Sabato 2 settembre, ritrovo ore 15.30 presso "Jetglow Recording Studio", in Viale Germania 11 a Ponte San Nicolò, Comune alle porte di Padova. E’ l’appuntamento per assistere alla presentazione in studio di “Montecristo”, l’atteso sesto album dei veneti Great Master. Sono l’ultimo ad arrivare (ma comunque puntuale), dato che ci sono altri 7 colleghi in attesa di iniziare; c’è anche la band quasi al completo, dato che manca solamente il batterista Denis Novello (scoprirò più tardi che diverse canzoni dell’album sono state suonate dall’ospite Simone Morettin, batterista degli Elvenking). Jahn Carlini mi accoglie donandomi gentilmente il cd, una maglia con l’artwork dell’album ed un portachiavi con la chiave ed il numero 27 (il numero di cella dell’Abate Faria); il tempo di qualche chiacchiera tra colleghi e di qualche presentazione (non ci conoscevamo tutti...), un veloce spuntino offerto dalla band bagnato da un ottimo prosecco ed eccoci entrare in sala di registrazione per iniziare ad ascoltare l’album. Si tratta di un concept basato, come facilmente immaginabile dal titolo, sul romanzo “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas padre, ispirato parzialmente a fatti reali presi dalla biografia di Pierre Picaud ed ambientati in Francia ad inizio ‘800 durante il regno di Luigi XVIII; da questo libro sono stati tratti film, serie tv e tanto altro, ma il consiglio che mi sento di dare a chi non l’abbia ancora letto è quello di colmare la lacuna al più presto, dato che si tratta di uno dei libri più avvincenti che siano mai stati scritti. L’album inizia con l’intro “Le Pharaon” (la nave su cui si trovava Edmond Dantès, giovane marinaio, protagonista del libro) per poi proseguire con la prima traccia “Back home” che parla di quando Edmond torna a Marsiglia per poi fidanzarsi con la sua promessa sposa Mercedes. Segue “The left hand joke” (di cui è tratto un video), canzone che narra del tradimento di tre soggetti (Danglars, Mondego e Caderousse) gelosi di Dantès e che lo denunciano come cospiratore bonapartista (era il periodo in cui Napoleone era stato esiliato all’isola d’Elba) scrivendo una lettera, appunto con la mano sinistra, così da camuffare meglio la calligrafia; si parla anche della condanna da parte di un magistrato (Gérard de Villefort) che era figlio di un vero bonapartista; come per la precedente traccia, ci troviamo a che fare con un pezzo veloce ma, a differenza del precedente, non c’è allegria, ma inizia il pathos che poi aumenterà in “Where the shame lives”, canzone dall’aria estremamente drammatica che narra dei momenti in cui Dantès finisce nel carcere del castello di If, piccolo isolotto al largo di Marsiglia da cui è sostanzialmente impossibile uscire, tanto che si perdono totalmente tutte le tracce di coloro i quali ne vengono rinchiusi. Con “I am the master”, brano solenne, viene introdotta la figura dell’Abate Faria (il prigioniero della cella 27 che, scavando dal pavimento, arriva a quella di Dantès che ha il numero 34), personaggio chiave che da anni sta cercando di realizzare un tunnel sotterraneo peer fuggire dalla fortezza e che si rivelerà fondamentale per Dantès per comprendere il complotto di cui è stato vittima, nonché mentore del giovane in varie discipline come economia, matematica, filosofia ecc.; poco prima di morire, Faria rivelerà a Dantès l’ubicazione di un tesoro nascosto nell’isola di Montecristo, appartenente alla nobile famiglia Spada. Proprio sostituendosi nella sacca della salma dell’anziano, Edmond riuscirà a fuggire dato che i cadaveri del castello alcune volte venivano gettati in mare all’interno di sacche di tela. In “Your fall will come”, altro pezzo decisamente tirato, si parla dei progetti di vendetta di Dantés, dopo ben 14 anni trascorsi ingiustamente in prigionia. Da evidenziare che sostanzialmente tutta la storia viene raccontata dal singer Stefano Sbrignadello e dal leader e chitarrista Jahn Carlini, mentre Massimo David (basso), Giorgio Peccenini (tastiere) e Manuel Menin (chitarra) si limitano a brevi interventi, raccontando qualche aneddoto e prodigandosi con i beveraggi (alcolici e non), soprattutto in una pausa per “motivi tecnici” di una delle colleghe all’ascolto. Tra i vari aneddoti, c’è quello che riguarda i cori; Jahn racconta che Simone Mularoni (il producer) si era raccomandato di non esagerare con le linee di chitarra, rimanendo però scioccato dall’elevatissimo numero di cori epici che sostanzialmente infarciscono tutti i brani del disco dall’inizio alla fine. Un altro aneddoto ha riguardato la batteria: come detto buona parte dei brani sono stati registrati da Simone Morettin, batterista che ha un’impostazione tutta particolare per il suo strumento; quando poi Denis Novello ha dovuto suonare la restante parte dei pezzi, ha trovato tutti le varie parti della batteria in posizioni inusuali (per lui) ed è stato costretto ad un lungo lavoro di smontaggio e rimontaggio. Tornando all’album, arriva il momento di “Nest of stone”, fantastica quanto drammatica canzone, da cui è stato tratto un video molto bello, girato nella Villa Valmarana sulla Riviera del Brenta; in questo brano lento, ma estremamente efficace si narra dell’incontro con Mercedes, divenuta nel frattempo moglie di uno dei tre cospiratori, Fernand Mondego (divenuto “Conte de Morcerf”); la donna riconoscerà immediatamente il suo mai dimenticato amore, ma Dantès non riuscirà a perdonarla per aver sposato suo cugino. Un altro episodio simpatico, intercorso tra Carlini e Sbrignadello, arriva con “My name”, l’ottava e tirata traccia dell’album, che parla delle varie identità che Edmond assumerà per la sua vendetta; tra queste, oltre a quella dell’inglese Lord Wilmore e del marinaio Sinbad, vi è anche quella dell’Abate Busoni, cognome che in dialetto veneto può ricordare anche un significato “particolare”. “Man from the east” viene presentata dal tastierista Giorgio Peccenini, dato che è stata scritta proprio da lui perché Carlini gli aveva chiesto una canzone con delle sonorità orientaleggianti, per parlare dei vari viaggi in Oriente di Dantès per progettare al meglio la sua vendetta ed accrescere la sua cultura. A questo punto, dovendo recarmi a Gradara, al confine tra Marche ed Emilia Romagna (con circa due ore e mezza di auto da percorrere), per assistere alla seconda edizione del Metal Fortress, essendo già passate le 17.30, ho dovuto salutare tutti per andare al concerto. Ho approfittato del viaggio per ascoltare gli ultimi brani mancanti “The weak point”, “Final revenge”, “On october 5th (wait and hope)” e la title-track finale “Montecristo”, da cui è stato tratto un lyric-video e che è l’unica che è avulsa dal concept dell’album. Ecco, a livello di concept, leggendo i testi delle altre canzoni dal booklet, si parla del compimento della vendetta di Dantès che porterà alla morte di Caderousse (nonostante Edmond abbia più volte cercato di evitarla), al suicidio di Mondego, alla pazzia di de Villefort ed infine al pentimento di Danglars (che era lo scrivano del Pharaon, successivamente promosso a capitano proprio al posto di Dantès) che viene perdonato e risparmiato dal protagonista; c’è anche da spiegare la data del 5 ottobre del brano “On october 5th (wait and hope)”, che è il giorno in cui si conclude tutta la storia, con la salvezza sull’isola di Montecristo di Maximilien Morrel (il figlio dell’armatore della Pharaon) che voleva suicidarsi ed invece ritrova la sua amata Valentine (di cui il conte aveva inscenato la morte), ma è anche il giorno in cui la serva Haydée confessa il suo amore a Dantès, assieme al quale partirà poi il giorno successivo per vivere finalmente in pace. A livello musicale si tratta di pezzi davvero ispirati, molto coinvolgenti e decisamente tirati (Jahn Carlini ci ha spiegato che con il crescere del pathos nella parte finale del romanzo, era normale comporre brani più “movimentati” e duri). Vi rimando adesso alla recensione dell’album “Montecristo” che verrà pubblicata in corrispondenza della release date ufficiale del 21 settembre; sappiate sin da subito però che questo sarà uno dei migliori dischi del 2023 usciti in campo power metal, quindi non fatevelo sfuggire!