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Opinione scritta da Valeria Campagnale

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    18 Aprile, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

Non sorprende che la Grecia continui a sfornare band metal di altissimo livello, e i Damon Systema, fin dal loro primo lavoro, si inseriscono perfettamente in questa tradizione.
Ispirandosi all'antico ciclo greco di Hybris, Ate, Nemesis e Tisis, i Damon Systema ci presentano con il loro album di debutto "Ate" un'esplorazione sonora delle oscure conseguenze dell'arroganza umana, dell'ira divina e della schiacciante punizione. Questo concept album affronta i temi universali dell'orgoglio, della calamità, della vendetta celeste e della resa dei conti.
Intrecciando allegorie mitologiche con una sonorità devastante, i Damon Systema imprigionano gli ascoltatori nella spirale inesorabile del fato.
Con "Moirae", il brano che apre il loro lavoro, i Damon Systema stabiliscono immediatamente un'atmosfera suggestiva e potente. Le melodie, eteree e quasi incorporee, si insinuano catturandolo in una morsa invisibile ma ferma, un abbraccio ineludibile del destino. Questo incipit sonoro funge da porta d'accesso al mondo concettuale dell'album, introducendo i temi della fatalità e del percorso inesorabile degli eventi con una delicatezza inquietante.
Dopo l'iniziale senso di fatalità, "Lady Discordia" si scatena come una tempesta sonora, plasmando il caos in un'esperienza uditiva intensa e destabilizzante. Le chitarre si fondono in un muro di suono fragoroso e distorto, evocando la potenza primordiale del disordine divino. I vocalizzi, con le loro movenze serpentine e le intonazioni inquietanti, aggiungono un ulteriore livello di tensione e riflettono la natura insidiosa del conflitto. Il brano si configura così come un potente ritratto sonoro della dea della discordia e delle sue caotiche influenze.
"Harvest of Tears" non è semplicemente un brano musicale, ma una vera e propria narrazione sonora che trae ispirazione dal lamento presente ne I Persiani di Eschilo. Attraverso una progressione di crescendo intensi e stratificati, la band riesce a tradurre in musica la crescente consapevolezza e la piena portata delle amare conseguenze scatenate dall'arroganza. Ogni nota e ogni dinamica contribuiscono a dipingere un quadro sonoro che riflette la gravità e l'ineluttabilità delle ripercussioni negative dell'hybris, offrendo un'esperienza d'ascolto intensa e riflessiva.
“Ate”, il cuore pulsante concettuale dell'album, si manifesta come un attacco sonoro di implacabile intensità, intriso di una furia cieca e di un dolore che lacera l'anima. Il brano è l'incarnazione musicale della follia accecante, della temporanea perdita di senno che la dea Ate infligge, conducendo i mortali verso scelte disastrose.
In “Adrasteia”, la marcia della giustizia si fa tangibile, segnando l'ingresso in scena della giustizia divina nella sua forma più implacabile. La musica si sviluppa come un viaggio epico che cattura l'inflessibile morsa di Nemesis, la dea della vendetta. Il pezzo è un viaggio musicale che intreccia la densità opprimente del doom metal con melodie evocative e, proprio grazie a questa combinazione stilistica, crea il senso d’ inevitabilità e di grandezza tragica con un incedere maestoso che trascina nel cuore del giudizio divino.
L’atto finale di questo concept è “Poenas Dare”, la schiacciante e inevitabile resa dei conti di Tisis, la personificazione della punizione divina portata a termine. Questa fine, pur essendo intrinsecamente punitiva, possiede una sorprendente qualità catartica, quasi un necessario atto di purificazione. La musica risuona con l'eco ancestrale dell'eterna lotta umana per l'espiazione, lasciando nell'ascoltatore una sensazione agrodolce di fine e di possibile rinnovamento dopo la sofferenza.
Ad impreziosire ulteriormente l'esperienza sonora di "Ate" troviamo i suggestivi contrasti vocali: da un lato, la soave eleganza dei duetti di Ruby Bouziotis, dall'altro, la visceralità gutturale di Nick Vlachakis, creando un dinamismo affascinante. A tessere le fondamenta sonore, il basso profondo e pulsante di Akis Pastras, che dimostra la sua versatilità anche come artefice delle intricate trame chitarristiche. Infine, a completare questo potente quadro, il drumming tonante e incalzante di The Goat, vera e propria colonna sonora ritmica dell'album.
Immergersi in "Ate" dei Damon Systema significa intraprendere un'odissea musicale intensa e memorabile. L'album è intessuto di riff dalla devastante efficacia, di melodie che si imprimono nella mente con la loro ossessiva bellezza e di allegorie che attraversano i secoli. Il risultato è un'esperienza sonora totalizzante, un viaggio che continua a vibrare nell'anima.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    17 Aprile, 2025
Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

Il caratteristico dark folk minimalista di Fields of Mildew si manifesta nuovamente in "IV", un album che sonda gli abissi delle emozioni umane, offrendo uno sguardo puro sulla perdita, la forza interiore e l'austera bellezza di terre desolate.
Fields of Mildew è un progetto musicale nato nel 2015 sotto la guida dell'enigmatico R, si è subito affermato come un tributo alla capacità di resistenza dell'essere umano di fronte alle difficoltà. Inizialmente ispirato dalle storie di chi viveva nelle ostili terre del Teufelsmoor, il suo focus si è esteso nel tempo, pur mantenendo al centro un'esplorazione onesta e senza filtri della vulnerabilità umana.
Con "IV", Fields of Mildew celebra dieci anni, consolidando composizioni essenziali, quasi monocromatiche.
L'album, o forse sarebbe meglio dire EP, si apre con la spettrale traccia di “Ignis fatuus”, un lamento vibrante che trascina l'ascoltatore nell'oscurità paludosa. Poi, un silenzio inquietante fa spazio a “Vanishing”, dove la voce di R, ridotta a un sussurro, fluttua tra la rassegnazione e un'intangibile quiete. Ogni suono della sua voce è un addio, ogni pausa un abisso che si spalanca sotto i passi stanchi.
“Tempest (Absence of Youth)” è intrisa del rimpianto del tempo sprecato, le sue armonie gentili e il suo arpeggio contenuto narrano il dolore di un'innocenza affogata sotto le onde implacabili degli anni. “The Lowering Splendor” è un crepuscolo che declina, un istante di fragile magnificenza che si dissolve nell'ombra, dove la bellezza si tinge di desolazione.
L'ascolto di “Spiral of Eternal Life” è simile all'essere intrappolati in un incantesimo che si compie lentamente, con un dolore che non accenna a diminuire, anzi, si intensifica progressivamente ad ogni sussurro del ritornello, trascinando l'anima in una spirale di crescente sofferenza.
Già dall'inizio di “Lluvia”, si avverte un senso di definitivo, come un sigillo posto al termine di una profonda immersione nel sé. Si rivela allora l'orizzonte sconfinato della brughiera, una terra che sembra custodire le storie silenziose di coloro che l'hanno preceduta, un pesante lascito di ricordi appartenenti a generazioni ormai trascorse.
Fields of Mildew popola la zona d'ombra dove il confine tra passato e presente, tra i vivi e coloro che non ci sono più, si fa labile. Non allevia e non placa l'animo, invece ossessiona. Ogni nota suonata è un frammento di un'antica storia di spettri, e ogni pausa un'eco che persiste da un tempo lontano. Alla fine dell'ascolto, ci si ritrova ai margini della brughiera, a fissare l'abisso mentre l'ultima luce del giorno scompare all'orizzonte. Solo il ricordo rimane.
Questo "IV" è un lavoro che si distingue per la sua peculiare complessità e per la sua profonda intimità espressiva, mantenendo una coerenza stilistica che lo connette in modo suggestivo a una dimensione spirituale e al riverbero delle memorie condivise tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Un'esperienza sonora di rara e intensa bellezza.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    10 Aprile, 2025
Ultimo aggiornamento: 10 Aprile, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

"Aspiral" si conferma un album fedele allo stile degli Epica, mantenendo intatte le sonorità symphonic metal epiche (scusate il gioco di parole!) e teatrali che li contraddistinguono. Ritroviamo gli elementi distintivi della band: arrangiamenti orchestrali e cori imponenti, riff di chitarra potenti, sezioni death metal melodico con il growl di Mark Jansen e momenti melodici guidati dalla splendida voce di Simone Simons. Non mancano incursioni nel power metal e brani più complessi e progressivi. Tuttavia, l'album si distingue per un approccio e una struttura leggermente diversi rispetto al passato.
L'album si apre con “Cross The Divide”, uno dei primi singoli estratti, sorprendendo per l'assenza di una maestosa introduzione orchestrale, elemento tipico degli Epica. Questa scelta dimostra la volontà della band di rinnovarsi. Il brano è diretto e incisivo, pur mantenendo gli archi caratteristici del loro stile. Una canzone dinamica con ritornello orecchiabile e la voce di Simone Simons che spazia tra potenza e virtuosismo lirico.
Con “Arcana”, brano già presentato in anteprima durante i concerti dei The Symphonic Sinergy nel 2024, il disco cambia registro. Questa traccia, diversa dalla precedente, sottolinea la volontà degli Epica di dare un'identità unica a ogni brano. La melodia è dolce e avvolgente, con la voce di Simone accompagnata da pianoforte, cori e archi, che crea un'atmosfera teatrale.
Con la terza traccia, “Darkness Dies in Light – A New Age Dawns Part VII”, gli Epica riprendono la saga “A New Age Dawns”, iniziata nel loro secondo album "Consign To Oblivion" del 2005. Queste canzoni esplorano l'idea di un'umanità che deve attraversare un periodo di caos e oscurità per rinascere, un concetto ispirato alla visione del mondo Maya. Le voci di Simone e Mark si fondono in una sincronia quasi perfetta, creando una costante atmosfera di tensione e ansia. La canzone si evolve poi in passaggi con ritornelli che evocano i canti gregoriani, su ritmi cupi.
In “Obsidian Heart”, ci troviamo di fronte a una ballata delicata, dove la voce di Simone, sostenuta dai cori, è la protagonista indiscussa. Personalmente, la percepisco meno incisiva rispetto ai brani precedenti. Tuttavia, la sua particolarità risiede nella maggiore evidenza del basso, che, insieme alle chitarre, crea un'interazione con echi di Djent.
Con "Fight To Survive – The Overview Effect" l'album si carica di energia, grazie a un'interazione tra archi e riff di chitarra che strizzano l'occhio all'industrial metal, impreziosita da un assolo di chitarra.
Nella traccia “Metanoia – A New Age Dawns Parte VIII”, gli Epica riprendono la loro saga. "Metanoia", una parola che varia di significato a seconda del contesto, descrive fondamentalmente un rinnovamento interiore, un cambio di prospettiva per un nuovo inizio; un brano ricco di contrasti, con sezioni orchestrali e corali, momenti di potenza con chitarre e growl, passaggi melodici con la voce di Simone e cori. Questa eterogeneità, tuttavia, rende il brano complesso e, a tratti, difficile da seguire a causa della sua densità.
Un'altra anticipazione di "Aspiral" è stata “T.I.M.E.”, un brano che, come "Arcana", introduce elementi nuovi nel sound degli Epica, con un risultato che potrebbe spiazzare. L'atmosfera teatrale e drammatica è creata dall'interazione di cori, orchestrazioni e dalla voce di Simone, con suoni che rimandano a film e serie TV di genere horror e suspense.
Rispetto alla complessità abituale degli Epica, "Apparition" è una canzone piuttosto semplice, caratterizzata da un riff coinvolgente, con sfumature industrial e orientali. Un ulteriore elemento di interesse è l'assolo di chitarra. Tuttavia, il brano non si distingue particolarmente nel contesto dell'album.
“Eye of the Storm" si apre con un'introduzione suggestiva, che evoca le sonorità classiche degli Epica; è caratterizzato da una melodia scandita dagli archi con inflessioni orientali, con l’assolo di chitarra, elemento di spicco del brano, che aggiunge un tocco di virtuosismo.
Con "The Grand Saga of Existance – A New Age Dawns Part IX", gli Epica offrono un brano lungo, elaborato e soprattutto maestoso, in linea con il loro lo stile. La sua struttura complessa, con sezioni diverse e un ritornello meno orecchiabile rispetto ai classici della band, lo rende un brano che richiede ascolti ripetuti e un'attenzione particolare, possibilmente con cuffie e seguendo il testo. Il brano alterna momenti sinfonici, passaggi più calmi, sezioni extreme metal con la voce di Mark e intermezzi strumentali che mettono in risalto le chitarre.
"Aspiral" conclude l'album in modo magistrale. Il brano inizia come una ballata per pianoforte, mettendo in risalto la voce di Simone, capace di esprimere dolcezza e potenza con sfumature folk. La sua interpretazione, pur essendo stata misurata nel resto dell'album, raggiunge qui l'apice. Il finale, con archi e cori, inclusi quelli dei bambini, crea un'atmosfera emozionante.
Anche se non si può certo dire che questo sia l'album più importante della loro discografia, “Aspiral” è un ottimo lavoro, che dimostra ancora una volta la volontà del gruppo di reinventarsi e di avere uno stile sempre più personale. Questa caratteristica è in parte la chiave del successo della band, che è riuscita a posizionarsi come uno dei principali esponenti del genere Symphonic Metal.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    29 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

La band metal svedese Apocalypse Orchestra ha pubblicato il secondo album "A Plague Upon Thee” per Despotz Records. Con il loro album di debutto “The End Is Nigh” (2017) si è affermata nella scena metal e l’album ha ricevuto il plauso della critica per il suo approccio innovativo alla narrazione, intrecciando storia, mitologia e temi esistenziali.
Dunque, con questo nuovo lavoro, gli Apocalypse Orchestra non si discostano da questo stile singolare ed aggiungerei fortunatamente, poiché le loro sonorità riescono ad essere particolari con i suoni epici che si intrecciano ed un doom metal con contaminazioni folk, infatti possiamo ascoltare la ghironda, la cornamusa e la mandola ben intrecciate a chitarre pesanti ed una ritmica scrosciante.
L'album si snoda attraverso otto brani meticolosamente costruiti, immergendo l'ascoltatore in un'atmosfera doom avvolgente e lenta. Le melodie, sviluppate con cura e pazienza, emergono gradualmente, spesso guidate dalla voce profonda e suggestiva o dagli strumenti a fiato ed acustici che evocano un senso di antico mistero. Questa lenta evoluzione crea un dramma sonoro intenso, particolarmente accentuato quando il canto chiaro e potente viene arricchito da cori maestosi, che amplificano l'emozione e la solennità dei brani.
In pezzi come "Tempest" o "Saint Yersinia", il quintetto svedese aggiunge un ulteriore strato di intensità, sostituendo il canto chiaro con un growl gutturale e potente. Questo contrasto tra le due voci crea un effetto dinamico e coinvolgente, rendendo i brani ancora più insistenti e memorabili.
Con otto pezzi, incluso un interludio corale, e una durata complessiva di quasi un'ora, "A Plague Upon Thee" potrebbe sollevare interrogativi sulla varietà e sulla capacità di mantenere alta l'attenzione dell'ascoltatore. Tuttavia, gli Apocalypse Orchestra dimostrano una maestria nel concentrarsi sull'essenza dell'inno, sullo sviluppo ponderato delle idee musicali, senza cedere alla tentazione di soluzioni facili o immediate. Ogni brano è un viaggio a sé stante, un'esplorazione profonda di atmosfere oscure e malinconiche, che si svela lentamente, senza fretta, permettendo all'ascoltatore di immergersi completamente nel loro mondo sonoro.
L'opera ci trasporta in un racconto storico ambientato nel Medioevo, un'epoca complessa e sfaccettata, dove la visione del mondo era fortemente influenzata dalla religione e dalle credenze popolari. Tuttavia, emerge con forza una crescente tensione tra la fede e la ragione, tra il dogma e l'indagine scientifica, un conflitto che segnerà profondamente il periodo.
Difatti, le melodie medievali, antiche e solenni, subiscono una metamorfosi sinistra, trasformandosi sotto i colpi incessanti di una rovina inesorabile. Il suono dei flagelli, simbolo di penitenza e sofferenza, accompagna una processione di anime tormentate, creando un'immagine vivida e angosciante.
Disco davvero ben fatto, complimenti agli Apocalypse Orchestra.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    25 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

I pionieri del dark metal tedesco Nachtblut hanno pubblicato il loro settimo album intitolato “Todschick” il 21 febbraio via Napalm Records.
Con “Todschick” (che tradotto in inglese sarebbe Dead Chic), la band espande il proprio repertorio, incorporando vari elementi stilistici e suoni di sintetizzatore, rendendo omaggio agli anni Ottanta. Questa variabilità, un punto fermo dello stile della band, si fonde perfettamente con gli elementi dark metal che la caratterizzano e con la voce distintiva di Askeroth. Prodotto dal rinomato Chris Harms dei Lord of the Lost, il cofanetto in legno include anche un CD bonus con sette tracce aggiuntive, che presentano collaborazioni con artisti ospiti come Frank Herzig (Schattenmann), Freki (Varg), Tetzel (Asenblut/All For Metal), Eric Fish (Subway To Sally) e altri pesi massimi del genere, promettendo un'ulteriore sorpresa.
Dal punto di vista tematico, l'album esplora discorsi riguardanti questioni sociali, la morte e l'evasione, utilizzando passaggi filosofici. Una delle questioni sociali discusse come tema in questo album è il fenomeno del doom-scrolling e delle iperrealtà dei social media, verso cui i Nachtblut sono molto critici. Il discorso viene poi trasmesso nella canzone “Das Leben der Anderen”. Un altro tema affrontato in questo album è quello dei cicli di guerra e distruzione, come previsto nella canzone “Manchmal kommen sie wieder”.
L'album si immerge immediatamente in un'atmosfera oscura e affascinante con "Von Hass Getrieben", un pezzo di black metal sinfonico. La melodia iniziale è funerea e l'organo, presente in sottofondo, dipinge un paesaggio sonoro gotico e tenebroso. Le voci black metal si uniscono a un basso potente e ben eseguito. Il ritornello è di facile presa e l'assolo di chitarra di Greif è un vero e proprio gioiello musicale.
Il viaggio sonoro prosegue con la title track "Todschick", un brano in cui le radici black metal si fondono in modo sorprendente con suggestioni direttamente dagli anni '80. Ascoltiamo infatti una piacevole contaminazione di elementi elettronici che conferiscono al pezzo un'atmosfera più vicina al genere darkwave. Il risultato è un sound estremamente orecchiabile e al contempo ritmico, che invita irresistibilmente a muoversi e ballare.
Con "Nachtgeweiht", i Nachtblut ci regalano un momento di sublime bellezza intrisa di oscurità. L'inizio è un'immersione in un paesaggio sonoro quasi sacro, con le voci corali che si innalzano in un canto celestiale, accompagnate dalla malinconica dolcezza del pianoforte. L'orchestra sinfonica, con i suoi archi vibranti, prende poi le redini, tessendo un tappeto sonoro ricco e maestoso che guida l'ascoltatore attraverso emozioni contrastanti. Nonostante questa magnificenza, l'anima del brano rimane profondamente legata all'atmosfera cupa, inquietante e misteriosa che caratterizza l'album nel suo complesso. La sezione ritmica è impeccabile, con il basso di Ablaz che si fa notare per la sua profondità e incisività. Il crescendo finale vede un coro più corposo e potente unirsi alla potenza inarrestabile della batteria a doppia cassa, creando un impatto sonoro memorabile.
Con “Das Leben der Anderen”, l'album ci offre un momento di riflessione profonda. Il brano si sviluppa attraverso un parlato, sostenuto da una musica evocativa e malinconica che crea un'atmosfera intima e pensierosa. Il testo si concentra su un'analisi delle preferenze e delle gioie comuni, contrapponendole al sentire del narratore, che esprime un distacco e un'incomprensione verso queste dinamiche. L'emozione che pervade il brano è un misto di tristezza e malinconia, un senso di essere "fuori posto". Il ritornello, con la sua esplosione di black metal, segna un punto di svolta emotivo. L'urlo di Askeroth, "nur ich nicht" (solo io non lo faccio), diventa un'espressione cruda e potente della solitudine provata, un'eco del desiderio di quella felicità che sembra essere costantemente esibita e idealizzata nel mondo dei social media, accentuando il senso di isolamento.
“Manchmal Kommen Sie Wieder” si presenta come un brano che osa sperimentare con la fusione di generi. La sua anima è profondamente radicata nel synthwave, con una ricchezza di suoni elettronici che richiamano l'energia e lo stile degli anni '80. Le atmosfere sono evocative, con melodie che trasportano l'ascoltatore in un viaggio nel tempo, tra ritmi ballabili e sonorità futuristiche. Ma è nel ritornello che la composizione rivela una svolta inattesa e potente: l'ingresso del black metal, con la sua carica aggressiva e i suoi testi intrisi di un messaggio politico. Questa combinazione inusuale crea un'esperienza d'ascolto stratificata, dove la nostalgia del synthwave si scontra con la forza del black metal.
Con "Mein Ist Die Hölle", l'album si fa ancora più intenso e brutale. Questa sesta traccia è un'autentica scarica di energia black metal, caratterizzata da una pesantezza sonora che avvolge l'ascoltatore in un vortice di oscurità. I riff di chitarra sono taglienti e potenti, la batteria vede un energico Skoll, dietro alle pelli, incalzante e martellante, creando un muro sonoro impenetrabile. Le atmosfere evocate sono quelle tipiche del genere, con un'aura di malvagità e disperazione che permea l'intera composizione. Il tema centrale, come suggerisce il titolo, si muove nell'ambito delle tematiche più oscure e infernali, affrontate con la consueta ferocia e intensità del black metal.
La traccia successiva, "Götterstille", rappresenta un'immersione totale e senza compromessi nel cuore del black metal sinfonico. Il brano si presenta come un'esplosione di maestosità e oscurità, dove la ferocia e la potenza del black metal si fondono in modo armonioso con la ricchezza e la grandiosità degli arrangiamenti sinfonici. Ogni elemento musicale è intriso di questa duplice natura: i riff di chitarra taglienti e gelidi si intrecciano con melodie orchestrali evocative e maestose, creando un'atmosfera che è al contempo epica e profondamente tenebrosa. "Götterstille" è un vero e proprio inno alla fusione tra brutalità e grandezza, un esempio lampante di come il black metal sinfonico possa raggiungere vette di intensità emotiva e potenza sonora.
"Kinder Des Zorns" è un'immersione totale nel black metal nella sua forma più essenziale e potente. La traccia è caratterizzata da una furia sonora implacabile, con riff di chitarra che si susseguono in modo serrato e inesorabile, creando un muro di suono denso e opprimente. La pesantezza dei riff è palpabile, un elemento fondamentale che definisce l'identità del brano. Ma il cuore di "Kinder Des Zorns" batte al ritmo di una storia: i testi ci offrono uno sguardo intimo e toccante sulla mente di un giovane soldato che si prepara ad affrontare gli orrori del campo di battaglia, un'esperienza di crescita forzata e di perdita dell'innocenza.
La successiva “Stirb Langsam” si presenta come un brano ricco di sfumature. L'inizio inganna piacevolmente, con un'aria che rimanda immediatamente a un vivace inno piratesco, pieno di allegria e di riferimenti al bere e ai festeggiamenti. La melodia è accattivante e il ritmo trasmette un senso di spensieratezza. Ma non lasciamoci ingannare dalle prime impressioni: il cuore di "Stirb Langsam" pulsa con la forza del black metal nel suo bridge, un momento di svolta in cui la musica si fa più profonda e intensa.
In chiusura dell’album troviamo “Schneller Als Der Tod”, brano che fonde mondi apparentemente distanti venendo catapultati in un'ambientazione tipicamente western. La musica evoca immagini di saloon polverosi e duelli al sole cocente. Tuttavia, questa atmosfera familiare viene immediatamente reinterpretata attraverso la lente del black metal: i riff di chitarra sono potenti e aggressivi, la batteria incalzante e la voce graffiante e gutturale. Ma a rendere il tutto ancora più intrigante è la presenza di un sottile senso dell'umorismo, che si manifesta in alcuni passaggi o nel modo in cui vengono affrontati i temi, alleggerendo inaspettatamente la tensione e regalando un sorriso.
Ancora una volta, i Nachtblut dimostrano la loro capacità di non deludere le aspettative dei fans e di sorprendere piacevolmente l'ascoltatore. Questo nuovo album si presenta come un'ulteriore conferma della loro solida qualità musicale e della loro abilità nel creare un'esperienza sonora ricca e variegata. L'attesa per un nuovo lavoro della band è sempre alta, e ancora una volta i Nachtblut rispondono con un disco che non solo soddisfa le aspettative, ma le supera, offrendo un'ampia gamma di brani e di sfumature sonore che tengono incollato l'ascoltatore dall'inizio alla fine.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    10 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 2025
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Il tanto atteso secondo album in studio, “Rhapsody of Life”, dei Worlds Beyond, rappresenta un audace e coinvolgente viaggio nell'universo delle esperienze umane e nell'evoluzione della vita. Questa formazione belga di metal sinfonico ha realizzato un capolavoro concettuale che esplora le profondità delle emozioni umane e la crescita personale, intrecciando tali tematiche con le complessità dell'esistenza. Questo lavoro rappresenta uno stupendo binomio tra una strumentazione ben strutturata e potente ed una narrazione appassionante, con trame intricate, sconfinando in un campo incorporeo.
L’orchestrazione d’apertura per il brano “Familiar Skies” è bellissima e, insieme al basso massiccio suonato da Ewoud Dekoninck, dà vita ad un pezzo che ci introduce in un album epico in cui Valerie De Kempe ricama dei vocalizzi meravigliosi. Anche la chitarra solista di Tijmen Matthys ed il violino di Jakob Declercq sono eccezionali e, devo ammetterlo, già da questo primo brano si rimane incantati, ed è solo un assaggio di questo viaggio attraverso gli aspetti della vita.
“Unwind Our Story” rappresenta un'altra straordinaria performance di Valerie De Kempe con assoli mozzafiato di Tijmen e i suoni della tastiera di Robbe Adriaens; un assolo di chitarra apre questo pezzo già di per sé potente, ma a renderlo più ricco è Wout Debacker alla batteria; passaggi intricati, emozioni malinconiche e un'atmosfera sinfonica e pesante è ciò che si respira in un brano che mette i brividi.
In “Sleepless Dreams” le tastiere sono fortemente magiche e la buona orchestrazione si evolve in un turbinio musicale, i vocalizzi si fanno sempre più epici, bilanciandosi in questa ballad.
Orchestrazione tranquilla in apertura per il brano “Breaking Free” che, come nel resto dell’album, si distingue per alti picchi di chitarra, basso profondo e batteria ben solida.
“The Calling” è molto interessante, a partire dall’apertura con piano e violino, una sorta di nenia incantevole; sempre più intriganti gli assoli, mentre la voce lucente di Valerie regala sensazioni in crescendo.
Nuovamente apertura di violino e piano per “The Spark”, un brano delicato e morbido ed al tempo stesso potente. Le chitarre aprono invece “Enchantment”, il violino insieme alla ritmica, rendono affascinante anche questo brano. Più tranquilla “In “The Moment”, la traccia seguente, con il pianoforte e gli archi molto armonizzati, ma sempre e comunque chitarra e voce sono i protagonisti; molto bella anche “One With The Stars”, ma è la title-track “Rhapsody Of Life” in chiusura, che ci immerge in una aria epica e imponente.
Con questo album, i Worlds Beyond centrano il bersaglio regalandoci un lavoro variegato ed epico in cui immergersi totalmente.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    28 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

La band doom sludge italiana Di’Aul è tornata con il nuovo album “EvAAvE”, pubblicato il 7 febbraio per Minotauro Records, dopo loro ultimo “EP II”, i Di’Aul propongono un lavoro piuttosto unico, registrato in presa diretta con strumentazione analogica, rendendolo una sorta di live album, ma con uno spirito più intimo.
Ovviamente “EvAAvE” ha una impronta doom/sludge con passaggi veramente ipnotici tra ombre, paesaggi sonori e lirici, una poetica ricca e stratificata, che affonda le radici nel simbolismo, nell’esistenzialismo e nell’oscurità della condizione umana. I testi spaziano tra immagini oniriche e riflessioni, alternando introspezione e critica sociale. Questo il sunto di un lavoro veramente intrigante.
Il brano ”Duende” apre l’album in modo molto diretto in stile anni settanta e, nello svilupparsi del brano ci si accorge subito dell’accuratezza degli arrangiamenti, quasi minuziosi che proseguono nell’intero lavoro.
Proseguiamo con il singolo “Tar Wings” che si presenta come un esempio emblematico, caratterizzato da un incedere ritmico sostenuto, molto interessate anche la linea ritmica di Jeremy al basso che ben si sposa con la batteria, che vede protagonista Rex. Una bella unione di due elementi fondamentali per il pezzo in questione.
In “Succubi Et Incubi” invece la band aggiunge un’ombra grunge ma, prima che il brano si concluda, le sonorità hanno un accento blues.
Nuovamente un tuffo negli ’70 con “F.O.M.O.”, mentre con il successivo brano “Geosmina”, i Di’Aul ci sorprendono piacevolmente con una linea che rimane sempre in tema con il loro stile a cui si aggiunge un’atmosfera fresca ma inquieta.
Chiude l’album la title-track “EvAAve”, mostrando che questo lavoro è un risultato omogeneo, molto accurato, marcando i Di'Aul come una delle band più profonde e genuine dello specifico settore.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    11 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

Gli Aevum sono una band gothic metal di Torino che fonde la grandezza sinfonica, con un tocco industrial per creare un suono coinvolgente. Sin dalla loro formazione nel 2008, gli Aevum hanno sempre offerto un mix unico di melodie ammalianti, riff di chitarra pesanti e armonie vocali drammatiche. "Kaleidoscope” è il loro sesto album ed è bellissimo.
L'album si apre con "D20", un'ottima scelta poiché è già un successo con vocalizzi teatrali ed arrangiamenti molto particolari che rimandano ad un mondo fantasy in modo molto melodioso. Innovativa la seconda traccia "Be A Lady", con le voci di Katlin e Velenia (degli Octo Crura), che rappresentano una potente manifestazione del potere femminile. “Nightshade” è una melodia affascinante e delicata che, nonostante la sua fragilità, risulta essere un brano notevolmente d’impatto. La traccia "Dark Tunes" è davvero straordinaria, secondo il mio punto di vista, poiché amalgama musica industrial e gothic, con sonorità synth; essa evoca chiaramente le atmosfere delle bands degli anni '80, fondendo le sonorità dei Sisters of Mercy con quelle più fredde e introspettive dei Bauhaus. In “Fog of Fear” la melodia è il punto cardine, ma questa volta la band ci delizia con una sonorità più misteriosa che lascia in sospeso, non sapendo esattamente cosa potrebbe accadere. Sarà che sono ansiosa di natura, ma questo pezzo è riuscito a coinvolgermi al 100%, con la sua aura magicamente enigmatica. “The Inquisition” incarna il gothic metal old school, basato sulla drammaticità su quella che fu la storia sulla persecuzione cristiana che tutti conosciamo; un pezzo decisamente pesante e una sorta di inno alla resistenza contro coercizione, vessazione e qualsiasi strumento di oppressione. Interessante tematica elaborata tra il lirismo di Lucille e riff pesanti. “Ashes to Ashes” è un pezzo strumentale industrial che riecheggia nuovamente gli anni '80, ma ovviamente con una sonorità moderna; un brano che non mi sarei aspettata, ma è fresco e divertente e riesce a stemperare le emotività scaturite durante l’ascolto dell’album. A chiudere "Kaleidoscope”, troviamo le versioni strumentali industrial metal di “D20” e “Fog Of Fear” che, in queste vesti, hanno un ulteriore fascino.
"Kaleidoscope" degli Aevum è insomma un album molto apprezzato per le sue mille sfaccettature ed un viaggio nell’anima fragile insita in ognuno di noi.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    11 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2025
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La loro musica è un ossessionante requiem per l'anima, un promemoria che ricorda che anche nei recessi più oscuri dell'esistenza non c'è scampo al peso schiacciante della disperazione. On All Fours dà forma a un mondo di paesaggi desolati, dove i cieli sono perennemente avvolti da una foschia tossica e l'unico suono è l'eco delle proprie urla. Il progetto, incentrato sulla cantante Klaartje Keppens, è stato avviato ancor prima dell'ormai storica epidemia di COVID. Con l'aiuto di vari musicisti, Klaartje è riuscita a produrre diversi demo per dare vita alla sua visione musicale. Dopo ritardi causati da serrate e problemi in studio, questo debut album intitolato "Hybris" è stato finalmente completato nel 2023 e pubblicato a dicembre 2024 da Ván Records, etichetta tedesca sempre aperta a qualcosa di innovativo.
L'album si apre con il brano acustico "Vision - Sinear's Dream", che suscita un certo stupore, in particolare perché il brano successivo, "Design - For Four's Sake", segue una direzione analoga. Tuttavia, durante questa seconda traccia, il ritmo cambia repentinamente e le chitarre acustiche vengono sostituite da un potente suono doom.
Le influenze orientali emergono per la prima volta in “Base - The Pillars”, arricchendo ulteriormente l'album. “Rise - Remedy” si distingue come uno dei brani più significativi, con un'atmosfera oppressiva che riesce a catturare l'attenzione dell'ascoltatore. In “Atrium - Limerence” si può apprezzare la voce del compianto Verderf, frontman della band Verloren. Questa collaborazione conferisce al pezzo una profondità notevole, avvicinandolo agli aspetti più oscuri del metal.
Con questo “Hybris”, gli On All Fours riescono ad offrire un album eccellente con una ventata di freschezza orientale nel panorama metal, almeno in terra belga.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    23 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 24 Gennaio, 2025
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L’atteso album “Fructus: The Master's Zodiac” dei Master Dyè stato pubblicato per DMG, si tratta di un progetto ambizioso, quanto riuscito, che ha impegnato il gruppo per 15 mesi di lavoro e che mostra un suono moderno con una tematica oscura, quella dello zodiaco.
Prima di ascoltare questo album ho voluto ascoltare i precedenti lavori e posso affermare che “Fructus: The Master's Zodiac” è un’evoluzione per questa band che ha elaborato un disco molto ispirato ed emozionante che sembrerebbe uscito da un mondo illusorio post-apocalittico in cui si intrecciano gothic, power, death, black e symphonic metal, insomma una miscela esplosiva che risulta impossibile non riuscire ad apprezzare.
Oltre alla qualità musicale, c’è la meravigliosa voce di Dy Moob (Madre Goth) che è anche compositrice; una voce potente e soprattutto duttile che è un elemento fondamentale per il progetto.
I dodici brani, a parte l’introduzione “Master's Zodiac”, sono intensi, energici e dinamici, proprio come l'opener “Bad Omens of January”, la seguente “February Sinner” e la bellissima “Nyctophile Serenade”. Tre brani di spicco in questo disco ma non gli unici, infatti la seguente “Ephermeral Void” è un pezzo melodico anthemico con parecchi suoni elettronici ed una batteria straordinaria.
“Solitary Ember” ha una direzione pop ma tendente all’ industrial, con parti rap e synth, urla maschili, voci polifoniche ed un breve assolo, tutto ciò mi lascia perplessa e mi domando il motivo di inserire una musicalità simile in questo lavoro quando poi la band con “Sepulchral Equinox” ci regala un brano doom molto pesante che offusca “Solitary Ember”. Capisco la modernità, ma non un cambio stilistico così drastico, seppure breve.
Bello il duetto in “October's Haunting”, le voci growls e screams di Dy Moob e Mr. Draco si sposano perfettamente, mentre con “Nocturnal Veil” ci ritroviamo in un brano molto più oscuro in cui la voce di Mr. Draco è quella principale.
 “Frostbound Sonata” termina l’album e si tratta di un pezzo più orchestrale e armonioso.
I Master Dy ci regalano un lavoro molto creativo, infatti con “Fructus: The Master's Zodiac” la band si sposta molto di più rispetto agli album precedenti, dando una sferzata alla propria discografia.

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