Opinione scritta da Corrado Franceschini
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Top 10 opinionisti -
Al di là dell’opinione che esprimo riguardo ogni singolo disco di una band; mi interessa sempre seguirne l’intero percorso musicale. Conosco molto bene i PrincesS dato che ho recensito tutti i loro lavori ad eccezion fatta per il “The Best of PrincesS” uscito nel 2022 eppure, credetemi, ogni volta che il cantante Freddie Wolf mi spedisce i file di un nuovo disco, non so mai che genere di musica andrò ad ascoltare. “Music of God (The Bible Rock Opera) ” ha un titolo esplicativo. Al suo interno si trovano dodici pezzi legati fra loro da un filo conduttore: la Bibbia. Ogni pezzo ha come protagonista un personaggio o un luogo di quello che, senza ombra di dubbio, è un racconto inarrivabile dal punto di vista narrativo. Sappiamo bene quale importanza ha avuto l’Italia nel campo dell’Hard e del Progressive. Posso dire che, grazie anche alle orchestrazioni di Giordano Maselli, all’uso delle tastiere e alla capacità strumentale dei PrincesS, l’ambiente musicale ricreato dal gruppo romano, soprattutto nei primi pezzi, è ascrivibile a quel campo. Il mio entusiasmo è andato un poco calando durante l’ascolto dato che un concept così complesso e lungo, preso tutto d’un fiato e con un parziale cambio di rotta dopo i primi sei pezzi, non è facile da digerire se si è stati a digiuno di certe sonorità per parecchio tempo. Le band di riferimento che elenco sono presenti all’interno delle canzoni e sono ben riconoscibili per chi, come me, viene dagli ascolti di musica anni settanta: si tratta dei The Trip; dei Goblin; del Rovescio Della Medaglia e, in minima parte, dei Genesis e degli Yes. Questa sommatoria potrebbe risultare letale per molti gruppi che sono alle prime armi ma Freddie Wolf e i suoi hanno una lunga carriera alle spalle e non si lasciano intimidire da nulla e da nessuno; critiche comprese. Difficile trovare un brano preferito visto che si spazia parecchio. Si và dal piglio Progressive anni settanta di “Holy Overture (The Creation) ” alla leggiadra e semi lenta “The Ballad of Lilith (Garden of Eden) ”. Si passa dall’oscurità e dai toni epici di “Wrath of God and the Flood Mith (Noah Epic) “ all’articolata “The Sacred Prophet and the Elected”: pezzo nel quale è possibile seguire facilmente il testo. C’è anche un brano che esula dal contesto ma che, per il genere toccato, è pienamente nelle corde dei PrincesS: parlo di “Funky Scribes VS Rocker Jesus”. In questo caso Il Prog – Hard si fonde con il Funky dando spazio alla voce dell’ospite Andrea Toro e a quella di Alfonso Corace. Altro pezzo cruciale è la complessa “Judas Gospel” dove alla voce, nella parte di Giuda, troviamo Titta Tani. Si va avanti con canzoni a suon di Rock duro e pezzi con inserti lenti che lasciano un poco sfiniti; ma sicuramente soddisfatti. I PrincesS sono già al lavoro sul nuovo album e sono proprio curioso di vedere in che epoca mi porteranno con la loro musica.
Ultimo aggiornamento: 07 Aprile, 2025
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Al di là dell’opinione che esprimo riguardo ogni singolo disco di una band; mi interessa sempre seguirne l’intero percorso musicale. Conosco molto bene i PrincesS dato che ho recensito tutti i loro lavori ad eccezion fatta per il “The Best of PrincesS” uscito nel 2022 eppure, credetemi, ogni volta che il cantante Freddie Wolf mi spedisce i files di un nuovo disco, non so mai che genere di musica andrò ad ascoltare. “Music For God (The Bible Rock Opera)” ha un titolo esplicativo. Al suo interno si trovano dodici pezzi legati fra loro da un filo conduttore: la Bibbia. Ogni pezzo ha come protagonista un personaggio o un luogo di quello che, senza ombra di dubbio, è un racconto inarrivabile dal punto di vista narrativo. Sappiamo bene quale importanza ha avuto l’Italia nel campo dell’Hard e del Progressive. Posso dire che, grazie anche alle orchestrazioni di Giordano Maselli, all’uso delle tastiere e alla capacità strumentale dei PrincesS, l’ambiente musicale ricreato dal gruppo romano, soprattutto nei primi pezzi, è ascrivibile a quel campo. Il mio entusiasmo è andato un poco calando durante l’ascolto dato che un concept così complesso e lungo, preso tutto d’un fiato e con un parziale cambio di rotta dopo i primi sei pezzi, non è facile da digerire se si è stati a digiuno di certe sonorità per parecchio tempo. Le bands di riferimento che elenco sono presenti all’interno delle canzoni e sono ben riconoscibili per chi, come me, viene dagli ascolti di musica anni settanta: si tratta dei The Trip, dei Goblin, del Rovescio Della Medaglia e, in minima parte, dei Genesis e degli Yes. Questa sommatoria potrebbe risultare letale per molti gruppi che sono alle prime armi, ma Freddie Wolf e i suoi hanno una lunga carriera alle spalle e non si lasciano intimidire da nulla e da nessuno; critiche comprese. Difficile trovare un brano preferito visto che si spazia parecchio. Si và dal piglio Progressive anni settanta di “Holy Overture (The Creation)” alla leggiadra e semi lenta “The Ballad of Lilith (Garden of Eden)”. Si passa dall’oscurità e dai toni epici di “Wrath of God and the Flood Mith (Noah Epic)“, all’articolata “The Sacred Prophet and the Elected”: pezzo nel quale è possibile seguire facilmente il testo. C’è anche un brano che esula dal contesto ma che, per il genere toccato, è pienamente nelle corde dei PrincesS: parlo di “Funky Scribes vs Rocker Jesus”. In questo caso il Prog – Hard si fonde con il Funky dando spazio alla voce dell’ospite Andrea Toro e a quella di Alfonso Corace. Altro pezzo cruciale è la complessa “Judas Gospel” dove alla voce, nella parte di Giuda, troviamo Titta Tani. Si va avanti con canzoni a suon di Rock duro e pezzi con inserti lenti che lasciano un po' sfiniti; ma sicuramente soddisfatti. I PrincesS sono già al lavoro sul nuovo album e sono proprio curioso di vedere in che epoca mi porteranno con la loro musica.
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Ad agosto 2024 i Warhog avevano fatto uscire l’EP autoprodotto intitolato “The Dystopian Chronicles volume 1” (voto su Allaroundmetal: 4/5). A distanza di tre mesi il quartetto texano aveva replicato pubblicando il secondo volume di quella che, secondo i piani, è una trilogia. L’entusiasmo suscitato in me dal primo volume è un poco scemato nel caso del secondo. Non ci sono più quei repentini e stravolgenti cambi di ritmo ne vengono citate musicalmente le innumerevoli band che avevano illuminato in precedenza la strada degli americani. Si può dire che, pur essendo di fronte a un album discreto, il processo compositivo è stato semplificato e “appiattito” abbracciando tipi di Metal sempre vario, ma di maniera. Fortunatamente i musicisti riescono a interagire in buona maniera e le chitarre della coppia Kendall/Beetley - il secondo è anche il cantante della band – creano riff di buona fattura e sostanza. “Eulogy” è un Hard in semicadenza che tende la mano alla melodia. “Artificial Echoes” unisce la veemenza con un senso di claustrofobia. “Kill or Die Trying” è un Metal medio dal solo lineare. “Lost Colony”, grazie ai suoi arpeggi prolungati e alle orchestrazioni, ricorda sia i Metallica di “The Unforgiven” e “Nothing Else Matters”, sia l’Hard epico e pomposo dei Magnum. Vedremo se con il terzo capitolo, i Warhog riusciranno a riguadagnare il mezzo punto perso che intercorre fra la mia prima recensione e questa.
Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 2025
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Potete pensare e dire ciò che volete su Filippa Nassil ma una cosa è certa: la chitarrista svedese è la leader indiscussa e indiscutibile delle Thundermother. Dopo il licenziamento della cantante Guernica Mancini e il susseguente allontanamento delle altre due componenti le Thundermother all’indomani dell’album “Black And Gold” - le tre ex hanno formato la band The Gems – Filippa non ha perso tempo e ha ricostruito la line-up. Sono entrate la cantante Linnea Vikstrom Egg (andate a vedere chi sono suo fratello e suo marito) e la batterista Joan Massing. Per il ruolo di bassista, invece, è stata richiamata Majsan Lindberg. Per ammissione della stessa Nassil quello che esce dai solchi di “Dirty & Divine” è Rock and Roll ma, personalmente, aggiungerei le parole ad ampio spettro e questo, a seconda dei punti di vista, può essere sia un pregio che un difetto. Il produttore Soen Andersen, al suo terzo album con le Thudermother, ha svolto un buon lavoro ed è stato in grado di donare tranquillità alle musiciste. La voce di Linnea se la gioca bene su tonalità medie/alte e la sezione ritmica svolge il suo compito con dignità. I ritornelli sono farciti di cliché e i soli di chitarra sono semplici e non eclatanti, ma i riff che caratterizzano i pezzi sono intriganti. Insomma; il disco non è eccellente ma è gradevole da ascoltare. Un pezzo come “So Close” è nato per far breccia nei cuori degli estimatori dell’Hard, ma anche in quelli di coloro che amano lo Street. “Can’t Put Out the Fire” è un Boogie/Hard dal tenore fine anni settanta perfetto per chi ascolta AC/DC e KISS. “Feeling Alright” è la canzone “aliena” del disco: prima ti intriga con il suo arpeggio stile Boston (quelli di “More Than a Feeling” N.d.A.) e poi ti frega di brutto virando verso il Pop Metal. Il disco scivola via con pezzi ascrivibili al mondo Hard come “I left My Lycense In the Future” o “Bright Eyes” fino ad arrivare alla traccia bonus del CD: “American Adrenaline”. In questo caso il gruppo oltrepassa il limite di velocità che si era auto imposto ma lo fa con poca accortezza dal punto di vista dell’assemblaggio e della coesione. Top song “Speaking of the Devil”: ha il giusto traino e un ritornello vincente. Canzone flop “Can You Feel It”: la reputo abbastanza scialba. Se la formazione manterrà un suo equilibrio, con il tempo riuscirà a fare ancora meglio. Per ora non vi rimane altro da fare che passare trentacinque minuti in pieno relax e canticchiare i pezzi di “Dirty & Divine”.
Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 2025
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I Cacumen erano un gruppo tedesco nato nel 1972; nel 1986 i cinque componenti decisero di cambiare nome e nacquero i Bonfire. Il chitarrista Hans Ziller, unico membro originale rimasto, non ha mai mollato la presa e con una formazione rinnovata, ha rilasciato nel 2023 i primi tre album del gruppo opportunamente risuonati. Nel 2025 è uscito per la Frontiers Records l’album “Higher Ground”. Gli ultimi due componenti inseriti nella line-up nel 2022 - il cantante Dyan Mair e il batterista Fabio Alessandrini - hanno contribuito a spostare il baricentro sonoro della band. Naturalmente ci sono alcuni brani che riportano alla consolidata tradizione Hard melodica prediletta dai Bonfire ma, altresì, ci sono anche pezzi che hanno un piglio decisamente più tagliente caratteristico dell’Heavy Metal. Che la band abbia voglia di smarcarsi da un suono mieloso e sdolcinato è puntualizzato da quella scheggia impazzita che risponde al nome di “I Will Rise”. Se fosse presente una batteria a doppia cassa “Loss of Control” sarebbe un pezzo in pieno stile Power Metal. “Jealousy” con il suo furioso Heavy, segue le orme degli Judas Priest. “Come Hell or High Water”, visto l’andamento Hard/Doom acido, potrebbe portarvi a pensare di aver inserito il CD sbagliato nel lettore. Immagino le facce dei vecchi fans che assumono un’espressione stupita e allora provo a rassicurarli. L’Hard melodico è ben rappresentato da canzoni come “I Die Tonight”; “Rock’n’ Roll Survivor” – uscita per il mercato digitale nel 2020 e qui riproposta in versione 2024 – e la semi ballad “When Love Comes Down”. Non so quanti fra voi riusciranno ad accettare il nuovo corso intrapreso dal combo tedesco ma, a mio avviso, “Higher Ground” è un album discreto.
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2025
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Gli emiliani Stranger Vision avevano già dimostrato di essere degli appassionati di letteratura con il secondo disco uscito nel 2022 intitolato “Wasteland”. In quel caso lo spunto era stato preso dal poema di Eliot “La Terra Desolata”; nei due anni successivi il gruppo si è concentrato su un progetto ben più ambizioso: un concept articolato in due fasi ispirato al Faust di Goethe. Nel 2024 è così uscito“Faust - Prelude to Darkness: act I”; un disco a 12 pezzi che si sviluppa attraverso i territori del Power-Prog e che esplora, se pur per brevi tratti, un Modern Metal arcigno. I punti di riferimento degli Stranger Vision rimangono quelli del passato: Blind Guardian; Dream Theater e, a mio avviso, i Savatage di “Streets: A Rock Opera”. Riccardo Toni (chitarre, tastiere e orchestrazioni) si è accollato un’enorme mole di lavoro e per questo ritengo sia in parte responsabile di un eccessivo “caricamento” del suono. Se non si ha una produzione come quella di dischi quali “When Dream and Day Unite”; “Images and Words” o dello stesso “Streets”; meglio non eccedere con orchestrazioni. Una cosa che mi ha lasciato perplesso è lo spazio lasciato fra un brano e l’altro: troppo secco e brusco; spero sia un errore nel Press Kit in mio possesso. Dopo aver elencato i punti che non mi hanno convinto passo alle note positive. I quattro componenti del gruppo riescono ad affrontare con perizia e cognizione di causa un genere come quello del Power-Progressive, che prevede un dinamismo sommato alla propensione per gli stacchi melodici. Bella la prova di James LaBrie che, con la sua voce, va ad impreziosire “Nothing Really Matters”: pezzo che vede un copioso uso delle tastiere e una giusta dose di chitarra al servizio di un ritmo pieno di stacchi e riprese (caratteristica comune ad altri brani). Promossa anche la prestazione di Angelica Patti in “Two Souls”. La cantante, dotata di una voce dal liricismo non esasperato, piazza prima la sua voce su un ritmo dettato dal piano e poi interagisce in buona maniera con Ivan Adami rafforzando il ritornello. Il brano passa agevolmente dal ritmo lento a quello sincopato; dal crescendo ai soli con le tastiere che hanno gioco facile e vincente. Voglio mettere in luce il fatto che in pezzi come “Dance of Darkness” e “Fly” sono presenti tratti con una certa enfasi epica. In cinque anni gli Stranger Vision hanno fatto molta strada ed hanno raggiunto un buon livello, ma hanno ancora tempo per diventare come i loro “maestri”. Rimango in attesa del secondo capitolo della saga, sperando in uno sviluppo migliore.
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 2025
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I finlandesi Fire Action si sono specializzati nella realizzazione di E.P.: in undici anni di attività ne hanno fatti uscire tre. Nel 2024 questa tendenza è cambiata. Il gruppo si è accasato con l’etichetta Steamhammer/SPV ed è uscito il primo full-length intitolato “Until the Heat Dies”. I Fire Action hanno preso spunto da un libro dello scrittore australiano Michael Robotham e raccontano di una città alle prese con qualcosa di pericoloso, dalla quale escono delle macchine che, invece di essere degli acchiappa fantasmi, sono degli ingegneri del fuoco alla ricerca di zombie (dovrei avere i testi per confermare il tutto, N.d.A.) La biografia categorizza la musica del quartetto come Heavy Metal: definizione alquanto generica. Entrando nello specifico posso dire che i pezzi hanno matrici diverse, accomunate molto spesso da tastiere o, comunque, orchestrazioni. Questa cosa sposta inevitabilmente l’ago della bussola verso l’Hard Rock melodico, tranne che in alcuni casi. A conferma della mia tesi chiamo in causa il primo pezzo: “Storm of Memories”. Siamo di fronte a un brano che sembra uscito dalla penna della coppia Catley/Clarkin: un Hard stagno e melodico al tempo stesso. I ritornelli orecchiabili sono una delle peculiarità della band: un pezzo come “Hard Days, Long Nights”, lo testimonia ampiamente. La versatilità della proposta, unita ad un forte odore di già sentito, si palesa con “Dark Ages”. Sfido tutti voi a non etichettarla come clonata dallo stile inconfondibile di Ronnie James Dio anche se, va detto, l’atmosfera creata dalle tastiere di Claude Schnell era tutt’altra cosa. Se avete bisogno di una scossa, a darvela ci pensa “Incitament of insurrection”, si tratta di un pezzo che sfrutta i dettami tipici del Power Metal, con alternanza di break e scoppi nel ritmo. “Until the Heat Dies” è un disco piacevole, melodico al punto giusto e che non annoia. Se non cercate la novità a tutti i costi potrebbe fare al caso vostro.
Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 2025
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Chi conosce in maniera approfondita l’ambiente del Metal estremo sa di sicuro chi sono i Paganizer. Il loro chitarrista Rogga Johansson assieme al bassista Peter Svensson (Assassin’s Blade; Void Moon etc), ha formato nel 2019 i Gauntlet Rule con l’intento di allontanarsi dalle sonorità della band madre, per proporre Heavy Metal classico. Quello che in realtà emerge dall’ascolto di alcuni degli undici pezzi di “After the Kill” (secondo album del combo) è il fatto che i cinque svedesi hanno ben in mente gli stilemi del Power Metal battente e questo ne inficia in parte l’originalità. La differenza la fa il fatto che quando uno pensa che il brano sia uguale a tanti altri, arriva un guizzo che ne stravolge il corso. La voce di Teddy Moller non garantisce sempre la giusta spinta ma tutto sommato, visti i diversi generi presenti nel disco, va promossa. Qualche dubbio lo conservo sulle chitarre: un conto è fare soli alla Slayer che sono delle schegge impazzite, ma ben inserite nel contesto; un altro è fare delle sfuriate su scale serrate, che tendono a ripetersi come schema. Fortunatamente, come in parte detto, la varietà dei generi toccati dai nostri e un certo savoir-faire nella scrittura e nella composizione contribuiscono a migliorare la resa generale di “After the Kill”. Fra i pezzi migliori, non a caso, metto “Bite the Hand That Feels”. La voce dell’ospite Jacques Belanger (Assassin’s Blade; Kill ed ex Exciter) è aggressiva e regge bene il gioco agli strumentisti che passano da uno incipit simil-orientale, ad un ritmo che vira verso il Power-Speed. Nella norma il contenuto vocale apportato dalla nostra Federica “Sister” De Boni dei White Skull nell’eponima “After the Kill”. La sua ugola si inserisce in un contesto Power ora trascinato ora “compresso”, ma non mi sembra sia stata valorizzata a dovere. Gli otto minuti e mezzo della conclusiva “The Scythe” dimostrano la capacità del quintetto di saper comporre brani articolati, interessanti e con delle chitarre che, in questo caso, riescono a ritagliarsi il loro momento di gloria. Cito come esempio di brani che potevano avere miglior sorte “Exception to the Rule” e “Aeronauts”. La prima segue il solco tracciato dagli Iron Maiden, ma manca di mordente e di voce adeguata. La seconda, che è la traccia bonus del CD, non è brutta ma ha i volumi delle chitarre troppo alti rispetto ai rimanenti strumenti e alla voce. Sicuramente è stata messa come canzone extra per questo motivo. Do ad “After the Kill” la sufficienza. Cinque elementi di provata esperienza come quelli che compongono i Gauntlet Rule, possono fare di meglio.
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 2024
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Se parliamo di musica irlandese in generale, i nomi che mi vengono in mente sono quelli degli U2, di Enya e dei Clannad. Se invece entriamo nel campo specifico della musica “dura” i primi che mi sovvengono sono quelli dei Thin Lizzy del compianto Phil Lynott e dei Death/Grind Abaddon Incarnate. I Deithesis si sono formati nella nazione della birra Guinness, più precisamente a Louth, nel 2020. I cinque componenti del gruppo vengono tutti da pregresse esperienze perciò non possono essere considerati dei novellini. Il disco d’esordio dal titolo “Equilibrium” era stato pubblicato nel 2023 in maniera indipendente e se fate una rapida ricerca, trovate i video su Youtube. Nel 2024, firmato il contratto con Sliptrick Records, eccolo riproposto tale e quale. Se la vita è un ciclo, lo è anche la musica. I Deithesis hanno trovato la quadratura del cerchio intrecciando il suono duro e cupo dei Black Sabbath, con l’energia primigenia della NWOBHM e gli arpeggi melodici dei Metallica senza mai arrivare a velocità veramente estreme. La voce di Allan Clarke non è il top: è comunque caratteristica, evocativa, e ben si adatta ai generi adottati. Le chitarre della coppia Duffy – Rankin si dividono agevolmente le partiture ma, nei soli, hanno suscitato in me qualche perplessità. Positivo l’apporto ritmico di basso e batteria che formano una degna sezione ritmica semplice, ma efficace. Il lavoro di mix e mastering mostra qualche piccola “falla”nei volumi ma sono sicuro che, chi è cresciuto con i dischi degli anni ottanta, sarà disposto a passar sopra a questo minimo inconveniente. Nonostante la mia analisi possa far pensare il contrario, i pezzi sono gradevoli da ascoltare grazie ai cambi, ai rientri e ai ritornelli che si susseguono. I brani che hanno suscitato in me maggior interesse sono: “Unseen”, “Virtue” e “Once Forsaken”. Se devo puntare il dito verso un ritmo più “pimpante”, indico l’unico pezzo che ricorda veramente il Thrash: “Beckon Tragedy”. Mi auguro che con il prossimo disco i Deithesis riescano a sfondare ma, per farlo veramente, dovranno usare maggior accortezza in fase di registrazione ed avere ancor più intesa. Per ora il voto si assesta su un sette scarso.
Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 2024
Top 10 opinionisti -
Nel 1980 alcuni dei gruppi che avevano contribuito a formare il movimento NWOBHM, raccoglievano i frutti di un duro lavoro. Proprio in quell’anno dalle ceneri di Ethel The Frog, band dedita ad un Hard Rock a tratti stemperato, nascevano i Salem. I Salem, pur essendo ben noti fra gli appassionati della scena metal degli anni ottanta, non sono mai riusciti a sfondare realmente sia in Inghilterra che nel nostro paese. Hanno comunque avuto una tenacia che ha permesso loro di arrivare - fra uno scioglimento e una reunion – ai giorni nostri. A poca distanza dal 2017, anno dell’ultimo scioglimento, i membri originali Simon Saxby (voce) e Adrian Jenkinson (basso) aggiungono UK al nome e riprendono il loro cammino. “Outer Limits”, secondo album con il nuovo moniker, è un concept album ispirato ad un evento storico: l’Hull Fair ovvero la più grande fiera di viaggi in Europa tenutasi nel 1279. L’aspetto positivo del disco è che, nonostante i brani siano uniti da un filo comune nella storia, risultano musicalmente diversi l’uno dall’altro e, quindi, non annoiano. Fanno eccezione le tracce uno e dodici che, in pratica, sono due brevi intro e outro strumentali. Nel mio tabellino dell’ascolto, curiosamente, i brani più intriganti risultano essere quelli con numero pari: il secondo, il quarto eccetera. L’Hard'n'heavy del quartetto non perde mai di vista una certa componente melodica tranne che nei soli di chitarra che, a mio avviso, sono troppo basati su scale veloci e abbastanza monotone. Fa eccezione “Meteorite”: un Metal tambureggiante con stacchi Hard dal solo aggressivo e ben strutturato. Se volete apprezzare al meglio la varietà della struttura compositiva dei quattro inglesi, puntate sull'eponima “Outer Limits”. Se invece cercate le ritmiche dal tono più leggero, potete ripiegare su “Overrider”. Se non conoscete ancora i Salem UK, date loro fiducia e fate sì che si godano un poco di quel successo che è mancato loro nel lontano passato.
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