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Opinione inserita da Marianna    11 Luglio, 2021
Ultimo aggiornamento: 11 Luglio, 2021
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Dopo 25 anni di carriera si può rischiare di cadere nella banalità o nella monotonia, sfornando dischi solo per il mero guadagno, ma non è questo il caso dei Suidakra. Licenziato il 25 Giugno di quest’anno via MDD Records, si dimostrano ancora una volta una band capace di reinventarsi e accalappiare nuovi fans. Ecco allora che con “Wolfbite” si parla di “Suidakra 2.0”; l’inizio di una nuova era musicale per il gruppo.

“Wolfbite” è un disco di rinascita ma che, allo stesso tempo, fa da ponte tra il lavoro passato e quello futuro, portando una sorta di aria fresca nel progetto. È proprio grazie alla collaborazione con Aljoscha Sieg (Eskimo Callboy, Vitja, Gestört aber GeiL) che il sound si svecchia, assorbendo le influenze del Metal più recente e moderno. Fin dalla prima traccia (“A Life in Chains”), si percepisce quanto i Suidakra abbiano attinto da questa fonte della giovinezza; il Celtic Metal a cui eravamo abituati (pensiamo a “Cimbric Yarns” del 2019 ndr.) è ormai superato. “The Inner Wolf” è l’emblema di quanto espresso sopra: il Melodic Death Metal è la chiave di svolta. La batteria veloce, incessante ed instancabile, accompagna le linee vocali clean, growl e scream, alternando piani più lenti a quelli serrati.
“Darcanian Slave”, che vede la partecipazione di Tina Stabel, è uno dei due brani della tracklist (l’altro è “A Shine Fot The Ages” ndr.) che più richiamano al passato. La voce clean della cantante, accompagnata da quella ruvida di Arkadius ed alle parti corali, rievocano lo stile pomposo ed accorato dei dischi precedenti.
Al quinto posto troviamo “Crossing Over”, la cui intro instrumental, in breve tempo lascia spazio a linee più veloci e Metal. Una track che, nel suo complesso, riassume bene il dualismo dell’animo dei Nostri; piani sonori più armoniosi e semplici, lasciano rapidamente il posto a quelli dinamici, incalzanti e di grande impatto.
In chiusura troviamo “A Shine For The Ages”, il brano che, forse, più richiama al passato discografico della band. Il sound, assieme al cantato, è a tratti solenne, Fantasy ed intenso, lasciando a margine i riffs taglienti, che fanno solo da cornice al grande ritorno di orchestrazioni e cornamuse.

“Wolfbite” potrebbe essere il disco di svolta e cambio di rotta per i tedeschi Suidakra; pieno di potenza, voglia di suonare, vivacità ed aggressività sonora, porta ad una nuova giovinezza il gruppo. Sebbene gli strumenti tradizionali, come le cornamuse e le parti più orchestrali, trovino meno spazio rispetto a chitarre elettriche, batteria martellante e growl accorato, essi rimangono una componente del sound.
Da sottolineare come le sonorità armoniose lasciano rapidamente il posto a quelle più aggressive, figlie della collaborazione con Aljoscha Sieg, portando in primo piano il Metalcore moderno.
Questo netto cambio di stile verso un sound più moderno e giovane, potrebbe essere un azzardo a discapito dell’intera storia di un gruppo ma, nel caso dei Suidakra, è risultata una scelta azzeccata. Con “Wolfbite” si apre un nuovo capitolo per la loro carriera in cui, mantenendo sempre costante la voglia di sperimentare ed innovarsi, la risultante è un disco totalmente rivoluzionario. Il punto di forza dei Suidakra sta nell’essere all’avanguardia in fatto di ricerca sonora e stilista, senza paura di provare un sound nuovo. Tutto ciò ha permesso loro di rimanere in auge per 25 anni, con una sostanziosa discografia che non conosce sosta.

Ci auguriamo, però, che questa fase giovane (chiamata “Suidakra 2.0”) fatta di Melodic Death, a tratti Metalcore, non faccia loro rinnegare totalmente le origini Folk e Celtic.

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Opinione inserita da Marianna    02 Giugno, 2021
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2021
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Il progetto Bloodshed Walhalla è un'interessante one man band (nella figura di Drakhen), di stampo made in Italy, più precisamente di Matera. Nato nel 2006 come cover band dei Bathory, ha all’attivo una numerosa discografia che consta di tre demo, due EP e sei full-length.

Innanzitutto c’è da premettere che, nonostante l’album sia composto da solo quattro tracks, l’ascolto risulta davvero impegnativo. La durata complessiva di aggira intorno ai 77 minuti, una lunghezza che potrebbe far storcere il naso ad alcuni, ma che non grava sulla qualità del lavoro. Nel suo complesso “Second Chapter” è un album ricco di varie influenze ed in cui, la matrice dominante e di base, è sicuramente Viking. A questa vi si aggiungono il Power, parti più Folk (nella sua tradizionale accezione) e quelle più extreme. Si delinea un’atmosfera variopinta, in cui trovano spazio momenti più maestosi, epici, accanto a quelli in stile medioevale; in netta contrapposizione a queste, vi sono le tinte più cupe, fatte di introspezione e growl graffiante. La voce solista insieme ai cori, diventano funzionali sia alla narrazione che alla resa delle sensazioni che si vogliono trasmettere. Quello che l’ascoltatore si trova davanti, è un lavoro complesso, fatto di luci ed ombre ben studiate e congegnate per ricreare un clima Fantasy, fatto di eroismo ma anche di sofferenza. Se, come abbiamo detto poc’anzi, il carattere predominante è quello Viking-Folk, sono le influenze musicali che danno dinamicità alle tracks. I cori, una voce più graffiante, la batteria martellante o riffs di chitarra elettrica, creano brani complessi, che catapultano l’ascoltatore in una vera e propria storia. Il clima è sempre suggestivo e ricco di emozioni, riuscendo a passare da scenari quieti, naturalistici, a quelli maestosi o solenni, fino ad arrivare ai più violenti e strazianti. La bravura di Drakhen sta (soprattutto) nel riuscire ad incastrare vari generi musicali e passare da un piano all’altro, con grande velocità ed abilità.

Il progetto Bloodshed Walhalla non è solo da ammirare per il talento polistrumentale di Drakhen, ma anche per la resa del prodotto: così complesso, ma così fluido nell’ascolto. Sebbene il minutaggio sia davvero un grosso scoglio, ciò non rende pesante e monotono questo viaggio musicale. L’ascoltatore si trova immerso in un clima antico dove, però, il Metal più estremo ne ridisegna i contorni, creando pathos, suggestione, austerità e, talvolta, dolore. “Second Chapter” è un lavoro davvero multiforme, frutto di grande ricercatezza e dedizione del suo autore, adatto ad un pubblico selezionato. Nonostante il progetto Bloodshed Walhalla abbia già all’attivo una lunga discografia, anche in questo album la qualità è davvero alta. Un’interessante made in Italy da non sottovalutare, bensì valorizzarne la diffusione; è proprio di queste particolari perle, uniche e anticonformiste, che il nostro panorama musicale ha bisogno.

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Opinione inserita da Marianna    01 Giugno, 2021
Ultimo aggiornamento: 01 Giugno, 2021
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I Twisted Mist nascono nel 2014 a Reims, in Francia, proponendo un sound Pagan Folk che, fin da subito, li discosta dalle altre bands del panorama.

Immediatamente dalla prima traccia (“Martir”), si rimane colpiti dalla semplicità strumentale e sonora con cui i Nostri riescono a rendere l’atmosfera medievale; interessante è l’utilizzo di parti cantante di stile più Death Metal, capaci di catturare l’ascoltatore. Il vero punto di forza della band sta proprio nella fusione di generi così antitetici tra loro che, però, risultano essere accumunati da una vena Dark. Il sottile legame mistico e tenebroso, conferisce alla base musicale Folk tradizionale, una valenza ancora più particolare e ricercata, dando vita a pezzi unici nel loro genere. Un esempio di ciò è “Equinoxe” in cui il flauto, che all’inizio sembra essere lo strumento principale, si trova in antitesi con le taglienti chitarre elettriche e la rombante batteria. Una contrapposizione sonora che ben rende il titolo: luce ed ombra che due volte l’anno si incontrano e scontrano ad armi pari; esso è infatti il periodo in cui la durata di diurna è uguale a quella notturna in tutto il Pianeta.
Oltre all’utilizzo di generi opposti, altra peculiarità dei Twisted Mist, sta nella parte canora: l’avvalersi del Latino e del Francese arcaico (di per sé già insoliti come scelta, n.d.r.), vengono usati sia in parti canore più solenni e tradizionali, che nel growl accorato moderno. Uno stile fluido capace di intrecciare il Canto Gregoriano, le parti corali formali, sussurrate, a quelle ricche di influenze Death più strazianti ed aggressive.

“Orbios” è un disco fuori dal comune! I Twisted Mist rompono gli schemi del classico Folk Metal allegro, fatto di bevute e feste, per avvicinarsi ad un sound più medievale, stravolgendo (e stravolgendolo) con la forza e l’impeto del Death Metal. Gli strumenti tradizionali usati - hurdy-gurdy, la bombarda, il bouzouky, la lira, flauti diatonico in osso e percussioni medievali - creano un suono autentico ed artigianale. Affiancati a questi, vi sono i riffs graffianti delle chitarre elettriche e la veloce batteria, che scompigliano la compostezza e lo spirito Folk dei pezzi.
La tracklist è frutto di piani musicali opposti, i quali creano atmosfere ricche di quiete, mistiche oppure più cupe o impetuose. La band è in grado di mescolare una varietà di stili in modo eterogeneo, con la finalità di creare atmosfere suggestive. Tutto ciò porta questo lavoro ad essere interessante e particolare; in esso emerge non solo la grande bravura dei Nostri, ma anche la sensibilità rappresentativa posta nella realizzazione del messaggio trasmesso.

I Twisted Mist si dimostrano un progetto stimolante e diverso da quanto proposto dal panorama; essere in grado di unire registri sonori e musicali opposti, senza creare un guazzabuglio non è da tutti.

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Opinione inserita da Marianna    01 Giugno, 2021
Ultimo aggiornamento: 01 Giugno, 2021
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Il 18 Agosto 2020 segna il ritorno sulle scene degli ucraini Midgard; licenziato tramite Sliptrick Records, “Tales Of Kreia”, è il terzo full-length del gruppo. Un concentrato di Folk Metal moderno, che svecchia il genere che, arricchito di un sound più accattivante, lo rendono tanto caro ai nuovi metallari.

L’album si apre con “Necromancer”: abbastanza lontana dal sound Folk che ci si aspetterebbe, ci troviamo ad ascoltare una canzone più vicina al Metalcore. “The Horde” è il primo assaggio dello stile dei Midgard: intro tipicamente Folk, unita al Thrash più crudo; vera protagonista è la martellante batteria di Alexandr Kudryavtsev. Le prime due tracks ci fanno già capire l’andamento del disco; sebbene il filo conduttore sia il Folk, questo non rimane mai puro ed a sé stante. Le influenze Thrash, Metalcore e Death, non solo conferiscono dinamicità e modernità alla proposta musicale, ma ben si sposano con quanto detto sopra. “Velmehazerun Dolian” racchiude a pieno lo spirito della band: passiamo dal growl (accompagnato da veloci assoli di chitarre molto Death Metal), alla voce più pulita e sostenuta da tamburi. “Dwarf King”, dall’intro abbastanza insolito (una scorreggia, n.d.r.), è la tipica track festaiola: forte del suo piglio da pogata, sembrerebbe adatta a scaldare il pubblico in sede di live. Il ritornello stile Alestorm fatto di sintetizzatore, è seguito dal cantato Thrash e dalla parte corale più scanzonata: 1uesto si dimostra, sicuramente, il biglietto da visita e pezzo più interessante dell’album.
Tutta la tracklist segue il filone del Fantasy per quanto riguarda i testi, mentre il sound è più vario, riuscendo anche a rendere a pieno lo stato d’animo di ogni pezzo. I Midgard sono stati in grado di accostare strumenti più tradizionali (esempio archi) a quelli più moderni (chitarre elettriche), parti più melodiche ed armoniose, a quelle più dure fatte di voci ringhianti e groove moderno. Sebbene l’atmosfera fantastica sia alla base del progetto, l’ascoltatore noterà molteplici influenze musicali che danno carattere al sound.
Unica stranezza da segnalare: titoli in inglese e cantato in ucraino, come mai? Non essendo comprensibile ai più, potrebbe, a lungo andare, limitare il gruppo. “Tales Of Kreia” è un album fatto di forza e velocità, sicuramente adatto ad un pubblico Metal moderno, composto da giovani cresciuti, ad esempio, con Ensiferum o As I Lay Dying. Siamo curiosi di vedere come il progetto Midgard si evolverà nel corso del tempo e quante, delle molteplici influenze, rimarranno nei lavori successivi.

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Opinione inserita da Marianna    11 Aprile, 2021
Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 2021
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Kariti, che in una antica lingua ecclesiastica slava significa “piangere i morti”, è una giovane e talentuosa artista russa approdata in Italia più di dieci anni fa. Debutta nella scena musicale con un disco “cupo” e fortemente introspettivo, già dalla scelta del nome: “Covered Mirrors”. Esso si rifà all’antica tradizione slava (e non solo) di coprire gli specchi della casa del defunto per tutto il periodo del lutto, ciò per evitare che la sua anima vi resti intrappolata.

Sin dall’inizio con “Sky Burial” si respira un’aria malinconia e solenne, la stessa che ci accompagnerà per tutta la tracklist; il primo brano proposto in tutta la sua semplicità ed armonia, ha profonde tinte Dark che cullano durante l’ascolto. La validità di questa artista emergente sta tutta nella sua grande forza evocativa, resa in maniera sublime attraverso pochi semplici strumenti: una chitarra acustica, fingerstyle e voce tenue ma profondamente toccante. Tutto ciò diventa funzionale alla resa dei concetti proposti da Kariti, ovvero il trattare il tema della morte diventato, soprattutto nell’epoca odierna, tabù. Esperienze personali, letteratura (Dostoevskij, Bulgakov, Efremov), il folklore legato alle proprie radici, i grandi compositori e pittori, hanno ispirato Kariti e le sue opere. Un esempio di tali influenze che convergono tra loro è "Baptist Ved’my (The Baptism Of a Witch)": ispirata ad un’antica canzone Folk russa, è stata riarrangiata grazie anche all’aiuto di Lorenzo Della Rovere (qui suona la chitarra, ma ha anche registrato e mixato il disco). Sebbene le tracks siano accomunate da un forte senso di misticismo ed austerità, non si scade mai nel banale o nella pesantezza; l’ascoltatore viene coinvolto in questo viaggio introspettivo, guidato dalla semplicità della musica, degli strumenti e dal timbro di voce dimesso. “Anna (Requiem To Death)" è la dimostrazione di quanto detto poc’anzi: nonostante la chitarra distorta iniziale e qualche breve ed accennato acuto, il cantato si mantiene sempre quasi liturgico ed a tratti sofferente, soprattutto in relazione alle tematiche trattate.

“Covered Mirrors” è un lavoro toccante sia per gli argomenti scelti, sia per la resa; la semplicità diventa giocoforza dell’artista. Un primo lavoro accattivante, non solo per la difficile classificazione musicale (Dark Folk? Folk? Doom?), ma anche per la scoperta della bravura di Kariti sia nella stesura dei testi che nell’accompagnamento di questi. Un disco che sicuramente si discosterà dal gusto dei più, in quanto fortemente introspettivo, dalla tematica dura, cruda e per una resa altrettanto complessa. L’ascolto richiede un attimo di pace e di contatto sensoriale con il nostro intimo, accettando anche di lasciarsi travolgere dalle emozioni; sebbene questo velo di cupezza si dirami per tutta la tracklist, la volontà di fondo è quella dell’accettazione del dolore e del tema della morte, per superarle a pieno. Kariti con “Covered Mirrors”è una piacevole scoperta nel panorama nostrano, una chicca diversa da solito e da concedersi in momenti particolarmente riflessivi.

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Opinione inserita da Marianna    11 Aprile, 2021
Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

I Natural Spirit sono una band ucraina nata nel 1998 e con già alle spalle una solida discografia. Il loro ultimo full-length ha visto la luce il 18 Maggio 2020; licenziato da Epidemie Records, è il disco adatto a tutti gli amanti del Folk Metal.

Sin da subito notiamo che cantato e titoli delle tracks sono nella lingua madre dei Nostri, una scelta forse azzardata, ma di forte carattere e tipica delle bands di tale genere, come a voler sottolineare le radici con la propria Terra. Ci concentriamo subito su “Гори, Палай!/ Burn Blaze!” (singolo estratto dall’album e di cui è stato realizzato il videoclip); esplicativo dell’animo e del sound del gruppo, è stata un’abile scelta di marketing per presentarsi. Rispetto ad altri brani, qui è Antonina Vinnyk la vera protagonista, con una voce profonda e ricca di grande duttilità nei vocalizzi. Non mancano tutti i più classici elementi musicali e visivi del Folk, come natura, flauto, tamburi, accantonati solo per un attimo sul finale da un lungo assolo di chitarra elettrica. In 38 minuti riusciamo a capire la grande ed abile varietà stilistica dei Natural Spirit, capaci di esprimerla in ben otto differenti composizioni; più modi di rendere il Pagan Metal, significa originalità e voglia di contaminazioni innovative. Quanto appena detto è riscontrabile in “Чортів Млин”, in cui si viene colpiti da questa sorta di dialogo tra i vocalists (quasi uno scambio di battute in stile Rap), il quale movimenta il pezzo. Una forma di duetto “freestyle” insolito per il Folk che, accompagnato da chitarre e dallo Scream maschile, riesce a non essere troppo sui generis rispetto a quanto proposto. Proseguendo nell’ascolto troviamo ”Бачу Бога”, che si discosta parecchio dal brano precedente. Notiamo come emerga la forte componente Black Metal del gruppo, già presente nell’album di debutto “Star Throne”; sebbene la direzione fosse quella, il vero punto di arrivo per Oleg Kirienko erano le tematiche storiche, epiche e pagane slave. Un mix di influenze che hanno come punto di arrivo il Pagan/Folk Metal; ecco allora che tra la graffiante male voice, accompagnata da potenti e veloci chitarre elettriche, trovano spazio anche strumenti più tradizionali. Risultano apprezzabili le parti corali che infondono un forte senso di epicità; male i flauti dal 1:44 al 2:04: un'escalation di stonature voluto? Tra tutte spicca “Mapa” in cui i due vocalists danno prova della loro bravura nelle rispettive tecniche canore, creando un brano dal doppio animo, sintesi un po’ di tutto il disco.

L’atmosfera di “Під Серпом Часу” si tinge sia di note più Folk classiche ed armoniose, che di suoni più cupi, aggressivi e vicini al Black Metal, rendendolo un lavoro studiato e ricco di sfaccettature. Una composizione che si avvale di strumenti tradizionali come viola, violoncello, tromba, djambe, percussioni, flauti, tromba, bandura, didgeridoo, accostandoli alla più moderna chitarra elettrica e batteria. Nonostante tali modernità, la tracklist racconta storie a sé ma dalle radici antiche e profonde, tratte da fonti del Mondo Antico ma intrecciate in unico modello di visione del mondo pre-cristiana. La componente folkloristica è lo spirito della band tant’è che li spinge ad avvalersi del supporto di dodici musicisti ospiti e quattro cantanti per il coro, tutto volto alla creazione di un suono specifico, tipico dell’Europa Orentale. I Natural Spirit dimostrano grande ricercatezza ed originalità in questo nuovo album che, nonostante qualche piccola sbavatura da perfezionare, ne esce come un buon ascolto. Il mix proposto piacerà sicuramente agli amanti delle sonorità Folk contaminate che, come risultante, ha un prodotto gradevole e convincente.

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Opinione inserita da Marianna    04 Aprile, 2021
Ultimo aggiornamento: 05 Aprile, 2021
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Nati nel 2017 a Botucatu (São Paulo) i brasiliani HellgardeN si affacciano sul panorama europeo con un disco potente, tagliente, ricco anche di spunti melodici che ben si accostano alle loro influenze Thrash e Groove. Sebbene le radici sonore siano riconducibili a bands come Sepultura e Pantera, l’intenzione è quella di distinguersi dal retaggio musicale passato, senza esserne una mera copia (non sempre con successo come vedremo più avanti).

“Spit on Hypocrisy” è il brano di apertura; veloce, dinamico e dalla potente sezione ritmica, stabilisce subito le regole del gioco. Il mix musicale è quello tipico di Thrash e Hardcore, così coinvolgente ed aggressivo da scaraventarci (virtualmente) in un impetuoso moshpit. La violenza musicale scatenata dalla band continua anche nel brano seguente: “Evolution Or Destruction”; fin dal primo ascolto è evidente come il sound strizzi l’occhio ai Pantera, sia in fatto di riffs decisi, che nel Groove. Diego Pascuci dà sfogo a tutte le sue abilità di vocalist per arrivare dritto alle orecchie ed allo spirito del buon metallaro, creando due pezzi capaci di imprimersi e smuoverne le teste. “Learned to Play Dirty” si apre con un deciso “Fuck this shit!”, accompagnato da martellanti basso e batteria, che fanno da cornice al vocalist. Le sonorità ricordano tanto quelle degli anni '90 (i Pantera in particolare), risultando quasi una copia della tanto amata “Walk”. La tracklist rimane pressoché immutata in tutto il suo percorso, per chiudersi (in grande stile) con “Possessed by Noise”. Diego Pascuci, accompagnato dall’instancabile Matheus Barreiros, arriva diretto come un pugno sul muso dell’ascoltatore frantumandone ogni aspettativa.

“Making Noise, Living Fast” è un disco carico di violenza musicale, fatta di riffs tempestosi e groove brutale, capaci di far affiorare la voglia di moshpit anche al più vecchio metallaro. Sebbene il sound ricordi (a volte troppo) quello dei sopracitati Pantera e Sepultura, rimane pur sempre un buon ascolto per gli amanti del genere. Le linee di basso, la martellante batteria e il classico stop&go, creano una miscela così energica da risultare quasi viscerale; l’idea è quella di non fermarsi mai, gettandosi nella mischia di chissà quale festival Metal. HellgardeN è un progetto ancora giovane, tecnicamente interessante, ha solo bisogno di trovare la propria strada per sapersi distinguere dalle altre bands. Sebbene la furia musicale ed il carattere duro siano ben evidenti, bisogna che il gruppo apporti più originalità nella propria produzione. Consigliamo l’album ai vecchi nostalgici del genere, desiderosi di rievocare le serate fatte di birra e headbanging.

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Opinione inserita da Marianna    04 Aprile, 2021
Ultimo aggiornamento: 04 Aprile, 2021
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Nonostante le più nefaste previsioni preannuncino un altro anno povero di live, per nostra fortuna le uscite discografiche non mancano. Ecco allora che aprile ci porta il nuovo lavoro dei Wolfchant. A quattro anni di distanza da “Bloodwinter” ritornano sulla scena con un disco carico di energia e potenti schitarrate - "Omega: Bestia" -, che tanto mancano al popolo Metal.

In apertura troviamo la instrumental title-track “Omega: Bestia” che, con l’unione di epicità, rigore e sontuosità, già dalle prime note delinea l’atmosfera Fantasy che andrà ad accompagnarci per tutto l’ascolto. Il brano seguente (“Komet”) è decisamente l’opposto del precedente: aggressivo e potente nei suoi riffs, è quanto di più stilisticamente vicino alla tradizione della band. Il genere proposto dai Nostri non è nulla di innovativo, bensì un’abile unione di Power ed Epic, in cui le parti in Scream rompono la maestosità di tali generi. L’effetto è ben udibile in pezzi come “Into Eternal Darkness”, in cui le voci dei vocalists Lokhi e Nortwin creano un duetto antitetico nella forma, ma che ben si sposano tra loro. Il mix canoro esplode nel ritornello in cui si mantiene quella che è la maestosità dello stile Epic, accompagnandola alla forza trascinante tipica del Pagan ed alla velocità del Power. Il risultato è il classico ritornello che viene da sé cantare a squarciagola, magari brandendo una birra in mano. Il punto di forza dei bavaresi Wolfchant sta nell’abilità di fondere più generi musicali; sebbene il sound non dia origine ad un prodotto ex novo, è comunque particolare ed originale in tutta la tracklist. Le atmosfere che vengono a crearsi, dapprima risultano oscure ed aggressive, per poi mutarsi subito dopo in arie più quiete, quasi magiche (vedi la manciata di secondi a partire dal minuto 4.08 di “Der Geist und die Dunkelheit” ndr.).

I Wolfchant si riconfermato sicuramente come una proposta interessante. Il sound è una miscela di Extreme, Power, Pagan e (a tratti) Viking, i quali si reggono sulle potenti chitarre di Skaahl e Sheelb, le quali, però, riescono a dare il giusto spazio alle tastiere. Il risultato è un album ricco di sfumature, adatto ad un pubblico giovane ed amante del Metal estremo moderno.

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Opinione inserita da Marianna    30 Marzo, 2021
Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 2021
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Il quartetto bavarese formatosi nel 2018, esce il 6 Luglio 2019 con un demo maturo e convincente; se l’animo è quello Thrash, sono gli elementi Metalcore e Progressive a dare quel tocco in più a questa nuova produzione.

In apertura abbiamo “Behind The Glow”: un buon Thrash Old School, fatto di veloce batteria e riffs decisi. La voce del vocalist Timo Kammerer si destreggia bene nei passaggi in pulito e scream, sebbene sia accompagnata da cori poco convincenti e trascinanti.
Nonostante questa piccola pecca, la tracklist si innalza di valore con la title-track “Voices”: trascinante. Si può apprezzare del puro Thrash fatto alla vecchia maniera come piace a noi adoratori del genere. Pezzo forte è sicuramente il lungo assolo di chitarra nella parte centrale che spezza il brano, pur mantenendone la grande forza trascinante; a mio avviso uno dei migliori della tracklist.
A seguire troviamo “Apotheosis”, forse la track che stravolge lo schema di questo demo. Il sound è un mix di melodie Thrash e Punk, retto dalla veloce e martellante batteria; un brano che, soprattutto nelle parti cantante quasi sofferte, al primo impatto potrebbe non essere di gradimento.
In chiusura abbiamo “Sun” che insieme alla title-track, rappresenta uno dei due migliori brani di questo lavoro; il vero mistero resta come mai solo adesso le parti corali siano migliorate, mentre nelle tracks precedenti siano appena mediocri.

Nel complesso “Voices” ne esce come un buon biglietto da visita per i Tezura che, sicuramente, dovranno ancora perfezionarsi sotto alcuni aspetti, presentandosi però alla scena Metal come un gruppo dal sound giovane ed energico. I riffs ultraveloci, quasi Punk, uniti agli elementi classici del Thrash e quelli più moderni del Metalcore, creano una miscela accattivante e fresca. Il risultato è un Thrashcore ricco di sound made in Europe, ma dalle radici più aggressive tipiche dell’America. Ai Tezura non mancano inventiva e qualità, frutto di quella voglia di osare e voglia di uscire dai canoni prestabiliti, tipica delle giovani bands.
Come gli stessi dichiarano: “Questo demo è uno sguardo al futuro e solo l’inizio del viaggio che stiamo per intraprendere” e, se le premesse sono queste, siamo certi che sentiremo parlare di loro ancora per molto.

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Opinione inserita da Marianna    07 Marzo, 2021
Ultimo aggiornamento: 07 Marzo, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

I Tedeschi Mortal Infinity fanno parlare di sé già dal lontano 2009, proponendo un sound moderno, forte e deciso che, come andremo ad ascoltare, si mantiene tale anche in questo nuovo lavoro.

Datato settembre 2019, “In Cold Blood” mostra subito tutta la sua furia: “Fellowship Of Rats” è quel classico Thrash Metal svecchiato che tanto piace ai giovani. La martellante batteria dà quel tocco di speed che trascina ma, allo stesso tempo, lascia spazio a riffs dal sapore old school. Questo saper svecchiare il Thrash accostandolo a componenti più moderne, è il vero punto di forza della band. “Misanthropic Collapse” è un esempio di quanto appena detto: l’intro urlato e sofferto, così Punk, muta poi verso un sound più Hardcore che li avvicina a bands come i Terror.
Il terzo brano è “Repulsive Messiah”, che si conferma sicuramente uno dei migliori dell’intera tracklist; colpiscono le veloci e taglienti chitarre, capaci di passare da lunghi assoli a riffs diretti ed incisivi. Insieme a questo pezzo, sottolineiamo anche la title track “In Cold Blood”: così Thrash che ben si accompagna alla graffiante voce del vocalist Marc Doblinger.

“In Cold Blood” è un album davvero potente, le cui tracks non presentano grandi differenze, mantenendosi fedeli allo stile della bands. Il Groove è sempre un mix tra Thrash, Melodic e Death Metal, con richiami al più moderno Metalcore; lo strumento cardine del sound proposto, è sicuramente la batteria. Il cantato sporco e moderno è certamente accattivante, ma tutto regge sul dinamismo di Müller veloce, martellante ed instancabile, che dà struttura ad ogni pezzo.
Il titolo dell’album fa riferimento all’omonimo romanzo di Truman Capote, in cui viene descritta l’infruttuosa rapina avvenuta nel 1959 nel Kansas, la quale ha portato al brutale assassinio a sangue freddo di un’intera famiglia. L’inquietante e cruda atmosfera rende perfettamente la musica dei Mortal Infinity, riconfermandosi un progetto interessante per il mix di sound proposto.

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Con “Yet I Remain” i Pandora's Key ci guidano in un oscuro regno di Metal melodico
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Ember Belladonna, un debutto fin troppo poco Metal
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Metal melodico: debutto per gli Attractive Chaos
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Gengis Khan: epica cavalcata
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