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Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

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3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    05 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2024
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I Decrowned sono finlandesi e suonano Melodic Death: sarà quasi un cliché, ma una componente non può mai escludere l'altra c'è poco da fare. Attivi dal 2017 e proveniente da altre realtà del genere, i Nostri debuttano nel 2024 con il loro primo album dal titolo "Persona Non Grata", proprio come l'ultimo degli Exodus. Comunque sia, il quartetto si presenta con un signor biglietto da visita, totalmente imbevuto di quelli che sono gli stilemi finnici ma senza disdegnare contaminazioni provenienti dalla vicina Svezia: il risultato è dunque un disco estremamente solido che si spalma in dieci tracce - più intro e outro - sostenute ed accattivanti. Ciò che ci è piaciuto parecchio della band è il fatto di avere un sound molto ricco e variegato, con continui cambi ed intermezzi che richiamano da una parte i Wolfheart e gli Insomnium, ma dall'altra c'è anche la durezza svedese dei Dark Tranquillity di metà carriera e le cavalcate in stile Amon Amarth. Insomma, siamo di fronte ad una sorta di ibrido che ingloba al suo interno svariati elementi e li ripropone in chiave moderna e personale a modo suo. Ciò che fondamentalmente ci ha fatto un po' storcere il naso sono due fattori: un growl piuttosto debole e incisivo ed un songwriting alle volte troppo ricco. soprattutto quest'ultimo elemento ci fa percepire i Decrowned come una band con tanti strumenti a disposizione ma poca cognizione di causa nell'usarli. Insomma, a volte "less is more". Durante l'ascolto infatti non si riesce bene a dare un'identità alla band perché ci ritrova a fare i conti con tanti elementi che alla fine rischiano di vanificare il tutto, relegando la band ad una costante citazione anziché ad un gruppo che con quegli stessi strumenti plasma una creatura tutta sua. Insomma, il disco è una palla di cannone lanciata a tutta velocità, senza però preoccuparsi di dove voler colpire, con il rischio di far fare a quella palla un giro di 180 gradi in direzione di chi l'ha lanciata. un vero peccato se si considera che alcune delle tracce proposte funzionano molto bene.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    05 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2024
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I leggendari Darkthrone sono un po' come Batman definisce il Joker: da loro devi aspettarti l'inaspettato. Lungi dal fare presentazioni inutili o introduzioni prolisse, diciamolo subito: questo ventunesimo album dal titolo "It Beckons Us All......." è un signor album, pregno della maestria di chi, da ben 37 anni continua a fare la storia del Metal. E non c'è da stupirsi se il duo Fenriz-Nocturno Culto questa volta abbia nuovamente deciso di rimescolare le carte in tavola proponendo un disco perfettamente in linea con il revival delle sonorità Heavy e Doom ma con quel piglio che solo loro due sanno mettere nelle loro produzioni. Giunto a due anni di distanza dallo sfortunato e fiacco "Astral Fortress", la nuova creatura dei Darkthrone ci presenta - e per fortuna - una band che ha ancora molto da dire, o meglio: non smetterà mai di voler dire. Sembrava infatti che i Nostri avessero finito le idee o quantomeno il guizzo compositivo, tant'è che il precedente lavoro spaccò nettamente in due l'opinione pubblica, tra detrattori e fan incalliti. Insomma, in un modo o nell'altro il duo non ha mai smesso di far parlare di sé. Comunque sia questo "It Beckons Us All......." sa essere un album solido, forte di personalità e con un'energia quasi ritrovata rispetto all'inciampo di un biennio fa, con una maggiore enfasi delle parti Speed ed Heavy e meno giri prolissi ed eterei che, diciamolo, nel capitolo precedente avevano fatto storcere il naso. Sia chiaro, ormai è sciocco ripeterlo: i tempi del Black Metal nudo e crudo sono più che finiti e i Nostri lo sanno benissimo; anziché proporre roba trita e ritrita tanto per mandare avanti la baracca e dire "noi c'eravamo", i Darkthrone hanno fatto il giro di boa ritornando su uno stile quasi citazionistico ma non per questo vecchio o monotono. Con un sound più secco e diretto ed un songwriting vitaminico e deciso, il ventunesimo sigillo di Fenriz e Nocturno Culto riesce a rapire ancora una volta, arricchendo una carriera che in 37 anni ha visto uscite di elevatissima qualità. Da rispettare ed encomiare il fatto che sulla soglia degli -anta, la band non ha voluto adagiarsi sugli allori, preferendo invece continuare consegnando al passato il proprio retaggio e guardando avanti con un occhio e con l'altro indietro. Insomma, c'è tanto di già sentito qui, ma non nel senso negativo del termine: piuttosto lo definiamo come un viaggio nel tempo in cui due veterani ci mostrano le antiche origini del Metal, proponendo sette brani intensi, cattivi e maligni ma maledettamente eleganti e a modo loro complessi. Ripetiamolo: un gran respiro di sollievo visto il precedente album.

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0.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 2024
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Sono tanti, tantissimi i gruppi che volutamente sono demenziali e non si prendono sul serio, ed anzi sfruttano questo umorismo per prendere in giro determinati cliché. Ma, come in tutte le cose, anche fare l'idiota richiede una certa abilità: vedasi i cechi Gutalax, che tra un grugnito e un lancio di carta igienica sono diventati iconici. Non si tratta solo di fare i cogl***i e buttarla in caciara, o meglio: si tratta di questo ma soprattutto di saperlo fare. Poi ci sono soggetti come gli inglesi Crepitation che se ne fregano di qualsiasi cosa e la buttano in una caciara talmente caciara che l'unica cosa che ti viene in mente è cestinare anche le cuffie dalle quali li ascolti. Attivi dal 2005 - sì, avete letto bene - i Nostri hanno una lista di demo e singoli più lunga della Salerno-Reggio Calabria e solo due album, tra cui questo odiosissimo "Monstrous Eruption of Impetuous Preposterosity", probabilmente il peggior disco del 2023. È noto come la band da sempre prenda in giro il mondo dello Slam/Brutal esagerando volutamente parti vocali e strumentali; ma qui si arriva ad un punto di saturazione talmente alto che si supera di moltissimo la linea di confine tra satira/prodotto volutamente scarso e la spazzatura. Un mix di grugniti, suoni gutturali, e tutto ciò che concerne il genere, a pioggia e una sezione strumentale iper densa di tecnicismi, breakdown e blastate. Immaginate di prendere tutto questo, buttarlo in un frullatore e comprimerlo all'interno di tredici tracce. Esattamente, anche il sottoscritto ha rimpianto le vuvuzela durante i mondiali del 2010, che a pensarci bene erano molto più gradevoli di questo scempio spacciato per satira. E no, in questo caso non si può giustificare il tutto con la satira, perché a rimetterci è la salute del cervello dell'ascoltatore che rischia di esplodere. Bocciato sotto ogni aspetto.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Lovecraft è oggigiorno uno dei temi più abusati nel mondo del Metal, nel bene e nel male. Il lascito del Solitario di Providence è senza ombra di dubbio fonte di ispirazione per band affermatissime - vedasi i The Great Old Ones - e altre meno, come i qui presenti Ri'lyth, band proveniente dall'Ecuador giunto al secondo album autoprodotto, "Behavior of the Idols": un disco che a modo suo sa essere estremamente interessante, seppur non privo di alcuni difetti che tratteremo. Della band si sa pochissimo - anche sulla formazione non si riesce a reperire nulla in giro -, tranne ovviamente il genere che propone: un Death Metal estremamente feroce che riprende coordinate stilistiche simil-Tomb Mold ma strizzando l'occhio anche a soluzioni più moderne vicine agli Ingested, il tutto condito da una costante melodia dissonante in sottofondo che rende molto bene l'immaginario lovecraftiano. In questo senso dunque, i Nostri meritano un plauso per essere riusciti a ricreare delle atmosfere mortifere ed extraterrestri - da non intendersi come i Blood Incantation -, ma dall'altro questo modus operandi non è sempre ben riuscito in tutte le tracce. Facciamo l'esempio con "Sun Ritual" la terza traccia che veramente è degna di nota dopo un inizio un po' in sordina, e per sordina intendiamo un andamento quasi moscio ed ovattato, come se la band volesse davvero esplodere ma si ritrovasse schiava del suo stesso modo di suonare. Tradotto: dare troppa importanza all'atmosfera spesso ha inficiato sull'effettiva esecuzione, traducendosi in brani dalla poca personalità, più in potenza che in atto; e così via per tutto il disco, con questo andamento altalenante che non ti fa capire se lo ami o lo odi

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Avevamo già parlato della norvegese Sylvaine, all'anagrafe Kathrine Shepard, artista poliedrica che si sta ritagliando un'importante fetta della scena Post-Metal/Shoegaze mondiale; ed a buon diritto diciamo. I suoi costanti richiami agli Alcest, le spennellate che si avvicinano ai conterranei Wardruna, le spolverate Folk misti ad un'interpretazione pressoché magnifica, fanno di questa ragazza un vero e proprio talento musicale. Questo nuovo EP "Eg Er Framand" ce ne dà un'ulteriore prova. Totalmente diverso dal precedente full-length "Nova", il disco ci presenta un'artista che ha accantonato completamente distorsioni e batteria, lasciando solo ed esclusivamente la sua voce che si staglia al di sopra di musiche elfiche dolcissime ed eteree, perfette per la colonna sonora de "Il Signore Degli Anelli" per intenderci. In quest'opera che si compone di sei bellissimi brani, Sylvaine si lascia andare in un fiume di acque cristalline e freddissime che accarezzano l'anima come un delicato panno di seta, senza minimamente intaccare o sporcare la tela con un singolo puntino di distorsione. È logico pensare che questo sia un viaggi introspettivo, una sorta di intermezzo meditativo nel quale l'artista omaggia le terre scandinave, portandoci in quei territori selvaggi e gelidi dove solo il rumore del vento che sferza tra le fronde degli alberi e lo scorrere delle acque la fanno da padroni. Chiaro, un EP così pacato e molto tranquillo potrebbe non piacere a tutti, ma vi consigliamo comunque un ascolto, se amate questo tipo di sonorità

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    24 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 2024
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Sono già passati cinque anni da quel colossale "Simulacrum", l'album che ha portato a compimento la maturità artistica dei nostrani Hideous Divinity, confermandoli per sempre nell'Olimpo delle migliori realtà Technical Death mondiali. Una crescita costante che porta con sé un importante fardello: non potersi più permettere passi falsi. Dopo un disco del genere nel 2019 Enrico H. Di Lorenzo e soci hanno dettato delle coordinate stilistiche che non possono non essere seguite, e questo nuovissimo "Unextinct", quinto album dell'act romano, ne è la diretta conseguenza. Gli Hideous Divinity ci hanno messo più del solito questa volta, considerando il ritmo di un disco ogni 2-3 anni, prendendosi un lustro di tempo, vuoi per la pandemia, vuoi per il cambio di line-up che vede la dipartita dello storico Giulio Galati dietro le pelli e l'ingresso del ventinovenne Edoardo Di Santo (Voltumna, Ade, Instigate, ex-Deceptionist) - studente peraltro del leggendario George Kollias -, avvenuto però dopo le registrazioni di quest'album eseguite dal session Davide Itri (Bedsore, ex-Ade). Insomma, tante cose nel piatto confluite in questo "Unextinct", album che ci sentiamo di definire "ragionato" e "complesso". È chiaro come la luce del sole che la band non sia più composta da ragazzi alle prime armi con il solo interesse di pestare a sangue con un Death Metal feroce ed istintivo; quei tempi son belli che finiti. Come tutte le realtà del settore e forti di un album precedente che ha dato loro un terreno vergine su cui edificare, gli Hideous Divinity ci presentano un disco estremamente stratificato, dove orchestrazioni e momenti di respiro si alternano a fasi concitate. Ne è una dimostrazione l'importante durata delle tracce, che arrivano perfino a sfiorare i 9 minuti, segno che i Nostri abbiano voluto dare alla propria creatura tutte le sfaccettature possibili, senza tuttavia sfociare nella sterile prolissità. Anzi, c'è da dire che nonostante il precedente "Simulacrum" fosse molto più diretto e aggressivo, qui si intravede una sorta di passo indietro, o per meglio dire un ribilanciamento degli equilibri. Ecco dunque che ci ritroviamo brani come "More Than Many, Never One" che sanno pestare come gli Hideous sanno fare, ma anche darci momenti di respiro più rotondi e morbidi, molto simile al processo evolutivo dei belgi Aborted, o dei sempre italiani Fleshgod Apocalypse. Trattasi dunque di un album che da un lato è diretto discendente di "Simulacrum", ma dall'altro prende una strada tutta sua, portando la band su lidi finora appena sfiorati e testimoni di una crescita musicale incontrovertibile. Chiaramente questo è un processo che va accettato per quello che è: sicuramente ci sarà qualche detrattore nostalgico della vecchia guardia e va bene così; siamo consci del fatto che la band romana non sia più "quella di una volta" con tutti i pro e i contro del caso. Dal canto nostro non possiamo non elogiare una realtà che non si è mai voluta adagiare sugli allori e che ha portato - e sta portando - a compimento una crescita a dir poco sorprendente. In sintesi: un capolavoro!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    17 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 2024
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Non si sa nulla riguardo i Silkof Grove, band greca che pubblica tramite Alcyone Records il qui presente "Death Construction", disco di debutto di una realtà sulla quale il sottoscritto ha trovato pochissime info, praticamente niente. Sulla line-up non si sa granché, tranne una fotografia presente su Metallum che lascerebbe intendere si tratti di una one-man-band; perciò tratteremo soltanto della musica in sé e basta. In realtà non c'è molto da dire a riguardo: il disco si presenta estremamente moderno nel sound, con un Melodic Death molto cristallino e talvolta sfociante nel Power, con bellissimi intermezzi in pulito, assoli molto ben articolati e sezioni spaccaossa groove. Insomma, un bel curriculum sulla carta per un totale di sei lunghissimi brani che arrivano a toccare anche i 10 minuti di durata. E probabilmente è quest'ultimo il vero tasto dolente del disco: se nella forma tutto è al suo posto, con alcuni capitoli molto degni di nota, dall'altra tutta la struttura risulta prolissa ed eccessivamente allungata, laddove una minor durata avrebbe sicuramente giovato in termini di attenzione da parte dell'ascoltatore. Ora, trattandosi di una realtà praticamente del tutto sconosciuta, non sappiamo se questo possa essere il primo di una - speriamo -lunga carriera o un capitolo a sé - a quanto pare sembrerebbe una dedica a qualcuno -. Sta di fatto che se il progetto è destinato a continuare il consiglio è certamente quello di mantenere l'impianto strutturale moderno, ma cercando di snellire i brani con meno zone morte e passaggi più efficaci.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    17 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 2024
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Vengono dalla Svezia, più precisamente dalla sacra Göteborg, suonano Swedish Death e presentano una formula feroce e senza fronzoli: ecco gli Industrial Puke ed il loro disco d'esordio "Born into the Twisting Rope", un concentrato adrenalinico di Metal grezzo che investe ogni cosa che incontra sul suo cammino. Dieci tracce, nessuna delle quali va oltre i due minuti e mezzo in cui i Nostri sciorinano tutto un repertorio al fulmicotone senza lasciare minimamente respiro all'ascoltatore, forti - ovviamente - di un territorio che per il Metal è stato un po' la culla seminale, almeno di un filone più che importante. Dismember, Carnage, Grave, Nihilist e chi più ne ha più ne metta. Sono queste le coordinate stilistiche nelle quali collocare il quintetto, che a modo suo riesce comunque a metterci del proprio, seppur in una forma ancora acerba. Da un lato è da premiare la ferocia quasi eccessiva con cui i Nostri si scagliano, senza badare minimamente ad abbassare l'acceleratore, considerando anche la fortissima componente Grind/Hardcore che si rifà molto ai Napalm Death, dall'altro tuttavia sono due i fattori che ci hanno fatto storcere il naso: la voce ed una totale assenza di stacchi tra una traccia e l'altra. Veniamo al primo punto: in generale la prova canora di Linus Jägerskog non è neanche male, considerando che la componente -core è molto predominante e quindi perfetta per un cantato così sforzato; tuttavia la voce risulta troppo piatta e urlata, senza nessun guizzo e ferma su una singola frequenza, risultando quindi monotona. Secondo punto: ottima la ferocia delle tracce, ma la breve durata dei pezzi e in generale la struttura similare di ciascun pezzo contribuiscono a far scivolare il disco troppo in fretta senza lasciare troppi solchi lungo il percorso. L'asticella è stata quindi troppo spostata sul versante adrenalinico senza prendere in considerazione l'impatto sull'ascoltatore, che potrebbe tranquillamente non accorgersi del cambio di traccia. In sintesi un debutto buono, con tanto potenziale ma ancora troppo wannabe.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    17 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 2024
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C'è poca, pochissima gente che oggigiorno riesce a proporre formule più che note, figlie dirette della NWOBHM in stile Venom, e dare loro una ventata di assoluta freschezza senza per questo stonare o risultare lontane da quegli stilemi che hanno forgiato nel nero metallo i gruppi che hanno fatto la storia. Una di queste realtà sono certamente la one-man-band americana Midnight capitanata da Athenar, polistrumentista che con la sua satanica creatura giunge a questo sesto ottimo sigillo dal titolo "Hellish Expectations": una bomba nucleare che trasuda anni '80 da tutti i pori. Già da tempo i Nostri si erano distinti nel panorama Metal per l'enorme efficacia della formula proposta, con dischi che mai una sola volta hanno lasciato spazio ad un mero copia/incolla. Ignoranza - quella buona e genuina - adrenalina, velocità, ferocia... Tutto nella nuova maligna creatura dei Midnight rende l'album qualcosa di spettacolare, per i fan della vecchissima guardia: Venom, Motorhead, Sodom, Slayer, primi Metallica, incursioni Crust Punk. Insomma, avete capito perfettamente di cosa stiamo parlando. Il tutto reso ancor più ruvido e feroce dalla voce corrosiva di Athenar, che qui probabilmente raggiunge il suo apice, forte anche dell'esperienza dei capitoli precedenti che avevano dato il via ad un filone compositivo più diretto, aggressivo e senza fronzoli. Ecco, se cercate un disco che vi aggredisca da inizio a fine nella maniera più genuina possibile, allora la nuova fatica dei Midnight farà al caso vostro con dieci brani uno più cafone dell'altro, ridotto all'osso, con pochi "semplici" ingredienti. Tra le migliori uscite dell'anno senza ombra di dubbio.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    28 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 2024
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Poche sono le band la cui crescita musicale risulta evidente ed incontrovertibile: una di queste sono sicuramente i Cognizance, una nostra vecchia conoscenza che torna con il suo terzo album dal titolo "Phantazein". L'album, diciamolo subito, che consacra gli inglesi tra le migliori band di un certo modo di intendere il Melodic Death, ossia quello che fa capo ai The Black Dahlia Murder, Inferi e compagnia. Ecco, i Nostri si classificano esattamente a metà con la loro proposta che prende elementi da entrambe le parti fino a toccare alcune pennellate Deathcore per un disco che sa di maturità e genialità. Se, infatti, all'inizio la band risultava ancora troppo scolastica o comunque legata a stilemi noti, ora è esattamente il contrario: le coordinate son quelle, ma è il come che ha cambiato completamente le carte in tavola. Tradotto, non più semplici scolari ma veri e propri maestri che sanno usare gli strumenti - letteralmente e non - per creare qualcosa di unico e personale. Il risultato del processo in questi tre anni di assenza è per l'appunto questo "Phantazein". Undici tracce che vi terranno incollati alle cuffie. Il lavoro delle due chitarre è sublime: riff serrati, contorti, puliti e taglienti, lavoro di groove pregevole con la sezione ritmica far da padrona in questo arzigogolato percorso e growling perfettamente calato nel contesto. Insomma, c'è tutto ciò che ci si aspetterebbe da una band che fin dalle origini mostrava un gran valore ancora grezzo; ebbene, qui i Cognizance sono definitivamente sbocciati con una maggiore attenzione al comparto melodico ed espressivo, con un'intensità che rasenta la perfezione. Infine menzione d'onore per la produzione, molto più pulita che rende giustizia ad un disco estremamente complesso, che altrimenti sarebbe risultato impastato e di difficile digestione. Insomma, da qui in poi ci aspettiamo solo il meglio da questa band. Complimenti.

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