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Opinione scritta da Piero Pizzorni

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    26 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 26 Novembre, 2023
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La band veneta Cambio Radicale ci propone un Hard Rock adrenalinico. “Gioco al Caos”, è questo il titolo dell’album che si fa apprezzare brano dopo brano. Abbiamo già detto che i Cambio Radicale sono dediti a un Hard Rock energico, anche se la band ama sconfinare negli ambienti ancora più duri dell’Hard’n’Heavy. A tratti ci si addentra in un classico Heavy Metal, grazie a riff diretti e una sezione ritmica capace di sorreggere al meglio il lavoro delle sei corde. Dopo un primo impatto, riusciamo ad apprezzare il cantato in lingua madre, la prova di Valerio Franchi è davvero buona. I temi affrontati nei testi sono degni del genere, diretti quanto la musica, non ho trovato stonature. I Cambio Radicale sono possessori di un’ottima caratura tecnica, la band è stata in grado di mettere l’esperienza maturata in questi anni di musica a servizio delle canzoni, senza mai risultare fine a sé stessa. Le prime tre canzoni “Tempesta”, “Freneticamente” e “Cambio Radicale” ci portano a conoscenza del lato meno rassicurante dei Nostri, mentre “Anima” è un brano da cantare intorno a un fuoco, degno dei primi Timoria. “Pazzo” è di certo una delle mie preferite, la canzone si districa tra melodie di voce e temi di chitarra, quasi come se fosse una sorta di duello, dove non ci sono vinti ma solo vincitori. Con “Non ti ho Detto Mai” la band è nuovamente alla ricerca di strappare lacrime all’ascoltatore, buona prova, grazie a un crescendo musicale, dove basso e batteria giocano un ruolo da protagonisti. “Stati d’Ansia” è invece il momento di tessere le lodi di Cesare Fioriti, un riffing vivace e assoli cantabili confermano il gusto del musicista. Si chiude questo convincente album con “Vita”. Questa canzone, prima dei titoli di coda, rende omaggio alla scena alternativa di casa nostra, quella dei 90's, tanto per capirci. Grazie Cambio Radicale, oggi ho la conferma che il Rock e l’Hard Rock in Italia sono ancora vivi!

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    13 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 2023
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Gli Amorphis sono a tutti gli effetti, una band da considerare ormai veterana del Metal. Certamente la formazione finlandese, capitanata da Tomi Koivusaari ed attiva dal 1990, rappresenta un punto fermo nel Metal di energica fattura. La band specie grazie a un cantato davvero convincente si trova a sconfinare addentrandosi almeno per un attimo in un Metal di natura decisamente più cattiva, ma non temete, i nostri mantengono sempre ben salda la tradizione. Mi trovo a recensire questo "Queen of Time - Live at Tavastia”, anche se di fatto non si tratta di un concerto dal vivo in senso stretto, visto che le registrazioni sono datate 2021, in pieno periodo pandemia. Devo dire che i Nostri anche in sede live dimostrano grande disinvoltura, acquisita in tutti questi anni di esperienza. L’opener “The Bee” ci addentra nel sound della band scandinava e lo fa nel migliore dei modi, andando a tracciare in maniera determinata quello che gli Amorphis hanno da sempre usato come biglietto da visita. C’è tutto: melodia, energia, tecnica, mi ha colpito e non poco la disinvoltura con cui il singer Tomi Joutsen si districa tra growls pieni e voci pulite. Ad aggiungere colori all’intero lavoro ci pensa la tastiera, con una prestazione di ottima fattura, i brani hanno una loro identità precisa. Quasi in coda all’album ci troviamo di fronte a una piacevole sorpresa: Anneke van Giersbergen, una delle voci femminili migliori nel panorama Rock/Metal, appare come per magia. “Amongst Stars”: è questo il titolo della canzone scelta per il duetto, la cantante non è presente sul palco, tuttavia la sua voce, anche da lontano è riuscita ad aggiungere punti, non solo al singolo brano, ma all’intero lavoro. Ormai siamo ai titoli di coda; ancora una volta gli Amorphis sono riusciti a fare centro, con un lavoro originale, singolare, in tanti ci provano ma non tutti ci riescono. Bravi!

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    21 Dicembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 2022
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Dimitry, all’anagrafe Demetrio Scopelliti è un eclettico polistrumentista italiano, già conosciuto per la militanza in band quali Infection Code e Arcadia. Oggi il musicista è diventato a tutti gli effetti un solista; da anni, infatti si dedica al suo solo project, nonostante di certo non manchino le occasioni per collaborare con artisti internazionali. “V” è il suo quinto lavoro uscito il 12 dicembre 2022 per la Fusion Core Records. Si tratta della versione remastered di alcuni suoi vecchi brani più tre bonus. Inutile dire che ci troviamo di fronte a un musicista in possesso di un’ottima caratura tecnica, pensare di uscire con un album interamente strumentale, senza annoiare non è cosa da tutti i giorni. I rimandi sono quelli ai grandi del passato e presente, facile, anzi doveroso scomodare mostri sacri come Steve Vai e Satriani, anche se, non lasciatevi ingannare, la musica di Dimitry è diversa. Di certo il musicista vuole aggiungere qualche nuova sfumatura, ed è proprio questo che mi ha colpito maggiormente; è riuscito a puntare e centrare l’obiettivo, essere moderno senza aggiungere orpelli allo strumento. Ho parlato di polistrumentista, proprio così, Dimitry si è preso cura di tutto, vi starete giustamente chiedendo cosa dobbiamo aspettarci da quest’album, Conoscete la parola Prog: vuole dire tutto o forse niente. Qui il Progressive esiste, nel vero senso della parola, la scelta di lasciare il segno è forte, grazie anche a riffs granitici, figli dei nuovi giorni, tanta melodia e parecchio gusto nei solos, non manca davvero nulla. Scelta coraggiosa ma altrettanto vincente, questo è un disco consigliabile ai veri musicisti/ascoltatori, specie a coloro che, sono alla ricerca di nuove sonorità, imbracciando comunque saldamente la sei corde. Supportiamo gli artisti di casa nostra, non è assolutamente vero che la buona musica non abita più qui, anzi… Bisogna solamente provare a cercarla!

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    21 Dicembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 2022
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Ho per voi un paio di notizie, una buona e una meno buona, quale volete conoscere per prima? Partiamo da quella non buona: devo dirvi in tutta sincerità che non ho mai amato le band Metal con cantato in italiano, forse è una mia mancanza, chissà. Volete sapere quella buona? Gli In.Si.Dia riescono a farmi ricredere. Dopo un paio di ascolti del nuovo album della band bresciana, uscito qualche mese fa per Punishment 18 Records e dal titolo “Di Luce e d’Aria”, il mio giudizio è più che positivo. Ancora una volta il combo lombardo, pur restando fermo e intenzionato a promuovere la lingua madre, è riuscito a non stravolgere il proprio sound, ancorato fedelmente a un Thrash Metal di vecchia scuola. Sono curioso di conoscere le prime note del nuovo full-length, l’attesa è ripagata da una bellissima opener: “Dentro il Cerchio”. Ci sono interessanti parti strumentali, tra sfuriate Thrash e un chorus epico destinato a restare a lungo nella testa dell’ascoltatore. Con “Welcome to My World” i giochi si fanno duri, la band inizia a spazientirsi, diventando aggressiva, prima di lasciare spazio al thrash sempre più diretto della successiva “Il Nostro Sogno”. Gli In.Si.Dia riescono a essere un muro di suono, grazie anche ai cori, capaci di supportare la voce di Fabio Lorini, già di suo, piena e convincente. Manuel Merigo e Alex Venzi disegnano trame strappa lacrime, ricordandoci che il metallo è anche cuore e sentimento. L’ingresso nella band del bravo Paolo Pirola, ha dato freschezza, a tratti alcune canzoni assumono toni Modern Thrash, come nel caso di “Non Siate Complici”, anche se il trademark non è invariato. “Salto nel Buio” è caratterizzata da riffs robusti e da un lavoro di ritmica che non lascia spazio a troppi sentimenti, il groove è bello tirato, questi sono gli In.Si.Dia che conosciamo da anni. “Tracce Silenziose”, con tutta probabilità è la canzone che più si stacca dall’intero album, assume toni tutti suoi, a volte oscuri, quasi dark, ci troviamo avvolti nella scala di grigio di un film horror in bianco e nero, prima di farci distrarre da un bellissimo assolo, in chiusura di brano. “Dimmelo Ora”… vi ho parlato poco fa delle voci in italiano, gli In.Si.Dia ci riescono, grazie anche a testi diretti, “quello che pensi, dimmelo ora”… Mi sto avvicinando alla fine di questo nuovo lavoro, ampiamente soddisfatto, ma la curiosità è ancora viva in me. “Rigenerato”, il tempo delle scuse è finito, nessun rimpianto, il Thrash più genuino è anche questo! “Nato nel Vento” di certo è una delle canzoni più cattive dell’album, solo per un attimo ci siamo lasciati imbonire da trame pacate. Si chiude questo bellissimo viaggio sulle note di una “Notte Diversa”, quella che ci ha portato all’ascolto dell’ultimo nato in casa In.Si.Dia, capaci ancora una volta di non tradire. Quando le band di allora ci deliziano con lavori come “Di luce e d’Aria” possiamo solamente dire: bentornati e lunga vita!

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    14 Mag, 2022
Ultimo aggiornamento: 14 Mag, 2022
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Gli Atrocity rappresentano una di quelle formazioni che hanno contribuito alla nascita e crescita del Death Metal, quantomeno per quanto concerne il continente Europa. "Unspoken Names" è il loro demo del lontano 1991, che oggi rivede la luce, attraverso una tiratura di copie limitata a 500 pezzi. Abbiamo già conosciuto questo EP di quattro brani al momento dell’uscita ufficiale, anche se rimettere nelle nostre orecchie questo sound è un piacere, visto che lo stesso ci proietta nuovamente in quella genuinità del periodo. Non sono molti quattro brani, ma tanto bastano a delineare le scelte della band. Il loro Death Metal è rabbioso, istintivo, ricco di furia aggressiva e a tratti oscuro, infernale. Già sulle prime note di “Sky Turned Red” il Death Metal si fonde perfettamente a qualcosa che va oltre, tra sonorità tipiche del Metal estremo e l’orrore che si cela dietro l’angolo. Questo grazie anche alla maiuscola prova di Alexander Krull, che vomita rabbia attraverso il microfono.
Pensare alle produzioni di allora con la tecnologia di oggi è stupido, abbiamo amato il genere per il suo sapore primitivo e questo deve restare invariato. La title-track viaggia sulle stesse note, a dimostrazione dell’omogeneità del trademark, anche se i nostri hanno conosciuto con questa seconda traccia accelerazioni improvvise. Si prosegue con “Defiance”, la rabbia sonora degli Atrocity non si placa, riff granitici si sposano a perfezione con un ottimo lavoro offerto dalla sezione ritmica, basata su cambi di tempo e supporto nascosto tra le melodie dei solos. Questa pietra miliare del Death Metal si chiude con “A Prison Called Earth”, un brano che non lascia scampo, incentrato sulla lirica esplicita, di non speranza!
Bravi Atrocity e lunga vita al Death Metal, specie se targato anni ‘90.

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    15 Dicembre, 2021
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Opinione inserita da Piero Pizzorni    14 Dicembre, 2021
Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 2021
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“Pārķiuņa Uomurs” apre le danze con l’adrenalina dell’inizio di una battaglia, tra guerrieri vincitori e vinti. Tutti in sella, a bordo del nuovo album dei Varang Nord! La band proveniente da Daugavpils in Lettonia è certamente la definizione più azzeccata per quello che è Folk e Viking. Ascoltando i Varang Nord, l’immaginazione ci porta a domare un cavallo nero, con fierezza, indomito ci guida tra le foreste di conifere, nelle terre gelide del Nord. La band picchia duro, i riffs di chitarra sono robusti, addolciti solo in parte da una fisarmonica, che si districa con passione e senza mai sovrastare sulla sezione ritmica. A proposito della sezione ritmica, diretta, di forte impatto, grazie anche all’uso di percussioni che per quasi tutto l’album abbracciano le drums session. La voce del chitarrista/cantante Wolf è potente, sorretta da cori epici utili a non farci dimenticare che la musica dei boschi è anche questa. La fusione tra musica ed immaginazione è perfettamente bilanciata, in questo senso possiamo dire con assoluta certezza che i Varang Nord hanno fatto davvero centro. I rimandi sono quelli alle grandi bands del passato, presente e futuro: Amon Amarth, Finntroll, Turisas, Korpiklaani… I Varang Nord sono anche Heavy Metal, del resto definizioni come Epic, Celtic e Viking Metal, sono figli della sperimentazione e fusione tra più generi. Le undici tracce di “Pārķiuņa Uomors” non vi annoieranno, l’album, anzi, con il passare dei minuti conosce un bellissimo crescendo. Gli indomiti guerrieri oltre ad andare a caccia nelle foreste fredde del Nord, sono capaci di suonare Metal contaminato da più generi, grazie anche a una buona caratura tecnica. Consiglio a tutti il nuovo full-length dei Varang Nord, specie a chi ama tali sonorità non vi deluderanno, ne sono certo!

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    07 Dicembre, 2021
Ultimo aggiornamento: 07 Dicembre, 2021
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Da anni anche l’Italia si è piazzata in un’ottima posizione per quel che riguarda la musica estrema. Oggi a confermare tutto questo, troviamo i Discordance, autori del nuovissimo “Vertex”, edito dalla Buil2Kill Records. Il Death Metal della band ferrarese è ragionato, nonostante si mischi tra le linee della musica più estrema. Insomma da una parte troverete spunti di chitarra eleganti, dall’altra tutta la rabbia, sputata fuori da una sezione ritmica davvero robusta e dalla voce di Francesco Sita, che si divide tra growl infernali e scream su toni medio/alti, grande prova la sua. Una formazione in possesso di un’ottima caratura tecnica, e qui le cose funzionano davvero bene. Addentrandomi in “Vertex” ho potuto apprezzare il lavoro alle chitarre di Alessio Giberti, unico chitarrista, anche se in realtà non si è mai sentita la mancanza di una seconda chitarra, riffs da una parte e solos dall’altra esaltano una prova maiuscola. “Vertex” è un album che non annoia, anzi, ogni canzone, ha una sua storia e dopo pochi minuti mi trovo a metà album, con il desiderio di andare avanti. Tra le mie preferite “Vertex of a Figure Impossible”, “Immortal” e “The Perfect Number”. Immagino che ormai l’avete capito i Discordance non vi possono sfuggire, fateli vostri. Mi rivolgo a tutti quelli che amano scapocciare sulle note di band quali Obscura, Gorod, Suffocation, Death… Sono arrivato al termine di “Vertex” l’ultima fatica discografica dei Discordance. Prima di chiudere rimango a bocca aperta, sulle note della piacevolissima e strumentale “Night of the Screaming Owls”. Questo disco rappresenta una prova matura per la band e per chi ancora non li conosce, si tratterà di una piacevole sorpresa, ne sono certo!

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    07 Dicembre, 2021
Ultimo aggiornamento: 07 Dicembre, 2021
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Quando ho ascoltato per la prima volta questa band mi sono ritrovato e proiettato negli anni ‘80, in una sorta di ritorno al futuro, tanto caro a Robert Zemeckis. In realtà poi scorrono via i minuti e nel sound dei No Names, (questo il monicker dei nostri) c’è di più. Sicuramente la matrice è quella: Street Rock, Hard Rock, Glam, anche se talvolta la band ama fondere tutte queste sfumature con il Rock moderno e anche il Grunge. “Piano 21” è il titolo del disco, abbiamo già parlato delle influenze musicali, cerchiamo di approfondire brano per brano quelle che sono le sensazioni che ci accompagnano. "Hurricane" è un consueto brano apripista, in cui i No Names ci immergono nel Rock 'n' Roll ribelle e qui ci tornano in mente i primi Guns’n’Roses, dall’impatto diretto e stradaiolo. Con "Sunday" i ritmi si fanno più ragionati, in una semi-ballad dai toni caldi, perfetta per un viaggio nel deserto afoso del Texas. Quanto lasciato al termine dell’opening è ripreso in mano sulle note di "The Neverending Rock and Roll Show", mentre una voce struggente fa gli onori di casa con "No Name", davvero una delle mie preferite. "Days of Fire" è il brano scelto dalla band, una sorta di referenza a 360°, in cui a rappresentare il suono dei No Names troviamo tutto quello che di buono la band ha fatto fino a qui, un intreccio di voci ora melodiche, ora graffianti, dove Eu si districa molto bene e sembra essere sempre a proprio agio. Le chitarre di Andre parlano, i riffs sono diretti, contraltare perfetto delle melodie, specie nei solos. La sezione ritmica supporta al meglio il lavoro, mettendosi sempre a disposizione della canzone, grazie a Dave al basso e Ginger alla batteria. "My Little Puppet" è bellissima, un altro viaggio di note malinconiche, una lite di coppia che non sembra finire per il meglio, la porta è sbattuta per sempre. "Rocktober" conferma quanto detto a inizio recensione, il sound dei No Names non è mai statico, e in questo caso ci riporta indietro di qualche anno con un Hard Rock americano, aggressivo e ragionato. Ho apprezzato questo repentino sali/scendi di emozioni,"‘21st." ne è la conferma, una ballad quasi acustica che, di fatto ci accompagna agli ultimi duri colpi prima di chiudere. C’è ancora spazio per la ‘cattiveria’ dei No Names, i ragazzi picchiano davvero duro con "Drop my Deed", complice un riffs granitico ad inizio brano, prima di lasciare spazio ad un chorus che si fa spazio nell’orecchio dell’ascoltatore. "The Remaining Song" e qui siamo ai titoli di coda, soddisfatti per l’ascolto di questo disco che mi sento vivamente di consigliare a tutti quelli che vivono di Rock. Vi troverete catapultati in atmosfere ricche di emozioni, specie se avete amato la musica 80's, ma con evidenti rimandi ai giorni nostri.

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Opinione inserita da Piero Pizzorni    15 Mag, 2017
Ultimo aggiornamento: 15 Mag, 2017
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Vi dico subito quello che non mi è piaciuto di questo disco, ci sono solamente sette canzoni ☺
“Fake” è il titolo dell’album di debutto dei Roommates. La band, nata nel 2012 come trio acustico, ha aggiunto due anni più tardi un batterista, Alessio Spallarossa, eclettico drummer dei Sadist e ha deciso di dare una sterzata al proprio sound, aggiungendo volume ed energia.
I sette brani che costituiscono “Fake” sono da definire a tutti gli effetti southern rock, anche se sfumature grunge/hard rock/blues sono sempre in agguato.
Ho apprezzato e non poco questo lavoro, non trovo ci siano cose che non vanno, mi spiace solo che le tracce siano appunto solo sette, poco male, sono certo che i Roommates sapranno accontentarmi, senza farmi attendere troppo.
Quello che mi ha letteralmente sconvolto è la capacità con cui la band si muove sull’armonia, il lavoro svolto sulle linee vocali è a dir poco esemplare, ogni voce rende al massimo, esaltando l’album nella sua interezza. I sali/scendi con cui la band si districa attraverso i brani è incredibile, si passa dal rock energico di “Blow Away” e “Black Man Guardian”, ai momenti rassicuranti di “Empty Love”, “I Smile”, “Light”, tuttavia a rendere omogeneo questo disco ci pensa la qualità, sia ora adrenalina pura, sia ora in acustico, è sempre molto alta.
Ci troviamo a Nashville, Jacksonville, Alabama? Niente di tutto questo, i Roommates sono italiani, tutti noi ne dobbiamo andare più che fieri!

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