Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO
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Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 2025
Top 50 Opinionisti -
I più attenti di voi avranno notato il vuoto nello spazio dedicato alla descrizione dei componenti della band. C'è un motivo ben preciso: il moniker trae origine da quello di una loggia segreta fondata nel XIX secolo da Jean-Baptiste Jules Bernadotte, noto anche come Karl Johan il 14° di Svezia, che prima di salire al trono di Svezia, era maresciallo sotto Napoleone. Dopo l’incoronazione svedese, Karl Johan creò una loggia segreta per nobili scandinavi e della Germania settentrionale, potenti signori e futuri magnati industriali: la Loge du Grand Soleil, che per diversi anni tenne riunioni segrete nei castelli e nei manieri di tutta la Scandinavia.
I membri del Big Sun sono tutti discendenti diretti dell’apice assoluto del periodo d’oro della Loge du Grand Soleil, e sono ora pronti a elevare la visione della loggia di un ritorno della grande verità e della vera arte – nata nell’essenza della musica – sotto il nuovo nome della loggia Big Sun.
Ergo, nessun nome da indicare nella line up. Sappiamo solo che sono in tre, sono scandinavi e sono al loro album di debutto, prodotto da Tue Madsen, noto tecnico del suono e iperattivo produttore danese (2 Ton Predator, Exmortem, Jerkstore, etc.) che fu chitarrista prima dei Pixie Killers e poi dei Grope.
Nelle scarne note di presentazione, c'è scritto :"per fans di Ac/Dc, Mercyful Fate e Ghost"; ebbene, questo "Rito di Passaggio" possiede un cantato mooolto simile a quello di Sua Maestà King Diamond (anche se solo nella opening track), riffs semplici ma di presa immediata come quelli dei Titani australiani e delle strutture melodiche/compositive vicine a quelle della band del fantasma.
La opening track, manco a dirlo, è intitolata alla divinità adorata dal gruppo/setta ed è davvero intrigante e di grande atmosfera.
Ma si tratta di un brano "spurio", una anomalia presente nella track list di questo CD.
Difatti, giunge a sorprenderci il secondo pezzo "I was loving you", una vera perla di quello che è stato l'Adult Oriented Rock (AOR) di fattura sopraffina, quello - tanto per intenderci - di Winger, Ratt, Nightrider e compagnia bella. Ed è qui che scopriamo la vera anima musicale dei Big Sun. "Stronger than anyone" prosegue sulla scia, con tastiere in gran spolvero a far da contraltare a chitarrone da paura, ma sempre ben orecchiabili. A parte l'altrettanto anomalo intermezzo di "Ra Horaktus" il disco scivola via che è un piacere, in costante equilibrio tra grandeur del sound e godibilità melodica assoluta.
Sì, è vero: direte voi che vi è una certa incoerenza tra i propositi sbandierati dal tre del Grande Sole, basati sul più puro esoterismo, e la loro proposta concreta a livello di release, ma tant'è.... Un gran disco è sempre e comunque un gran disco, a prescindere da tutto il contorno.
Ultimo aggiornamento: 04 Gennaio, 2025
Top 50 Opinionisti -
Per chi bazzica la scena doom e dintorni - tanto a livello nazionale che internazionale - questo monicker dirà tantissimo. Ragassuoli, questa è gente che ha cominciato a diffondere il verbo doom nel lontano 1987 partendo dalla città di Giulietta, per poi diffondersi come una macchia venefica. E ciò, nonostante abbia subìto uno stop forzato piuttosto serio; risorti dalle ceneri di Black Hole e Sacrilege (omonimi della fantastica band francese) realizzarono il demo "The Lord Of Evil"; dopo altri due demos "Sacred and Profane" targato 1992 e "Mental Walls" del 1994, si sono sciolti, per poi auto-rigenerarsi (come ogni creatura maligna che si rispetti) nel 2012, dando "vita" (...parola grossa...) a "Crawling Out of the Crypt", loro primo full-length, nel 2014, seguito dallo split "Dies Funeris / Farewell to Blind Men" nel 2016. L'anno dopo pubblicarono il loro secondo album, "Claws". A sette anni di distanza, preceduto da un singolo da esso estrapolato, ecco questo ultimo LP (of course, in ordine di tempo) "Path to Oblivion".
Da una band che si chiama epitaffio, ossia la iscrizione presente su una lapide, non è che ci si possa aspettare un suono diverso da un doom senza compromessi, integralista, senza "se" e senza "ma". E questo cd mantiene in pieno ciò che promette! Una sequenza di pezzacci funerei degni della migliore tradizione dei capostipiti del genere: Black Sabbath su tutti, ma anche Saint Vitus e i primi (pesaresi) Death SS (la voce di Ricky è l'esatta via di mezzo tra quella di Scott "Wino" Weinrich e Sanctis Gorham), gli inevitabili Candlemass e - anche se un po' di striscio - Trouble. Altrettanto immancabile la intro spettrale (che è anche la title-track) che prelude ad un "Embraced by Worms" davvero di livello. Dopo esserci fatti abbracciare dai vermi (dei quali siamo ineluttabilmente destinati a divenire cibo) in quanto "Condemned to Flesh", ossia condannati alla carne, diventiamo preda di un "Nameless Demon", di un demone senza nome, generato da una sinistra creatura rinata nella blasfemia ("She's reborn in Blasphemy") mentre delle voci oltre i muri ("Voices Behind the Wall") ci sussurrano che stiamo per entrare nel regno del sonno (eterno, ovviamente - "Kingdom Of Slumber") in quanto caduti in disgrazia ("Fall from Grace"). Un album bellissimo, variegato pur restando nell'alveo del doom composto e suonato con grande mestiere e maestria da chi dimostra di sapere davvero di cosa stiamo parlando e che certamente saprà dire la sua per molto tempo ancora. Anzi, fino alla stessa notte dei tempi dalla quale proviene.
Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Quest'ultima uscita dei torinesi Ponte del Diavolo altro non è che la raccolta dei brani che componevano i loro EP che hanno preceduto l’ottimo full-length di debutto “Fire Blades from the Tomb” che ho avuto il piacere di recensire all’epoca.
I tre EP in questione sono “Mystery of Mystery” del 2020, “Sancta Menstruis” e “Ave Scintilla!” del 2022. Ottima idea, perché ritengo quanto mai giusto che coloro che hanno ascoltato il precedente album abbiano l’opportunità di dare un assaggio a ciò che la band piemontese ha prodotto prima. Anche perché si tratta di pezzi di notevole entità nell’ambito dell’Occult Metal. Né ci si poteva aspettare altro da un gruppo che proviene da una delle città più esoteriche del mondo (rammenterete il fatto che Torino forma il famigerato triangolo della magia nera insieme a Londra e San Francisco).
Già la intro “Mystery of Mystery”, con lo speech di Gustavo Rol (uno dei più grandi esoteristi italiani) ci ammanta nel fascinoso sound della band sabauda, in cui troneggia il singing di Erba del Diavolo, a mio modesto parere l’erede della mitica Siouxie Sioux dei Siouxie and the Banshees che chi ha dei trascorsi dark wave ricorderà senz’altro.
Tutti i brani di questa raccolta sono di assoluto livello, proponendo un metal di derivazione occultistica alquanto colto e raffinato, anche laddove le atmosfere si fanno brividose, come nel caso di “13”. Balza immediatamente all’orecchio dell’ascoltatore il fatto che – dietro ciò che i Ponte del Diavolo propongono - c’è della ricerca seria e non votata ad alcun compromesso.
Ed anche quando si va di blast drumming (come nella migliore tradizione black metal, specie di matrice scandinava) il risultato è sempre molto particolare, perché centellinato a dovere in un contesto che rievoca le atmosfere tipiche dei riti occulti (vedi “Un bacio a mezzanotte”, che di romantico ha solo il titolo...) ; ed anche allorquando il sound si fa più sperimentale (“III”) nulla può darsi per scontato, né tantomeno di “già sentito”.
Insomma, questa è una release che dimostra come il loro album edito in questo anno che volge al termine sia stata una gradita conferma di quanto già realizzato dalla band della città della Mole.
Ultimo aggiornamento: 08 Dicembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Devo dire che questo EP degli Aivvass intitolato "Occult rites II" è uno dei dischi più strani che abbia mai ascoltato in ben 45 anni di "militanza" in ambito rock e metal. Di loro si sa solo che provengono dalla Germania e che sono in cinque (la formazione, infatti, non è stata resa nota). Certo, leggendo la track list del loro EP di esordio ("Occult rites I"), balza immediatamente all'occhio che i titoli sono - nell'ordine - Aivvass, Satana, Bafometto e Lucifero: tutto molto eloquente. Effettivamente i nostri cinque tedeschi sono dediti ad un folk-doom metal del tutto particolare: già la opening track di questo secondo EP, "Crucifixion" è a dir poco spiazzante, con i suoi accordi di chitarra classica in stile Woodstock, che ti fa immaginare più le colline britanniche che riti occulti. La successiva "Witchcraft" è una lunga litania nera che ti fa ritenere di presenziare ad una cerimonia occultistica (anche grazie a degli inserti di speech, peraltro presenti anche in altri brani), mentre "Cremation of care", con i suoi immancabili accordi di chitarra acustica, mi ha ricordato quelle messe domenicali cattoliche con quei canti tipici che stridono fortemente con i contenuti (o almeno, con quelli attesi alla luce dell'artworking e delle tematiche trattate...). La traccia che chiude l'EP ("The Goul") è una cover dei mitici Pentagram, con la voce che sembra provenire direttamente dall'oltretomba ma che - alla fine - si rivela essere il pezzo più "godibile" dell'opera dei teutonici.
Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
La Finlandia viene da anni ritenuta la nazione in cui si vive meglio e si è più felici. Eppure vi traggono origine una frangia di bands di blackster mica da ridere! Ma soprattutto, si tratta di bands di black metal (tipicamente scandinavo nei suoi canoni e nei suoi dettami) dalla spiccata vocazione anti-cristiana ed anti-clericale. Tant'evvero che la band dal monicker forse più blasfemo in assoluto (Impaled Nazarene) è spuntata fuori proprio dal paese finnico. Sembra quasi che - sotto questo punto di vista - ci sia quasi una gara con le bands di quella Polonia che dette i natali a Papa Woytila. Ebbene, il quartetto anti-papa spunta anch'esso da una località dal nome impronunciabile (Oulu, Pohjois-Pohjanmaa peraltro la stessa degli Impaled Nazarene) nel lontano 2004. Giunta al settimo full-length, li avevo già recensiti con il precedente "Rex Mundi" ed in quella sede avevo avuto modo di apprezzare il loro Progressive/Gothic/Industrial Metal dedito a tematiche mitologiche, storiche, religiose ed occultistiche. In questo loro ultimo CD intitolato alle porte della Morte (non a caso pubblicato da una casa discografica di moribondi...) i nostri nordici cercano di dare un po' più di risalto al fattore melodico, con maggiori aperture che conferiscano alle composizioni un tratto meno cupo e claustrofobico abbinato a ritmiche più variegate, rendendo più imprevedibile l'evolversi della struttura degli otto pezzi che compongono questa loro ultima fatica. Al tirar delle somme, dopo l'ascolto dell'album, devo dire che l'esperimento è riuscito solo in parte. Forgiare dei brani con linee melodiche ben delineate, ma con un tappeto di blast-drumming non l'ho trovato particolarmente entusiasmante. Questa loro direzione intrapresa mi ha riportato alla mente quella che è stata l'evoluzione musicale dei canadesi VoiVod. Loro hanno finito per diventare, con il passare delle releases, un oggetto indefinito, una sorta di ibrido che alla fine non accontenta nè i fans della prima ora che quelli di più recente formazione. Spero di sbagliarmi, ma mi sa che gli Antipope hanno intrapreso la medesima china, con risultati che non possono certamente pronosticarsi, ma che dubito fortemente che saranno diversi da quelli dell'altra band citata. Resta comunque il fatto che hanno operato una scelta innegabilmente coraggiosa che, in quanto tale, va senz'altro premiata. Cosa che, nel mio piccolo, faccio attraverso il voto di incoraggiamento che attribuisco a "Doors of The Dead".
Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Sesto full-length per il duo del Castello, una coppia resa coesa dalla comune passione per l'occultismo. Una malsana passione che - dal 2009 - unisce questa strana coppia mista USA/Canada e che è rimasta fedele a sè stessa e coerente con i propri principi. Intendiamoci, i Castle non hanno nulla a che fare con il doom/sludge. Certamente, nel loro sound delle venature e delle sfumature doom innegabilmente ci sono; ma si tratta solo di questo, quanto basta per proporre un horror-hard rock un po' sabbathiano e sinistro. Le ritmiche non sono mortifere, le linee melodiche non sono oscure e tetre, ma si sente lontano un miglio che di dark gli autori di questo "Evil Remains" ne masticano da parecchio, eccome! La opening track dedicata alla Regina della Morte rende subito l'idea di quanto finora scritto. Altrettanto dicasi per la seguente traccia, inneggiante all'indiscusso Prinicipe della Notte, Nosferatu. Molto suggestiva ed efficace, poi, è l'alternanza al singing tra Mat ed Elizabeth, presente in alcuni brani, entrambi in grado di conferire una buona dose di pathos agli otto pezzi che compongono questo album molto convincente. "Deja Voodoo" (ganzo il gioco di parole) ha un riff seventhy azzeccatissimo per render un incubo in musica. Tocca poi alla title-track, anch'essa semplice ma di presa diretta, con tanto di cadenzone centrale. Con "Black Spell" si dà una accelerata, una sferzata di energia mica da ridere, corrosiva al punto giusto: quanto basta per pogare zombificati. Dopo la maledizione nera, si torna ad atmosfere più dannate e profonde con "100 eyes" del quale la nostra strana coppia ha realizzato un video intrigantissimo; atmosfere che si fanno più incandescenti con il crescendo della seconda metà del pezzo. Il brano finale è "Cold Grave", che sembra scritta da un necrofilo e che chiude in bellezza questo capitolo della saga del Castello infestato che - ne sono certo - farà parlare di sè ancora per molto.
Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Londra è da sempre la culla del metallo pesante, capitale di quella Terra d'Albione che costituisce la Patria indiscussa dell'Heavy Metal in tutte le sue declinazioni. Sono passati ormai quasi 50 anni da quando la New Wave Of British Heavy Metal irruppe sulla scena musicale, cambiandola per sempre. Nulla è stato più come prima dal 1978 in poi, senza tema di smentita. E la cosa più grandiosa è che non sembra che - ancora per molto tempo ancora - il nostro beneamato genere musicale sia destinato al tramonto. Ciò grazie alle bands di ogni dove del globo terracqueo che continuano imperterrite ad alimentarne il Sacro Fuoco. Ennesima prova ne sia questa band londinese, formatasi nel 2000 e che, senza frapporre indugi, già nello stesso anno esordì con l'EP "Sacrifice Doth Call". L'anno dopo ha preso parte allo split record "Iron and Hell Vol. I"; lo scorso anno è stata la volta del demo "Eternal Hammerer", che ha fatto da preludio a questo debut album "Wielder Of Steel". Quello propugnato dal quartetto inglese è un epic davvero ispiratissimo e cattivissimo. Poche note della opening track "Eternal Hammerer" (vedi demo di cui sopra) e ti senti già gettato in mezzo ad un campo di battaglia, dove regna il "mors tua, vita mea" (perchè, nella vita di tutti i giorni com'è...?). Ne avverti persino gli odori, i rumori, gli umori anche se sai che l'imperativo è sopravvivere, combattere o perire. Non a caso hanno scelto come monicker il mitico carro a due ruote utilizzato in battaglia in antichità, una sorta di discendente della biga del Romano Impero. La formula è (come si conviene) semplice ma efficace: un sound iper-massiccio ed altisonante, ultra-heavy con abbondanti accelerate, tutto di pregevolissima fattura (che non è poco di questi tempi, vista la pletora di gruppi che affollano il metalrama mondiale...). Certo, se proprio devo trovare un punto debole, io avrei optato ed opterei per un vocalist diverso; si, lo so che di Eric Adams non ne nascono ogni giorno, ma per me è lui l'incarnazione del vocalist di una band di Epic Metal che si elevi una spanna sopra le altre. Ma, a parte questo piccolo appunto, i Phaeton se la giocano molto bene con tantissimi altri gruppi del settore, al quale danno un contributo non indifferente con questo loro full-length.
Ultimo aggiornamento: 12 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Eh, si sa. Quando ci sono di mezzo i Nasty Savage tutto diventa un po' malato. Gli artefici di pezzi indimenticabili come "Phsycopath", che hanno sempre flirtato con le malattie mentali, dopo un bel po' di anni (l'ultimo full-length risale al 2004, e si intitolava - guarda un po' - "Phsyco Phsyco"...) magari trascorsi in qualche camera imbottita, tornano i nostri cinque gladiatori della Florida, dalla quale hanno iniziato a combattere fin dal lontano 1983. Ci riecheggiano ancora pezzi formidabili come "Gladiator", la succitata "Phsycopath" e, soprattutto, il mega-riffone di "Asmodeus" facenti parte del mitico album di esordio omonimo. Nella line-up attuale ci sono ancora i due fondatori Nasty Ronnie e James Cocker, che dettero forma e vita a Brandon (Florida) ad un progetto di musica tosta sì, ma che desse modo di manifestare la follia che da sempre serpeggia nelle loro menti malsane. La loro insana vena compositiva è fluita senza problemi dal 1983 al 1989, anno di uscita di "Penetration Point"; poi, l'oblìo. Dei Nasty Savage si persero le tracce misteriosamente fino al 2004 allorquando è stato pubblicato il sopraccitato "Phsyco Phsyco". E poi, di nuovo più nulla per ben 20 anni. Ma ora, finalmente, questo "Jeopardy Room" rompe il silenzio e segna il loro ritorno in grande stile! Ma la nota più lieta è che - tutto questo tempo - sembra non essere mai passato. I brani di questa loro ultima fatica ce li restituiscono in gran spolvero, con pezzaccioni come "Brain Washer" e "Schizoid Platform" a sugellare il come-back della band convenzionata con i centri di igiene mentale di tutto il mondo. Anzi, il drumming di James è vieppiù dinamico ed al limite del blast (vedasi "Brain Washer"), cosa incredibile per un membro fondatore che dovrebbe avere la sua veneranda età. Per non parlare degli arpeggi introduttivi di "Southern Fried Homicide" e "Aztec Elegance" (una spanna sopra gli altri brani), tanto ammalianti quanto inquietanti. Anche la voce semi-narrante di Nasty (al secolo Ronnie Galletti, patitissimo di wrestling) è rimasta intatta nel tempo, sempre cattivissima e ispirata. "Blood Syndicate" è semplicemente devastante (tra un mugolìo e l'altro). Il duo di asce Pete/Dave è affilatissimo come un bisturi in mano ad un sadico. Idem dicasi per "The 6th finger" in puro Slayer style, con il basso di Kyle sugli scudi. Tremate tremate, i Nasty Savage son tornati!
Ultimo aggiornamento: 05 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Certamente fa strano dover prender in esame una Metal band indiana - del Bengalore -, ma questo powertrio è attivissimo dal 1988 (!!!) e ha dato vita ad una discografia sconfinata! Per me, dover ammettere la mia ignoranza è sempre una bellissima cosa, perché significa - da un lato - che sto avendo l'ennesima conferma di non sapere e - dall'altro - che sto imparando (e ascoltando) qualcosa di nuovo. "Decimator" (questo il titolo del full-length) parte alla grande, con un "Sirens of Steel" che rimembra l'approccio outtake dei canadesi Exciter con una immancabile venatura maideniana. "Fall to the Spectre's Gaze" invece mi ha rammentato i mitici giapponesi Loudness del monumetale "Thunder in the East". "Solaris" è un piacevolissimo intermezzo strumentale medievaleggiante (ed io adoro il Medioevo) che prelude alla title-track dal riff tritatutto. "In the Shadow of the Blade" - quasi il titolo dei seminali Fingernail, band romana di Angus Bidoli e del compianto Bomber Santoni- non è da meno, sfoggiando anch'esso un riff sontuoso alla Loudness - "Pathfinder" (che mi ha riportato alla memoria un filmazzo cult in cui i Vichinghi si scontravano con i nativi pellerossa) è più cadenzato ma non meno travolgente. Mette la parola fine "We Are the Night", che irrompe con il suo muraglione chitarrifero per poi incedere come un caterpillar asfalta-tutto. L'ensemble è estremamente equilibrato: i nostri ragazzacci indiani non si smentiscono, proponendo un Power Metal di assoluta caratura, compatto e massiccio fatto di vocals potenti ma mai eccessive, assoli onestamente concepiti ed eseguiti, sezione ritmica tipo metronomo roccioso. Tutto più che godibile per una serata di headbanging sano e robusto, senza stravolgimenti ed estremismi che, in fondo, è sempre cosa buona e giusta. Forse i Kryptos, con questo "Decimator", hanno scoperto l'elisir dell'eterna giovinezza musicale...
Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Era il 1985. Eravamo travolti e stravolti da quel fiume in piena che era la New Wave Of British Heavy Metal. Tra le bands che si distinguevano per la loro particolare bellicosità, c'erano già i Blitzkrieg. Il monicker era mutuato dal tedesco e rievocava terribilmente la tecnica di guerra inizialmente utilizzata da Hitler per conquistare territori limitrofi alla Germania: la guerra lampo. Il brano omonimo campeggiava nella tracklist del full-length "A Time of Changes", uscito per la Neat Records, la stessa che annoverava nel proprio roster i Venom, i Raven ed altra compagnia bella; tutte bands esplosive e che - guarda caso - in molti casi sono tutt'oggi attive e pericolose. Correva l'anno domini 1980 ed il quel di Leicester un certo Brian Ross diede vita al progetto ancor oggi vivo e vegeto, nonostante qualche cambio di line-up. Un progetto fondato sull'Hard 'n' Heavy che più canonico non si può, mirabilmente sintetizzato in quella autentica perla metallica che porta il loro stesso nome. Un pezzaccio costruito su un riff titanico, che fu rinverdito dai Metallica che lo inserirono nella tracklist di quella autentica Bibbia del Metal che risponde al nome di "Kill'em All" pubblicato nel 1983 consacrando la irreversibile ascesa della mega-band di San Francisco. Ancora, lo ritroviamo anche nella lista dei brani del mitico "Ride the Lightning" targato 1984 (dipende dalle rispettive versioni edite). Pezzo poi riproposto dagli stessi Blitzkrieg nel loro album "Ten" del 1996 (con, invero, delle tastiere più in risalto) ed, infine, ancora dai Metallica in "Garage Days", uno degli EP più riusciti in assoluto, uscito nel 1998. Al di là di questa (sia pur doverosa) Blitzkrieg story, questo ultimo lavoro della band albionica è assolutamente in linea con la loro precedente, sconfinata produzione; specialmente sotto il profilo degli standard qualitativi. Si parte con una opening track più che all'altezza della band, poderosa e decisa come un diretto in pieno volto e l'intero album si dipana lungo un sentiero aspro e forte, che delinea un sound davvero massiccio, per gente tosta fino al midollo! Insomma il tempo sembra non passare mai per i nostri amici, che - come abbiamo visto - possiamo a giusta ragione annoverare tra i fondatori dell'Heavy Metal e che - a distanza di ben 44 anni - sono ancora degni di sedere nell'Empireo degli Dei del Metallo. Imperituri.
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