Shrine, l'etichetta Death Metal locata in Macuspana torna alla carica con un'altra ottima produzione nel segno dell'old school; e si tratta anche in questo caso di un debut album: "Lamentation of Immolated Souls", primo full-length dei Sepulcrum, band che conferma ulteriormente lo stato di grazia che sta vivendo la scena estrema cilena in questi ultimi tempi. I Sepulcrum con questa prima opera su lunga distanza confermano le buone impressioni suscitate con l'EP d'esordio "Corpse Dividing Holes" - uscito tre anni or sono -, caricando a testa bassa con un old school Death Metal che molto deve agli insegnamenti tratti dai primissimi lavori di Morbid Angel e Deicide, con soventi 'cavalcate' Death/Thrash che richiamano subito alla mente tanto i Pestilence quanto i Death... degli esordi, ovviamente. Bastano comunque le sole due tracce d'apertura "Orbital Teratoma" e "Schizophrenic Amputation" per rendersi immediatamente conto che i quattro ragazzi di Puerto Montt hanno studiato a fondo soprattutto "Altars of Madness" e "Blessed Are the Sick", come si può evincere sia dal forsennato drumming, sia dalle bordate di malignità portate senza soluzione di continuità da un riffingwork tagliente e dal mood decisamente sinistro. Ma c'è anche il classico "MA!", e nella fattispecie: ma queste sono solo le fondamenta su cui si basa tutta la struttura del sound dei Sepulcrum: i rimandi ci sono - e sono anche palesi - ma i Nostri scelgono una strada un po' più impervia ma che porta decisamente i suoi frutti, ossia quella di puntare ad una maggiore stratificazione dei brani che mette in mostra una sagacia compositiva forse anche un po' inaspettata, trovandoci di fronte ad un debut album; vero che la militanza presente e passata in un'ottima band estrema dai toni Progressive come gli Hallux Valgus ha per certi versi 'dato una mano', ma resta comunque il fatto che sulla solida impalcatura di un vischioso Death Metal della vecchia scuola US, i Sepulcrum hanno saputo come inserire interessanti variazioni - prendete la parte centrale di "Legion's Mandate ad esempio -, riuscendo a donare ai propri pezzi un'atmosfera lugubre e quanto mai cattiva. Tirando le somme, possiamo tranquillamente dire che con "Lamentation of Immolated Souls" i Sepulcrum superano agevolmente il duro esame del primo full-length, consegnandoci un lavoro che si lascia ascoltare con sempre più crescente entusiasmo man mano che si dispiegano i 38 minuti di durata totale. Album cui consigliamo caldamente l'ascolto; ed una band da non sottovalutare affatto.
Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 2023
#1 recensione -
Come già detto in passato, se si vuole tastare il polso della scena underground tedesca è sicuramente buona cosa seguire le uscite di MDD Records e della sua sussidiaria Black Sunset. Parliamo oggi dei Dismended, quartetto teutonico di Wesel fino ad oggi a noi sconosciuto ma che ha alle spalle già quattordici anni di carriera e tra album, di cui l'ultimo è il qui in esame "The Vision". Dieci tracce - tra le quali l'intro strumentale "A Melting Words" - per quasi 3/4 d'ora di Death/Thrash in cui possiamo trovare con relativa facilità elementi provenienti dalla scuola Death/Thrash centroeuropea (Vader su tutti) e da quella Death anglo-scandinava (sono segnalati nelle note informative Benediction ed Unleashed). E' uno stile dunque decisamente roccioso quello dei Disminded: i Nostri sembrano prediligere soprattutto un approccio vicino ai torni marziali della scuola britannica ("Nightmare", ad esempio), non disdegnando però veloci sfuriate dal sapore Death'n'Roll, mostrando in primis la grande dinamicità della sezione ritmica, mentre le chitarre di Auer compiono egregiamente il loro lavoro con una serie di granitici riff che riescono ad avere quel tocco catchy che non guasta affatto. In sostanza, con questo loro "The Vision" i Disminded ci offrono un lavoro che di certo non farà gridare al miracolo, ma di sicuro può essere del buon intrattenimento se siete amanti di queste specifiche sonorità; le composizioni appaiono sicuramente solide ed offrono taluni spunti interessanti come il singolo "Unleash Hate" e la battagliera "World War 3". Un unico appunto che si può fare: una sforbiciatina alle due tracce finali "The Cult" e "New God Rising" avrebbe maggiormente giovato all'economia generale dell'album, visto che rendono un filo prolisso il finale di disco. In generale, "The Vision" è un album da sufficienza piena, raggiunta dai Nostri con grande facilità
#1 recensione -
Dopo esserceli goduti live la scorsa estate (almeno il sottoscritto e chiunque sia stato alla scorsa edizione del Frantic Fest in Abruzzo), tornano con una nuova release i deathsters turco-danesi Hyperdontia, a due anni dall'album "Hideous Entity", che a nostro avviso ne certificava la crescita sia a livello compositivo che d'esecuzione, il quartetto che si divide tra Copenhagen ed Istanbul pubblica un nuovo EP di quattro pezzi per poco meno d'una ventina di minuti totali a titolo "Deranged", licenziato da vere e proprie garanzie come Dark Descent Records (formato CD) e Me Saco un Ojo Records (formato LP), mentre del formato Tape se ne occupa la danese Desiccated Productions, etichetta di proprietà del bassista dei Nostri, Malik Çamlıca. E ritroviamo gli Hyperdontia a fare quel che sanno meglio: mazzolare senza pietà. Con un comparto strumentale solido fondato su ritmiche serrate ed un riffingwork roccioso, i Nostri come sempre non offrono nulla di così particolarmente originale, ma si può in ogni caso constatare come sul piano compositivo l'act turco-danese non si sia seduto sugli allori di "Hideous Entity", come dimostra un brano come il singolo "Deluded", ad oggi uno dei migliori pezzi loro che abbia potuto ascoltare. Il resto della breve tracklist non è ovviamente da meno, ed anzi possiamo tranquillamente affermare che una canzone come "Gagging in Convulsion" in sede live non farà sicuramente prigionieri, vuoi anche per una parte centrale estremamente dinamica in cui convogliano una parte solista che ha quasi un sapore Swedish che confluisce in un pesante rallentamento da mettere a dura prova i colli di chicchessia. Col passare del tempo, gli Hyperdontia si affermano sempre di più come una delle realtà più interessanti della non poco affollata scena Death Metal danese, cosa questa non del tutto scontata.
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