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Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    15 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

La Toscana è sempre stata una terra prolifica di bands metal. Fin dagli albori, infatti, aveva dato il suo infuocato contributo alla causa del Dio Metallo con i mitici Strana Officina ("normale chi è, chi è normale?") e da allora non ha più smesso.
E non poteva mancare l'apporto toscano al genere horror-metal: sull'onda dei seminali Death SS (ancora oggi attivi sia discograficamente che on stage) in Livorno ha preso forma nel 2006 - ergo quasi vent'anni orsono - il monicker Deathless Legacy, giunto al suo sesto full-length. Personalmente, li seguo con molto interesse fin dagli esordi di "Rise from the Grave" con cui hanno dato una vera e propria sferzata ad un genere che stava un po' languendo, arrotolandosi pericolosamente su sè stesso. Un cocktail micidiale di religione, esoterismo, horror, occultismo, magia nera e Divina Commedia servito con maestria in versione ed in porzioni massicce, di grande effetto acustico e di potenza evocativa ed immaginifica incredibile, che aveva raggiunto la piena maturità con il precedente album "Mater Larvarum" (ebbè, l'utilizzo del latino ha sempre il suo perchè...). I due ingredienti segreti della mefitica ricetta del gruppo toscano sono l'uso sapiente e suggestivissimo delle tastiere e, soprattutto, una Gran Sacerdotessa del Male che risponde al nome d'arte di Steva Deathless: una voce inconfondibile, unita ad una presenza scenica unica, prerogative di una delle rarissime front-girls del settore. Un vero animale da palcoscenico, sorretto magistralmente da composizioni possenti e misteriche allo stesso tempo, che creano l'effetto di una celebrazione di riti sul palco che lasciano lo spettatore annichilito, in preda ad una paura terribilmente attraente (stesso effetto che fa la celebrante on stage...).
E che dire dei loro videoclips? Dei mini-capolavori che aderiscono al loro sound come un guanto alla mano di un chirurgo assassino.
Pezzi come "Indulgentia Plenaria", "Miserere" (sanguinoso singolo estrapolato esattamente come un serial killer sceglie l'arma dell'ennesimo delitto o come un inquisitore sceglieva lo strumento per l'ennesima tortura a morte) ti trascinano in un vortice senza speranza di dannazione eterna (da cui il nome della release e la title/opening-track) che raggiunge il culmine con "Spiritus Sanctus Diabolicus", una gemma preziosissima che atterrisce e ti avvolge tra le spire di Steva fino all'ineluttabile decesso per stritolamento. Non mancano, peraltro, le sorprese: una è "Get on your knees" (pseudo-blues maledetto) e l'altra è "Sanctified" davvero fuori dai binari in cui scorre l'album. Il finale è grandioso con la lunga (oltre 6 minuti) "Gehennae" (che significa "valle di Hinnon"), vocabolo già in uso nel tardo giudaismo e che indicava un luogo malfamato a sud-ovest di Gerusalemme, dove anticamente si praticavano sacrifici umani, poi diventato un enorme immondezzaio pubblico in cui bruciavano senza interruzione rifiuti di ogni genere, compresi i corpi insepolti. Cosa chiedere di più ad un disco che ti ha già fatto discendere negli Inferi e ti ha riportato indietro? Immensi. Infatti, per la prima volta da quando mi occupo di recensioni per allaroundmetal.com, assegno il massimo dei voti a questo "Damnatio Aeterna"!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    08 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 2025
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Il nome Morax compare nella lista dei 72 demoni descritti nella Ars goetia (spesso chiamata semplicemente "goetia" o "goezia"), testo che costituisce la prima sezione del grimorio anonimo del Seicento Piccola Chiave di Salomone. Morax (anche Foraii, Marax e Farax) è un Grande Conte e Presidente dell'Inferno, con trentasei legioni di demoni al suo comando. Insegna astronomia e tutte le altre scienze liberali. È raffigurato come un grande toro con la faccia di un uomo. È stato proposto che Morax sia imparentato con il Minotauro che Dante colloca all'Inferno (Canto XII). Questo, secondo la teoria di Fred Gettings, nel suo Dictionary of Demons edito nel 1988.
Il suo nome sembra derivare dal latino morax, "che ritarda", "che ferma". Ed è questo il nome che ha scelto Remi A. Nygård per il suo moniker. Questo polistrumentista norvegese ha deciso di ricalcare le orme del compianto - suo conterraneo - Quorthon (buonanima) quando mise in piedi il suo progetto Bathory.
Orme dalle quali si è discostato dal punto di vista compositivo perchè il nostro Remi (che certamente si colloca agli antipodi rispetto al dolce personaggio dei cartoon giapponesi degli anni '90...) è dedito sì a tematiche esoteriche e demonologiche, ma con un songwriting molto distante da quello del capostipite delle one-man band del black metal. Quello di Morax è più un power metal a tinte fosche, ma senza mai sfociare nel doom vero e proprio. Il disco, intitolato "The amulet" - che rappresenta il debutto come full-length, visto che nel 2023 il disco di esordio ("Rites and Curses") era un EP - è alquanto lunghetto ed i pezzi sono tutti piuttosto articolati e variegati, dimostrando una vena compositiva non indifferente del nostro scandinavo.
Anche qui, l'immancabile intro sinistra dà l'abbrivio ad un "Belial Rising" (potente figura mitologica demoniaca dell'Antico Testamento e, in genere, di tutta la antica tradizione giudaica) quantomai sferzante. E da lì in poi, è proprio il caso di dire che si scatena l'Inferno sonoro, con una sequenza di brani da paura molto ben concepiti, suonati e prodotti in cui le influenze dei magnifici danesi Mercyful Fate affiorano prepotentemente, solo più votati a quello che una volta veniva chiamato "speed metal" (vedi "The Snake"). "The amulet" è insomma un album violentemente dark!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    01 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 2025
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Jehovah On Death è una band Occult Rock formatasi ad Atene (Grecia) nel 2020. La band è composta da una congregazione di penitenti e dalla misteriosa Señora Dolorosa; per il resto, è circondata da un alone di mistero, così come si conviene ad un gruppo dedito a tematiche religiose ed esoteriche. Attraverso le loro canzoni di Amore e Morte (Eros e Thanatos) incitano l'ascoltatore alla confessione ed alla introspezione. Ispirata dal cattolicesimo spagnolo, dalla poesia e dalla musica, così come dalle credenze e superstizioni medievali, la band mira a ispirare una nuova ondata di "Satanic Panic" sia nel suono che nello stile.
La loro prima creatura è stato il singolo "Blood Madonna" nel 2022. L'anno successivo il passo in avanti, con l'EP "Heart Of Guilt".
Ora, si ripropongono con questo secondo EP dalla cover estremamente evocativa, che subito rimanda alla mente le nefandezze della Santa Inquisizione spagnola capeggiata dal sanguinario Torquemada. Così come estremamente evocativo è il titolo di questo four tracks: Francisco Goya è universalmente riconosciuto come uno dei pittori più immaginifici della storia umana e, senza dubbio, quello che (insieme a Jeronimus Bosch) è più in grado di rendere vivo quanto rappresentato su tela, anche grazie ai suoi giochi di luce leggendari. "Goya's Witches" rievoca il famoso dipinto "Il sabba delle streghe" (realizzato tra il 1820 ed 1823) e l'antica leggenda della "Spagna Nera", ricreando un paesaggio sonoro popolato da processioni di flagellanti e convitti di streghe volanti.
Si parte con la immancabile intro "Saeta Antigua", che dà la stura a "Altasgracias" simile ad un salmo metallico. Pregevole la seguente title-track, dall'incedere alquanto sinistro. La finale "Proclamation" è una traccia nascosta, che conferisce ancor più mistero ad un concept ai limiti dell'indecifrabile. Son convinto che sentiremo ancora parlare di questi Jehovah On Death...

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    22 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 2025
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Con i Saber torna a risplendere la grandeur di certo Adult Oriented Rock deviato, che - specie negli anni a cavallo tra gli '80 ed i '90 - ha vissuto una scena molto fiorente, specie in Los Angeles; bands come Cinderella, Ratt, Dokken, Poison, andavano davvero forte. Più nello specifico, queste bands erano accomunate da un sound massicio e potente ma pur sempre molto orecchiabile, dal motivo molto "catchy". Potremmo definirli un po' i figli degeneri dei capostipiti del glam rock, i monumentali Motley Crue, dei quali avevano mantenuto e sviluppato ulteriormente il look fatto di trucco vistosissimo e capigliature cotonate sparatissime. Orbene, nel caso del nostro quintetto, ci siamo con le terre di provenienza (L.A., California) ma niente trucco ed un suono decisamente più orientato verso il power metal più ortodosso.
Hanno esordito con "Speed Racer", singolo del 2019, al quale ha fatto seguito l'anno dopo un altro singolo, "Strike of the Witch"; finalmente, il debutto su full-lenght nel 2021, con "Without Warning". Ora, a quattro anni di distanza, esce questo "Lost in Flames" che rappresenta la definitiva affermazione di questa band che è dotata di un singer (Steven Villa) che - di base - potrebbe benissimo cantare in una band di thrash metal della scena di Frisco: in certi passaggi sfoggia degli acuti da far invidia al cantante degli Agent Steel, John Cyriis. La opening/title track apre con una intro trionfale che dà la stura ad un pezzo che sintetizza quanto finora esposto e che funge da apripista ad una sequela di brani iper-energetici e tanto possenti quanto melodici, impreziositi dagli assoli dell'italo-americano Antonion Pettinato, molto ispirato ed ultra-tecnico. "Phoenix Rising" ha una deriva quasi speed metal tradizionale che finisce poi per dissinnescarsi parzialmente, intervallandosi con mid-tempos parimenti efficaci ed aggressivi. "Madam Dangerous" è oltremodo accattivante, mentre con "Shattered Dreams" si cavalca alla grande. Il resto del disco prosegue sulla stessa scia infuocata, inframezzato dalla immancabile (semi) ballad "Shadow of You". Un album che certamente non farà gridare al miracolo (cosa, ovviamente, sempre più difficile) ma che non sfigurerebbe affatto nella vostra collezione di dischi, magari collocata tra il settore glam e il settore power.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    15 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 2025
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Correva l'anno 1988 allorquando un ragazzo genovese, che risponde al nome di Antonio Polidori, cresciuto ascoltando musica elettronica tedesca (Klaus Schulze), prog rock italiano (Goblin) e hard rock anni '70 ha dato libero sfogo alla sua naturale inclinazione per l'occulto, ispirandosi al vero faro del filone italico dell'epoca, il pesarese Paul Chain con i suoi Death SS prima e col progetto Violet Theatre dopo, epigoni della Magia Viola, dedita al culto della Morte. Come lui stesso ha avuto modo di esplicitare: "Anche se potrebbe sembrare un nome d’arte semplicistico, il moniker Tony Tears è molto profondo; nasce dall’ eterna lotta tra bene e male rappresentata da S. Antonio tentato dai demoni. Anthony (...) e lacrime. In questo caso le lacrime possono essere l’essenza infinita dell’anima: sofferenza, disperazione, dispiacere, dolore; ma anche, gioia, emozione, sollievo."
Devo dire che mi immedesimo molto in tutto ciò, perchè anche io sono cresciuto con Klaus Shulze (Tony ha citato l'album "Black Dance" del 1974 e condivido in pieno) con i dischi dei Goblin di Claudio Simonetti (sono maniaco anche io come lui di "Profondo Rosso") e seguo il metal fin dai suoi albori. Così come sono molto attratto dall'esoterismo e dall'occulto. Quello dei Tony Tears mi ha riportato alla mente quello altrettanto intrigante delli Jacula del romano Antonius (guarda caso, sempre Antonio) Rex, al secolo Antonio Bartoccetti, di recente ritornato a produrre dopo un lunghissimo letargo musicale. La band ligure - con questa produzione - taglia il nastro dell'ottavo full-length, inframezzati da una nutritissima sequenza di EP, demos e singoli. Album con il quale ci danno dimostrazione di avere ancora moltissimo da dire, in cui snocciolano idee a profusione, attraverso dieci perle di occult-metal che oscillano tra atmosfere cupe molto "seventies" (praticamente impossibile per una band del genere non pagare tributo ai capostipiti Black Sabbath...) e assalti corpo a corpo che preludono ad inaspettate aperture melodiche. Le atmosfere sono molto evocative e personalizzate; mai questo disco lascia affiorare la sensazione di "già sentito", riuscendo sempre a sorprendere positivamente chi lo ascolta. In conclusione "La società degli Eterni" (questo il titolo) è vivamente consigliato a tutte le anime oscure appassionate di questo particolare genere di musica!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    08 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 08 Febbraio, 2025
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Signori, qui si vola altissimo, a livelli stratosferici! Siamo al cospetto di un Uomo (peraltro mio coetaneo, quasi sessantenne) che è stato per ben un ventennio - dal 2001 al 12 gennaio 2021 - il bassista (in sostituzione di Sami Vänskä) e seconda voce dei Nightwish. E se non sapete chi sono, beh, forse non siete di questo pianeta. E, come se non bastasse, suona, assieme al fratello Zachary Hietala, nei Tarot, band con cui ha esordito. Oltretutto, ha studiato per anni composizione ed è anche tecnico del suono... E scusate se è poco! Al culmine della carriera con la grandissima band di Tuomas Holopainen, reduce da un tour mondiale tutto sold out durato la bellezza di un'anno e mezzo, il 12 gennaio 2021, Marko annuncia il suo ritiro dalla vita pubblica per motivi personali, e quindi anche l'uscita dai Nightwish. Segue un lungo letargo, fino a quando - il 1º dicembre 2022 - Marko annuncia il proprio rientro nella scena musicale, comunicando di essere rinvigorito e pronto a tornare sul palco. E quale modo migliore per farlo se non generando questo "Roses from the deep"? Un album stellare, che conferma ancora di più la incredibile vena compositiva del nostro guerriero finnico, che prende l'abbrivio da un pezzo sulla moglie di Frankenstein (...chissà che bellezza...) di enorme impatto, graniticamente melodico; gli fa seguito il singolo "Left on Mars" in cui duetta con la grandiosa Tarja Turunen (e mi sembra il minimo...) dando vita ad una canzone tanto energica quanto meravigliosa, impreziosita dal cameo vocale della front-woman finlandese. "Proud whore" certifica, semmai ve ne fosse bisogno, il talento pazzesco di Marko nel creare riffs iper efficaci."Two soldiers" è la prima ballad del disco, altrettanto magnifica e struggente mentre "The Dragon must die" dà giusto sfogo alla componente più epica e folk, fiera espressione di un popolo favoloso quali sono stati i Vichinghi, di cui Marko è degnissimo discendente. Con "The Devil you know" si torna alla modernità con un incedere iniziale molto bluesy che sfocia in un cadenzone da paura. Non poteva mancare la chicchetta in lingua madre, rappresentata da "Tammikuu", che precede la title-track (la seconda ballad della release) di una classe indescrivibile. Una menzione particolare merita il chitarrista Tuomas, davvero molto ispirato e stra-tecnico ma con cuore. Una produzione semplicemente colossale! Long live Marko!!!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    01 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 01 Febbraio, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

Secondo voi, cosa escogiterebbero cinque amici di St. Louis (Missouri) con la passione per l'orrido, dei quali due (Matt e Doug) operano nel business delle onoranze funebri, incontrandosi dinanzi ad una birra in una tempestosa notte? Ma di fondare una band dedita all'horror metal! E come la chiamerebbero? Ma che domande...la fiaccolata (funebre, of course). Il loro omonimo album di debutto vede la luce (...si fa per dire...) nel 2020; nel 2022 è la volta di "Never Laugh When a Hearse Rolls By" ossia "Non ridere mai quando passa un carro funebre" (anche perchè avrebbe potuto toccare a te... e, comunque, occhio...) ed ora vengon fuori con questo "Children of the Night" che fa tanto Kiss, leggendario disco con il quale - però - ha in comune solo il titolo.
Da notare la presenza di Teddy "Zig Zag" Andreadis alle tastiere ad alla armonica. Teddy è il tastierista di Alice Cooper, Guns N' Roses, and Walter Trout, ed è attualmente nella band solista di Slash. Nel 1999, è stato eletto tastierista dell'anno nel L.A. Music Awards. E scusate se è poco...
Intanto, l'artwork di copertina ci propone un sempre intrigante duello tra licantropo e vampiro. La opening/title track è costituita dalla intro di rito, nella fattispecie davvero brividosa, coerentemente con il contesto che è chiamata a preludere, con delle atmosfere ancor più orride ordite da Teddy ed un coretto inquietantissimo.
La voce di Matt Engel - a tratti - ricalca quella di Tim Baker dei Cirith Ungol.
Dopo aver ascoltato il lupo mannaro esibirsi nel suo cavallo di battaglia ("Howl'n Wolf") ossia l'ululato, giunge una "Frankenstein On Death" che rievoca "The beautiful people" di sua stranezza Marilyn Manson.
"Haddonfield's Revenge" rievoca molto il motivetto di Venerdi 13 mentre è "I'm not dead...Yet!" a sorprendere con il suo bluesaccio alla ZZ Top (d'altronde aveva rappresentato il singolo, aperitivo rispetto a questa release dalla quale è stato estrapolato). E qui riaffiora lo humor nero che da sempre caratterizza i testi della band americana. Altra sorpresa (ma, questa volta, in negativo) di questo CD è il tentativo di ballad "I Call Her Mausoleum", davvero poco riuscita. Vabbè, piccolo neo in una produzione complessivamente ben oltre la sufficienza, che - considerando che i nostri cinque sono appena al terzo disco - fa ben sperare per il futuro e che si chiude degnamente con una "Danc'n with the Dead" che fa tanto Rocky Horror Picture Show, con tanto di cornamuse finali. Sipario e applausi!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    26 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 2025
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Il primo singolo di questa band canadese risale addirittura al 1975, ma è dal 1984 che hanno cominciato a fare sul serio. E non si sono più fermati (eccezion fatta per due stop forzati durati quasi dieci anni l'uno). I mitici Venom, nel loro periodo aureo, solevano intitolare i loro live come assalti portati sui vari palchi disseminati nel globo terracqueo: quando è stata la volta del Canada, hanno pubblicato "Canadian Assault"; ebbene, i Sacrifice incarnano proprio questo concetto. Annihilator, Exciter, Anvil, sono solo alcune delle bands loro conterranee, ma con il quartetto del sacrificio siamo su livelli di potenza e violenza che vanno oltre ogni limite. Certamente arrivano, con questo loro sesto full-length (da qui il titolo...), a rasentare gli eccelsi livelli dei mastodontici e compianti Slayer, quelli di "Raining Blood" tanto per intenderci... E scusate se è poco! Questa release non lascia a chi la ascolta nemmeno il tempo di pensare, di respirare, perchè lo azzanna immediatamente alla giugulare e non lo molla più, lasciandolo esanime solo dopo una gragnuola di pezzacci l'uno più ultra-violento dell'altro. Dalla opening track "Comatose" a quella finale "Trapped in a World" non avrete scampo nè requie: "Volume Six" è un disco thrash micidiale, per headbangers scafati e rotti a tutte le esperienze, da maneggiare con la stessa cura con la quale si maneggia un ordigno inesploso ma pronto a deflagrare non appena spingete il tasto "Play", investendovi con migliaia di schegge impazzite e letali. Il wall of sound creato dai nostri four horsemen è a tratti indescrivibile per quanto è iper-potente e massiccio. La pogata è irrefrenabile e garantita, così come l'headbanging sfrenato, fuori da ogni controllo. Non potete non avere questo disco!!!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    18 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 2025
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I più attenti di voi avranno notato il vuoto nello spazio dedicato alla descrizione dei componenti della band. C'è un motivo ben preciso: il moniker trae origine da quello di una loggia segreta fondata nel XIX secolo da Jean-Baptiste Jules Bernadotte, noto anche come Karl Johan il 14° di Svezia, che prima di salire al trono di Svezia, era maresciallo sotto Napoleone. Dopo l’incoronazione svedese, Karl Johan creò una loggia segreta per nobili scandinavi e della Germania settentrionale, potenti signori e futuri magnati industriali: la Loge du Grand Soleil, che per diversi anni tenne riunioni segrete nei castelli e nei manieri di tutta la Scandinavia.
I membri del Big Sun sono tutti discendenti diretti dell’apice assoluto del periodo d’oro della Loge du Grand Soleil, e sono ora pronti a elevare la visione della loggia di un ritorno della grande verità e della vera arte – nata nell’essenza della musica – sotto il nuovo nome della loggia Big Sun.
Ergo, nessun nome da indicare nella line up. Sappiamo solo che sono in tre, sono scandinavi e sono al loro album di debutto, prodotto da Tue Madsen, noto tecnico del suono e iperattivo produttore danese (2 Ton Predator, Exmortem, Jerkstore, etc.) che fu chitarrista prima dei Pixie Killers e poi dei Grope.
Nelle scarne note di presentazione, c'è scritto :"per fans di Ac/Dc, Mercyful Fate e Ghost"; ebbene, questo "Rito di Passaggio" possiede un cantato mooolto simile a quello di Sua Maestà King Diamond (anche se solo nella opening track), riffs semplici ma di presa immediata come quelli dei Titani australiani e delle strutture melodiche/compositive vicine a quelle della band del fantasma.
La opening track, manco a dirlo, è intitolata alla divinità adorata dal gruppo/setta ed è davvero intrigante e di grande atmosfera.
Ma si tratta di un brano "spurio", una anomalia presente nella track list di questo CD.
Difatti, giunge a sorprenderci il secondo pezzo "I was loving you", una vera perla di quello che è stato l'Adult Oriented Rock (AOR) di fattura sopraffina, quello - tanto per intenderci - di Winger, Ratt, Nightrider e compagnia bella. Ed è qui che scopriamo la vera anima musicale dei Big Sun. "Stronger than anyone" prosegue sulla scia, con tastiere in gran spolvero a far da contraltare a chitarrone da paura, ma sempre ben orecchiabili. A parte l'altrettanto anomalo intermezzo di "Ra Horaktus" il disco scivola via che è un piacere, in costante equilibrio tra grandeur del sound e godibilità melodica assoluta.
Sì, è vero: direte voi che vi è una certa incoerenza tra i propositi sbandierati dal tre del Grande Sole, basati sul più puro esoterismo, e la loro proposta concreta a livello di release, ma tant'è.... Un gran disco è sempre e comunque un gran disco, a prescindere da tutto il contorno.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    04 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 04 Gennaio, 2025
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Per chi bazzica la scena doom e dintorni - tanto a livello nazionale che internazionale - questo monicker dirà tantissimo. Ragassuoli, questa è gente che ha cominciato a diffondere il verbo doom nel lontano 1987 partendo dalla città di Giulietta, per poi diffondersi come una macchia venefica. E ciò, nonostante abbia subìto uno stop forzato piuttosto serio; risorti dalle ceneri di Black Hole e Sacrilege (omonimi della fantastica band francese) realizzarono il demo "The Lord Of Evil"; dopo altri due demos "Sacred and Profane" targato 1992 e "Mental Walls" del 1994, si sono sciolti, per poi auto-rigenerarsi (come ogni creatura maligna che si rispetti) nel 2012, dando "vita" (...parola grossa...) a "Crawling Out of the Crypt", loro primo full-length, nel 2014, seguito dallo split "Dies Funeris / Farewell to Blind Men" nel 2016. L'anno dopo pubblicarono il loro secondo album, "Claws". A sette anni di distanza, preceduto da un singolo da esso estrapolato, ecco questo ultimo LP (of course, in ordine di tempo) "Path to Oblivion".
Da una band che si chiama epitaffio, ossia la iscrizione presente su una lapide, non è che ci si possa aspettare un suono diverso da un doom senza compromessi, integralista, senza "se" e senza "ma". E questo cd mantiene in pieno ciò che promette! Una sequenza di pezzacci funerei degni della migliore tradizione dei capostipiti del genere: Black Sabbath su tutti, ma anche Saint Vitus e i primi (pesaresi) Death SS (la voce di Ricky è l'esatta via di mezzo tra quella di Scott "Wino" Weinrich e Sanctis Gorham), gli inevitabili Candlemass e - anche se un po' di striscio - Trouble. Altrettanto immancabile la intro spettrale (che è anche la title-track) che prelude ad un "Embraced by Worms" davvero di livello. Dopo esserci fatti abbracciare dai vermi (dei quali siamo ineluttabilmente destinati a divenire cibo) in quanto "Condemned to Flesh", ossia condannati alla carne, diventiamo preda di un "Nameless Demon", di un demone senza nome, generato da una sinistra creatura rinata nella blasfemia ("She's reborn in Blasphemy") mentre delle voci oltre i muri ("Voices Behind the Wall") ci sussurrano che stiamo per entrare nel regno del sonno (eterno, ovviamente - "Kingdom Of Slumber") in quanto caduti in disgrazia ("Fall from Grace"). Un album bellissimo, variegato pur restando nell'alveo del doom composto e suonato con grande mestiere e maestria da chi dimostra di sapere davvero di cosa stiamo parlando e che certamente saprà dire la sua per molto tempo ancora. Anzi, fino alla stessa notte dei tempi dalla quale proviene.

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