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Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    29 Ottobre, 2024
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Sembrerebbe quasi che lo facciamo apposta ma non è così: ogni volta che l'artista milanese Gabriele Gramaglia pubblica un disco, vuoi con i suoi Vertebra Atlantis, vuoi, come in questo caso, con i suoi Cosmic Putrefaction, possiamo dare per scontato che si tratterà di un capolavoro. Guarda caso anche oggi siamo di fronte a qualcosa che va oltre il Death Metal; una vera perla rara destinata ad arricchire una discografia che già nel 2022 con "Crepuscular Dirge for the Blessed Ones" portò i Cosmic Putrefaction su di un livello quasi inarrivabile. Con sommo orgoglio patriottico presentiamo questo magnifico quarto disco della one-man-band dal titolo "Emerald Fires Atop the Farewell Mountains", Probabilmente il disco più completo, personale e potente partorito dalla mente di Mr. Gramaglia.
Se già due anni or sono i Cosmic Putrefaction ci convinsero a pienissimi voti, tanto da guadagnarsi il titolo di "Album dell'anno", qui, oltre a ribadire il primo posto - di nuovo - confermiamo ancora quanto questo ragazzo sia un visionario che riesce a portare il Death Metal verso dei confini finora toccati solamente da gente come Tomb Mold, Demilich, Immolation, Morbid Angel e Blood Incantation. Il che già basterebbe come biglietto da visita. Tuttavia Gramaglia non si è voluto fermare qui: come anche egli ci spiegò in una nostra intervista - recuperatela -, il concetto di base non è tanto cosa fare CON il Death Metal, ma NEL Death Metal. Tradotto: umiltà, estro artistico e dei "semplici" strumenti. Tutti ingredienti facilmente reperibili ma il più delle volte snobbati dalla proverbiale troppa carne sul fuoco. Qui, al contrario, siamo di fronte ad un disco con elementi più che riconoscibili, ma usati con sapiente maestria risultando unici ed irripetibili. A differenza del precedente disco, questo "Emerald Fires Atop the Farewell Mountains", che conta ancora una volta il fantastico lavoro di Giulio Galati dietro le pelli, risulta più disturbante e per certi aspetti caotico, quasi a richiamare gente come Triumvir Foul o Teitanblood ma senza effettivamente toccarne lo stile. Si tratta dunque di un album complesso e molto più stratificato del precedente - cosa che chi vi scrive reputava impossibile - e quindi molto più complesso da digerire. Eppure traccia dopo traccia i Cosmic Putrefaction creano uno scenario apocalittico, come se il precedente viaggio Dantesco non avesse portato ad un'assoluzione, ma all'inizio di un percorso ancora più contorto e claustrofobico. Complice di tutto ciò è certamente il songwrtiting più intenso e sentito come un fiume in piena ed una produzione corposa e martellante. In pratica se prima ci sembrava che Mr. Gramaglia avesse dato libero sfogo alla sua inventiva, qui dobbiamo ricrederci e spostare il confine ancora oltre. Il risultato è questa perla che va ad arricchire il genere e che DEVE essere presa come punto di riferimento se ci si vuole cimentare in questo filone. Senza girarci attorno concludiamo con quanto detto all'inizio: questo è il disco più convincente, sentito e profondo mai scritto fino ad ora, che di diritto vince il titolo di "Disco dell'anno". Complimenti!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    17 Ottobre, 2024
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Dopo un brillante debutto nel 2017 ed un fenomenale Split nel 2020 con gli Antedeluvian, gli Heresiarch tornano a caricare con una ferocia disarmante con il qui presente "Edifice", un monolite di malvagità allo stato puro in cui i Nostri si confermano ancora tra i nomi di punta del cosiddetto War Metal. Un mix assassino di Black e Death Metal che non lascia scampo a nessuna forma di quiete o qualsivoglia ghirigoro di abbellimento. Se, dunque, siete fan della frangia più caotica del genere, quella che fa capo a gente come Diocletian, Teitanblood, Revenge, Antichrist Siege Machine e compagnia bella, allora siete nel territorio giusto.
Probabilmente il miglior attributo per definire questo "Edifice" è claustrofobico: i riff sono pesantissimi e dissonanti, ai livelli della follia Lovecraftiana dove tutto perde di senso ed ogni cosa sembra stringersi attorno al collo fino a soffocare il più piccolo barlume di luce. Insomma, tutto - del resto il genere lo dice già di suo - porta a pensare solo alla guerra e alla distruzione, con un songwriting affatto scontato o prevedibile. Particolarità, quest'ultima, che rende gli Heresiarch piuttosto unici perchè imprevedibili: le strutture dei brani sono arzigogolate, al limite del caos, eppure sempre e comunque puntate verso una sola coordinata, risultando quindi coerenti e al contempo a sé stanti. Da una parte c'è quindi la componente riconoscibile del genere, perfettamente riconducibile ai nomi citati più su; ma dall'altra troviamo delle strutture e delle soluzioni piuttosto uniche, come le spennellate Death Doom che interrompono bruscamente una cavalcata o chiudono un brano in maniera quasi epica, quasi come uno scontro all'ultimo sangue giunto al termine. Il tutto condito da una prova canora eccezionale che sembra provenire direttamente dalle viscere della terra. Insomma, "Edifice" è un disco imperdibile sia per chi ama il genere, sia per chi non lo mastica ma ricerca comunque un album ragionato e affatto scontato.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    17 Ottobre, 2024
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Recensire "Servitude", nuovo capitolo dei newyorkesi The Black Dahlia Murder non è impresa facile. dopo la morte dello storico e carismatico frontman Trevor, per i Nostri si è aperta una strada assai facile da percorrere: da un lato mantenere il retaggio di una figura importantissima nel mondo del metal; dall'altra riuscire comunque a (ri)dare un senso a tutta la questione. È in questo senso che l'album va visto, con tutti i pro e i contro del caso. Innanzitutto un plauso allo storico chitarrista e fondatore Brian Eschbach che ha sostituito Trevor alla voce, con un risultato a dir poco eccezionale, tanto che in alcuni punti sembrano davvero uguali nelle timbriche. In secondo luogo, poi, siamo di fronte esattamente a ciò che ci si aspetterebbe da un disco dei TBDM: Melodeath al fulmicotone ferocissimo ed estremamente tecnico, in pieno stile americano. Probabilmente ciò che colpisce, in negativo, di questo album è il fatto di essere leggermente sottotono rispetto ai capitoli precedenti. Se da una parte lo stile è quello, immutabile, ancorato e ben rodato, dall'altro ci è sembrato di notare alcuni eccessi in virtuosismi e giri di chitarre che certamente mostrano una band in forma, ma dall'altra rischiano di annoiare o comunque di far perdere il focus. Per chi vi scrive Brandon Ellis è attualmente uno dei migliori chitarristi in circolazione, con una tecnica pulitissima ed un estro artistico veramente ottimo; tuttavia c'è da sottolineare come queste due qualità se spinte troppo possono suscitare l'effetto indesiderato di risultare prolisse. Fatto salvo nelle tracce in cui i Nostri colpiscono fin da subito secchi e diretti, alcuni capitoli delle dieci tracce presenti arrancano un po' da questo punto di vista. In sostanza "Servitude" è un disco che va ben oltre la media senza tuttavia brillare come avvenuto in passato, ma visti i recenti e tragici avvenimenti non potevamo aspettarci di più da una band che si è appena rimboccata le maniche nel tentativo di ricominciare da capo senza Trevor. Per questo motivo ci sentiamo, non scevri da sentimentalismi, di promuovere il disco con un mezzo punto in più.

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3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    19 Settembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 2024
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Potenti, accattivanti e adrenalinici: così si potrebbero descrivere i finlandesi Bloody Falls, band attiva dal 2017 giunta al suo terzo disco dal titolo "Amartia". Un disco che al suo interno presenta una commistione molto ben riuscita tra il filone Groove ed il classico Melodic Death, con una maggiore propensione verso il primo a dirla tutta. Comunque sia i Nostri si cimentano in una prova ben al di sopra della media grazie a dei riff totalmente spaccaossa che in alcuni punti potrebbero ricordare i Pantera o i Lamb Of God. Tuttavia non siamo di fronte ad una mera emulazione, ma a un disco che nel suo non avere tutta questa personalità sa comunque regalare dei bei momenti. Banalmente è proprio dove i Nostri si cimentano nelle parti cadenzate che l'album prende il volo; ed effettivamente i Bloody Falls ci sanno fare parecchio. Tuttavia laddove la componente Melodic Death fa la sua comparsa, ecco che spesso si ricade in stilemi fin troppo noti, con arpeggi e gemellaggi di chitarre quasi prevedibili, anche se nel complesso la formula funziona e porta a casa un discreto risultato. In sintesi, dunque, la band riesce in pieno nel suo tentativo di offrirci un prodotto sopra la media, pur non eccellendo in estro artistico, confermando quanto si diceva nel titolo: al posto giusto nel momento giusto, senza infamia e senza lode.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    19 Settembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 2024
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Se ancora non ce ne fosse bisogno, è bene ribadirlo per l'ennesima volta: gli inglesi Winterfylleth sono una band colossale, degna portavoce della nuova frangia Black Metal, quella più melodica ed atmosferica che negli ultimi quindici anni ha praticamente preso il sopravvento. Tuttavia tra l'essere un gruppo valido ed essere un top di gamma, per così dire, c'è un abisso enorme; abisso che i nostri hanno ampiamente superato già da un po'. Ed è con questa premessa che oggi presentiamo questo magnifico "The Imperious Horizon", ottavo album che consacra i Nostri tra i grandi del genere, cosa peraltro già constatata con il precedente (ed altrettanto stupendo) "The Reckoning Dawn" del 2020. Pochi gruppi riescono ad essere così maledettamente espressivi e pregni di carica emotiva, e i Winterfylleth centrano in pieno il bersaglio con una musica che continuamente si discosta dai canoni cosiddetti classici. Il Black Metal partorito dalla band è estremamente eterogeneo: epico a tratti, malinconico, sofisticato, brutale e dolce allo stesso tempo. Un continuo mix che ricalca lo stile di altri nomi quali Drudkh o Wolves In The Throne Room, Saor e Agalloch, passando per qualche leggera spennellata Post-Black. Insomma, siamo di fronte a quello che apparentemente potrebbe essere un mix di tutto più o meno riuscito; ma non è così. Qui siamo di fronte a qualcosa di nuovo, che certamente rimanda ad uno stile noto, ma è il come che cambia totalmente le carte in tavola: il songwriting è denso e compatto come un fiume in piena che investe l'ascoltatore con una furia senza precedenti; e per furia qui intendiamo una musica molto introspettiva che mette totalmente a nudo l'interiorità della persona lasciandola spoglia e di fronte alle emozioni più profonde. Le tracce sono lunghe, intriganti e costantemente caratterizzate da alti e bassi, con momenti feroci ed altri più malinconici. E questo gioco di luci ed ombre non fa che commuovere di continuo, costringendo l'ascoltatore a volerne sempre di più. Dal canto nostro i Winterfylleth si sono guadagnato il primo posto senza il minimo dubbio con il miglior disco Black Metal dell'anno.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    20 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 2024
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Iniziamo questa recensione con una celebre frase di Batman nei confronti della sua nemesi, ossia che dal Joker devi aspettarti l'inaspettato. Ecco, questo concetto che potrebbe sembrare puramente dialettico, riflette alla perfezione quello che sono oggi i Dark Tranquillity: una band leggendaria che ha inventato un genere, con una carriera fatta di capolavori e momenti più bui, come dimostrano le dipartite di membri storici negli ultimi anni. Insomma, per Mikael Stanne e soci questi sono stati tempi burrascosi. Ne sono un esempio gli ultimi due dischi, "Atoma" e "Moment", album stupendi e meravigliosi che tuttavia ci hanno presentato una band rinnovata sia nella line-up che nello stile, molto più dolce e melodico, in netto contrasto con le vecchie glorie più ribollenti di magma. Insomma, questo sono i DT di oggi, prendere o lasciare. E poi eccoli di nuovo con questo clamoroso ritorno dal titolo "Endtime Signals", uno dei più grandi giri di boa della band che riporta il sound indietro di almeno quindici anni, ai tempi di "Fiction" del 2007. Non ci crediamo nemmeno noi, eppure è così. Un disco incredibilmente più duro ed energico, con un songwriting cattivo, arrabbiato, quasi stufo della parentesi più morbida degli ultimi anni. Sembra quasi che il terreno, già iniziatosi a plasmare con "Moment" grazie alla chitarra di Johan Reinholdz, sia finalmente diventato fertile per poter tirare fuori dal cilindro un album colossale che guardasse indietro senza vena nostalgica o citazionistica, quanto con una sincera voglia di riagganciarsi ad un filone compositivo più consono ai Nostri. Eppure in questa durezza c'è sempre e comunque spazio per la meravigliosa voce in pulito del leggendario Mikael, che anche qui ci offre una performance canora da encomio, ma stavolta un po' più centellinata o quantomeno relegata a piacevoli parentesi all'interno dei brani. Inoltre, dettaglio più che importante, le chitarre sono di nuovo le vere protagoniste a differenza dei capitoli precedenti dove le tastiere la facevano da padrone indiscusse. Ora, invece, le asce hanno un ruolo dominante, con riff che si intrecciano nelle tipiche armonizzazioni che hanno reso i colossi di Goteborg quelli che sono. Insomma "Endtime Signals" si rivela essere un album potente dal punto di vista espressivo, elegante, maturo e pieno zeppo di sfaccettature che riflettono da un lato l'infinita preparazione musicale dei DT, dall'altro mettono in luce una nuova (?) fase che probabilmente ci porterà a vedere la band di nuovo su una carreggiata più stabile dopo anni di turbolenze. In ogni caso questo è un capolavoro. Punto.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 04 Agosto, 2024
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Feroci, brutali, assassini e guerrafondai: con questi aggettivi possiamo tranquillamente definire i neozelandesi Diocletian, nome di punta del cosiddetto War Metal, quel filone più grezzo e "guerresco" del Black/Death di cui i Nostri, da vent'anni ormai, sono considerati i signori. C'è da stupirsi poco, dunque, se i Diocletian con questo quinto album dal titolo "Inexorable Nexus" non hanno minimamente cambiato formula, ed anzi hanno dimostrato come questo particolare genere possa comunque rinnovarsi pur mantenendo fede a quella sorta di aura ancestrale e primitiva tipica del settore. Possiamo tranquillamente dire che l'album sia un assalto all'arma bianca per una buona mezz'ora: produzione secca, asettica, riff ferocissimi e tirati, sezione strumentale votata al blast beat, voce cadaverica degna del genere e violenza gratuita allo stato puro. Pochi - apparentemente - semplici ingredienti per un gran risultato in cui tutto è volutamente caotico e disordinato, proprio come una sparatoria all'interno di una trincea. Eppure in questo mix delirante di odio, fiamme e proiettili i Nostri ci mostrano un songwriting ragionato nel sue essere feroce e istintivo, motivo in più per definire i Diocletian i massimi esponenti del settore. A conti fatti, per concludere, c'è poco da dire su un disco che fa dell'impatto il suo punto di forza, semplicemente perché è già tutto lì in bella vista pronto a falciare a suon di proiettili tutto ciò che gli si para davanti. Se, dunque, cercavate chissà quale innovazione o evoluzione del caso siete nel posto più sbagliato. Al contrario, se siete fan di questo genere e cercate qualcosa che nel suo essere caotico riesce comunque a stupire per l'ottimo songwriting, allora i Diocletian hanno fatto nuovamente un centro pieno. Da parte nostra disco promosso al 100%.

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3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 04 Agosto, 2024
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I Suffer sono un nome piuttosto importante nella scena Death americana: attivi dal 1989, i Nostri hanno alle spalle un solo disco uscito nel 2015 e svariati demo negli anni '90. Insomma, una carriera sempre in sordina non di certo all'insegna della costanza, come dimostra questo secondo disco dal titolo "Grand Canvas of the Aesthete", pubblicato a distanza di nove anni dal precedente. Comunque sia, se siete fan della vecchia scuola, quella di stampo Carcass in primis, Exhumed, Immolation e Asphyx, allora siete nel posto giusto, perché i Suffer sono fieri portavoce di un certo modo di intendere il Death, che tuttavia non disdegna qualche sguardo alle soluzioni più moderne, benché si parli di spennellate sporadiche che comunque aiutano il disco a scorrere. All'atto pratico, dunque, il quintetto ci offre un vero e proprio spaccato degli anni '90, forse un po' troppo tardi visto l'anno in cui siamo, ma sarebbe ingiusto definirli obsoleti o "già ascoltati". Il rimando costante ai Carcass, per l'appunto, è sempre evidentissimo con le chitarre che si intrecciano quasi a sfiorare il Melodic Death. La sezione ritmica ci offre un classico esempio del Death di trent'anni fa, tra blast beat spaccaossa e tappeti di doppio nelle parti più cadenzate. Un plauso invece va fatto alla chitarra solista di Daron Petit, che riesce egregiamente ad offrirci degli assoli molto tecnici ma mai troppo agghindati: semplici, diretti e ben incastrati tra i marcissimi riff proposti. In sintesi i Suffer rientrano nel calderone di band sopra la media, con tracce molto valide e altre forse un po' troppo citazionistiche. Diciamo quindi che dopo nove anni di attesa forse ci aspettavamo qualcosa di più, ma probabilmente il pregio/condanna di questa band sta proprio nel rimanere totalmente fedele a se stessa, con tutti i pro e i contro del caso.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 04 Agosto, 2024
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In soli cinque anni di vita, gli olandesi Defacement si sono ritagliati - a buon diritto, lo sottolineiamo - uno spazio tutto loro tra le frange più contorte e caotiche del Metal, quelle che richiamano gente come Ulcerate, Suffering Hour, Vertebra Atlantis, Incantation e company. Insomma, un filone, quello del quartetto, che può contare su dei pilastri più che noti del settore. Eppure in questo grande calderone i Nostri si sono saputi distinguere con una formula pressoché unica ed inimitabile, e questo "Duality", il loro terzo full-length, ne è la prova. Figlio diretto del precedente omonimo disco, questo album ci presenta la band nella sua forma più matura e completa. Il risultato è dunque un prodotto estremamente variegato, spigolosissimo, difficilissimo, contorto... unico. Quando il Black/Death Metal più feroce di stampo Teitanblood e Triumvir Foul si incontra con le dissonanze dei Portal o, come dicevamo all'inizio, dei Suffering Hour, non può non uscirne qualcosa di malato al limite dell'umana concezione. E tanto basta a dare ai Nostri un biglietto da visita degno di questo nome: quasi 50 minuti di follia che trasportano l'ascoltatore in un oscuro gorgo da cui non si può più uscire, il tutto accompagnato da un tocco di eleganza che rende il disco non solo una mera prova di tecnica ineccepibile, ma anche qualcosa di ragionato e razionale nel suo essere totalmente privo di appigli. Le tracce proposte sono estremamente contorte, quasi per nulla riconducibili a pattern noti, ma comunque fruibili dopo svariati ascolti. Complice di tutto ciò le stupende sezioni più melodiche che accompagnano durante il viaggio, come avviene in "Barrier". Inoltre, differenza sostanziale con le precedenti produzioni, qui si è voluto dare un maggior peso alla sezione strumentale, con la voce del bassista Forsaken Ahmed che fa quasi da sfondo, rendendo il tutto ancora più folle. Un'opera, dunque, perversa e per certi aspetti non per tutti che nel suo avanzare senza logica - per così dire sia chiaro - riesce a darsi comunque una direzione, a patto di ascoltarla più e più volte per poterne cogliere ogni singolo aspetto. Sicuramente tra gli album più interessanti e meglio riusciti del 2024 che entra tra i candidati della top 10 di quest'anno.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 2024
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Se vi chiedessero di pensare al Metal estremo, quasi sicuramente l'Australia non sarebbe il paese che vi verrebbe in mente per primo. Tuttavia, la terra dei canguri è ben lungi dall'essere priva di una scena attiva e ribollente di novità, come oggi andremo a dimostrare. Dal sottobosco del vastissimo territorio australiano ecco spuntare gli Endless Loss, duo capitanato da tali SJ alla voce e chitarre e ML alla batteria. Per il resto la band è praticamente sconosciuta avendo alle spalle un solo EP e una demo. Ma oggi la musica cambia in tutti i sensi con questo fenomenale "Traversing the Mephitic Artery", primo vero album di debutto del duo di Adelaide che ci mostra un gruppo che di Black/Death Metal ne capisce tanto, ma veramente tanto. Per darvi un'idea: immaginate di mettere in un frullatore Triumvir Foul, Teitanblood e Archgoat; aggiungete un microscopico pizzico di follia dissonante dei Portal e avviate la macchina. Ecco, il risultato sarà un disco di una potenza devastante ed una personalità granitica come un monolite. Questo "Traversing the Mephitic Artery" si presenta come una gorgo oscuro, un turbine nero nell'acqua che inghiotte perfino la luce dal tanto che risulta pesante, con tutte le accezioni con cui si può usare il termine. La ritmica è serrata e non lascia spazio a momenti di calma, tranne in qualche passaggio come in "Sepulchre of Violent Consummation". Eppure, nonostante tutto, ML riesce a muoversi attraverso pattern affatto scontati, dando alle tracce un impianto osseo molto stabile e convincente. A seguire abbiamo il riffing: brutale, marcio, oscuro, privo di qualsiasi richiamo alla luce. Tutto è impastato come se fosse una melma maleodorante dalla quale emerge soltanto un growl cadaverico che molto deve agli americani Triumvir Foul - il che è un enorme punto di merito -. Ma anche qui non è da intendersi come un disco nel quale tutto è buttato in caciara tanto per dargli l'effetto frullatore impazzito. Al contrario: in questa quasi mezz'ora il duo riesce ad imprimere la propria personalità alle tracce, che risultano - stranamente ed in contrasto con il mood - scorrevoli e granitiche, senza intoppi del caso o fastidiosi passaggi. Chiaramente siamo di fronte ad un certo modo di intendere il Black/Death nelle sue frange più feroci ed estreme, ma possiamo garantirvi che questa è la qualità se volete addentrarvi nei meandri più oscuri del genere. Complimenti ragazzi!

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