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Opinione scritta da Corrado Franceschini

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    04 Marzo, 2023
Ultimo aggiornamento: 04 Marzo, 2023
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Gli Angel Blade si formano a Dresda nel 2019. Nel 2021 la formazione passa da tre a cinque elementi, muta il nome in Acid Blade e pochi mesi dopo entra nel roster dell’etichetta Personal Records. A dicembre 2022 è uscito il disco di debutto intitolato ”Power Dive” contenente otto pezzi, che si prefigge lo scopo di riportare in auge il suono dell’Heavy Metal di fine anni ’70, inizi ’80. Avete il vostro vecchio chiodo nell’armadio e il bracciale di borchie, probabilmente arrugginito, nel cassetto? Tirateli fuori, indossateli e cominciate a pensare a una delle decine di band “perdenti” della N.W.O.B.H.M, quelle surclassate da Iron Maiden, Saxon, Angelwitch eccetera. Gli Acid Blade riescono a ricreare le atmosfere tipiche del periodo che ho citato prendendo come punto di riferimento gli Iron Maiden, ma non riescono a convincere a pieno. In primo luogo ci sono alcuni cambi di tempo dove manca la coesione fra gli strumenti e, in secondo luogo, la produzione non è sempre al top. A mio avviso il gruppo dovrebbe trovare un produttore dall’orecchio allenato, in grado di guidare e incanalare l’energia profusa nei giusti binari. L’unico pezzo avulso dal contesto Hard & Heavy è l’iniziale “Hot Blood On The Loose”, brano che segue le coordinate sonore dello Speed Metal. La forte impronta della Vergine di Ferro è ben presente in brani come “Power Dive” dove viene miscelata con influssi di AC/DC e Judas Priest, sia nel crescendo e nelle cavalcate di “Into The Light”. C’è spazio anche per l’Hard & Heavy parzialmente oscuro del brano “The Tomb Of Khentika Ikheki”, così come trovano posto pezzi cadenzati, vedi “Moonless Night” e “Harpy On The Wing”. Proprio quest’ultima, fra cavalcate, pezzi stoppati e movenze lente, mostra sia la creatività che il limite dei cinque tedeschi. Detto che delle due chitarre una mi è sembrata decisamente più “sul pezzo” dell’altra, e che la voce rasenta a tratti la monotonia. Vi invito all’acquisto di “Power Dive” solo se il vostro cuore, i vostri gusti e il vostro cervello, sono rimasti fermi agli anni sopra citati e non avete ascoltato altro negli ultimi quaranta anni.
Nota: nel frattempo, a gennaio 2023, il batterista Eric Nukem è stato rimpiazzato da Jonny Astus (Prowler, Tension etc).

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    24 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 2023
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Il treno dei Motörhead è in qualche scalo ferroviario su un binario morto, da parecchi anni. A ognuno di noi, però, rimangono vividi i ricordi di tutti i posti dove ci ha portato. “Bad Magic”: album uscito nel 2015, non ha suscitato il clamore di “Ace Of Spades” o la curiosità di un disco come “Orgasmatron”, ma è importante lo stesso visto che ha sancito i quarant'anni di attività del gruppo di Lemmy e, allo stesso tempo, è uscito in un periodo nel quale il mitico bassista era alle prese con dei problemi di salute. Le etichette hanno trovato il modo di arginare la crisi del mercato discografico usando degli appetibili “stratagemmi”. Nel caso della riedizione di "Bad Magic", ovvero “Bad Magic: Seriously Bad Magic”, il box completo ha una tavola Ouija graficamente fantastica ma che, in mani non esperte, potrebbe causare guai seri a chi la usa. Per il resto le edizioni sono molteplici e ognuno potrà scegliere quella che ritiene migliore e più adatta al proprio portafoglio. La versione base del disco, quella in mio possesso, contiene due CD. Il primo è quello normale con l’aggiunta di “Heroes” e di due outtakes dalle sessioni di registrazione: “Bullet In Your Brain” e “Greedy Bastards”. All’epoca avevo dato a “Bad Magic” il voto 3.5/5 e, se volete, potete trovare la recensione negli archivi di Allaroundmetal. Oggi mi soffermerò sul resto. “Heroes”, cover di David Bowie, oramai l’avrete ascoltata tutti e da molto tempo. La versione che ne avevano fatto i Motörhead risulta più “elettrificata” dell’originale quindi, meno pindarica. “Bullet in Your Brain” è un classico tempo standard veloce e con cambi che, sinceramente, apporta poco al lotto. Riguardo a “Greedy Bastards” vi posso dire che la potete comparare tranquillamente con “Till The End”: traccia nove di "Bad Magic". Possiede le stesse coordinate di brani come “Don’t Let Daddy Kiss Me” e “Lost In The Ozone” ("Bastards" – 1993). Da questo si può capire come mai non è stata inserita nella prima edizione di “Bad Magic”: sarebbe stata una sorta di doppione. Passiamo al secondo CD della confezione che è decisamente più interessante. D’accordo, siamo sempre di fronte a una performance live, in questo caso tenuta il 24 luglio 2015 al Fuji Rock Festival – Sayonara Folks! tenutosi a Yuzawa in Giappone, ma per lo meno non è il solito concerto presente su altre piattaforme. La forma del terzetto? Sostanzialmente buona anche se non mancano alcuni svarioni: vedi il finale di “Metropolis” dove la band si disunisce o l’instabilità iniziale di “Ace Of Spades”. Bellissime e con un bel suono “We Are Motörhead” e "Damage Case". Alquanto “schizzata” “Over The Top”. Dura come un macigno “The Chase is Better Than The Catch”. Solare e briosa “Going To Brazil”. Se poi ci vogliamo soffermare sui singoli elementi abbiamo “String Theory”: un solo di chitarra poggiato su tastiere dal tenore Rock e Blues ad opera di Phil Campbell, e “Doctor Rock” dove sugli scudi sale Mikkey Dee che percuote tutto il battibile con energia, dando tempo a Phil e a Lemmy di tirar fiato. Il resto è di buon livello ed eseguito con buona tecnica. Che altro vi devo dire, che da vecchio Motörheadbanger (#1063) rimpiango la mancanza di Lemmy e compagnia? Scontato! Vi dico di salire su quel treno fermo e fare un viaggio nei vostri ricordi.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    04 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 04 Febbraio, 2023
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La splendida copertina di “A New Tomorrow” disegnata da Umberto Stagni, raffigura i precedenti artwork racchiusi in delle carte da gioco “manipolate” dal nuovo cantante dei Rain Maurizio Malaguti, mentre gli altri musicisti sono agli angoli. La band felsinea capitanata da Amos “The Snake” Amorati, continua a macinare chilometri esibendosi in tutto il Nord Italia, nonostante gli innumerevoli cambi di formazione intercorsi in quarantadue anni di attività. Credo che proprio l’inserimento di Maurizio “Evil Mala” Malaguti, autore di tutti i testi, sia in larga parte il fattore responsabile del parziale, ma deciso, cambio di rotta sonoro dei Rain. Non solo Heavy Metal, quindi, ma un pot-pourri di generi che, per come conoscevo la band, mi ha spiazzato e, in molti casi, avvinto. “A New Tomorrow” palesa un ritmo nerboruto ma ha al suo interno una caratteristica comune a molti altri brani del disco: una fase meno dura e densa di melodia. “Down In Hell” possiede un suono veramente potente al servizio di quello che ho chiamato "Grunge attualizzato". In questo caso la sorpresa è costituita da una cadenza oscura seguita da un’apertura moderna. “New Sin” è un Heavy classico con contaminazioni veloci. “Double Game” è un connubio di Hard Rock, Grunge e Red Hot Chili Peppers con un solo di chitarra a scale ben riuscito. “Master Of Lovers” passa dall’Hard Rock veloce dal gusto americano, sino ai ritmi usati dai Metallica nei periodi risalenti a “Load” e album successivi; il solo scatenato è un valore aggiunto che contribuisce a porre la canzone fra le migliori del lotto. “Never Alone” possiede un suono duro e sporco che si interseca con cadenze e semi velocità. “Loveself” lascia ampio spazio ad un certo tipo di melodia, soprattutto nella fase voce/chitarra. “All You Can Hate” mostra tutta la voglia dei Rain di esplorare un nuovo corso. Prendete una cadenza semi pindarica alla Sentenced (quelli di “Killing Me, Killing You”), aggiungete una fase in cui la chitarra è divisa e ben udibile negli altoparlanti, transitate brevemente per il ritmo spumeggiante dei Porno For Pyros e approdate ad un finale stile The Sisters Of Mercy. Questo “nuovo sound”, peraltro ben prodotto, mi spinge a dire che siamo di fronte ad un ottimo brano. “Peace Sells”, cover del brano dei Megadeth, è veramente strana; per certi versi stravolta. Se non fosse un pezzo così famoso, stentereste a riconoscerlo. “Evil Me” fa della sua velocità un punto di forza e mostra ancora una volta delle chitarre in gran spolvero. “Revolver” è un pezzo fra velocità e spezzature del ritmo e arriva a chiudere un album che, per quanto atipico, lascia soddisfatti. Il suono dei Rain, a parte alcune eccezioni, si è spostato verso la sponda americana del Metal: non quella Thrash o Glam bensì quella Alternative. Se volete supportare la band vi consiglio l’acquisto del cofanetto in edizione speciale, con CD e puzzle da 384 pezzi.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    08 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 08 Gennaio, 2023
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Logo della band che nei caratteri ricorda quello dei Motorhead, titolo del disco che si rifà palesemente a “New Hope For The Wretched” dei Plasmatics (1980) e copertina che segue i dettami del Thrash anni ’80: queste sono le caratteristiche con le quali si presentano i Traitor. Il combo americano, nato nel 2012 a Philadelphia, Pennsylvania, ha rilasciato nel 2014 l’EP di debutto “Delaware Destroyers”. Nel 2018 lo stesso lavoro è stato ristampato su cassetta con il titolo "Traitor", e con l’aggiunta di due nuove canzoni. In questo “Last Hope For The Wretched” i Traitor si cimentano con generi che vanno dall’Heavy Metal tradizionale allo Speed/Thrash Metal e lo fanno alternando nei nove brani le voci di Greg Lundmark (gruff vocals) e Joe Rado (Death/Thrash vocals). A parte questa scelta abbastanza originale, nelle musiche e nei testi non si nota una gran fantasia. I quattro componenti mostrano comunque di avere qualche buona intuizione che andrà sfruttata meglio in futuro. Per darvi un’idea di ciò che andrete ad ascoltare vi dico che l’iniziale “Sintroducer/Take Över” è un classico dello Speed Metal con breaks, e soli di chitarre a scale. Se vi mancano i ritmi musicali rocciosi che erano caratteristici dei Judas Priest degli anni d’oro “Baptized In Fire”, grazie anche all’uso delle chitarre, vi farà tornare indietro nel tempo. “Under Attack” è un ginepraio di cambi di ritmo che denotano una buona capacità compositiva e strumentale da parte dei Traitor. “Raise The Black” ha nel nome il suo destino. Il pezzo possiede un che di malvagio ed è rafforzato da fasi in calando e in crescendo che ricordano gli Immortal del periodo più “epico”. “Luxury”, con i suoi riff stile Judas Priest/Iron Maiden e la sua imponente mole di chitarre, è l’esempio di ciò che ho scritto poche righe sopra: buone intuizioni da incasellare in maniera migliore. “Last Hope For The Wretched” va poco oltre la sufficienza dato che c’è un discreto margine di miglioramento sia per ciò che riguarda i soli, soprattutto da parte di una delle due chitarre, sia per l’uso delle voci. Vedremo se nel prossimo disco i Traitor saranno in grado di sorprenderci.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    26 Dicembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 2022
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Quanti fra voi conoscono gruppi che suonano Heavy Metal e provengono dall’India? Credo pochi. Gli Illucia si sono formati nel 2014 e nel corso degli anni hanno rilasciato l’EP “1 1 1” nel 2019, e il singolo “Dreamtime Observers” nel 2020: vi consiglio l’ascolto su Youtube, ne vale la pena. Nel 2022 il trio, trasformatosi in quartetto in studio, ha fatto uscire il disco a nove tracce dal titolo “A New Reign”. Il combo indiano fa suoi i dettami dell’Heavy Metal duro e puro, e tiene saldo come punto di riferimento gli Iron Maiden. Questo fattore è dovuto principalmente alla chitarra di Nitin Charles Martin sia nelle fasi soliste che in quelle “doppie”. Oltre alla Vergine di Ferro le maggiori influenze musicali degli Illucia, a mio avviso, sono da pescare fra i gruppi classici come Accept, Judas Priest e band similari, con alcune brevi “fughe” verso altri generi. I riff taglienti e i soli della chitarra fanno da cornice ad alcune cavalcate che, talvolta, virano verso l’incedere epico come nel caso del primo singolo, e relativo video, “Clap Of Thunder”. Uno dei pezzi migliori del lotto dal sapore fortemente maideniano. Amate i brani pieni di variazioni sul tema? Con “Slaves of the Land” e “Walls of Desire” andate sul sicuro. Se vi piacciono le scorrerie dal suono lanciato al galoppo, “The Fortress of Gold” vi soddisferà. Stavo per dare un buon giudizio anche a “Hellucination”, ma la voce di Vineesh Venugopal, che non è sempre al top e consona al genere proposto, ha una metrica discordante dal ritmo e mi ha fatto ricredere. La nona traccia, “The Ritual… a New Reign”, rappresenta una sorta di sorpresa dato che il gruppo si sposta verso lidi cari ai Metallica più “tranquilli”, quelli degli arpeggi delicati di “The Call Of Ktulu”, per poi acquisire una carica in crescendo. Gli Illucia hanno delle buone idee in fase compositiva, ma il fattore autoproduzione e l’aver inciso le parti di chitarra in uno studio e i restanti strumenti in un altro, hanno in parte inficiato il valore del disco.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    17 Dicembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 17 Dicembre, 2022
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Se leggete le note biografiche inerenti Gabriels - pianista, tastierista e compositore siciliano - potete scoprire quante cose si possono fare nel campo musicale avendo studiato approfonditamente. Gabriels è un nome conosciuto fra quelli che ascoltano Heavy Metal di tipo Power e sinfonico e, oltre ad avere una lunga carriera alle spalle, ha diverse collaborazioni all’attivo. Questo gli ha permesso in passato di pubblicare alcuni album sotto forma di concept e con parecchi ospiti. Anche “Dragonblood – Damned Melodies” è un concept album dove sono presenti molti ospiti ed è incentrato sulla figura di Dracula e basato sulla novella di Bram Stoker. Dischi di questo tipo a volte sono difficili da recensire perché, ascoltandoli distrattamente o in più fasi, si rischia di perdere la loro essenza. In questo caso, sto parlando del presskit, il non avere il canovaccio della storia e l’abbinamento dei cantanti ai brani; per gli altri strumentisti il discorso è diverso, non rende facile il lavoro. Tralasciando questo fatto la musica è abbastanza fruibile a patto che si sia ben disposti verso brani lunghi e abbastanza articolati. Come detto il raggio d’azione del disco è alquanto ampio e va dal Power al Progressive al Gothic Metal: non per niente sono presenti tre soprano e mezzo soprano e un tenore/baritono. Naturalmente, vista la propensione artistica di Gabriels, ampio spazio è stato dato al piano e alle tastiere. Ciò non ha impedito all’artista di trovare partiture adatte per gli altri strumenti, e per le varie voci che si alternano o che lavorano all’unisono. Non è facile estrapolare dei brani da un lavoro così particolare ma, fra quelli che mi hanno colpito, vi segnalo “Mina’s Nightmare”: non credo proprio che vi annoierete nell’ascoltarla dato che le atmosfere passano dall’arabo al cupo al cadenzato a più voci, bella e “lirica” quella di Chiara Petrelli che, dalle note in mio possesso, dovrebbe essere l’interprete di Mina. Chi ama i toni epici e le tastiere che dominano la scena, apprezzerà “In The Dragon’s Castle”. Fra le canzoni migliori del lotto inserisco “Van Helsing Entrance” con i suoi molteplici cambi e le armonizzazioni vocali. Ad impreziosire il tutto, in questo caso, troviamo le parti di tastiera di Mistheria e il solo di chitarra a cura di Patick Fisichella. Proseguendo nell’ascolto voglio puntare il dito contro “Marching To The Castle”. La reputo una della canzoni meno riuscite dal punto di vista della produzione e, molto probabilmente, il suo fungere da brano intermedio: siamo alla decima traccia su quattordici, la rende un poco slegata dal contesto del concept. Fortunatamente è solo un episodio e poi si torna a livelli di un buon standard qualitativo. L’ultimo brano, “Your Time Is Up”, è un concentrato di vari stili di Metal che, ad un certo punto, ricorda da vicino gli Helloween o i nostrani Trick or Treat. L’immagine che abbinerei è quella di una fuga a cavallo alla mattina presto: la liberazione da un incubo.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    02 Dicembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 02 Dicembre, 2022
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Nella recensione del precedente EP dei Rebel Priest (“Lost In Tokyo”: voto 3/5), avevo messo in evidenza il fatto che il lavoro possedeva numerosi spunti presi dall’Hard e dal Glam di stampo americano. Nell’EP “Lesson In Love” (quattro tracce per complessivi 14:08) il terzetto canadese ha cambiato le carte in tavola. Questa volta le basi, sia per il suono grezzo che per l’energia profusa, sono quelle che appartenevano alla NWOBHM. Il disco rilascia sensazioni positive date appunto dalla grande energia e dalla potenza dei pezzi. Ci sono però troppe falle sia nel comparto mix/mastering a cura di Renè Garcia, che nell’autoproduzione svolta dallo stesso Garcia assieme alla band. Stiamo parlando di un gruppo nato nel 2014 che, oramai, dovrebbe avere acquisito un approccio professionale. “Lesson In Love” chiama in causa i Tygers Of Pan Tang e lo fa attraverso il suo ritmo potente e graffiante ma le aritmie di metà pezzo e al rientro dal solo, peraltro ben riuscito e a velocità supersonica, ne inficiano il valore. “Dive Bomber” è un Heavy Rock martellante con cambio in progressione e break prolungato. “Coat Check Girl” (canzone già edita come singolo nel 2016) è un Heavy Metal anthem che ricorda qualcosa dei primi brani degli Iron Maiden. “Bonfire” è un Heavy cadenzato di 105 secondi dedicato a Bon Scott. Se volete tornare ai tempi che vi vedevano sfrecciare in macchina con il vostro stereo a cassette con il volume a palla, ascoltate “Lesson In Love” e decidete se vale la pena acquistarlo. Se siete cultori della precisione e della perfezione a tutti i costi, potete tranquillamente passare ad altri dischi.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    22 Novembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 2022
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Prima di partecipare alla quinta edizione del Porkettone Fest, evento annuale di musica estrema che si svolge a Reggio Emilia, avevo ascoltato la proposta musicale dei Black Ancestry. Due brani tratti dal demo avevano suscitato in me qualche dubbio ma un clip girato dal vivo, mi aveva convinto di avere a che fare con un gruppo valido. Validità confermata dalla breve e intensa performance fornita dal combo al suddetto festival. Black Ancestry si sono formati nel 2018 e nel 2019 hanno rilasciato il demo “The Ritual of Blood and Candles”. Nel 2021 il batterista Sakar (ora adotta lo pseudonimo Black Angel) ha rivoluzionato completamente la line up inserendo Goat Fucker (basso), Cerberus (chitarra) e Hell Child (voce). A scanso di equivoci vi dico che il demo “Rise”, uscito come autoprodotto ad aprile 2022, ha una registrazione molto artigianale quindi nei quattro pezzi, sei se consideriamo anche le brevi intro e outro, non cercate l’accuratezza nei volumi o la precisione a tutti i costi. Ciononostante questo demo, che personalmente considero come un “fermo immagine” nel cammino dei Black Ancestry, è abbastanza godibile e dà l’idea della strada perseguita dal quartetto. Copertina, foto e titoli non lasciano dubbi. Black Ancestry suonano Black Metal e lo fanno seguendo i parametri imposti da gruppi come Venom, Destruction e primi Celtic Frost oppure, per chi è più ferrato in materia, Hadez (Perù) e Blasphemy (quelli canadesi). Si inizia con “Intro (L'Arrivo del Terrore)” che è un semplice dialogo estrapolato dal film Horror degli anni ’80 Le Notti del Terrore. Leggete le poco lusinghiere recensioni: roba da cultori dei film di serie Z. “Rise Again” ha come gruppi di riferimento Venom e Celtic Frost. Da notare la batteria che galoppa veloce, come un cavallo a briglia sciolta. “Demon Sultan” ha un fastidioso sbalzo nel volume della registrazione rispetto ai due pezzi precedenti e questo infastidisce non poco. Il pezzo trova riscatto nella cadenza, nel dipanarsi in cambi spezzati e nel piazzare fra capo e collo di chi ascolta un break mortifero e catacombale, lasciando il finale in balia della velocità. “Evil… In March with Satan” ha una registrazione molto impastata ma le sue movenze stile primi Destruction, mi hanno catturato. Per un’eventuale riproposta su CD consiglio a Hell Child di sforzare meno la voce mentre, per ciò che riguarda la resa sonora, consiglio di accorciare il pezzo sfumandolo, per renderlo più incisivo. “Master of the Earth” possiede una registrazione veramente underground e va via di Black Metal tosto e battente, alternato a tempi medi con partenze dettate dalla chitarra. “Outro (La Vendetta di Mechlet)” è in pratica la risata di un caro amico dei Black Ancestry defunto tempo fa, sovra incisa sul rumore di un tuono. Sono sicuro che alcuni recensori e ascoltatori stroncherebbero questo demo uscito sia su CD che su cassetta. Chi invece come me, è cresciuto ascoltando i demo tapes degli anni ’80 ed ha apprezzato il suono grezzo dei Venom e le registrazioni “aleatorie” dei primi Bathory, potrebbe trovare spunti interessanti. Con il mio voto sufficiente voglio premiare l’assemblaggio, il ritmo delle canzoni e l’energia profusa ma, dal prossimo disco, mi aspetto molto di più.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    06 Novembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 06 Novembre, 2022
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A più di tre anni di distanza dall’ottimo “Cyberstorm” (voto su AAM 4/5) Enio Nicolini, bassista e figura storica del metallo italiano, torna a proporre la sua musica nelle dieci tracce di “Hellish Mechanism”. Rivoluzionata la formazione degli Otron, Elio riprende il discorso musicale intrapreso nel disco precedente tornando a parlare di tematiche spaziali e fughe dal mondo controllato dai poteri forti. Pur venendo a mancare l’effetto sorpresa suscitato da “Cyberstorm” e tenendo saldi i punti di riferimento, in “Hellish Mechanism” c’è tanta carne al fuoco: ed è di qualità. Il viaggio inizia con le atmosfere siderali e parzialmente decadenti di “Celestial Armada”. Anche questa volta nella line-up degli Otron non è presente la chitarra e, a mio avviso, è stato aumentato l’apporto del sintetizzatore suonato da Gianluca Arcuri. Questo fattore, unito ad un’accordatura del basso su toni diversi dal solito, fa si che in alcuni pezzi ci sia un maggior apporto di sonorità Elctro/Goth/Wave alla Sisters Of Mercy/Swans. Ascoltate “Cogwheel” e capirete cosa intendo dire. A proposito di temi spaziali poteva mai mancare la psichedelia ispirata ai suoni “cosmici” degli Hawkwind? Certo che no! La trovate nel Rock ipnotico di “The Dream”. Altro caposaldo della struttura del disco sono le ossessioni “devianti” e spaziali dei Voivod. Le potete ascoltare nell’omonima “Hellish Mechanism” o trovarle in certi accordi di “The Prophecy”. Il connubio tra elettronica e Voivod sound raggiunge l’apice in “The Old Lady”. A tal proposito vi consiglio di ascoltare il sintetizzatore che, lavorando in sordina, raggiunge un buon grado di riempimento del suono tessendo atmosfere da film Horror. “Single Higher Thought” è un Rock dissonante che non si discosta dalle influenze sonore citate in precedenza. “A Brand New World” è alquanto strana. In questo caso il Rock dissonante viene contaminato in un tratto da una sorta di Beat inglese moderno. Dirò una fesseria ma ho ravvisato un suono tipo Beatles che incontrano i Muse oppure gli Oasis. “L’osservatorio” è un Rock oscuro permeato da cambi, con un interessante testo in italiano: l’unico di tutto il lavoro. A volte nei dischi viene lasciata per ultima una traccia “fiacca” o non troppo riuscita. Non è questo il caso. “Final Crash” è un buon brano che permette agli strumentisti di sparare le ultime cartucce, mostrando una volta di più la validità del combo. Se l’opera del basso, dei sintetizzatori e della batteria suonata da Damiano Paoloni mi è sembrata più che valida, una piccola riserva la esprimo sulla voce di Luciano Palermi (Unreal Terror e una carriera di tutto rispetto fra radio e mondo del cinema N.d.A). Avrei preferito un timbro più avvolgente oppure “asettico” in stile ultimo Steve Sylvester: visti ritmi e tematiche ci stava bene, o Denis Bèlanger (Voivod). Fate vostro ”Hellish Mechanism” e perdetevi nei meandri della vostra mente.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    22 Ottobre, 2022
Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 2022
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Disco d’esordio per i brasiliani RF Force. Il quintetto dichiara di ispirarsi all’Heavy Metal di Dio, Judas Priest, Saxon e altri gruppi degli anni ottanta. La scarna bio inclusa nel presskit non riporta l’anno di formazione né le esperienze pregresse dei musicisti ma, dopo una breve ricerca in rete, ho scoperto che Ricardo Flausino (basso) e Marcelo Saracino (voce) hanno fatto parte degli Heaven And Hell: una tribute band dei Black Sabbath. Lucas Emidio (batteria) e Rodrigo Flausino (chitarra), invece, hanno fatto parte dei Groove metallers Hatematter. RF Force sanno suonare bene anche se una delle chitarre, durante i soli, tende ad andare un poco per i fatti suoi e si prende troppa libertà. Il disco (omonimo) presenta alcune pecche per quel che riguarda il punto di vista della produzione ed il lavoro al banco di regia ma, tutto sommato, risulta abbastanza godibile. Come detto, fra i nomi che più hanno influenzato i RF Force c’è quello di Ronnie James Dio e l’iniziale “Fallen Angel” lo dimostra ampiamente. Ci sono anche altri pezzi che hanno il marchio di fabbrica del compianto cantante a partire da “The Beast And The Hunter”, un caratteristico mid tempo cadenzato con un break e una fase di “ricarica”. “Fighter”, una delle canzoni migliori del blocco, sprizza energia e possiede un primo solo di chitarra ispirato, mentre la secondo chitarra si produce in un solo semplice ma efficace. In “Beyond Life And Death” la voce di Marcelo Saracino è molto simile a quella di Dio, anche se più arcigna. Se vi piace l’Heavy Metal duro e roccioso stile Judas Priest/Accept “Old School Metal” vi riporterà indietro nel tempo oppure, se siete giovani, vi insegnerà la strada nella quale siamo cresciuti noi “boomer”. Tra i brani più energici e, vista la resa delle due chitarre, più vicini agli Iron Maiden, vi segnalo “Flying Dogs”. Chitarre e cambi sono il motore di forza di “M.O.A.B.”, peccato che nel pezzo siano presenti alcune inesattezze nel mixaggio. La bonus track “Fight Witout a Fist”, a mio avviso, è poco più che un abbozzo di pezzo per l’incertezza del sound e dell’esecuzione perciò non aggiunge nulla al valore del disco.

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