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I Mantra e il loro paleolithic metal! In evidenza

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I Mantra ci hanno davvero ben impressionati con il loro secondo disco, intitolato “Laniakea”. Il chitarrista Simon Saint-Georges ed il bassista Thomas Courtin dunque ci introducono alla scoperta di questo loro nuovo album in un’intervista dove emerge tutta la passione e l’entusiasmo di questo gruppo sicuramente al di fuori dai soliti schemi.

 

Il vostro album di debutto, “Into the light”, è stato pubblicato tre anni fa: sei soddisfatto del riscontro ottenuto con quel disco o ti aspettavi qualcosa in più?

È stato come un folle viaggio! Siamo stati molto soddisfatti di finire il nostro album, di aver trovato persone che hanno avuto fiducia in noi come la nostra etichetta Finisterian Dead End e di pubblicare il nostro lavoro. È un sogno diventato realtà e allo stesso tempo eravamo un po’ ansiosi circa quello che poteva essere il responso del pubblico, perché il nostro universo musicale è un po’ strano ed eravamo consapevoli che la produzione non era molto professionale. Ma quasi tutte le recensioni sono state positive e abbiamo fatto una serie di show in Francia che ci hanno permesso di viaggiare e di incontrare tantissima gente, cosicchè pur con i suoi difetti, “Into the light” è il nostro bambino, che poi è maturato in “Laniakea”! Questa esperienza ci ha permesso di avere davvero una chiara idea di come volevamo suonasse il nuovo album e di come volevamo lavorare alla produzione. 

 

Riguardo al vostro nuovo album “Laniakea”, cosa potete dirci riguardo il songwriting? Ci sono state differenze rispetto a “Into the light”?

La nostra ricetta segreta è sempre la stessa: ci rintaniamo per una settimana o due in un luogo nascosto nel centro della Francia per vivere nel nostro universo e con i nostri ritmi e componiamo, scriviamo e registriamo insieme, come un gruppo, quasi come una tribù. Io penso che questa sia una delle cose più interessanti dell’album: avevamo un concetto che cercavamo di rendere costante nel corso dell’album e in ogni canzone. È molto importante per noi anche che le liriche si incastrino con la musica e con la storia, così scriviamo le parole insieme, come una band. Così è effettivamente una produzione collettiva ed è un’esperienza unica osservare quattro ragazzi che con cura scelgono le note e le parole per scrivere la storia di una tribù preistorica! La storia dietro la musica è ciò che incolla tutto insieme perché dà all’ascoltatore un contesto e gli permette di seguire facilmente la progressione dell’album. Pensiamo spesso che le liriche siano come delle “chiavi” per aprire il vero contenuto di una canzone o di un album: diamo alla nostra audience quanto basta per trovare la porta ma devono essere loro ad aprirla e ad attraversarla. In studio, abbiamo lavorato fianco a fianco con Artur Lauth al Brown Bear e lui sapeva immediatamente dove saremmo andati e abbiamo costruito il sound dell’album insieme con un quadro molto chiaro che avevamo in mente circa ciò che volevamo. È un tipo appassionato e di grande talento ed è anche davvero paziente e curioso, perciò era la scelta perfetta per una band come la nostra! Abbiamo trascorso molte settimane di scrittura sfrenata dell’album, prendendoci cura di ogni dettaglio e poi molte settimane in studio per rendere tutto perfetto. Dalla composizione al mixaggio, dall’artwork al mastering, volevamo che tutto fosse coerente ed interessante per la nostra audience.

 

Possiamo dire dunque che “Laniakea è un concept album? Su quali argomenti vertono le liriche?

“Laniakea” è il nome della galassia supercluster in cui tutti viviamo. In altre parole, è il nome che la nostra specie ha dato alla parte dell’universo a cui appartiene, che è una parte incredibilmente piccola dell’intero universo ma allo stesso tempo uno spazio molto più grande di quanto molti di noi potrebbero immaginare. Il nome “Laniakea” viene da una parola hawaiana, che significa “immenso orizzonte”. Nel 2014, quando venne per la prima volta scoperta, abbiamo iniziato a scrivere un concept sull’evoluzione del genere umano dalla preistoria e abbiamo pensato che sarebbe stato un bel nome per la valle dove avremmo ambientato la nostra storia, perché rende la prospettiva di un’idea di infinito nel tempo e nello spazio. “Laniakea” non è dunque un album su una galassia supercluster! È la storia di una tribù che, generazione dopo generazione, si sviluppa ed evolve sia tecnologicamente che emotivamente. È un viaggio in prima persona attraverso milioni di anni! Trattiamo argomenti come la scoperta del fuoco, l’invenzione di Dio sotto l’influenza di allucinogeni o la relazione che abbiamo, come specie, con la natura.

 

Come descrivereste il sound dei Mantra?

Il nostro sound ha molte radici in molte differenti culture e generi. Ma noi lavoriamo duramente per rendere queste radici indistinguibili l’una dall’altra dando loro la nostra struttura, il nostro proprio contesto. Usiamo le atmosfere sottili del prog rock, i riff sincopati e aggressivi del djent e i folli sacro-geometrici-schemi del math-rock! È una musica cruda, selvaggia, sciamanica, mistica. Lavoriamo molto anche sulla sensazione di spazio nella musica: vogliamo lasciare respirare la stanza per la musica, tra canzoni con impostazioni binaurali che puoi trovare nell’album, ma anche mentre suona la musica. È importante saper creare un posto perché le onde sonore nascano, vivano e muoiano.

 

Ci sono canzoni che amate suonare in modo particolare nei vostri concerti?

Ovviamente, quelle che suoniamo di più, sono quelle che ci piacciono di più! Le nostre canzoni sono davvero delle sfide da impostare nei nostri concerti, così ci vuole del tempo per essere davvero a nostro agio con il groove, le atmosfere e le struttura. Una volta entrati in questa zona, possiamo tutti rilassarci e lasciare che avvenga la magia. Perché è di questo che si tratta: nonostante la musica sia a volte un po’ violenta e destrutturata, il sound dei Mantra ha un contenuto meditativo! E come per lo stesso mantra, la trance diventa più profonda con la ripetizione, perché puoi seguire nella tua mente il percorso verso il più profondo stato di rilassamento. Quando suoniamo “Tribal Warming”, una delle nostre canzoni più vecchie, lasciamo davvero che i nostri corpi facciano prendere il sopravvento alla musica. È la sensazione più bella. È anche un piacere raggiungere il culmine nelle canzoni più lunghe, come l’outro di “Marcasite”, l’opener del nostro nuovo album, perché provi la sensazione di raggiungere la spiaggia dopo un viaggio durato una settimana sull’oceano! La tua testa prova le vertigini, non riesci più a camminare, ma ti senti vivo e sai che hai condotto la gente con te lungo il viaggio.

 

Apprezzo molto nella vostra musica la capacità di creare un certo mood e di trasmettere emozioni: qual è il vostro segreto per ottenere questo risultato?

Grazie mille, questo è proprio quello che cerchiamo di ottenere! Ci sono due differenti modi con cui cerchiamo di trasmettere emozioni: da una parte l’essere autentici e portare le nostre idee, dall’altra costruire un percorso molto preciso da seguire per l’ascoltatore. Sebbene le due cose possano sembrare contraddittorie, cerchiamo di essere davvero sinceri e scegliamo le note e le parole dal cuore piuttosto che dalla memoria e allo stesso tempo costruiamo la struttura delle canzoni con un’idea molto chiara di ciò che vogliamo che l’ascoltare provi in ogni momento! Siamo in uno stato di composizione libera e open-minded e usiamo la musica come uno strumento per esprimere ciò che vogliamo fare. Alcune volte abbiamo bisogno di esprimere idee che siano davvero potenti e travolgenti, per esempio quello che accade quando entri nello stato più profondo di meditazione o quando l’umanità come specie guadagna il potere di accendere un fuoco. Ecco perché alcune canzoni possiedono questi schemi heavy, quasi brutali, per ricreare queste sensazioni travolgenti. Come musicisti, amiamo realizzare atmosfere quiete che si evolvono lentamente per raggiungere un culmine. Questo è ciò che ci piace della musica: farla progredire attraverso la canzone da piccole isole di note al più potente tsunami del sound.

 

Quali band sono state importanti nel delineare il sound dei Mantra e cosa vi piace ascoltare adesso?

I Tool sono ovviamente una grande ispirazione per noi. Sembrano essere ad un altro livello di musicalità, lontano dalle regole che segue qualsiasi altra band. Proviamo a replicare quello stato di libertà nella musica, sia formando un nostro sound personale e i concetti, sia seguendo i nostri percorsi nella vita. Ascoltiamo anche i Gojira, sono un nostro tesoro nazionale e meritano di essere dove sono adesso. Hanno portato tanto al modern death metal, portando una nuova attitudine verso la musica e spingendola oltre in termini di tecnicismo, tono e musicalità. E sono anche dei tipi simpatici! Oltre a loro, amiamo band come Hypno5e, The Ocean e altre band più vecchie come Pink Floyd o The Doors, per esempio. Ascoltiamo tutti molta musica e spesso condividiamo nuovi suoni insieme: la scena è in costante evoluzione e amiamo trovare perle rare nascoste nel caos della musica metal!

 

Avete dei sogni come musicisti? Quali sono le più grandi aspirazioni per i Mantra?

La cosa migliore che ci potrebbe succedere è probabilmente quella di guadagnare riconoscimenti e di avere la possibilità di suonare la nostra musica ovunque! Saremmo onorati di essere invitati a festival come l’Hellfest o di aprire il palco per una di quelle band che amiamo! Lavoriamo duro per arrivare lì, proviamo a rendere la nostra musica unica e personale e credo che potrà accadere perché ancora molta gente valuta la creatività e l’onestà più dei ritorni economici.

 

I vostri progetti per il futuro?

Dopo essere stati in tour in Francia per alcuni anni, vogliamo portare ora il nostro universo all’estero e stiamo pianificando un tour europeo per il 2017! È un progetto molto eccitante per noi, davvero non vediamo l’ora! Sarà per noi qualcosa di nuovo suonare in altri paesi e speriamo di incontrare molte grandi band, grandi persone e vedere nuovi posti. Stiamo anche lavorando ad un nuovo spettacolo dal vivo per incorporare suoni dal nuovo album e ricreare le ruvide emozioni che abbiamo costruito nel disco. Sul palco, Pierre dimentica davvero chi è e diventa il personaggio e noi come band abbiamo bisogno di stabilire la scena perfetta perchè il rituale sciamanico diventi autentico e possibile per il pubblico. E se sei “ricettivo verso la medicina” (traduciamo alla lettera questa espressione, ndr), puoi andare davvero molto lontano! Questo è quello che faremo.  

 

Bene, Simon e Thomas, grazie mille per quest’intervista.

Grazie mille a voi, è un piacere vedere che abbiamo un’audience in Italia! Abbiamo lavorato molto per pubblicare quest’album e ora speriamo davvero che quanta più gente possibile se ne innamori, proprio come abbiamo fatto noi. Speriamo di poter venire presto in Italia a suonare un po’ di immersive paleolithic metal! Saluti e grazie!

Ultima modifica il Martedì, 13 Dicembre 2016 20:06
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