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Opinione scritta da Daniele Ogre

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Opinione inserita da Daniele Ogre    13 Mag, 2024
#1 recensione  -  

Devo ammettere che avevo totalmente rimosso dalla memoria gli svedesi Putrified, progetto solista di A. Death (già negli Infuneral); l'act scandinavo era in effetti silente dal 2016, quando uscì l'EP "The Flesh. The Scythe. The Tomb.", quello che a tutti gli effetti fu un esperimento per i Putrified: l'unico lavoro con una line up vera e propria. Oggi da quella formazione rimangono Grave e Crypt, all'epoca chitarrista e batterista ed oggi solo addizionali, con A. Death che in questo primo full-length torna ad occuparsi delle voci e di tutti gli strumenti. Licenziato da Godz ov War Productions, "Death Darkness Decay" è composto da dieci tracce, ma come potete vedere nelle informazioni riportate qui sopra, alcuni pezzi sono uniti in un'unica traccia portando la tracklist a sei. Musicalmente A. Death resta fortemente legato alla vecchia scuola, con sempre presenti sonorità a cavallo tra il Death/Thrash dei primissimi lavori di Death e Merciless, il marciume sonoro degli Autopsy ed il Death/Grindcore dalle forti attinenze Punk/Hardcore dei Repulsion, anche se possiamo sentire in quest'opera partiture che approdano in lidi Black Metal (Pest, Craft, Urgheal...), che assumono valenza sempre più importante con lo scorrere dell'album. Possiamo dunque dire che il sound dei Putrified si sia ulteriormente estremizzato rispetto alle uscite precedenti, che tra l'altro già di per sé funzionavano; ma quello che possiamo ascoltare in "Death Darkness Decay" sembra essere a tutti gli effetti la "forma definitiva" di questo progetto: A. Death sembra muoversi particolarmente a proprio agio in queste rasoiate Black/Death. Un lavoro brutale in cui i Putrified sono votati all'assalto frontale senza soluzione di continuità, concedendosi qualche divagazione melodicamente luciferina - anche questo mutuato dalla scuola Black Metal svedese - e passaggi atmosfericamente profani che richiamano un po' i nostri Mortuary Drape. "Death Darkness Decay" è, dal nostro punto di vista, un lavoro ampiamente sufficiente che ha bisogno magari di qualche ascolto in più per poter essere apprezzato in tutto e per tutto. Insomma, fossimo in voi una chance al ritorno di A. Death e dei suoi Putrified lo concederemmo!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    13 Mag, 2024
#1 recensione  -  

Togliamo subito ogni dubbio: "Moribundis Grim" non è un nuovo album dei Necrophagia; è un'uscita postuma, una raccolta di demo di alcuni pezzi rimasti incompiuti per la morte del mastermind Killjoy ripresi dall'ultima line up della band Death Metal americana a cui si sono aggiunti alcuni ospiti tra ex membri degli stessi Necrophagia - Titta Tani (Claudio Simonetti's Goblin) e Mirai Kawashima (Sigh) - e non - John McEntee (Incantation) e Dee Commisso -. Nella mezz'ora di questo disco uscito per la romana Time to Kill Records c'è un po' l'essenza dei Necrophagia; a partire dall'amore per i B-Movie e la filmografia horror, come testimoniano le cover di Walter Rizzuti (il tema di Quella Villa Accanto al Cimitero) e Samhain ("Halloween 3") o le strumentali "Scarecrows" e "Sundown", in cui ruolo da protagonista lo hanno delle tastiere dal sapore orrorifico. Ci sono poi tre inediti rimasti nel cassetto sino ad ora: la title-track, le cui parti vocali sono state completate da John McEntee, "Bleeding Torment" e "Mental Decay", tutti pezzi che stilisticamente seguono la scia di "WhiteWorm Cathedral", l'ultimo effettivo album di Killjoy e soci, con gli ultimi due che a livello di produzione hanno suoni effettivamente da demo. Chiude poi la tracklist una versione live registrata nel 2017 del singolo "The Wicked". Un'operazione, quella di Necrophagia e Time to Kill Records, atta a svuotare i cassetti dal materiale di Killjoy rimasto inascoltato, un piccolo e doveroso omaggio per un'artista da sempre visto come una delle figure principali dell'underground Death Metal mondiale. Insomma, per quanto ci riguarda una buona operazione. A patto però che sia l'ultima.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    13 Mag, 2024
#1 recensione  -  

L'EP d'esordio omonimo dei britannici Vaticinal Rites - uscito tramite Caligari Records e Redefinign Darkness Records - fu favorevolmente accolto su queste pagine; a tre anni di distanza il quartetto londinese si accasa con la nostrana Everlasting Spew Records per il rilascio lo scorso fine settimana di "Cascading Memories of Immortality", primo full-length per la band inglese che è nel frattempo divenuta un quintetto con l'ingresso ufficiale in formazione del bassista Stephen Pickles. Diciamolo subito: questa prima prova su lunga distanza dei Vaticinal Rites non brillerà affatto per originalità, anzi... Il loro è un Death Metal fortemente legato alla più classica tradizione floridiana: Morbid Angel, Monstrosity e Deicide sono influenze facilmente riscontrabili nell'operato dei Nostri, così come una certa venatura à la Vital Remains in quei passaggi tecnicamente più complessi ed un'accurata ricercatezza di sinistre melodie che riescono a dare una sensazione di varietà ed un più ampio respiro alle composizioni. Nel complesso, comunque, questo debut album funziona: i pezzi appaiono solidi e grazie anche ad una durata complessiva abbastanza contenuta possiamo vedere come i Vaticinal Rites badino all'essenziale; hanno dalla loro un buonissimo livello tecnico (basta sentire anche la sola "Bowels of Gargantua"), ma non una singola volta li ritroveremo a strafare. Va da sé, buona parte della buona riuscita di "Cascading Memories of Immortality" va senza dubbio ascritto all'ottimo lavoro delle chitarre di Chris Cleovoulou e Andreas Yiasoumi, che tra riffoni corposi, sprazzi melodici ed assoli al fulmicotone non concedono requie ottimamente supportati dal chirurgico drumming di Max Southall (Vacuous, Hellripper). Tutti i brani qui presenti sono di buona fattura, ma oltre alla già citata "Bowels of Gargantua" si fanno segnalare "Siphoning Plasma from the Gods" - la migliore del lotto con "Bowels..." - ed il tellurico singolo "Corporeal Affliction". "Cascading Memories of Immortality" è insomma una buonissima aggiunta al già nutrito catalogo di Everlasting Spew Records; un lavoro che saprà appassionare dal primo ascolto i die hard fans del Death Metal di stampo floridiano, oltre che di certo Death europeo (Sinister et similia). Un esordio su lunga distanza soddisfacente per l'act londinese: se accettate un consiglio, dategli un ascolto.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    10 Mag, 2024
#1 recensione  -  

Ed eccoci qua, quattro anni dopo, a parlare di nuovo dei Six Feet Under, freschi di uscita con il loro diciottesimo album - se contiamo anche i vari "Graveyard Classics" - "Killing for Revenge", la cui distribuzione è affidata nuovamente a Metal Blade Records. Ora, non so voi ma il sottoscritto ha ancora impresso nella memoria quell'obbrobrio di "Nightmares of the Decomposed", che a distanza di - per l'appunto - quattro anni ritengo ancora essere il peggior disco che abbia mai ascoltato in vita mia per qualità generale della musica e per produzione. Capirete dunque che ho letteralmente sudato freddo approcciandomi a questa nuova opera di Chris Barnes e soci... ma fortunatamente peggio di "Nightmares of the Decomposed" è umanamente e scientificamente impossibile e difatti i Six Feet Under tornano con un lavoro che sì, complessivamente è mediocre, ma che per lo meno si staglia ben al di sopra del proprio predecessore. In primis la produzione è più pompata e già con questo arriva un mezzo sospiro di sollievo; ci sono poi i musicisti che si ricordano di ciò che hanno fatto anche in passato, e ci ritroviamo così con pezzi in cui vengono messe da parte quelle schifezze di velleità Groove per un approccio più diretto, brutale e maggiormente improntato su di un accettabile Death'n'Roll. Jack Owen e soci si ricordano insomma che nel Death Metal si possono anche aumentare i giri del motore e procedere spediti e per quanto si cada spesso nella ripetizione fine a sé stessa ("Ascension"), passaggi fin troppo semplicistici ed altri invero bruttini (in "Accomplice to Evil Deeds" c'è un momento che mi ha ricordato la sigla di un cartone animato, anche se non riesco a focalizzare di quale si tratti), c'è anche qualcosa che - incredibile a dirsi! - possiamo anche salvare, come l'opener "Know-Nothing Ingrate"! Il riffingwork sarà anche fin troppo essenziale, ma almeno non è spompo come quell'incubo di quattro anni fa, in più troviamo un Marco Pitruzzella che pesta a dovere dietro le pelli. Arrivati a questo punto vi starete certamente chiedendo: "Sì, ma Chris Barnes?"; ragazzi miei, Chris Barnes ha superato da un bel po' il tempo in cui doveva probabilmente pensare alla pensione. Il suo growl appare sempre più stanco e scialbo, senza verve, monocolore... Sembra sinceramente che svolga il proprio compito senza manco la voglia di sforzarsi. Insomma, non siamo ai livelli di "Nightmares of the Decomposed" - e meno male, perché quell'album è stato un disastro sotto ogni punto di vista -, ma "Killing for Revenge" è in ogni caso un lavoro al massimo mediocre, affossato ulteriormente da un cantante/leader che non ha più nulla da dare da anni. Alla luce anche di quello che ancora ci regalano altri veterani come Cannibal Corpse e Dying Fetus, non trovo un motivo che sia uno per perdere tempo ad ascoltare ancora i Six Feet Under. Spiace essere così categorico, ma è la verità dei fatti.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    10 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 10 Mag, 2024
#1 recensione  -  

Quella dei nostrani Syk è stata una prima parte di carriera in costante ascesa: forti di sonorità forse a non tutti digeribili ma portate avanti con estro e, diciamolo, una gran classe, i Nostri hanno trovato il proprio culmine nel 2022 con l'uscita di "Pyramiden" sotto la potente ala di Nuclear Blast. Però proprio dopo l'uscita di "Pyramiden" i Syk hanno dovuto far fronte all'uscita della band del batterista Mauro Maraldo e, soprattutto, della cantante Dalila Kayros, vero valore aggiunto della loro proposta sino a quel momento grazie ad uno stile difficilmente incanalabile, il più classico "o la si ama o la si odia". Bravura dei Syk in questo frangente è stata quella di sapersi reinventare praticamente del tutto: il fondatore e leader Stefano Ferrian ha preso anche il ruolo di cantante, ed a questo si aggiungono gli ingressi del bassista Alan La Roca e del batterista Federico Leone. A partire da lì i Syk hanno composto nuovo materiale, spostando del tutto lo spettro delle loro sonorità: del Progressive/Djent estremo e moderno - con aperture Ambient - dei primi lavori c'è ora solo qualche accenno ogni tanto, con i Nostri che non hanno rinunciato alla corposità delle chitarre otto corde e ad un certo groove meshugghiano, ma oltre questo possiamo tranquillamente dire che il loro quarto album "eartHFlesh" è un disco Death/Black Metal in tutto e per tutto. La loro vena sperimentale non si è esaurita per nulla, solo che i movimenti avanguardisti dei Syk guardano ora a colossi come Ulcerate e Gorguts, mentre le strutture tetragone di riff e ritmiche possono facilmente rimandare all'operato di Behemoth e Septicflesh o, ancor meglio, dei norvegesi Vredehammer. Insomma, non abbiamo più quell'aura avanguardista e caratteristica dei primi lavori - vuoi appunto soprattutto per l'assenza di Dalila alla voce -, ma ci ritroviamo per le mani un disco Death Metal invero brutale e votato alla violenza sonora più primordiale, sorretto da divagazioni melodiche stranianti, imponenti dissonanze ed un approccio quanto mai diretto e - scusate la ripetizione - brutale. Eppure "eartHFlesh" comincia con dei delicatissimi vocalizzi femminili, prima che il tutto volga in visioni da incubo e violenza smodata: "I Am the Beast" è solo un antipasto, dato che subito dopo arriva una tripletta di tutto rispetto con le malevoli "Where I Am Going There Is No Light" (già il titolo è tutto un programma) ed "I'll Haunt You in Your Dreams" (stesso discorso della precedente) cui segue la title-track perfetto manifesto dei nuovi Syk, più cupi, più estremi, ma sempre con quella vena sperimentale che è ormai un loro marchio di fabbrica. E se "The Sermon" si apre con un lungo incipit che può sembrare una versione estremizzata e sotto steroidi dei Gojira prima di trasformarsi in un pezzo che 'deathizza' - passateci il neologismo - le partiture sghembe dei Meshuggah, con "the Cross" e "For to Tehmselves I Left Them" torna quel mix Behemoth/Septicflesh/Vredehammer + Ulcerate/Gorguts che colma l'intera opera, con la chiusura affidata a "The Passing", in cui di nuovo una delicata voce femminile trae in inganno prima delle ultime bordate da incubo dell'album. Chi ha apprezzato i primi lavori dei Syk, probabilmente si ritroverà estremamente straniato dall'ascolto di "earTHflesh": di quei Syk non rimane che un'eco sullo sfondo; la loro musica rimane complessa e necessita di più ascolti per essere apprezzata a pieno, ma è altresì vero che se non siente abituati a certe empie sonorità Death/Black oscure e mefistofeliche non c'è numero d'ascolti che tenga. Dal canto nostro, vuoi anche per meri gusti personali, troviamo questo ritorno - e reinventarsi - dei Syk particolarmente riuscito.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    09 Mag, 2024
#1 recensione  -  

I celeberrimi Peaceville Three (Paradise Lost, Anathema, My Dying Bride) hanno nel corse degli anni influenzato centinaia e centinaia di bands, è pacifico; una delle ultime realtà in ordine temporale a seguire questa scia Doom/Death sono i tedeschi Moon Incarnate, band di recente formazione composta da Matin Vasari (Beyondition) e Christian Kolf (Valborg, Owl), a cui si è poi aggiunto prima come session e poi come membro effettivo il batterista americano Peter Scartabello (Sky Shadow Obelisk). Prodotto da Iron Bonehead Producions, "Hymns to the Moon" è il primo full-length - e debutto assoluto - per i Moon Incarnate: poco più di mezz'ora di Doom/Death mesto e dalle gotiche arie decadenti, fortemente legato a quelle sonorità dei primissimi anni '90 dei succitati Peaceville Three, ma anche di Amorphis, Tiamat, Samael e Moonspell dei loro primissimi lavoro Gothic Metal. Quelle che i Moon Incarnate offrono, insomma, sono sonorità Doom/Death dei primordi, in cui un rabbioso growl è solo un contorno rispetto all'aspetto più decadente e teatrale di un'opera interamente ammantata di un grigio tenebroso. "Hymns to the Moon" è un album che sì, probabilmente non offrirà nulla di nuovo, ma in cui possiamo constatare un'accurata ricercatezza ed una cura maniacale di ogni minimo dettaglio: dalle onnipresenti plumbee atmosfere ad una produzione 'secca', tutto in questo disco dà quell'idea di primi anni dei 90's, quasi come se si stesse ascoltando un lavoro proveniente da quell'epoca andato disperso per trent'anni. I due singoli apripista sono un buon viatico per cominciare a farsene un'idea, ma crediamo sinceramente che i fans duri a morire di queste sonorità - specie se della primissima ora - troveranno in pezzi come "A Knight's Death" e "Minotaur", o comunque più in generale con l'intero lavoro, pane per i loro denti. Un po' nostalgico magari, ma di sicuro effetto: dal canto nostro, buona prova per i Moon Incarnate.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    09 Mag, 2024
#1 recensione  -  

Negli ultimi tempi c'è un certo ribollire magmatico nel sottosuolo estremo portoghese; abbiamo potuto ascoltare e recensire diverse nuove realtà lusitane di sicuro impatto e certamente interessanti, ed a questi nomi dobbiamo necessariamente aggiungere quello dei Chapel of Samhain, duo formato da membri di Grog e Nethermancy al debutto assoluto direttamente con questo full-length a titolo "Black Onyx Cave" uscito lo scorso marzo su Nuclear Winter Records. E già solo che per lanciare questa release ci abbia messo mano mr. Anastasis Valtsanis dei Dead Congregation dovrebbe accendervi più di una lampadina, ma se ciò non bastasse ci pensano i due artisti di Lisbona a spazzare via ogni dubbio con una doppietta iniziale di pezzi di tutto rispetto come la debordante e brutale "Charnel" e la più funerea - ma altrettanto maligna - "Flesh". Con i Chapel of Samhain ci troviamo nei territori di un Black/Death Metal spietato in cui non c'è spazio per tecnicismi di sorta od orpelli ad abbellire la proposta: Cruciamentum ed Imprecation sono i primi nomi che saltano all'occhio - o meglio, all'orecchio - nei passaggi più prettamente deatheggianti dell'opera, a cui si uniscono patterns che rimandano immediatamente ad uno dei più feroci gruppi Black/Death in circolazione oggi, i Profanatica, vuoi per i riff e le ritmiche serrate che per un uso intelligente delle tastiere. "Black Onyx Cave" è però più di violenza sonora e furia cieca: i vorticosi riff sono il perno centrale di una struttura solidissima su cui poggiano un lotto di brani mefistofelici, in cui l'aura di minaccia e malignità risulta essere ancor più accentuata quando appaiono empie tastiere come in "Delirium". Come la Caverna di Onice Nero del titolo, in quest'opera prima dei Chapel of Samhain non c'è il benché minimo sprazzo di luce: solo la più totale oscurità ed una discesa verso profondi abissi di morte. Niente male come debutto!

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Opinione inserita da Daniele Ogre    09 Mag, 2024
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EP d'esordio autoprodotto per una band di cui sentiremo sicuramente parlare in futuro: si tratta degli australiani Tenebrific, duo formato da Cris Bassan (Decrepid) alla voce ed Adam Martin (Golgothan Remains) alle chitarre, a cui si è aggiunto in quest'opera come session il batterista Robin Stone (Ashen Horde, Norse). "Labyrinth of Anguish" - questo il titolo - è composto da tre lunghi brani per una durata totale di poco superiore ai 20 minuti in cui vediamo la band di Syndney alle prese con un Blackened Dead dai toni apocalittici e le atmosfere mortifere, in un mix tra la furia di Grave Miasma e Sepulchral Curse e le arie tecnico-avanguardiste di Ulcerate, Deathspell Omega e, soprattutto, Ulthar. Seppur composto da soli tre pezzi, si ha bisogno di diversi attenti ascolti per entrare nelle intricate trame di questo EP che raggiunge il proprio culmine con il singolo "Tormenting Shadows": nei suoi quasi 10 minuti si attraversano tutti gli spettri di colori cupi dati dai Tenebrific alle proprie composizioni, tra passaggi che richiamano certo Avant-garde Metal estremo tra Ulcerate e Deathspell Omega e brutali passaggi Black/Death, in un vortice sonoro violentemente atmosferico. "Harmony ov Suffering" e "The Final Offering" sono anch'essi ottimi pezzi che completano un affresco mortale tra varie tonalità di grigi e neri. Un biglietto da visita di cui tenere estremamente conto questo "Labyrinth of Anguish"; se i Tenebrific rispetteranno le promesse, con questo EP abbiamo assistito alla nascita di una nuova potenza nella scena estrema australiana.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    09 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 09 Mag, 2024
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Come si evince già dal titolo "Whispered Morbidity & Exhumed Remnants" è una raccolta pubblicata circa un mese fa da Chaos Records che racchiude il demo d'esordio ("Exhumed Remnants") ed il seguente EP ("Whipsered Morbidity") dei deathsters americani Degraved. Provenienti da Seattle - e quindi concittadini degli appena sciolti Cerebral Rot - i Nostri racchiudono in un'unica uscita tramite la label messicana i primissimi ruggiti della loro carriera; operazione che consideriamo da par nostro abbastanza saggia, in modo da poter fare un rapido excursus (poco più di mezz'ora) su quanto fatto sinora dalla band statunitense, in vista di una prossima uscita che si spera magari possa essere il primo full-length. Conoscendo il tono delle release di Chaos Records e vedendo quale sia la provenienza geografica dei Degraved, facile intuire che l'allora quartetto (da quella formazione manca oggi il batterista Simon Coseboom, n.d.a.) sia dedito ad un Death Metal della vecchia scuola a cavallo tra sonorità 'classiche' à la Incantation/Funebrarum e pesantezza Death/Doom che richiama Spectral Voice e Cianide. Insomma, niente di nuovo sotto il sole di Seattle ma va dato atto che l'operato dei Degraved può facilmente risultare interessante per i tantissimi amanti di queste particolari sonorità; produzione sporca, vocione growl dall'oltretomba, pesantissimi mid-tempo che si alternano ad accelerazioni brutali... tutti i dettami del genere sono qui rispettati e si può notare ascoltando i pezzi dell'EP (i primi quattro) e quelli del demo (gli ultimi tre) come la band americana sia ben ancorata a questa visione sepolcrale, mortifera ed al contempo viscerale del Death Metal, ma anche come i brani più nuovi siano comunque più incisivi. Per quanto ci riguarda, insomma, un buon ascolto, che oltretutto accende una certa curiosità verso le mosse future dei Degraved: non resta che aspettare.

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Opinione inserita da Daniele Ogre    09 Mag, 2024
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Interessante e per certi versi anche particolare questo "Master's Personae", quarto studio album degli indonesiani Exhumation licenziato un paio di settimane fa da Pulverised Records. Formatisi ormai ben oltre quindici anni fa, l'odierno duo del Sud-Est asiatico dopo un buonissimo debut album, ha avuto la propria esplosione - in termini underground, of course - nel 2014 con "Opus Death", disco arrivato agli inizi del boom di questa nuova ondata OSDM che imperversa ancora oggi, con i Nostri dediti ad un Death Metal dei primordi (primissimi Morbid Angel, Necrovore) molto ben composto ed interpretato; buone sensazioni confermate da "Eleventh Formulae" nel 2020, mentre oggi, a quattro anni di distanza, gli Exhumation hanno in un certo senso "ampliato la visione" del loro sound: i vari Morbid Angel, Necrovore, Sadistic Intent, sono ancora un'influenza primaria dell'act indonesiano, così come anche Obliteration, Bølzer o Morbus Chron... ma in "Master's Personae" c'è anche tanto Heavy/Speed Metal classico sia nei riff, sia nelle soliste, sia nelle ritmiche; ascoltando pezzi come "Pierce the Abyssheart" o "Funeral Dreams" - tanto per fare due esempi che si trovano subito -, possiamo notare come nelle pieghe del massacro sonoro perpetrato dai Nostri ci siano passaggi che possono rimandare a Celtic Frost e Hellhammer, o comunque ad un Heavy Metal nell'accezione 'darkthroniana' del termine. Il risultato di questo è un continuo vortice sonoro in cui gli Exhumation non concedono pause, attaccando a testa bassa con una serie senza soluzione di continuità di rasoiate una via l'altra. I dieci pezzi che compongono la tracklist di questa quarta opera su lunga distanza della band indonesiana sono costruiti insomma col preciso intento di massacrare l'ascoltatore dal primo all'ultimo secondo, riuscendo però a giocare per l'appunto con riff e ritmiche dal sapore classico e solo dall'impianto slayeriano. "Master's Personae" è un album che si saprà apprezzare sin da subito grazie anche ad una produzione sporca ma quanto mai adatta alle sonorità degli Exhumation, ma che piacerà sempre di più di ascolto in ascolto, quando il mood generale del disco sarà penetrato in profondità. Dategli un ascolto: difficilmente ve ne pentirete.

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