Quand’è che una band diventa storica? Nel caso degli Epica, si parlava di “giganti” del symphonic mondiale, già ben più di dieci anni fa, quando la band realizzò quell’evento enorme, un live di oltre tre ore da cui fu tratto un DVD amatissimo dai fan, alla fine del quale Mark Jansen dice “ed ora avanti per altri dieci anni!”; ma ora che quella seconda decade è passata, dov’è finita quella band? Bhè quella band è sempre qui, viva e vegeta, cresciuta, evoluta, una band pazzesca che ha saputo non solo cogliere al volo e plasmare ciò che era il metal al femminile che si stava formando proprio in quegli anni ma, ha portato ad un livello superiore tutto ciò che riguarda il symphonic metal, scostandolo dagli stereotipi e cliché che (ahimé), inevitabilmente il genere porta con sé. Gli Epica, in vent’anni di carriera, hanno dimostrato che aggiungere orchestrazioni ed avere una front-woman con un bel viso, non rendono la tua proposta musicale “meno degna, meno valida o per forza commerciale”, ma anzi, gli olandesi hanno dimostrato che il metal è un genere meraviglioso, dalla versatilità immensa, che regala emozioni ed arte in ogni proposta, purché venga amato e rispettato.
Ed eccoci qui quindi, vent’anni dopo da quel “The Phantom Agony” che fece innamorare migliaia di fan in tutto il mondo, per un doppio live che segna un evento unico, una pietra miliare per la storia di un pezzo del metal stesso. Dico doppio live, perché la prima vera chicca che ci si para davanti, è la scritta “Sahara Dust” sul palco. Per chi non lo sapesse, il primo nome degli Epica fu proprio Sahara Dust, avevano una manciata di canzoni, una bella cantante bionda e tanta voglia di fare. Fu così che con un piccolo (ma cruciale) demo in tasca, finirono a suonare a quel famoso auditorium, lo “013” di Tilburg, per il loro primo live serio, in supporto agli Amorphis. Poi successe qualcosa, la cantante bionda, tale “Helena Iren Michaelsen”, decide di abbandonare il progetto per motivi personali e la band si ritrova senza la principale vocalist. Subentra quindi, quasi in automatico, una ragazzina dal viso angelico, fidanzatina del chitarrista, bella da lasciare senza fiato, con dei capelli rosso fuoco e gli occhi di ghiaccio, ma che aveva appena diciassette anni e prendeva da poco lezioni di canto, perché amava i Nightwish e voleva “cantare come Tarja”. In un modo o nell’altro, riescono a fare qualche altro pezzo, le serate nei dintorni iniziano ad aumentare, si riempiono sempre di più, una ospitata qui, una intervista per la radio lì, finché non finiscono a suonare su un palco importante, cioè quello dello “013” e nel frattempo, si registra in studio; proprio mentre i Kamelot pubblicano l’album “Epica” e quindi i “Sahara Dust” decidono di cambiare nome, per omaggiarlo.
Un demo di “The Phantom Agony” finisce nelle mani della “Transmission Records” ed ecco che nel 2003, finalmente tutto è compiuto e sono nati ufficialmente gli “Epica”. Oggi, dopo vent’anni da allora, i Sahara Dust si sono riuniti sullo stesso palco che li ha lanciati, “essendo molto felici e fieri di aprire agli Epica”, come dice Simone sghignazzando durante il live.
I “Sahara Dust” suonano per più di quaranta minuti, riproponendo i brani degli inizi, quelli che venivano ancora firmati con quel moniker e riscaldando per bene il pubblico, anche per la mise di Simone Simons, che devo dire, non lascia indifferenti!
Come da tradizione per la band, si parte con una intro strumentale, in questo caso “Adyta”, il preludio di “The Phantom Agony” (non poteva essere altrimenti), per poi spaccare immediatamente alla grande con “Sensorium”, uno dei brani più amati di sempre. Spiccano tra gli altri “Seif al din” e “Feint”, che non venivano suonati dal vivo da secoli e la semi-sconosciuta “Follow in the cry”, cover degli After Forever e mai suonata prima d’ora, sotto il nome “Epica”.
Finito il tempo della band “d’apertura”, i musicisti si ritirano per fare spazio alla band vera, quella che festeggia vent’anni di carriera.
Si parte con “The Score”, brano strumentale tratto dall’album di colonne sonore “The Score - An Epic Journey”, che la band ha realizzato per il film “Joyride”, per poi partire in quarta con “Cry for the moon”, un altro dei cavalli di battaglia storici degli olandesi.
Non pochi sono i momenti goduriosi a livello visivo, come i numerosi cambi d’abito di Simone e una “The Skeleton Key”, cantata in live con un coro di bambini, tutti sorridenti e visibilmente eccitati, che subito dopo il brano si lanciano in saluti e baci al pubblico. Colpisce inoltre, quella inedita “Final Lullaby”, in collaborazione con il sassofonista, jazzista norvegese “Jørgen Munkeby” che, nel giorno del suo compleanno (tra l’altro), si rivela essere uno dei numerosi tasselli che comporranno il puzzle di quel “progetto segreto” a cui gli Epica starebbero lavorando già da tempo e che riveleranno solo nel 2023.
Il metal è sempre gentile con gli Epica, tra bambini tenerissimi, una “Rivers”, cantata “a cappella” da Simone, accompagnata da un coro di professionisti e le (ormai consuete) ballerine aeree, il concerto si rivela essere ben oltre che un semplice live della band del cuore.
Comunque, sarà per il caldo, sarà per la stanchezza (otre tre ore di musica non sono uno scherzo), ma sono tutti visibilmente provati, tanto che Simone stessa, dice che se fanno ancora un altro pezzo, le troveranno svenuta lì sul palco ma, nonostante tutto, partono le note della solita “Consign to Oblivion”, un brano di oltre dieci minuti, senza un minimo di respiro, tanto per chiudere in bellezza.
Un evento straordinario quindi che vale ogni centesimo per celebrare una delle band più grandi del panorama metal e non solo attuale, che ha saputo evolversi, migliorarsi, cambiare eppure restare sempre fedele a se stessa e alla proposta musicale portata, riuscendo sempre a far innamorare i fan, senza mai un passo falso, un momento di noia, di pausa, ma, anzi, con una produzione instancabile di album, Ep, speciali di ogni tipo e live in giro per il mondo ed ora, per riprendere le parole di Mark Jansen: “Avanti, per altri vent’anni!”
FORMAZIONE:
Simone Simons: Voce
Mark Jansen: Chitarre e Grunt
Coen Janssen: Synth, pianoforte e orchestrazioni
Isaac Delahaye: Chitarre
Rob van der Loo: Basso
Ariën van Weesenbeek: Batteria, percussioni e Growl
SETLIST
Prima parte come "Sahara Dust"
1. Adyta (The Neverending Embrace ~ Prelude)
2. Sensorium
3. Illusive Consensus
4. Seif al Din
5. Feint - Solo Isaac
6. Follow in the cry (The Embrace That Smothers, Part II) - (After Forever Cover)
7. The Phantom Agony (con Yves Huts)
Seconda parte come "Epica"
8. The Score
9. Cry for the moon
10. The Essence of Silence
11. Storm the Sorrow
12. Unchain Utopia
13. The Skeleton Key (con il "Children Choir")
14. Kingdom of Heaven (A New Age Dawns, Part V)
15. Kingdom of Heaven Part III - The Antediluvian Universe
16. Rivers (A Capella con coro)
17. Once Upon a Nightmare
18. Final Lullaby (con Jørgen Munkeby)
19. In All Conscience
20. Code of Life
21. Omega – Sovereign of the Sun Spheres
Encore:
22. Sancta Terra
23. Beyond the Matrix
24. Consign to Oblivion